Libri
RAFFAELLO
MAGGIAN - GIUSEPPE MENICHETTI, La
gestione dei servizi sociali, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1988, pp.
200, L. 24.000.
II decreto del Ministro della pubblica istruzione 30
aprile 1985, Ordinamento delle scuole
universitarie dirette a fini speciali per assistenti sociali, include tra
le discipline obbligatorie da impartire in tali scuole, la programmazione, amministrazione
e organizzazione dei servizi sociali e la colloca tra le «discipline professionali
caratterizzanti la scuola», insieme a principi e fondamenti del servizio
sociale, metodi e tecniche del servizio sociale, ricerca applicata al servizio
sociale e politica dei servizi sociali.
Si tratta di una materia che sintetizza tutta una
serie di acquisizioni teoriche e operative sulle operazioni necessarie per
creare, far funzionare e modificare i servizi sociali secondo criteri di
razionalità, efficacia ed efficienza, in attuazione di valori, principi e
obiettivi stabiliti dai soggetti responsabili della politica dei servizi
sociali, nel contesto della più vasta politica sociale dello Stato.
Il testo si articola in tre parti. Nella prima si
procede ad una elencazione dei servizi sociali e degli enti gestori, ponendo in
risalto i valori, i principi e gli obiettivi ai quali gli stessi devono
attenersi, secondo le leggi vigenti. La seconda parte descrive criteri e
metodi di analisi dei programmi e fornisce elementi di carattere metodologico
per la costruzione di un sistema informativo socio-assistenziale. Inoltre,
analizza l'assetto territoriale e organizzativo dei servizi sanitari e
socio-assistenziali nell'attuale realtà italiana. La terza parte si sofferma su
temi più propriamente gestionali quali gli aspetti finanziari, l'utilizzo del
personale, la documentazione, la direzione e il coordinamento.
PATRIZIO
CAMPANILE - MAURO POLACCO - LUCIO ZANE, Disagio
psichico in adolescenza - indagine epidemiologica, Marsilio Editori,
Venezia, 1988, pp. 135, L. 18.000.
Il Servizio di neuropsichiatria infantile della ULSS
36 - Regione Veneto ha promosso nel 1985 una ricerca sul disagio psichico
giovanile.
Obiettivi
immediati e specifici di tale ricerca sono stati:
-
reperimento di informazioni, nel territorio
dell'ULSS 36 Terraferma Veneziana, negli anni 1982 -
1983 - 1984, su caratteristiche, dimensioni e distribuzione territoriale della
popolazione undici/ventenne che esprime un disagio psicologico o si trova in
una necessità di natura psichiatrica;
- approfondimento delle strategie d'intervento
impiegate dai vari servizi analizzati nell'affrontare e cercare di risolvere
siffatti problemi, nonché un'analisi delle risorse attualmente disponibili.
Quattro sono dunque gli elementi che sono stati messi
a confronto fra di loro: territorio, servizi dell'ULSS 36, diagnosi e relativi
interventi proposti dai servizi.
Dai risultati di tale ricerca si possono evidenziare
due significative tendenze nell'attuale organizzazione sanitaria: la mancata
integrazione dei servizi che operano, in modo prevalentemente separato e
scisso rispetto agli altri e l'oggettiva sottovalutazione del fenomeno «sofferenza
psichica giovanile» che si traduce talvolta in negazione dei problemi. Infatti
pur rivolgendo una grande attenzione alla adolescenza e alle sue difficoltà,
con i rischi che corrono o che possono correre i giovani d'oggi, non
corrisponde una analoga attenzione ai bisogni dei giovani nel campo della
salute mentale.
Il volume, dedicato a Giacomo Brugnone, può
contribuire a quanti, amministratori e operatori, essendo a contatto con i
giovani, possono cogliere segni di difficoltà e di sofferenza.
OSCAR
CORLI (a cura di), Una medicina per chi muore - Il cammino delle
cure palliative in Italia, Città Nuova Editrice, Roma, 1988, pp. 220, L.
15.000.
A cominciare dai Paesi anglosassoni, si è andato
sviluppando un movimento destinato a sconvolgere il modo in cui la medicina di
oggi è solita trattare i malati che non guariscono. È nata così la medicina
palliativa, ovvero la medicina per il malato che va verso la morte. La capacità
di «prendersi cura», anche quando non si può guarire, costituisce l'altra metà
della medicina. Presuppone un'attenzione diversa al malato, nella pluralità
dei suoi bisogni: quello di tenere sotto controllo il dolore, in primo luogo;
ma anche i bisogni psicologici e spirituali, sociali e relazionali. Si
esercita attraverso la comunicazione, il contatto, il rapporto umano,
l'accompagnamento. Prevede, oltre al medico, un'équipe composta di infermieri
domiciliari, psicologi, assistenti sociali, volontari, cappellani. Si rivolge
al malato, ma anche alla sua famiglia, e prolunga l'assistenza anche dopo il
decesso, nel periodo del lutto.
Il volume presenta le prime realizzazioni di medicina
palliativa in Italia. Dopo una prima parte dedicata ad illustrare che cosa
comporta un programma di assistenza alle persone gravemente malate e alle loro
famiglie, vengono presentate le diverse figure professionali che fanno parte
dell'équipe di cure palliative e i Centri nei quali si esercita la medicina
palliativa oggi in Italia. Dalla pluralità degli interventi - alcuni più
«tecnici», altri più personali, ma tutti riferiti alla pratica - si delinea la
possibilità concreta di rendere più umano il morire.
L.
CICCONE C.M., Anziani e handicappati -
Due sfide alla società civile e alla comunità cristiana, Elle DI CI, Leumann (Torino), 1987, pp.
152, L. 10.000.
Concordiamo con l'Autore che occorre «avere l'inventiva e il coraggio per
avviare decisamente un cammino verso una società nuova, degna dell'uomo,
rispettosa della dignità di ogni essere umano, quali che siano le sue condizioni».
Ma, a nostro avviso, occorre in primo luogo,
individuare i responsabili principali della emarginazione dei più deboli.
L'Autore crede di trovarli nei «comportamenti riprovevoli
diffusi nelle famiglie» che determinerebbero da parte dei figli l'abbandono
affettivo dei genitori e il loro ricovero coatto in case di riposo.
Per quanto riguarda gli «anziani che cominciano a non essere più pienamente autosufficienti»,
il comportamento più diffuso nelle famiglie viene così delineato: «Di fronte al nascere del problema
all'interno della famiglia, questa dimostra in genere poca conoscenza delle
alternative al ricovero in istituto per cronici, soluzione che viene cercata
affannosamente incalzati da una situazione che pare precipitare nel giro di
pochi giorni (dimissione ospedaliera, assenza per lavoro o vacanze, ecc.)».
L'Autore non dice una sola parola sulle gravissime
carenze dei servizi sanitari domiciliari (quasi ovunque del tutto assenti, se
si escludono (e prestazioni dei medici di base) e richiama solamente gli
interventi di assistenza sociale concernenti il governo della casa, l'aiuto
alle persone e la stimolazione alla vita socio-relazionale.
Nessuna informazione, inoltre, fornisce sul diritto
degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie comprese,
occorrendo, quelle ospedaliere.
Dichiara di fornire (cfr. pag. 50) i dati statistici
relativi agli anziani ricoverati in istituto, mentre in effetti riporta quelli
relativi a tutti gli assistiti (minori, adulti, anziani).
Sul problema degli handicappati l'Autore afferma che
«in base a ricerche su singole forme di
handicap gravi, cioè per i quali non appare proponibile una qualsiasi forma di
inserimento scolastico (...), non si è lontani dal vero quando si afferma che
(...) colpiscono circa 750.000 soggetti del nostro paese». Si tratta di
cifre inventate di sana pianta, come del tutto immotivato (e gravemente
emarginante) è il pregiudizio sulla non proponibilità dell'inserimento scolastico
per i soggetti gravi e gravissimi.
Per quanto riguarda il ricovero in istituto, è
preoccupante che l'Autore continui a ritenerlo un intervento positivo. A questo
riguardo, continuiamo a ritenere che i ricoveri devono essere evitati in tutta
la misura del possibile fornendo agli handicappati e alle loro famiglie i necessari
sostegni economici e sociali.
Nei casi, in verità molto limitati, in cui sia necessaria
una struttura residenziale extra familiare, riteniamo che le comunità alloggio
di 6-8 posti abbiano ampiamente dimostrato la loro validità.
COMUNITA
DI SANT'EGIDIO, L'età più lunga -
Anziani: dall'abbandono alla solidarietà, Edizioni Paoline, Cinisello
Balsamo, 1991, pagine 124, L.
10.000.
Il libro che raccoglie gli atti dei convegno di studi
«Anziani fra violenza e abbandono - Perché non sia più così», svoltosi a Roma
nel gennaio 1990, ha alle spalle il
lavoro e la sensibilità maturata dalia Comunità di Sant'Egidio in quasi
vent'anni di lavoro con migliaia di anziani in difficoltà a Roma, Napoli,
Genova e in tante altre città.
Il Cardinale Carlo Maria Martini, dopo aver affermato
che «sedare gli anziani perché stiano
buoni nel loro letto, tranquilli, da soli, colpirli, insultarli o ignorarli non
prestando loro ascolto, costringerli, far mancare loro ciò che serve, non dare
loro a sufficienza da bere o da mangiare; tutte queste cose drammatiche che purtroppo
accadono», in merito alle «responsabilità
che coinvolgono in modo particolare i cristiani», e all'esigenza di «modificare i comportamenti che possono
determinare, incoraggiare, nascondere la violenza e l'abbandono», ha
precisato quanto segue: «Penso a molti
istituti direttamente gestiti dalla Chiesa o da altri a essa collegati che
devono mostrarsi all'altezza di un imperativo morale che impone il rispetto
delle persone e delle norme vigenti nel Paese. Assicurare a qualcuno un futuro
in istituto era qualche tempo fa un atto di carità: non c'era sicurezza di un
alloggio e del vitto. Oggi per molti non è più così. L'istituto può ridurre
anziché allargare le speranze di vita. Si deve fare di tutto per curare a
casa».
Molto importanti anche le altre relazioni (Storie di ordinario abbandono di Andrea
Bartoli; Storie di ordinaria solidarietà;
Risorse sociali e salute dell'anziano
di Augusto Panà, M. Cristina Marozzi, Leonardo Palombi e Sandro Mancinelli; Diritti degli anziani, diritti di tutti,
di Massimo Dogliotti; Le risposte possibili a un abbandono non
necessario di Silvia Marangoni).
Un capitolo è dedicato a un giro di orizzonte europeo
con relazioni concernenti la situazione degli anziani in Gran Bretagna,
Francia, Germania e Italia.
ASSOCIAZIONE
PER I DIRITTI DEGLI ANZIANI - UIL PENSIONATI, La violenza contro gli anziani - Dove, chi la fa, perché, che cosa fare, Edizioni Circolo
d'Europa, 1991, pp. IX+94, senza indicazione di prezzo.
Nel convegno, svoltosi a Milano il 19 gennaio 1991,
di cui il volume raccoglie le relazioni, è stato denunciata la violenza che,
secondo Graziana Delpierre della UIL Pensionati, «corrode la società e rischia di trascinarla verso l'imbarbarimento».
Particolarmente interessanti le affermazioni del
Colonnello Rossetti, Comandante del Nucleo Antisofisticazione, che, in merito
alle case di riposo, ha dichiarato: «Molte
strutture ispezionate risultavano abusive, attivate in edifici fatiscenti,
prive dei più elementari servizi e oltremodo affollate. Veniva usato olio di
colza, altamente nocivo, in luogo di olio di oliva nella preparazione dei
cibi. Ancora, anziani alloggiati unitamente a malati di mente». Inoltre: «Una camera mortuaria adibita a deposito di
derrate alimentari; medicinali scaduti e deteriorati; strutture sprovviste di
qualsiasi autorizzazione, attivate in edifici vetusti e decrepiti, tanto da
costituire, in alcuni casi, grave pericolo per la integrità fisica degli
occupanti; carente assistenza e quasi abbandono dei ricoverati (...). In una
casa di riposo dieci anziani legati al propri letti con bende da medicazione e
siamo ad Alessandria, quindi non nel profondo sud, ma in una zona che ha un
indice di sviluppo molto elevato rispetto ad una zona dell'agrigentino o della
mia provincia di Lecce o della Calabria. Bisogna essere onesti anche nel dire
certe cose. In un altro ospizio, tre anziani chiusi a chiave in pessime
condizioni igieniche, con le pareti e gli infissi dei bagni completamente
sporchi di feci; poteva essere un rifugio per bestie e non per nostri simili.
Ancora 19 anziani ospitati in sole 5 anguste camere peraltro in pessime
condizioni igienico-strutturali, e sempre tanto tanto abusivismo, compendiato
in ben 62 proposte di chiusura».
Le altre relazioni sono state tenute da Vito Noto,
Andrea Bartoli, Ida Marie Hydle, Giovanni Nervo, Carlo Hanau, Carlo Trevisan,
Enrico Cogno.
Le conclusioni sono state svolte da Silvano Miniati,
Segretario generale della UIL Pensionati.
Preoccupanti le dichiarazioni di Antonio Pennino,
Presidente del Gruppo parlamentare dei PRI, che, in merito alle esigenze degli
anziani cronici non autosufficienti, non ha fatto riferimento al diritto alle cure sanitarie, ma alle prestazioni
di assistenza sociale.
FRANCA
OLIVETTI MANDUKIAN, Stato dei servizi -
Un'analisi psicosociologica dei servizi socio-sanitari, Il Mulino, Bologna, 1988, pagine 195, L.
20.000.
Nell'analizzare i servizi l'Autrice fa confusione
fra settore sociale e comparto socio-assistenziale e cioè fra le prestazioni
dovute (attualmente o in prospettiva) a tutti i cittadini e gli interventi da
erogare solo agli inabili al lavoro sprovvisti di mezzi necessari per vivere
(art. 38 della Costituzione).
Vi
sono affermazioni stupefacenti. Ad esempio:
a) sarebbe l'art. 38 della Costituzione che garantirebbe
il «rispetto e promozione di un pluralismo
del sistema assistenziale, sanitario e sociale», mentre detto articolo
riguarda solo l'assistenza sociale e la previdenza;
b) secondo l'Autore «le prestazioni assistenziali fornite nell'area privata, anche se
sostenute da contributi finanziari pubblici, possono essere sottoposte
soltanto a controlli di tipo molto generale: se ne può cioè apprezzare l'entità
In termini quantitativi o si possono rilevare comportamenti giuridicamente
passibili di imputazione; risultano inapplicabili verifiche dl tipo più qualitativo,
riguardanti ad esempio la professionalità degli operatori o la loro stessa
formazione di base». In realtà, mentre nessuna norma vieta al Parlamento e
alle Regioni di definire standards minimi riguardanti la qualità delle
prestazioni e la formazione di base richiesta per il personale, le Unità
locali, i Comuni, le Province e le Comunità montane hanno la più ampia
discrezionalità per quanto concerne l'inserimento nelle convenzioni con gli
enti privati di tutte le indicazioni ritenute necessarie per garantire agli
utenti prestazioni valide sotto il profilo quantitativo e qualitativo.
Se poi il Parlamento e le Regioni non vogliono
definire gli standards e se gli enti pubblici affidano al settore privato
compiti di assistenza senza prevedere alcuna norma, allora bisognerebbe dire a
chiare lettere che si tratta non di impossibilità ma di omissioni volute;
c) non è assolutamente vero che con la legge 180/1978
«vengano chiusi i manicomi». È noto
che ancora oggi in dette strutture vi sono migliaia di soggetti.
In sostanza, il libro non ci sembra essere idoneo
per una conoscenza adeguata dei servizi socio-sanitari.
J.H.
HENDERSON - T. HOLDIN - C.O. MOUNTJOY (a cura di), I disturbi mentali degli anziani, Aldo Primerana Editrice
Tipografica, Roma, pp. 175, L. 25.000.
Il libro è diretto agli operatori del settore, ma non
tralascia di affrontare anche le implicazioni politiche che investono gli
amministratori pubblici. Non mancano, infatti, utili indicazioni per una
politica sanitaria più attenta ai bisogni delle persone anziane, che sono
colpite da disturbi mentali.
Innanzitutto viene ridimensionato 1’allarmismo
creatosi attorno al fenomeno dell'aumento della popolazione anziana, e, dagli
scritti dei qualificati studiosi che hanno curato la stesura del libro per
conto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, emerge che è falso lo
stereotipo per cui «il deteriorarsi
dovuto all'invecchiamento sia universale ed inevitabile» ed è «falso che, a causa dell'età, tutti gli
anziani sono destinati ad ammalarsi, impoverirsi, allontanarsi dalla società».
La questione delle risorse da investire per la
assistenza sanitaria va affrontata considerando anche questi elementi, per
garantire effettivamente agli anziani malati - che sono pochi - tutte le cure
sanitarie di cui necessitano, anche se «ciò
richiede una serie di scelte politiche che non sempre sono popolari, e,
inoltre, può richiedere un aumento, o almeno una ridistribuzione delle risorse
che la società mette a disposizione dei suoi anziani malati».
Circa il luogo delle prestazioni sanitarie, è significativo
che «la maggioranza dei dementi non è
istituzionalizzata, ed è stato trovato che tra il 59 e l'87% dei malati vive in
casa». Ne consegue che, a fronte anche degli indubbi vantaggi che ricava
l'ammalato se resta nel proprio ambiente «negli
stadi avanzati della demenza, sarà meglio rivolgere l'attenzione al sostegno
della persona che si occupa del demente», con l'attivazione - fin che è
possibile - di un idoneo servizio sanitario domiciliare.
Importante, a nastro avviso, è l'approccio medico
con cui gli studiosi hanno affrontato, oltre alle note malattie di natura
psichiatrica, anche la demenza senile.
È indubbio che la demenza senile è una patologia e
che l'anziano che ne è colpito non può che essere un «paziente da curare». Il ricovero - se necessario - deve essere
realizzato in strutture che garantiscano all'anziano malato tutte le cure e le
prestazioni sanitarie di cui abbisogna: ospedali o analoghe strutture
sanitarie.
Il libro è utile in quanto, oltre ad affrontare gli
aspetti della malattia mentale e dell'invecchiamento sul piano scientifico,
offre valide indicazioni pratiche e tecniche.
AA. VV., L'ascolto che guarisce, Cittadella Editrice,
Assisi, 1989, pp. 198, L. 17.000.
I volume raccoglie i contributi di un incontro tra
operatori della salute - medici, infermieri, assistenti sociali, psicanalisti,
psicoterapeuti, operatori pastorali -, svoltosi nella Cittadella di Assisi sul
tema dell'ascolto.
Due sono gli atteggiamenti principali di chi, a
diverso titolo, è impegnato nell'offrire aiuto terapeutico: la convinzione di
saper ascoltare, oppure il dubbio sulle proprie capacità di ascolto. La
complessità della condizione umana complica però questo schema lineare, e gli
operatori, di fronte alla richiesta di aiuto, finiscono col sentirsi
sufficientemente malati nell'ascolto da voler guarire, e sufficientemente sani
da voler guarire gli altri.
Una volta presi all'amo dall'invocazione, gli
operatori più sensibili avvertono che il malessere denunciata dal paziente ha
dimensioni più profonde sovente sconosciute allo stesso richiedente. Infatti,
quando si è aggrediti da una malattia non è solo la parte colpita a soffrire.
L'intera persona va in crisi. La richiesta di aiuto anche inconsapevolmente si
carica oltre che dl esigenze personali, di esigenze interpersonali, transpersonali,
religiose, cosmiche.
In questa lettura di richiesta di aiuto è scontato
che i professionisti della salute, per quanto perfezionino la loro capacità dì
ascolto, non colmeranno mai la misura del desiderio di essere ascoltato di chi
li interpella. Non ci si sente mai ascoltati abbastanza perché la nostra
domanda veicola esigenze che vanno ai di là di noi stessi. L'atteggiamento
migliore sia da parte del malato, sia da parte dell'operatore, sembra quello
di impegnarsi a un rapporto interpersonale, aperto a una benefica reciprocità.
Costantemente tallonate dalle esigenze di un ascolto
pieno, le professioni della salute trovano in esso il motivo irriducibile
della loro grandezza e delle loro miserie.
(dalla presentazione)
VOLKER
HUNECKE, I trovatelli di Milano - Bambini
esposti e famiglie espositrici dal
XVII al XIX secolo, Il Mulino, Bologna, 1989, pagine 363, L. 40.000.
Lo studio storico di Hunecke esamina un campione
rappresentativo di bambini accolti in istituzioni per l'infanzia abbandonata:
i 350.000 bambini accolti nel brefotrofio di Milano tra il 1659 e il 1900.
I
dati sono stati raccolti, per la maggior parte, dall'archivio dell'anagrafe
milanese.
L'Autore stesso individua, nell'opera ottocentesca «Ragionamenti
storico-economico-statistici e morali intorno all'ospizio dei trovatelli di
Milano», edita a Milano nel 1844 e frutta del lavoro di A. Buffini, direttore
del brefotrofio fino al 1845, un prezioso e valido antecedente. Egli intende
però approfondire un aspetto trascurato dalle numerose altre opere storiche
sull'argomento dell'infanzia abbandonata e delle istituzioni ad essa indirizzate:
l'identità dei genitori «espositori».
La chiarificazione di questo aspetto, impossibile in
altri casi a causa della carenza di dati presenti negli archivi dei brefotrofi,
è stata resa possibile dalla disponibilità di altri archivi della città.
Grazie a questi documenti, è stato possibile
all'Autore ricostruire la configurazione di intere famiglie.
Per avere un'idea dell'entità del fenomeno, basta
ricordare che nel quarto decennio del 1800 venivano esposti quasi un terzo di
tutti i neonati della città di Milano. Fra i trovatelli accolti all'istituzione
nel 1843, i milanesi erano 1.046, di cui il 74% di nascita legittima, e quindi
abbandonati, anche solo temporaneamente (i bambini sopravvissuti spesso
venivano riconosciuti dai genitori quando ormai erano già cresciuti) a causa,
molto spesso, della miseria.
Un'altra percentuale di «espositori» si trova fra le
madri lavoratrici povere; «fra gli
"espositori" mancavano completamente le classi benestanti e,
all'altra estremità della scala sociale, le famiglie del sottoproletariato» (p.
200).
Altri argomenti approfonditi nello studio sono: i
modi di esposizione, i segni di riconoscimento, il tasso di mortalità, le
restituzioni, le diverse strategie dell'abbandono.
VITTORINO ANDREOLI, Dentro un barbone, Edizioni Sonda,
Torino, 1989, pp. 72, L. 14.000.
L'autore prende spunto da un fatto di cronaca per
raccontare la vita di un barbone morto per overdose.
La condizione disumana in cui si trova a vivere
«Flash», il barbone protagonista della storia è presentata in tutta la sua
crudezza, ma l'autore non sa bene quale posizione prendere. Passa dal ritenere
il barbone una persona in fondo fortunata, perché libera dalla schiavitù delle
regole e del potere; a colpevolizzarlo per non aver colto l'opportunità di un
aiuto offerta dagli enti pubblici e privati di assistenza; al condannare genericamente
l'indifferenza generale di tutti (e quindi di nessuno) per averlo seppellito e
dimenticata già quando era in vita.
Un libro che poteva essere utile, ma non lo è, per
aprire un dibattito non tanto sul barbone adulta, ma sulle molte occasioni di
diventarlo che hanno tanti bambini e giovani che sono lasciati a se stessi,
per mancanza di interventi precoci.
La stessa storia di Flash offriva uno spunto al
riguardo: orfano, finito in istituto, abbandonato a se stesso appena un po'
cresciuto...
Davvero
è stata una sua libera scelta l'essere un barbone?
Se Flash fosse stato adottato o affidato ad una
famiglia ancora bambino, oggi molto probabilmente sarebbe ancora in vita e di
certo non avrebbe «scelto» di fare il barbone.
Non serve molto - a parte il caso singolo -
soffermarsi sulle tristi vicissitudini di chi oggi è un adulto problematico e/o
disadattato, per cercare con una buona dose di ipocrisia di renderlo almeno
accettabile...
Meglio sarebbe se ci si interrogasse più seriamente
sulle cause che producono fenomeni quale quello raccontato dal libro per sollecitare
interventi pubblici e privati in tempo utile ad evitare il costruirsi di
destini così tragici.
www.fondazionepromozionesociale.it