Prospettive assistenziali, n. 97, gennaio-marzo 1992

 

 

APPROVATO DAL PARLAMENTO IL PROGETTO OBIETTIVO "TUTELA DELLA SALUTE DEGLI ANZIANI"

 

 

In data 30 gennaio 1992 la Camera dei deputati e il Senato hanno approvato una risoluzione in base alla quale viene varato il progetto obiettivo “Tutela della salute degli anziani”.

Riportiamo integralmente il testo della risolu­zione e tutti i capitoli con contenuti operativi e cioè quelli concernenti:

- unità valutativa geriatrica;

- assistenza domiciliare integrata;

- spedalizzazione domiciliare;

- residenze sanitarie assistenziali;

- unità operativa geriatrica;

- interventi prioritari per gli anziani non autosuf­ficienti;

- finanziamenti.

Segnaliamo che molte parti del progetto obiet­tivo "Tutela della salute degli anziani" prevedono interventi analoghi a quelli della proposta di leg­ge regionale di iniziativa popolare “Riordino degli interventi sanitari a favore degli anziani cronici non autosufficienti e realizzazione delle residen­ze sanitarie assistenziali (RSA)”; in particolare per quanto concerne la competenza sanitaria in materia di RSA, l'ospedalizzazione a domicilio e l'unità valutativa geriatrica. È questa un'altra con­ferma della validità dell'iniziativa popolare.

 

 

Testo della risoluzione dei Parlamento

 

«La 12a Commissione del Senato (1)

«esaminato il "Progetto obiettivo per la tutela della salute degli anziani", presentato dal Gover­no ai sensi dell'articolo 53 della legge 23 dicem­bre 1978, n. 833, come da ultimo modificato dall'articolo 1 della legge 23 ottobre 1985, n. 595, osserva preliminarmente:

a) che occorre chiarire l'ambito normativo nei quale si colloca il progetto che comunque non può sostituirsi alla competenza legislativa, di programmazione e di gestione, delle regioni do­vendosi tener conto, in particolare, della possi­bilità degli interventi socio-sanitari in sinergia con gli enti locali: in specie per quanto riguarda gli standard quali-quantitativi, la formazione del personale e le fonti di finanziamento;

b) che il progetto prevede una serie di inter­venti da attuare nel corso di più anni con gli obiettivi di seguito specificati:

1) organizzare la prevenzione tesa ad elimina­re i fattori a rischio;

2) curare le malattie che possono portare alla perdita irreversibile dell'autosufficienza dell'an­ziano;

3) riabilitare tempestivamente per evitare il deterioramento e facilitare il recupero funziona­le;

4) ottimizzare l'intervento globale (prevenzio­ne, cura, riabilitazione) con l'impiego di stru­menti valutativi complessi;

5) operare per una effettiva integrazione dei servizi sociali, sanitari ed assistenziali come uni­ca risposta efficace ed efficiente ai bisogni dell'anziano;

6) configurare il distretto come sede in cui realizzare l'integrazione dei servizi;

7) favorire, ove possibile, l'integrazione dell'anziano nel suo contesto familiare, fornendo servizi e sostegni;

8) tenere conto del contributo che deriva dalla risorsa "volontariato" come disciplinato dalla legge 11 agosto 1991, n. 266, e nello spirito dell'articolo 45 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.

«La 12a Commissione,

«tenendo conto delle risorse disponibili, delle indicazioni della legge finanziaria per il 1992 e della diversità degli ambiti territoriali e delle esi­genze espresse, indica la sperimentazione co­me metodo da seguire per la realizzazione degli interventi per il quinquennio 1992-1996.

«Individua come prioritari i seguenti obiettivi:

a) la riqualificazione dei reparti di geriatria an­che con la previsione dei day-hospital e la rea­lizzazione dei posti letto nel quinquennio 1992­-1996 anche secondo gli impegni di spesa sulla quota dei finanziamenti per investimenti stabiliti dall'articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 57, in una applicazione coerente con i criteri per la rideterminazione degli stessi posti letto (obietti­vo della legge finanziaria per il 1992);

b) l'attivazione di alcuni servizi di assistenza domiciliare integrata in modo da realizzare al termine del quinquennio un modello sul quale parametrare standard di organizzazione, di assi­stenza, di formazione da estendere poi su tutto il territorio;

c) l'avviamento, nell'ambito dell'assistenza do­miciliare integrata, di limitate ma ben definite sperimentazioni di spedalizzazione domiciliare per verificare quali sono le situazioni spedaliz­zabili a domicilio;

d) l'omogeneizzazione graduale, partendo dalle attuali normative regionali, delle Istituzioni residenziali per gli anziani che siano non in fase di acuzie ma tuttavia non autosufficienti. Nel quinquennio devono realizzarsi congiuntamente i posti definiti dal rapporto con i finanziamenti all'uopo destinati peraltro con la chiara indica­zione che non trattasi di strutture dipendenti dall'ospedale. Per la popolazione accolta nelle residenze sanitarie assistenziali devono essere definiti con particolare urgenza da subito le ga­ranzie di tutela dal punto di vista civilistico;

e) l'organizzazione dell'U.V.G. (Unità valutativa geriatrica) come sede per l'analisi dei bisogni e per la definizione delle più corrette risposte da individuarsi nella rete integrata dei servizi a fa­vore degli anziani in collegamento con i rima­nenti servizi socio-sanitari del territorio. L'U.V.G. si colloca al crocevia tra la residenza dell'anzia­no, l'ospedale e le residenze sanitarie assisten­ziali. II progetto tendenzialmente deve prevedere una U.V.G. per ogni distretto. All'inizio sarà indi­spensabile poter contare almeno su una équipe per ogni USL nel cui ambito operi un reparto di geriatria per creare esperienze formative per il personale. L'organico minimale deve prevedere un medico specializzato o specializzando in ge­riatria, un infermiere professionale, un assisten­te sociale, un tecnico della riabilitazione. Il meto­do di lavoro deve essere quello della collegialità e i compiti saranno quelli della selezione dei bi­sogni per definire la risposta più idonea, del fol­low-up, della programmazione e del controllo della qualità dell'assistenza nella rete integrata dei servizi;

f) la formazione adeguata di tutto il personale che deve essere costantemente aggiornato sul­la evoluzione dei bisogni da soddisfare. Devono essere valorizzate, in particolare nella fase ini­ziale, le équipes sanitarie, specie quelle che in questi anni hanno adottato modelli di assistenza per gli anziani non autosufficienti ed hanno svi­luppato una adeguata cultura assistenziale e or­ganizzativa nelle attuali strutture per gli anziani in particolare quelle delle IPAB e dei comuni;

g) la individuazione delle risorse per l'assun­zione di personale medico, infermieristico e del­la riabilitazione dedicato alle attività per anziani, laddove le USL ne siano sprovviste anche in re­lazione a quanto previsto dal comma 1 dell'arti­colo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 151, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 202: "Provvedimenti urgenti per la finanza pub­blica";

h) la previsione di una sospensione delle con­venzioni con istituzioni private di assistenza per anziani non autosufficienti, che non abbiano le caratteristiche strutturali e gestionali e non sia­no in possesso dei requisiti indicati dall'articolo 11, comma 1, del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154.

«La 12a Commissione impegna il Governo

a) ad attuare, con i finanziamenti previsti, gli obiettivi di cui ai punti sopra indicati, a conclu­dere la procedura in sede ministeriale ed a con­trollarne l'applicazione per consentire la costru­zione delle residenze sanitarie assistenziali in sede regionale, come previsto dall'articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, semplificando e accelerando le procedure per la valutazione tecnica e finanziaria dei progetti, ristrutturando anche quelle esistenti;

b) a riferire annualmente al Parlamento sullo stato di attuazione delle strategie indicate, sui fi­nanziamenti annualmente erogati, sui risultati conseguiti in ciascuna regione e provincia auto­noma, anche al fine di adeguare il progetto obiettivo a mutate esigenze e bisogni».

 

 

PARTI ESTRATTE DAL PROGETTO OBIETTIVO

 

Unità di valutazione geriatrica (UVG)

L'UVG è un mezzo per realizzare l'integrazio­ne tra i servizi sociali e quelli sanitari, come gruppo multidisciplinare facente capo alla Unità operativa di geriatria con la partecipazione delle componenti integrate nell'AG (assistenza geria­trica), dove nessuno ha tutte le risposte per tutte le domande, dove tutti in qualche modo dipen­dono dalla competenza altrui e dove ciò che si ottiene dall'insieme è superiore alla somma del­le parti.

In fase sperimentale si potranno costituire UVG anche in alcune Unità sanitarie locali sprovviste di presidi ospedalieri specifici.

Il nucleo fondamentale dell'UVG è costituito, in armonia con i suggerimenti dell'OMS e delle più recenti esperienze internazionali in questo set­tore, dal geriatra, dall'infermiere professionale e dall'assistente sociale.

A questo nucleo di base si aggiungono, stabil­mente o in regime di consulenza, il neurologo, l'urologo, l'ortopedico, l'oculista e lo psicogeria­tra; inoltre, in rapporto alle necessità, il terapista occupazionale, il fisioterapista, l'audiologo, il lo­gopedista, il podologo, il dietista.

L'Unità valutativa geriatrica è costituita, quindi, da una équipe multidisciplinare che provvede alla gestione del paziente anziano nei servizi sa­nitari geriatrici intra ed extraospedalieri, ispiran­dosi ai principi della valutazione funzionale mul­tidimensionale. Sviluppatesi dalla fine degli anni settanta nell'America del nord in strutture diver­se e con varie finalità, in risposta a differenti esi­genze locali, le UVG hanno permesso di dimo­strare che la metodologia di intervento adottata determina i seguenti rilevanti benefici:

1. miglioramento dello stato funzionale, dimis­sione anticipata, migliore collocazione alla di­missione (Rubenstein, JAGS, 1981);

2. più bassa mortalità a un anno, minore istitu­zionalizzazione, costi inferiori specie per i costi corretti per la sopravvivenza (Rubenstein, NEJM 1984);

3. aumento della sopravvivenza a due anni, specie degli anziani "deboli", cioè più vecchi, soli, dipendenti, cardiopatici con prevalenti pro­blemi geriatrici e riabilitativi, non cardiopatici con prevalenti problemi internistici (Rubenstein, J. Clin. Epidemiol. 1988);

4. considerando cumulativamente con la me­ta-analisi i trials delle diverse UVG, è emersa una significativa riduzione della mortalità per tutti i programmi; la riduzione della mortalità è, però, più marcata nei programmi rivolti agli an­ziani ricoverati; le esperienze che riportano be­nefici più modesti, sono quelle in cui l'intervento dell'UVG è sporadico, di tipo consultivo, senza la necessaria continuità di cure (Rubenstein, Aging 1989);

5. più recentemente i benefici dell'intervento dell'UVG sono apparsi maggiori nei pazienti ospedalizzati portatori di malattie e menomazio­ni funzionali di grado moderato (Applegate, NEJM 1990).

In conclusione, per ottenere i massimi vantag­gi è auspicabile che l'UVG possegga i seguenti requisiti:

- il "gruppo" deve essere composto da per­sonale medico, infermieristico e assistenziale, che, a tempo pieno, parziale o in regime di con­sulenza, sia in grado di affrontare tutti i problemi terapeutici, riabilitativi e socioassistenziali del paziente anziano;

- il "gruppo" deve operare in strutture dotate di autonomia funzionale, per poter garantire l'in­tensità dell'intervento e la continuità delle cure indispensabili per il completamento del pro­gramma, eventualmente in collaborazione con altri servizi;

- il "gruppo" deve essere in grado di affianca­re al tradizionale ragionamento clinico gli stru­menti scientifici della valutazione funzionale multidimensionale (VMD); tale requisito è irri­nunciabile poiché la caratteristica che più di ogni altra distingue la UVG è la peculiarità della sua metodologia.

Le principali attività di coordinamento dell'UVG (in riferimento anche al decreto sugli standard ospedalieri del 13 settembre 1988) so­no:

a) selezione degli anziani che hanno necessi­tà di assistenza continuativa in regime di assi­stenza domiciliare integrata (ADI) o di Day-ho­spital riabilitativo o di strutture residenziali. La selezione va eseguita secondo criteri precisi di VDM, cioè mediante una scheda di valutazione previamente validata e somministrata in modo uniforme a tutti i soggetti eligibili. La VDM non solo permette di stabilire se l'anziano ha effetti­vamente necessità di assistenza continuativa, ma anche consente di individuare l'intervento più opportuno nel singolo caso, o al momento della dimissione dall'ospedale o su richiesta per soggetti non ricoverati. Tale richiesta può prove­nire dal medico di medicina generale o dal Cen­tro di ADI;

b) programmazione e controllo di qualità dell'assistenza geriatrica nella rete integrata di servizi. Queste funzioni devono essere svolte dall'UVG in collaborazione con uno o più rap­presentanti dei medici di medicina generale, del Centro di ADI e delle strutture residenziali per anziani. Ciò deve realizzarsi nell'ambito di un Comitato paritetico attivato dalla USL di riferi­mento. Il coordinamento di tale comitato deve essere affidato al geriatra, come suggerito dall'OMS. Pertanto è auspicabile che in ogni USL vi sia almeno una UVG ospedaliera. Nel ca­so ciò si renda impossibile in tempi brevi, la USL può attivare, in alternativa, un servizio geriatrico specialistico ambulatoriale.

Il livello qualitativo e quantitativo del soddisfa­cimento della domanda in rapporto al fabbiso­gno deve avvenire mediante un monitoraggio continuo, possibilmente, e come linea di tenden­za, attraverso l'informatizzazione di tutte le attivi­tà socio-sanitarie espletate nella rete integrata dei servizi di AG. È indispensabile, perciò, che ogni anziano dichiarato eligibile per la AG venga a regime seguito con una cartella geriatrica in­formatizzata.

In sintesi, il nuovo modello di assistenza ge­riatrica si ispira alla massima collaborazione tra servizi sanitari e sociali e tra medicina di base e specialistica. In una rete integrata di servizi, per l'ottimizzazione del risultato al medico di base va affidata la gestione sanitaria dell'ADI, degli inter­venti nelle strutture residenziali per anziani au­tosufficienti e di quelli nelle RSA per anziani non autosufficienti, sulla base delle indicazioni della UVG; all'Unità operativa geriatrica ospedaliera, di regola, quella della Spedalizzazione domici­liare ed anche, dove possibile, quella delle resi­denze sanitarie assistenziali, in concorso con i medici di base e i servizi territoriali.

 

Assistenza domiciliare integrata (ADI)

L'assistenza domiciliare integrata è un servi­zio incaricato di soddisfare le esigenze di tutti i soggetti aventi necessità di un'assistenza conti­nuativa, che può variare da interventi esclusiva­mente di tipo sociale (pulizia dell'appartamento, invio di pasti caldi, supporto psicologico, disbri­go di pratiche amministrative, ecc.) ad interventi misti socio-sanitari (assistenza infermieristica, attività riabilitative, interventi del podologo, ecc.).

Il Centro di ADI deve lavorare in stretta colla­borazione con il medico di medicina generale e con la U.V.G.

In particolare l'ADI è costituita da un comples­so di prestazioni mediche, infermieristiche, ria­bilitative, socio-assistenziali, rese al domicilio dell'ammalato, nel rispetto di standard minimi di prestazione in forma integrata e secondo piani individuali programmati di assistenza, definiti con la partecipazione delle figure professionali interessate al singolo caso. Il medico di medici­na generale resta il punto di riferimento primario per la copertura sanitaria domiciliare dell'anzia­no non autosufficiente e a lui competono le de­cisioni in ordine agli interventi terapeutici a do­micilio e nelle strutture residenziali per anziani autosufficienti, o ad esigenze di ricovero ospe­daliero e l'attuazione del programma consigliato dall'Unità operativa geriatrica e dalla sua com­ponente valutativa.

Il servizio ADI deve poter contare su una serie di appoggi, dove far confluire le richieste degli operatori e delle famiglie e le chiamate di urgen­za.

Il servizio ADI è caratterizzato:

- da momenti di coordinamento collegiale per la programmazione degli interventi, le scelte del­le strategie assistenziali sulle singole fattispecie e le verifiche dei risultati ottenuti;

- dal coordinamento operativo monocratico, da realizzare anche a turno, tra i responsabili delle componenti professionali appresso indica­te;

- da momenti di coordinamento del lavoro tra le figure professionali coinvolte in un medesimo caso assistenziale;

- dal collegamento funzionale con i servizi della USL di più diretto interesse per gli an­ziani: in particolar modo con i servizi semiresi­denziali (ospedale diurno, centro servizi socio­sanitario) e residenziali (Residenze sanitarie as­sistenziali).

Il servizio ADI adotta strumenti di valutazione multidimensionale concordati con l'UVG per sta­bilire il livello di non autosufficienza concordati con l'UVG per stabilire il livello di non autosuffi­cienza al fine di ottimizzare l'intervento indivi­dualizzato.

Le figure professionali che in linea di principio compongono il personale del servizio ADI, per la componente sanitaria, e che, per una migliore efficienza, debbono dare vita a nuclei perma­nenti fissi, sono: medico di medicina generale di libera scelta dell'assistito; infermieri professio­nali; terapisti della riabilitazione; assistenti sani­tari (per le funzioni di coordinamento e di colle­gamento funzionale con altri servizi);

- per la componente socio-assistenziale: as­sistenti domiciliari; assistenti sociali (per le fun­zioni di coordinamento e di collegamento fun­zionale con altri servizi);

- figure eventuali, secondo necessità e ad ac­cesso: medici specialisti; psicologo; assistente religioso; podologo; altri (per specifiche esigen­ze particolari).

Si appalesa indispensabile l'apporto del vo­lontariato.

Il presente progetto-obiettivo si prefigge di as­sicurare attraverso l'ADI in forma congiunta le seguenti prestazioni fondamentali:

- di tipo sanitario: assistenza del medico di medicina generale, ai sensi della convenzio­ne vigente; assistenza specialistica, nelle for­me previste dal contratto di lavoro e dalle convenzioni vigenti; assistenza infermieristica; assistenza riabilitativa; eventuali prelievi per esami clinici; altre forme assistenziali sanitarie erogabili al domicilio (prestazioni podologiche, sostegno psicologico, ecc.); medicina speciali­stica;

- di tipo socio-assistenziale: aiuto domestico; igiene della persona; eventuale somministrazio­ne di pasti (qualora non induca atteggiamenti di dipendenza in soggetti che potrebbero provve­dervi in via autonoma o assistita); eventuale servizio di lavanderia; disbrigo di commissioni e collegamento con altri servizi sociali.

Gli standard assistenziali minimi tendenziali per assistito in media annuale che il servizio ADI deve assicurare, e sulla base dei quali sono sta­ti determinati gli oneri del finanziamento sono i seguenti:

- 140 ore di assistenza domiciliare di tipo so­cio-assistenziale (aiuto domestico, pulizie per­sonali, altre forme di assistenza);

- 100 ore di assistenza infermieristica;

- 50 ore di assistenza riabilitativa;

- 50 accessi del medico di medicina gene­rale;

- 8 consulenze medico-specialistiche o di al­tri operatori (psicologo);

- altri servizi, secondo il bisogno (assistenza religiosa, podologo).

In termini di personale, la traduzione del cari­co di lavoro secondo le indicazioni di risultato da conseguire, porta ai seguenti valori di riferi­mento per il servizio ADI:

- 1 assistente domiciliare ogni 10 anziani as­sistiti;

- 1 infermiere professionale ogni 14 anziani assistiti;

- 1 terapista della riabilitazione ogni 50 anzia­ni assistiti;

- il fabbisogno delle altre figure, essendo uti­lizzate anche per altri servizi, è da determinare secondo i parametri di carattere generale.

 

Spedalizzazione domiciliare (SD)

Per servizio di spedalizzazione domiciliare si intende l'effettuazione nel luogo di vita del mala­to dei principali interventi diagnostici e terapeu­tici normalmente possibili in ospedale, eventual­mente integrati, per prestazioni particolari, da una breve presenza in ospedale con accesso e trasporto facilitati. Tra gli interventi di Home-ca­re è quello a più elevato contenuto sanitario. La spedalizzazione domiciliare costituisce funzione integrante di ogni Unità operativa geriatrica, ma essa può essere attivata anche da altre unità operative.

Si tratta di una nuova forma assistenziale rac­comandata dal Consiglio d'Europa, per il tramite del Comitato per la programmazione degli inter­venti sanitari di Strasburgo, che viene adottata nel Servizio assistenziale nazionale, come speri­mentazione a scala operativa locale, nel 10% dei casi che, a regime, si ritiene di poter trattare al domicilio e che rappresenteranno all'incirca il 5% di tutti i ricoveri attuali. Poiché i ricoveri sono al presente 9.150.000, a regime i trattamenti di spedalizzazione domiciliare potranno arrivare a 460.000. La sperimentazione riguarderà, pertan­to, nel primo triennio di validità del progetto­obiettivo, 46.000 casi opportunamente selezio­nati.

La spedalizzazione domiciliare consiste nel trattenere a casa persone bisognose di ricovero ospedaliero, o nel rinviare precocemente a casa persone spedalizzate, per un proseguimento di cure al domicilio, sotto la responsabilità assi­stenziale diretta del presidio ospedaliero, il qua­le opera tramite proprio personale o con la col­laborazione, funzionalmente guidata, del perso­nale dei servizi territoriali.

La condizione necessaria per poter sperimen­tare la spedalizzazione domiciliare è la presenza di familiari al domicilio dei pazienti e l'esistenza di sufficienti garanzie per il mantenimento nell'ambiente domestico dei livelli di cura ospe­daliera.

La spedalizzazione domiciliare si appalesa particolarmente utile per un programma di tutela della salute degli anziani, specialmente quando ricorrono le seguenti condizioni:

- malati anziani con riacutizzazione di patolo­gie croniche, dimessi precocemente dopo il pri­mo trattamento, per evitare gli effetti negativi di una prolungata degenza ospedaliera;

- malati con grave compromissione generale per patologie di tipo evolutivo che richiedereb­bero ricoveri ospedalieri periodici per controlli e trattamenti speciali;

- pazienti che in seguito ad interventi mutilan­ti (laringectomizzati, colostomizzati, ecc.) richie­dono assistenza medica, rieducativa, psicologi­ca, per il reinserimento socio-familiare;

- malati in fase terminale che si trovano in grave disagio fisico e psichico in ambiente ospedaliero.

Le occorrenze al domicilio per poter assicura­re la spedalizzazione domiciliare concernono:

- ausili per la deambulazione e per le funzioni fisiologiche;

- erogatori di ossigeno;

- piantane per fleboclisi;

- piccoli aspiratori;

- respiratori ambu, ecc.;

- collegamento telefonico con l'ospedale.

Quando occorra sarà necessario prevedere anche forme di aiuto domestico alle famiglie per la pulizia del malato, l'alimentazione, e di aiuto indiretto di tipo economico (pasti, contributi in denaro, ecc.).

Vengono ritenuti, altresì, necessari per attiva­re la sperimentazione:

- la reperibilità nell'arco delle 24 ore di alme­no 1 infermiere ed 1 medico;

- lo svolgimento di un tirocinio di formazione per la preparazione del personale da impiegare nella sperimentazione;

- lo svolgimento di riunioni di équipe per pre­disporre e, all'occorrenza adattare, i piani di la­voro;

- una segreteria per l'accoglimento delle se­gnalazioni e delle domande di spedalizzazione domiciliare, che sia anche sede del servizio di guardia per le emergenze, che svolga le funzioni logistiche di approvvigionamento dei materiali, di invio e di ritiro degli accertamenti di laborato­rio, che fornisca assistenza nel trasporto all'ospedale o nel rientro a casa, che provveda all'apertura e alla tenuta delle cartelle cliniche, che raccolga ed elabori dati statistici.

La spedalizzazione domiciliare è prevista in media annua per una durata di 40 giorni a pa­ziente, che possono prolungarsi a 60 giorni con eventuali rientri in spedalizzazione domiciliare per ripetizione di trattamenti.

La spedalizzazione domiciliare assicura di re­gola le seguenti prestazioni:

- due ore di presenza infermieristica giorna­liera, distribuite secondo le necessità nelle 24 ore;

- un passaggio giornaliero, in media, del me­dico curante, che può essere, a seconda del modello organizzativo in sperimentazione, o un medico ospedaliero o un medico di medicina generale dei servizi territoriali operante in colle­gamento funzionale con la divisione ospedaliera geriatrica o con altra divisione di riferimento;

- il collegamento permanente 24 ore su 24 con l'équipe ospedaliera preposta alla spedaliz­zazione domiciliare per situazioni di emergenza necessitanti di intervento urgente;

- la possibilità di consulenze specialistiche specifiche;

- l'educazione sanitaria ai familiari per una migliore assistenza ed un adeguato rapporto con il paziente ospedalizzato a casa.

Le prestazioni di cui sopra si intendono al net­to dei tempi di spostamento del personale di as­sistenza.

Le esperienze sinora compiute hanno dimo­strato che si tratta di una forma assistenziale con indubbi vantaggi per i pazienti, che può ri­sultare gradita ed essere preferita anche dai fa­miliari rispetto al ricovero ospedaliero. Anche in termini economici la spedalizzazione domicilia­re, più onerosa in sé, si dimostra conveniente nei confronti della degenza in presidio ospeda­liero.

 

Residenze sanitarie assistenziali (RSA)

Costituiscono una forma di risposta alle situa­zioni di bisogno sanitario di persone ultrases­santacinquenni non autosufficienti o a grave ri­schio di non autosufficienza, che, per ragioni molteplici, non possono essere assistite nelle forme e con le modalità in precedenza descritte e che inopportunamente sono state finora, o so­no tuttora, ricoverati in ospedale. L'articolo 20 della legge 67 del 1988 stabilisce l'obbligo di realizzare, con il piano straordinario di investi­menti, 140.000 posti in residenze di questo tipo. Infatti,secondo le stime citate in premessa, la domanda complessiva di strutture residenziali interessa al presente il 4-5% degli ultrasessan­tacinquenni, vale a dire tra 280.000 e 350.000 persone, con punte di richiesta sino all'8% nell'Italia settentrionale. Considerando l'invec­chiamento progressivo della popolazione e il tempo di realizzazione delle opere edilizie pub­bliche, lo standard -traguardo per la metà degli anni '90 - può essere fissato per allora attorno al 6% degli ultrasessantacinquenni.

La differenza tra il fabbisogno complessivo e la previsione dell'articolo 20 è coperta dalle strutture residenziali pubbliche già attivate, da una quota sensibile di residenze private con­venzionate o convenzionande purché rispettose degli standard fissati dal presente progetto­-obiettivo. Allo scopo si può anche provvedere alla trasformazione in RSA di parte delle attuali case e residenze protette.

La denominazione di "residenza sanitaria as­sistenziale" è stata preferita rispetto ad altre di­zioni perché l'aggettivo "sanitaria" sottolinea che si tratta di una struttura propria del Servizio sanitario nazionale, a valenza sanitaria, di tipo extra ospedaliero (residenza), la cui gestione è finanziabile con il fondo sanitario nazionale e di cui le USL possono garantire direttamente la ge­stione; l'aggettivo "assistenziale" rimarca che la residenza ha anche una valenza socio-assisten­ziale inscindibilmente connessa alla valenza sa­nitaria, il che legittima l'impiego da parte del Servizio sanitario nazionale di figure professio­nali di tipo sociale, in assenza di assegnazioni da parte degli enti locali, con assunzione degli oneri relativi, sia pure sotto obbligo di contabiliz­zazione separata. Questa soluzione consente di far decollare ovunque le RSA, ad opera delle re­gioni e delle USL in attuazione del presente pia­no sanitario, superando i ritardi di iniziative, la mancanza di risorse e la carenza di figure pro­fessionali specifiche nella grandissima parte dei Comuni italiani, il che ha impedito sinora di rea­lizzare strutture integrate di questo tipo.

Le RSA operano in collegamento con una o più Unità ospedaliera, preferibilmente geriatri­che; non sono dotate di organici medici autono­mi, avvalendosi di quelli delle unità ospedaliere di riferimento. L'esperienza internazionale indivi­dua nel personale dirigente dei servizi infermie­ristici la figura professionale residente cui affi­dare la conduzione gestionale della struttura. Quando nel territorio sia operante una UVG a questa competono le ammissioni dei ricoverati.

Le RSA devono essere realizzate tipologica­mente secondo quanto prescritto dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 di­cembre 1989 "Atto di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle regioni e provin­ce autonome concernente la realizzazione di strutture residenziali per anziani non autosuffi­cienti non assistibili a domicilio o nei servizi se­miresidenziali".

 

Unità operativa geriatrica

La divisione di geriatria non deve essere un duplicato della divisione di medicina. Essa si dif­ferenzia non solo per la tipologia dei pazienti ma per la preparazione professionale ad indirizzo gerontologico e geriatrico del personale, com­preso quello infermieristico e tecnico; per una diversa tipologia edilizia, che deve essere ade­guata alla esigenza dei pazienti; per la presenza necessitata di strutture di riabilitazione; per il coordinamento ordinario nell'ambito della UVG con i servizi territoriali per la realizzazione delle dimissioni programmate, dei programmi di assi­stenza geriatrica nelle RSA o negli ospedali diurni, della spedalizzazione o dell'assistenza domiciliare.

 

Interventi prioritari per gli anziani non autosufficienti

1. Istituire le Unità di valutazione geriatriche presso le divisioni di geriatria attualmente esi­stenti e, in fase sperimentale, in alcune Unità sa­nitarie locali, sprovviste di presidi specifici all'uopo coordinando l'attività delle figure pro­fessionali da coinvolgere nella iniziativa.

2. Attivare o potenziare i servizi di "Assistenza domiciliare integrata" (ADI) in modo da assistere al termine del quinquennio almeno il 2% degli anziani ultrasessantacinquenni non ospitati in RSA, che siano non autosufficienti, parzialmente autosufficienti o a grave rischio di invalidità, co­me tale considerando in ragione dell'età tutti gli ultrasettantacinquenni; per un complessivo di 140.000 unità. L'obiettivo di 140.000 anziani as­sistiti in ADI va conseguito in progressione an­nuale, con i seguenti traguardi intermedi nel pri­mo triennio: 10-15.000 assistiti nel 1991 (2); 15­20.000 nel 1992; 20-25.000 nel 1993 in rapporto alla minore o maggiore partecipazione degli enti locali all'onere della componente socio-assi­stenziale dell'ADI. Il costo dell'ADI per assistito è di lire 12.400.000 annui, di cui lire 9.000.000 per la parte sanitaria e lire 3.400.000 per la parte socio-assistenziale, con una spesa globale an­nua di 135 miliardi nel 1991, di 180 miliardi nel 1992 e di 225 miliardi nel 1993.

3. Attivare in via di sperimentazione la "Spe­dalizzazione domiciliare" (SD) nel 10% dei casi spedalizzabili a regime (il 5% dei ricoveri totali) per un numero di casi, al termine del quinquen­nio di validità del piano, di 46.000 casi l'anno. L'obiettivo va conseguito in progressione an­nuale a partire dal 1992, destinando il 1991 a messa a punto del modello organizzativo e dei protocolli di assistenza da sperimentare, con i seguenti traguardi intermedi: 6.000 nel 1992; 12.000 nel 1993. La durata media della speda­lizzazione domiciliare è di 60 giorni l'anno per paziente, compresi i rientri in spedalizzazione domiciliare. Il costo della spedalizzazione domi­ciliare per caso è valutato il lire 5.300.000, con una spesa globale annua di 32 miliardi nel 1992 e di 64 miliardi nel 1993.

4. Realizzare nel triennio 1991-1993, con le ri­sorse di cui all'art. 20 della legge 11 marzo 1988 n. 67, la prima quota di "residenze sanitarie as­sistenziali" (RSA), da destinare, a regime, al 2% degli ultrasessantacinquenni (140.000 persone), per un totale di 30.000 posti residenziali ripartiti in linea di indirizzo: per il 60% per anziani non autosufficienti; per il 25% per anziani parzial­mente autosufficienti; per il 15% per anziani au­tosufficienti ad alto rischio di invalidità. Il costo di gestione è valutato in lire 27 milioni annui per posto residenziale, con oneri effettivi a partire dal 1993 in rapporto al numero di posti residen­ziali nel frattempo realizzati ed attivati. L'entità dell'onere da sostenere sarà determinato in rap­porto al grado effettivo di realizzazione delle opere strutturali.

5. Coprire una parte del fabbisogno di RSA per anziani con il ricorso al privato sociale con­venzionato che accetti gli standard del Piano sa­nitario nazionale, per un totale di 10.000 posti residenziali al termine del quinquennio, da ripar­tire in linea di indirizzo con le stesse proporzioni previste per le RSA pubbliche. L'obiettivo di 10.000 posti residenziali convenzionati va con­seguito in progressione annuale, con i seguenti traguardi intermedi nel prossimo triennio: 2.000 posti nel 1991; 3.000 posti nel 1992; 5.000 posti nel 1993. Il costo di gestione è pari a quello cal­colato per le RSA pubbliche, vale a dire 37 mi­lioni annui per posto residenziale, con una spe­sa globale annua di 74 miliardi nel 1991; di 111 miliardi nel 1992; di 185 miliardi nel 1993.

 

Finanziamenti previsti (2)

 

Funzione                                                                                                        Anno

                                                                                                1992 (3)          1993            1994

- Ass. dom. integrata                                                                     135              180              225

- Spedalizzazione dom.                                                                   -                 32                64

- RSA pubbliche (spese di gestione)                                                 -                  -                 (4)

- RSA convenzionate                                                                      74               111              185

- Interventi vari di carattere generale nel settore assistenziale              -                 20                20

- Educazione sanitaria                                                                     -                 12                12

- Formazione                                                                                 10                10                10

- Osservatori                                                                                   -                  1                 2

- Sistema informativo                                                                       -                  1                  -

TOTALE                                                                                       219              367              518

 

 

 

(1) Identica risoluzione è stata approvata dalla Camera dei deputati in data 30 gennaio 1992.

(2) Tutti i tempi slittano di un anno, compresi quelli ri­portati nei punti successivi (n.d.r.).

(3) I finanziamenti per il 1992 sono stati deliberati dal CIPE in data 31 gennaio 1992.

(4) L’entità dell’onere da sostenere sarà determinato in rapporto al grado effettivo di realizzazione delle opere.

 

 

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