ASPETTI POSITIVI E NEGATIVI DELLA
LEGGE QUADRO SUL VOLONTARIATO
Guai contrastare le linee politiche delle istituzioni,
anche se negano i diritti delle persone.
Il volontariato, finché copre i buchi - spesso
vistosi - degli enti pubblici (Regioni, Comuni, USL, Province, ecc.), è
stimato, lodato e sostenuto sia per quanto riguarda l'immagine sia sotto il
profilo economico.
Però, se mette in discussione ciò che l'istituzione
fa male o non fa violando le esigenze fondamentali dei cittadini, allora sono
guai. Non si parla più di volontari, ma, nel migliore dei casi, di utopisti, di
visionari oppure, più spesso, di persone e gruppi fanatici, non rispettasi
dell'autorità costituita, quando - addirittura - non sono indicati e trattati
come socialmente pericolosi.
A nostro avviso, è su queste premesse che è stata
formulata la legge quadro sul volontariato che riportiamo integralmente in
questo numero.
Il volontariato asservito
Secondo l'art. 1 della legge quadro sul volontariato
(1) viene favorito il volontariato che opera «per il conseguimento delle finalità di
carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato,
dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dagli Enti
locali».
Dunque, secondo la legge 266/1991, il volontariato
non può e non deve assumere come riferimento le esigenze ed i diritti delle
persone, ma - se vuole ottenere i contributi previsti dall'art. 7 - deve
adeguarsi alle scelte dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni,
delle Comunità montane, delle USL e degli altri enti pubblici.
In sostanza il volontariato deve essere al servizio
delle istituzioni (2).
Per compensare questo asservimento lo Stato, le
Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti pubblici sottoscrivono
convenzioni ed erogano quattrini.
È ovvio che le istituzioni non stipuleranno accordi
con le organizzazioni di volontariato che, ad esempio, operano affinché gli
anziani cronici non autosufficienti non siano espulsi dagli ospedali, come
avviene attualmente in violazione alle leggi vigenti.
È evidente che lo Stato, le Regioni e le altre
istituzioni pubbliche non sono e non saranno mai disponibili a versare
quattrini al volontariato che opera per l'affermazione delle esigenze e dei diritti
calpestati dalle istituzioni stesse.
Inoltre, il fatto che le associazioni di volontariato
possano svolgere anche attività gestionali, determina una loro configurazione
come vere e proprie imprese, sia pur senza fini di lucro, anche se una
regolamentazione giuridica al riguardo non esiste (3).
In sostanza la legge vuole abbattere il volontariato
promozionale, che viene considerato fuori legge e che sarà schiacciato dal
volontariato allineato con le istituzioni e da questo pagato.
Aspetti positivi
La legge quadro definisce giustamente il volontario
come colui che opera in modo spontaneo e gratuito, salvo il rimborso delle
spese vive sostenute.
È molto positiva la norma secondo cui l'attività di
tutti i volontari deve essere obbligatoriamente coperta da assicurazione «contro gli infortuni e le malattie
connessi allo svolgimento dell'attività stessa, nonché per la responsabilità
civile verso terzi».
A questo riguardo va osservato che si tratta di oneri
rilevanti per l'organizzazione di volontariato, oneri che non sono coperti da
interventi economici dello Stato. Pertanto, l'obbligo, assolutamente
giustificato nei confronti dei volontari, costituisce un'altra spinta perché
l'organizzazione ricerchi, tramite la stipula di convenzioni, di assicurarsi
il corrispettivo per poter coprire il costo delle assicurazioni.
Se il legislatore avesse voluto veramente favorire
l'autonomia delle organizzazioni di volontariato rispetto alle istituzioni,
avrebbe dovuto coprire le spese di assicurazione anche nei casi in cui non
venisse stipulata alcuna convenzione.
Altri aspetti positivi sono costituiti dalle condizioni
che devono essere soddisfatte dalle organizzazioni di volontariato: senza fini
di lucro, democraticità della struttura, elettività e gratuità delle cariche
associative, formazione del bilancio, possibilità di acquisto di beni mobili e
immobili necessari per lo svolgimento dell'attività, facoltà di svolgere
attività commerciali e produttive marginali qualora i proventi siano destinati
interamente per i fini istituzionali dell'organizzazione di volontariato.
Quale futuro per il volontariato
Temiamo fortemente che la legge quadro sul
volontariato, determini la fine delle attività di promozione dei diritti, nei
casi in cui le istituzioni non vogliano riconoscerli (4), così come si è verificato
con la partecipazione, quando il legislatore, anche in questo caso con
l'accordo di tutti i partiti, aveva deciso di incanalarla nelle varie forme di
cogestione (organi collegiali della scuola, comitati di gestione degli asili
nido, delle scuole materne, dei consultori familiari, ecc.).
Già oggi è rara la presenza di organizzazioni di
volontariato che agiscano con denunce/proposte di fronte alle situazioni di
violazioni di diritti fondamentali, di diritti cioè che mettano a repentaglio la
vita stessa della persona o ne ledano gravemente la dignità (5).
L'autorevole classificazione di Mons.
Pasini
Nella relazione tenuta al V Convegno del volontariato
tenutasi a Lucca il 21-22-23 ottobre 1988 sul tema «Il volontariato di fronte
ai fenomeni di povertà e marginalità: impegno di solidarietà e coscienza
critica nell'ottica della prevenzione», Mons. Giuseppe Pasini, Direttore della
Caritas italiana, dopo aver citato Heider Camara («I nostri gesti di assistenza rendono gli uomini
ancora più assistiti, a meno che non siano accompagnati da atti destinati a
strappare le radici della povertà»),
distingue tre tipologie:
«1. Gruppi che fanno solo servizio ai poveri e agli
emarginati o, nei casi migliori, condivisione di vita con i poveri e gli emarginati.
- Ritengo che siano la parte più consistente del
volontariato.
- Sono gruppi di lunga tradizione storica, e anche
gruppi sorti recentemente ma che si sono inseriti di fatto o per scelta nel
filone tradizionale del volontariato.
- Sentono e vivono, anche intensamente, la
solidarietà nelle «relazioni corte», ma non si pongono, in termini operativi,
il problema dell'impegno politico per il cambiamento della società e delle
istituzioni:
- o perché lo considerano estraneo alla competenza
del volontariato;
- o perché lo considerano superiore alle possibilità
del volontariato (quanti gruppi di volontariato ospedaliero toccano con mano
ogni giorno la inadeguatezza delle strutture o l'incompetenza e la
deresponsabilizzazione negli operatori professionali, ma ritengono di non
poter fare nulla);
- oppure perché vogliono evitare il rischio della
“politicizzazione” dei volontariato.
- In sintesi, riconoscono che la società, così come è
strutturata, produce, o quantomeno favorisce, la povertà e l'emarginazione, ma
ritengono sufficiente contrapporre a queste logiche la propria personale
testimonianza di solidarietà.
2. Gruppi che sviluppano insieme servizio-condivisione
e impegno sociale e politico. Questa fascia di gruppi coincide in gran parte
con il volontariato operante negli anni della contestazione che, distaccandosi
dalla posizione di protesta politica sterile e/o violenta, ha mantenuto di
quel filone culturale una spiccata sensibilità politica - quindi una volontà
di cambiamento - ma l'ha saldata con la testimonianza personale e comunitaria
di servizio.
- Sono confluiti in questo ambito anche gruppi sorti
più recentemente, come pure gruppi proveniente da ceppi di più lunga storia.
- Essi considerano l'impegno diretto di servizio e/o
condivisione con i poveri e gli emarginati il punto di partenza del loro
impegno globale e la garanzia di credibilità del loro discorso politico.
- Considerano, comunque, l'impegno sociale e politico
parte integrante del loro impegno di volontariato.
- Privilegiano il lavorare “con” gli emarginati
anziché solo “per” gli emarginati.
- Sentono molto interesse alla vita e ai problemi
dei territorio e considerano pregiudiziale al cambiamento la coscientizzazione
e il cambiamento della gente.
- Si coinvolgono nel dibattito culturale attorno
alla povertà, coscienti di avere un apporto specifico e insostituibile da
offrire.
- Si pongono il problema di strategie e di alleanze
sia tra gruppi e associazioni di volontariato, sia con altre forze culturali e
sociali, in prospettiva del superamento della povertà e dell'emarginazione.
- Tendono a spostare il loro servizio verso le forme
nuove o più scoperte di povertà, inventando nuove risposte e avviando anche
nuove professionalità.
3. Gruppi di tutela giuridico-politica dei più
deboli.
- Nell'ambito dell'emarginazione e della povertà
esistono, infine, gruppi di volontariato che operano in difesa delle persone e
dei gruppi dell'area marginale.
- Questo può essere qualificato come volontariato di
tutela.
- Questi gruppi operano attraverso la denuncia,
anche di singoli casi, ma soprattutto di disfunzioni più ampie, nel campo dei
servizi socio-assistenziali, e socio-sanitari; attraverso battaglie
culturali; attraverso anche l'organizzazione politica degli emarginati.
- Procedono spesso a difesa di quelle categorie di
cittadini più esposte al disagio nonché più deboli (es.: minori, anziani,
malati cronici e non autosufficienti, ospedalizzati, ecc.).
- Rispetto ad altri ambiti di volontariato si può
dire che essi pongono l'accento sulla coscienza critica ed esprimono la
solidarietà non in un servizio diretto personalizzato, ma in una forte
attenzione alla condizione delle persone in disagio, con un impegno preciso a
denunciare la violazione di diritti, a coscientizzare l'opinione pubblica, a
modificare la legislazione.
- Talvolta puntano anche a pungolare gli stessi
gruppi di volontariato, sollecitando presenze nuove o modalità nuove di
presenza, nella prospettiva della salvaguardia dei diritti delle persone»
(6).
Conclusioni
Riteniamo che i gruppi di volontariato che vogliono
veramente intervenire per aiutare i singoli e, nello stesso tempo, prevenire
le situazioni di bisogno, di difficoltà e di emarginazione (7), debbano
analizzare attentamente le norme della legge 266/1991, in particolare quelle
concernenti le convenzioni con gli enti pubblici, per evitare di perdere la
propria autonomia di riflessione e proposta, in cambio di un po' di denaro.
(1) Legge 11 agosto 1991 n. 266.
(2) Preoccupazioni analoghe alle nostre
sono espresse nell'editoriale di giugno 1991 di Partecipazione, organo della Comunità di Capodarco, dal
significativo titolo “Truppe cammellate”. In detto articolo, commentando la
legge quadro sul volontariato, si afferma: «Nella
migliore delle ipotesi il servizio deve essere prestato alle condizioni poste
dal potere amministrativo e soprattutto in ossequio ed obbedienza, pena il
decadimento del contratto. Infatti la parte forte (il potere politico) ha
amplissima discrezione nello stabilire l'accordo, anche in presenza di propri
inadempimenti eclatanti (si veda, ad esempio, il ritardo, oltre ogni limite
ragionevole, del pagamento delle prestazioni) o dl chiari orientamenti di
parte. Gli esempi sono ormai numerosissimi e presenti in tutta Italia».
(3) Ricordiamo che il Cottolengo di
Torino, da tutti e da sempre riconosciuto come ente privato senza fini di
lucro, ha investito 52 miliardi negli alberghi di lusso di Ischia, già di
proprietà Rizzoli. Ciò nonostante, per la nostra legge, il Cottolengo continua
ad essere considerato un'organizzazione senza fini di lucro.
(4) Fra i diritti negati ricordiamo quelli relativi alle cure
sanitarie degli anziani malati cronici non autosufficienti, al lavoro degli
handicappati, alla famiglia dei moltissimi bambini in situazione di abbandono
o con genitori in gravi difficoltà.
(5) Nel n. 92 di Prospettive assistenziali avevamo criticato lo slogan «Cerchiamo
persone disposte a regalare un sorriso» usato dall'AVO, Associazione Volontari
Ospedalieri, per la ricerca di volontari. In risposta, il Prof. Erminio Longhino,
Presidente nazionale de!la FEDERAVO, dopo aver segnalato che l'AVO è presente
in Italia con 133 associazioni dichiara: «Inutile
ci sembra denunciare il sopruso (verso l'altro) se il sopruso non desta
compassione». Con questa espressione non crediamo che sia spiegato perché
finora né l'AVO né la FEDERAVO abbiano mai segnalato all'opinione pubblica
persone ed enti ben individuati, responsabili di gravi violazioni dei diritti
fondamentali del malato ospedalizzato.
(6) Cfr. Volontariato Oggi, n. 8, settembre 1988.
(7) L'assemblea nazionale del MO.V.I.
del 25-28 aprile 1981 ha approvato una risoluzione in cui viene precisato che
scopo dell'organizzazione è quello di «denunciare
le situazioni di ingiustizia e di impegnarsi a lottare con metodi efficaci, ma
non violenti, per rimuovere le cause che generano i circuiti di emarginazione e
di ogni discriminazione, di promuovere la difesa dei diritti umani e di
cittadinanza, di conquistare insieme agli emarginati quello spazio e quel
potere che incidano positivamente sulla via della comunità». Si veda anche
l'articolo di Mons. Giuseppe Pasini, La
carità è anche impegno politico, in “Prospettive assistenziali”, n. 83,
luglio-settembre 1988.
www.fondazionepromozionesociale.it