Prospettive assistenziali, n. 96, ottobre-dicembre 1991

 

 

Editoriale

 

ASPETTI POSITIVI E NEGATIVI DELLA LEGGE QUADRO SUL VOLONTARIATO

 

 

Guai contrastare le linee politiche delle istituzioni, anche se negano i diritti delle persone.

Il volontariato, finché copre i buchi - spesso vistosi - degli enti pubblici (Regioni, Comuni, USL, Province, ecc.), è stimato, lodato e sostenuto sia per quanto riguarda l'immagine sia sotto il profilo economico.

Però, se mette in discussione ciò che l'istitu­zione fa male o non fa violando le esigenze fon­damentali dei cittadini, allora sono guai. Non si parla più di volontari, ma, nel migliore dei casi, di utopisti, di visionari oppure, più spesso, di persone e gruppi fanatici, non rispettasi dell'au­torità costituita, quando - addirittura - non sono indicati e trattati come socialmente pericolosi.

A nostro avviso, è su queste premesse che è stata formulata la legge quadro sul volontariato che riportiamo integralmente in questo numero.

 

Il volontariato asservito

Secondo l'art. 1 della legge quadro sul volon­tariato (1) viene favorito il volontariato che opera «per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dagli Enti locali».

Dunque, secondo la legge 266/1991, il volontariato non può e non deve assumere come riferi­mento le esigenze ed i diritti delle persone, ma - se vuole ottenere i contributi previsti dal­l'art. 7 - deve adeguarsi alle scelte dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni, delle Comunità montane, delle USL e degli altri enti pubblici.

In sostanza il volontariato deve essere al ser­vizio delle istituzioni (2).

Per compensare questo asservimento lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti pubblici sottoscrivono convenzioni ed erogano quattrini.

È ovvio che le istituzioni non stipuleranno ac­cordi con le organizzazioni di volontariato che, ad esempio, operano affinché gli anziani cronici non autosufficienti non siano espulsi dagli ospedali, come avviene attualmente in violazione alle leggi vigenti.

È evidente che lo Stato, le Regioni e le altre istituzioni pubbliche non sono e non saranno mai disponibili a versare quattrini al volontariato che opera per l'affermazione delle esigenze e dei di­ritti calpestati dalle istituzioni stesse.

Inoltre, il fatto che le associazioni di volonta­riato possano svolgere anche attività gestionali, determina una loro configurazione come vere e proprie imprese, sia pur senza fini di lucro, anche se una regolamentazione giuridica al riguardo non esiste (3).

In sostanza la legge vuole abbattere il volon­tariato promozionale, che viene considerato fuo­ri legge e che sarà schiacciato dal volontariato allineato con le istituzioni e da questo pagato.

 

Aspetti positivi

La legge quadro definisce giustamente il vo­lontario come colui che opera in modo spontaneo e gratuito, salvo il rimborso delle spese vive so­stenute.

È molto positiva la norma secondo cui l'attivi­tà di tutti i volontari deve essere obbligatoria­mente coperta da assicurazione «contro gli infor­tuni e le malattie connessi allo svolgimento del­l'attività stessa, nonché per la responsabilità ci­vile verso terzi».

A questo riguardo va osservato che si tratta di oneri rilevanti per l'organizzazione di volonta­riato, oneri che non sono coperti da interventi economici dello Stato. Pertanto, l'obbligo, asso­lutamente giustificato nei confronti dei volontari, costituisce un'altra spinta perché l'organizzazio­ne ricerchi, tramite la stipula di convenzioni, di assicurarsi il corrispettivo per poter coprire il co­sto delle assicurazioni.

Se il legislatore avesse voluto veramente favo­rire l'autonomia delle organizzazioni di volonta­riato rispetto alle istituzioni, avrebbe dovuto co­prire le spese di assicurazione anche nei casi in cui non venisse stipulata alcuna convenzione.

Altri aspetti positivi sono costituiti dalle con­dizioni che devono essere soddisfatte dalle orga­nizzazioni di volontariato: senza fini di lucro, de­mocraticità della struttura, elettività e gratuità delle cariche associative, formazione del bilan­cio, possibilità di acquisto di beni mobili e im­mobili necessari per lo svolgimento dell'attività, facoltà di svolgere attività commerciali e pro­duttive marginali qualora i proventi siano desti­nati interamente per i fini istituzionali dell'orga­nizzazione di volontariato.

 

Quale futuro per il volontariato

Temiamo fortemente che la legge quadro sul volontariato, determini la fine delle attività di pro­mozione dei diritti, nei casi in cui le istituzioni non vogliano riconoscerli (4), così come si è ve­rificato con la partecipazione, quando il legislato­re, anche in questo caso con l'accordo di tutti i partiti, aveva deciso di incanalarla nelle varie forme di cogestione (organi collegiali della scuo­la, comitati di gestione degli asili nido, delle scuole materne, dei consultori familiari, ecc.).

Già oggi è rara la presenza di organizzazioni di volontariato che agiscano con denunce/pro­poste di fronte alle situazioni di violazioni di diritti fondamentali, di diritti cioè che mettano a repentaglio la vita stessa della persona o ne le­dano gravemente la dignità (5).

 

L'autorevole classificazione di Mons. Pasini

Nella relazione tenuta al V Convegno del vo­lontariato tenutasi a Lucca il 21-22-23 ottobre 1988 sul tema «Il volontariato di fronte ai fenomeni di povertà e marginalità: impegno di solidarietà e coscienza critica nell'ottica della prevenzione», Mons. Giuseppe Pasini, Direttore della Caritas italiana, dopo aver citato Heider Camara I no­stri gesti di assistenza rendono gli uomini ancora più assistiti, a meno che non siano accompagnati da atti destinati a strappare le radici della po­vertà»), distingue tre tipologie:

«1. Gruppi che fanno solo servizio ai poveri e agli emarginati o, nei casi migliori, condivisione di vita con i poveri e gli emarginati.

- Ritengo che siano la parte più consistente del volontariato.

- Sono gruppi di lunga tradizione storica, e anche gruppi sorti recentemente ma che si sono inseriti di fatto o per scelta nel filone tradizio­nale del volontariato.

- Sentono e vivono, anche intensamente, la solidarietà nelle «relazioni corte», ma non si pongono, in termini operativi, il problema dell'im­pegno politico per il cambiamento della società e delle istituzioni:

- o perché lo considerano estraneo alla compe­tenza del volontariato;

- o perché lo considerano superiore alle pos­sibilità del volontariato (quanti gruppi di volon­tariato ospedaliero toccano con mano ogni giorno la inadeguatezza delle strutture o l'incompetenza e la deresponsabilizzazione negli operatori pro­fessionali, ma ritengono di non poter fare nulla);

- oppure perché vogliono evitare il rischio del­la “politicizzazione” dei volontariato.

- In sintesi, riconoscono che la società, così come è strutturata, produce, o quantomeno favo­risce, la povertà e l'emarginazione, ma ritengono sufficiente contrapporre a queste logiche la pro­pria personale testimonianza di solidarietà.

2. Gruppi che sviluppano insieme servizio-con­divisione e impegno sociale e politico. Questa fascia di gruppi coincide in gran parte con il vo­lontariato operante negli anni della contestazione che, distaccandosi dalla posizione di protesta po­litica sterile e/o violenta, ha mantenuto di quel filone culturale una spiccata sensibilità politi­ca - quindi una volontà di cambiamento - ma l'ha saldata con la testimonianza personale e comunitaria di servizio.

- Sono confluiti in questo ambito anche grup­pi sorti più recentemente, come pure gruppi pro­veniente da ceppi di più lunga storia.

- Essi considerano l'impegno diretto di ser­vizio e/o condivisione con i poveri e gli emargina­ti il punto di partenza del loro impegno globale e la garanzia di credibilità del loro discorso po­litico.

- Considerano, comunque, l'impegno sociale e politico parte integrante del loro impegno di volontariato.

- Privilegiano il lavorare “con” gli emargi­nati anziché solo “per” gli emarginati.

- Sentono molto interesse alla vita e ai proble­mi dei territorio e considerano pregiudiziale al cambiamento la coscientizzazione e il cambia­mento della gente.

- Si coinvolgono nel dibattito culturale attor­no alla povertà, coscienti di avere un apporto specifico e insostituibile da offrire.

- Si pongono il problema di strategie e di alleanze sia tra gruppi e associazioni di volonta­riato, sia con altre forze culturali e sociali, in prospettiva del superamento della povertà e del­l'emarginazione.

- Tendono a spostare il loro servizio verso le forme nuove o più scoperte di povertà, inventan­do nuove risposte e avviando anche nuove pro­fessionalità.

3. Gruppi di tutela giuridico-politica dei più deboli.

- Nell'ambito dell'emarginazione e della po­vertà esistono, infine, gruppi di volontariato che operano in difesa delle persone e dei gruppi del­l'area marginale.

- Questo può essere qualificato come volon­tariato di tutela.

- Questi gruppi operano attraverso la denun­cia, anche di singoli casi, ma soprattutto di disfunzioni più ampie, nel campo dei servizi socio-assistenziali, e socio-sanitari; attraverso bat­taglie culturali; attraverso anche l'organizzazione politica degli emarginati.

- Procedono spesso a difesa di quelle cate­gorie di cittadini più esposte al disagio nonché più deboli (es.: minori, anziani, malati cronici e non autosufficienti, ospedalizzati, ecc.).

- Rispetto ad altri ambiti di volontariato si può dire che essi pongono l'accento sulla coscien­za critica ed esprimono la solidarietà non in un servizio diretto personalizzato, ma in una forte attenzione alla condizione delle persone in disa­gio, con un impegno preciso a denunciare la vio­lazione di diritti, a coscientizzare l'opinione pub­blica, a modificare la legislazione.

- Talvolta puntano anche a pungolare gli stes­si gruppi di volontariato, sollecitando presenze nuove o modalità nuove di presenza, nella pro­spettiva della salvaguardia dei diritti delle per­sone» (6).

 

Conclusioni

Riteniamo che i gruppi di volontariato che vo­gliono veramente intervenire per aiutare i sin­goli e, nello stesso tempo, prevenire le situazioni di bisogno, di difficoltà e di emarginazione (7), debbano analizzare attentamente le norme della legge 266/1991, in particolare quelle concernenti le convenzioni con gli enti pubblici, per evitare di perdere la propria autonomia di riflessione e proposta, in cambio di un po' di denaro.

 

 

 

(1) Legge 11 agosto 1991 n. 266.

(2) Preoccupazioni analoghe alle nostre sono espresse nell'editoriale di giugno 1991 di Partecipazione, organo del­la Comunità di Capodarco, dal significativo titolo “Truppe cammellate”. In detto articolo, commentando la legge qua­dro sul volontariato, si afferma: «Nella migliore delle ipo­tesi il servizio deve essere prestato alle condizioni poste dal potere amministrativo e soprattutto in ossequio ed ob­bedienza, pena il decadimento del contratto. Infatti la par­te forte (il potere politico) ha amplissima discrezione nel­lo stabilire l'accordo, anche in presenza di propri inadem­pimenti eclatanti (si veda, ad esempio, il ritardo, oltre ogni limite ragionevole, del pagamento delle prestazioni) o dl chiari orientamenti di parte. Gli esempi sono ormai nume­rosissimi e presenti in tutta Italia».

(3) Ricordiamo che il Cottolengo di Torino, da tutti e da sempre riconosciuto come ente privato senza fini di lucro, ha investito 52 miliardi negli alberghi di lusso di Ischia, già di proprietà Rizzoli. Ciò nonostante, per la nostra legge, il Cottolengo continua ad essere considerato un'organizzazio­ne senza fini di lucro.

 (4) Fra i diritti negati ricordiamo quelli relativi alle cure sanitarie degli anziani malati cronici non autosufficienti, al lavoro degli handicappati, alla famiglia dei moltissimi bam­bini in situazione di abbandono o con genitori in gravi dif­ficoltà.

(5) Nel n. 92 di Prospettive assistenziali avevamo critica­to lo slogan «Cerchiamo persone disposte a regalare un sor­riso» usato dall'AVO, Associazione Volontari Ospedalieri, per la ricerca di volontari. In risposta, il Prof. Erminio Lon­ghino, Presidente nazionale de!la FEDERAVO, dopo aver se­gnalato che l'AVO è presente in Italia con 133 associazioni dichiara: «Inutile ci sembra denunciare il sopruso (verso l'altro) se il sopruso non desta compassione». Con questa espressione non crediamo che sia spiegato perché finora né l'AVO né la FEDERAVO abbiano mai segnalato all'opinio­ne pubblica persone ed enti ben individuati, responsabili di gravi violazioni dei diritti fondamentali del malato ospeda­lizzato.

(6) Cfr. Volontariato Oggi, n. 8, settembre 1988.

(7) L'assemblea nazionale del MO.V.I. del 25-28 aprile 1981 ha approvato una risoluzione in cui viene precisato che scopo dell'organizzazione è quello di «denunciare le situazioni di ingiustizia e di impegnarsi a lottare con metodi efficaci, ma non violenti, per rimuovere le cause che generano i circuiti di emarginazione e di ogni discriminazione, di promuovere la difesa dei diritti umani e di cittadinanza, di conquistare insieme agli emarginati quello spazio e quel potere che incidano positivamente sulla via della comunità». Si veda anche l'articolo di Mons. Giuseppe Pasini, La carità è anche impegno politico, in “Prospettive assistenziali”, n. 83, luglio-settembre 1988.

 

 

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