I TRUCCHI, L'INOSSERVANZA E LA VIOLAZIONE DI LEGGI DA PARTE DI POLITICI
E DI AMMINISTRATORI CONTRO LE ESIGENZE E I DIRITTI DEI PIÙ DEBOLI: LE
ESPERIENZE DELL'ANFAA, DELL'ULCES E DEL CSA (*)
Come abbiamo documentato in analisi precedenti (1),
gli strumenti maggiormente utilizzati dai politici e spesso anche dagli
operatori per non dare risposte concrete alle esigenze delle persone in
difficoltà risultano in sintesi:
-
la negazione del problema;
-
la mobilitazione dei pregiudizi e dei luoghi comuni;
-
il continuo rinvio delle decisioni;
-
la presunta carenza di mezzi economici e di personale;
- la concessione ad esponenti di gruppi di base di
favori di vario genere (ricerche, consulenze, cariche, ecc.) in cambio della
cessazione delle rivendicazioni;
- il discredito dei movimenti che promuovono i
diritti dei più deboli e la denigrazione dei loro componenti più attivi o
rappresentativi;
-
le promesse tranquillizzanti, ma illusorie. Possiamo aggiungere e documentare
ulteriori mezzi usati da politici allo stesso scopo:
1. Lo spostamento dell'attenzione su un problema
diverso avente una qualche attinenza con quello che non si vuole affrontare.
Ad esempio, in occasione di convegni sul problema degli anziani malati cronici
non autosufficienti, settore in cui le carenze culturali e operative sono
estremamente gravi, molto spesso i politici cercano con vari mezzi di
indirizzare il dibattito sulle università della terza età, sul tempo libero, sulle
benemerenze dei vecchi, ecc. Allo scopo, i politici stessi si adoperano
affinché agli incontri pubblici e alle trasmissioni radiofoniche e televisive
vengano invitate persone in grado di assecondarli.
2. L'uso dei mezzi di informazione da parte di
amministratori e operatori a sostegno dei propri interessi elettorali ed
economici. Gli argomenti trattati non riguardano, quasi mai, la generalità
delle situazioni, ma casi individuali a volte anche fasulli. Rientrano in
questa categoria i luoghi comuni circa il rilevante numero di vecchi
abbandonati dai loro congiunti (2), delle pensioni e degli alti redditi
abusivamente trattenuti e goduti dai familiari (3).
3. Il travisamento dell'essenza del problema. AI
riguardo, è significativa l'espressione "anziani non autosufficienti"
usata per nascondere la verità dei fatti e cioè la loro condizione di malati,
anzi - molto spesso - di persone con gravissime e numerose patologie. Si tratta
di un altro trucco usato per nascondere la parte fondamentale del problema, e
cioè la loro condizione di malati e quindi il loro diritto alle cure sanitarie,
argomento che tratteremo in seguito.
Sulle stesse linee si pongono sovente anche gli
operatori. Sempre in materia di anziani cronici non autosufficienti, viene
usata spesso la denominazione "disabile" (4) per sostenere la
competenza del settore assistenziale, competenza che, invece - in base alle
leggi vigenti -, spetta esclusivamente al comparto sanitario.
4. Il rifiuto del confronto pubblico con coloro che
sostengono posizioni diverse da quelle dei politici, soprattutto quando i primi
sono in grado di dimostrare la violazione di diritti perseguita dagli stessi
politici. A questo riguardo, si segnala che gli Assessori alla sanità e
assistenza della Regione Piemonte e del Comune di Torino (E. Maccari, E.
Bergoglio, G. Bracco) non hanno mai accettato un confronto diretto con gli
esponenti del CSA in merito alla proposta di legge regionale di iniziativa
popolare "Riordino degli interventi sanitari a favore degli anziani cronici
non autosufficienti e realizzazione delle residenze sanitarie
assistenziali". I sopracitati Assessori sono arrivati addirittura a porre
alcune televisioni private di fronte all'aut-aut: «Se partecipano
rappresentanti del CSA, noi non veniamo». Sempre allo stesso proposito
segnaliamo che il Presidente della Regione Piemonte finora non ha risposto alla
lettera indirizzatagli il 22 novembre 1991 dal primo firmatario della proposta
di legge di iniziativa popolare, lettera che si riproduce integralmente: «Mi è stato riferito che intervenendo al
recente convegno delle ACLI avresti affermato che la presentazione della proposta
di legge regionale di iniziativa popolare "Riordino degli interventi
sanitari a favore degli anziani cronici non autosufficienti e realizzazione
delle residenze sanitarie assistenziali" sarebbe del tutto inutile in
quanto la materia è già trattata in modo adeguato dalle disposizioni varate
dalla Regione Piemonte.
«Al
riguardo, non credo che si possano ritenere come sprovveduti né i promotori,
né i 24.500 firmatari, né le personalità (N. Bobbio, A. Galante Garrone, A.
Ardigò, Mons. G. Nervo, Padre G. Perico, ecc.) che hanno dato la loro
adesione.
«Ancora una
volta credo di dover segnalare alla tua attenzione che, com'è scritto nella
relazione e nel testo dell'iniziativa popolare che allego, la proposta di
legge ha lo scopo di ottenere dalla Regione Piemonte il riconoscimento
effettivo che un anziano con malattie croniche così gravi da determinare anche
una condizione di non autosufficienza, è una persona malata che, in base alle
leggi vigenti, ha diritto alle cure sanitarie nelle stesse forme dovute agli
altri cittadini (giovani e adulti) che soffrono delle stesse condizioni di salute.
«È singolare
il fatto che sia sufficiente in Piemonte inviare una lettera raccomandata
all'Amministratore straordinario dell'USSL in cui il malato è ricoverato per
ottenere, senza alcuna altra formalità, che la minacciata dimissione dall'ospedale
non venga più attuata.
«Nella
nostra Regione, vi sono dunque due categorie di cittadini: quelli che con la
spesa di 4.700 lire (per spedire una
raccomandata, n.d.r.) realizzano il
riconoscimento del diritti loro o del propri congiunti e quelli che, fidandosi
delle affermazioni di amministratori, medici e assistenti sociali, sono,
spesso selvaggiamente, espulsi dall'ospedale e devono o provvedere alla loro
cura a domicilio, senza beneficiare di alcuna prestazione sanitaria
domiciliare (salvo l'intervento del medico di base, quando si realizza) o
ricorrere al settore privato versando fino a 250 mila lire al giorno (ad
esempio la retta di Villa Turina è di L. 228 mila lire al dì).
«Per il
futuro credo che, purtroppo, non si possa dire che la Regione Piemonte
rispetterà le esigenze ed i diritti degli anziani cronici non autosufficienti
tenuto conto che la delibera della Giunta da te presieduta n. 333-8499 del 2
agosto prevede minuti 1 (uno) di prestazione giornaliera fornita in media da
parte del medico ai ricoverati delle RSA.
«Ritenendo
che i piemontesi abbiano diritto ad una corretta informazione, ti propongo un
pubblico dibattito in cui il o i rappresentanti della Regione Piemonte ed i
proponenti della proposta di legge regionale di iniziativa popolare possano
esporre le loro posizioni.
«Sperando
che tu voglia accettare questo confronto (finora sempre rifiutato dagli
Assessori Bergoglio e Maccari) resto a tua completa disposizione per
concordarne le modalità ed i tempi».
* * *
Certamente, vi sono politici che operano nel rispetto
dei diritti e delle esigenze delle persone non in grado di autodifendersi; tuttavia
- in base alle esperienze pluriennali dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA -
quando si passa dalle dichiarazioni di principio agli interventi concreti,
quasi sempre i rapporti con gli amministratori diventano difficili.
Il trucco più semplice: ignorare la legge
Poiché l'utenza è debole, nel settore assistenziale
sono numerosissime le leggi disapplicate o malamente attuate. Inoltre, le
carenze legislative sono paurose: dai tempi della Commissione parlamentare
sulla miseria (1954) si afferma l'urgenza della legge quadro sull'assistenza,
ma nulla viene fatto per sollecitarne l'approvazione; mancano norme nazionali
circa gli standards delle strutture e del personale con la conseguenza di
avere edifici fatiscenti e personale assolutamente inidoneo, a volte anche
analfabeta; gli interventi di sostegno domiciliare sono scarsi e spesso
inesistenti; gli stanziamenti per lo più sono ridicolmente bassi (5); i beni
delle IPAB, valutati in 30-40 mila miliardi dall'On. Marisa Galli nella seduta
della Camera dei deputati del 17 febbraio 1982, vengono regalati ai privati
senza nemmeno vincolare la destinazione dei patrimoni e dei relativi redditi ai
servizi assistenziali (6).
Un sifatto dono, senza vincoli di sorta per i beni
privatizzati di IPAB è previsto, ad esempio, dal DPR 19 giugno 1979 n. 348
"Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna" e dalle
leggi della Regione Sicilia 9 maggio 1986 n. 22 "Riordino dei servizi e
delle attività socio-assistenziali" e della Regione Lombardia 27 marzo
1990 n. 21 "Norme per la depubblicizzazione di istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza (IPAB)".
Il regalo di tanti miliardi avrebbe potuto e potrebbe
essere evitato da adeguate iniziative dei movimenti di volontariato dirette ad
ottenere il vincolo della destinazione dei beni privatizzati a scopi
assistenziali, così come, soprattutto per l'intervento del CSA, è stato
ottenuto in Piemonte con la legge regionale 19 marzo 1991 n. 10.
Poiché i soggetti dell'assistenza continueranno per
forza di cose ad avere scarso o nullo potere contrattuale, è presumibile che
il fenomeno della violazione delle disposizioni si verificherà anche in futuro.
Pertanto, ampie possibilità di intervento hanno e avranno coloro che intendono
difendere le esigenze ed i diritti dei più deboli.
Nei confronti dei cittadini che non possono
protestare, il trucco più praticato da politici e amministratori pubblici e
privati è l'inosservanza delle leggi di tutela degli assistiti: per risolvere
ogni problema è sufficiente ignorarle.
Elenchiamo, anche se in modo incompleto, alcune
leggi disapplicate o malamente attuate in modo che le persone ed i gruppi
interessati possano rendersi conto dell'ampiezza e gravità del problema.
Ignorate le leggi fondamentali sull'assistenza
La stragrande maggioranza dei Comuni italiani non ha
mai dato attuazione al R.D. 19 novembre 1889 n. 6535 (7), il quale prevede che
i Comuni stessi devono provvedere all'assistenza degli inabili. In base al
suddetto R.D. (art. 2) «sono considerate
come Inabili a qualsiasi lavoro proficuo le persone dell'uno e dell'altro
sesso, le quali per incapacità cronica o per insanabili difetti fisici o
intellettuali non possono procacciarsi il modo di sussistenza. La legge ritiene
come inabili i fanciulli che non hanno compiuto i dodici anni» (8).
Le norme suddette sono state confermate dal R.D. 3
marzo 1934 n. 383 "Testo unico della legge comunale e provinciale"
che all'art. 91, lettera H, punto 6 prevede, fra le spese obbligatorie, quelle
relative al «mantenimento degli inabili
al lavoro» (9).
Dunque, l'applicazione delle suddette norme avrebbe
garantito le necessarie prestazioni ai minori, agli handicappati ed agli
anziani in difficoltà.
Nonostante le deleterie conseguenze della violazione
delle disposizioni in oggetto, mai sono intervenuti i Ministri dell'interno ed
i Prefetti, i quali hanno precisi compiti di vigilanza e di iniziativa nei
confronti degli enti locali. Praticamente assenti anche le Regioni.
Al riguardo, va anche rilevato che vi sono Associazioni,
ad esempio quelle di tutela dei diritti degli handicappati, che mai hanno
rivendicato l'attuazione delle norme sopra citate, nonostante le condizioni di
estremo bisogno di molti loro associati.
L'affidamento familiare a scopo educativo: un
intervento prioritario fin dal 1926
Per decenni (e spesso le omissioni continuano ancora
oggi) non è stata data attuazione all'art. 176 del R.D. 15 aprile 1926 n. 718
che stabilisce quanto segue: «I fanciulli
minori di dodici anni devono essere, di regola, collocati presso famiglie,
possibilmente abitanti in campagna, che offrono serie garanzie di onestà,
laboriosità, attitudini educative e amorevolezza verso i bambini e dispongano
inoltre di un'abitazione conveniente e di mezzi economici sufficienti per provvedere
al mantenimento dei fanciulli ricevuti in consegna. I fratelli e le sorelle
debbono essere possibilmente collocati presso la stessa famiglia, o almeno
nello stesso comune». In sostanza, fin dal 1926, gli enti assistenziali
(ONMI, Comuni, Enti comunali di assistenza, organismi pubblici e privati per
ciechi, orfani, ecc.) (10) avrebbero dovuto ricercare prioritariamente una
sistemazione familiare ai minori impossibilitati a restare con i propri
genitori (11).
Per quanto riguarda gli affidatari, l'art. 177 del R.D.
718/1926 si esprimeva nei seguenti termini: «Il
padre o la madre di famiglia che abbia ricevuto in consegna un fanciullo deve
considerarlo e trattarlo come proprio figlio, curare che esso adempia ai propri
doveri religiosi e frequenti regolarmente la scuola ed avviarlo ad un mestiere
o ad un'arte, tenendo conto delle attitudini da esso manifestate. Il padre o
la madre di famiglia, che ne faccia richiesta, riceve dal Comitato del
patronato (dell'ONMI, n.d.r.), sino a
che il fanciullo tenuto in consegna non abbia compiuto il dodicesimo anno di
età, un assegno mensile in misura determinata caso per caso dal Comitato
medesimo. Il fanciullo affidato ad una famiglia non può essere da questa
consegnato ad altra famiglia senza esplicita autorizzazione del Comitato».
Quindi, fin dal 1926, il ricovero in istituto doveva
essere praticato solamente «per i
fanciulli per i quali non sia attuabile od opportuno il collocamento presso
famiglie» (art. 178 del R.D. 718/1926) (12).
Disapplicate le leggi sull'adozione dei minori
Moltissime istituzioni di assistenza, soprattutto
private, per anni non hanno rispettato le norme della legge 5 giugno 1967 n.
431 sull'adozione speciale, impedendo a migliaia di bambini senza famiglia di
essere accolti in validi nuclei adottivi (13). In particolare, detti enti hanno
omesso e alcuni ancora omettono dl inviare ai giudici tutelari gli elenchi
trimestrali dei minori ricoverati in istituto. Questa gravissima violazione
del diritto alla famiglia dei minori in situazione di abbandono materiale e
morale da parte dei genitori e dei parenti non è nemmeno stata punita dalla
magistratura. Al riguardo ricordiamo lo scandaloso provvedimento del giudice
istruttore Alibrandi (14) che ha considerato lecito il comportamento omissivo
degli istituti di ricovero.
Attualmente, in moltissime zone del nostro Paese
scarsa o nulla è l'attuazione della legge 4 maggio 1983 n. 184 "Disciplina
dell'adozione e dell'affidamento dei minori", per cui vi sono ancora
migliaia di minori ricoverati in istituto, mentre essi avrebbero avuto e
avrebbero l'esigenza e il diritto di crescere nella propria famiglia o di
essere adottati se in situazione di abbandono materiale e morale, oppure, negli
altri casi, di essere inseriti in famiglie affidatarie.
Secondo i dati dell'ISTAT, al 1° gennaio 1988 i
minori degli anni 15, ricoverati in istituti di assistenza, brefotrofi e
colonie permanenti sono 35.635 (15).
La protezione della maternità e dell'infanzia: un
dovere spesso ignorato. Lo scandalo degli istituti romani
Per decenni sono rimaste disapplicate altre
importantissime disposizioni riguardanti la protezione della maternità e
dell'infanzia.
Ricordiamo, in particolare, i compiti di intervento,
di coordinamento e di vigilanza affidati dalla legge all'ONMI (Opera nazionale
per la protezione della maternità e dell'infanzia) che disponeva di una sede
nazionale, di 94 uffici provinciali e 8.055 Comitati comunali.
Accertata la violazione delle leggi e le gravi
conseguenze nei confronti dei bambini, l'ANFAA e l'ULCES segnalarono la
situazione prima ai diretti interessati (Presidenti nazionale, provinciali e
comunali dell'ONMI) e poi - non avendo ottenuto nessuna risposta in merito -
denunciarono i fatti all'opinione pubblica e all'autorità giudiziaria.
Le numerose proteste nei confronti dell'inefficienza
dell'ente (il più importante in Italia nel campo dell'assistenza) portarono al
suo scioglimento, avvenuto con la legge 23 dicembre 1975 n. 698.
Le violazioni di legge compiute dall'ONMI sono
documentate, inoltre, dai processi celebrati a carico del Presidente nazionale
dell'ente, del Presidente del Comitato di Roma e del Direttore generale del
servizio sanitario, condannati in prima istanza (16) e, poi, assolti in appello
con motivazioni assolutamente non convincenti.
Conseguenze della violazione delle leggi
Al di là della emanazione di sentenze di condanna o
di assoluzione, va segnalata l'estrema gravità delle condizioni di vita dei
minori. Infatti, è sulla loro pelle che si ripercuotono le omissioni delle
istituzioni pubbliche e private: spesso le conseguenze sono deleterie nei
riguardi del loro equilibrio psichico e del loro futuro.
In data 19 febbraio 1971 il Pretore Luciano Infelisi
ordina «una contemporanea perquisizione
in tutti gli istituti (di Roma, n.d.r.),
con la partecipazione del personale della Legione Carabinieri e della Questura
di Roma (17), al fine di assicurare,
valendosi della sorpresa, le prove di eventuali reati» (18).
Ecco la descrizione degli accertamenti e il commento
del Pretore: «Le indagini condotte con
lodevole perizia dai Carabinieri (e particolarmente dal Nucleo investigativo)
e dalla Polizia, hanno evidenziato una situazione di totale abbandono di tutti
quei minori che per loro sventura sono costretti a trascorrere la loro infanzia
negli istituti, quali orfanotrofi, brefotrofi, ecc. che vengono denominati,
per ironica contrapposizione, di assistenza all'infanzia abbandonata.
«Nella quasi
totalità di questi istituti si sono riscontrate insufficienti condizioni
igienico-sanitarie e gravi carenze funzionali e pedagogiche. A scorrere i
singoli rapporti che via via carabinieri e polizia hanno inoltrato al
Magistrato, emerge tutta una serie di fatti qualificabili non solo come
immorali, ma anche come penalmente rilevanti, li più diffuso di questi consiste
nella violazione pressoché generale da parte dei direttori degli istituti (il
che ha comportato oltre centotrenta denunzie per omissioni di atti di ufficio)
dell'obbligo stabilito dal codice civile all'art. 314, relativo all'invio al giudice
tutelare dei prescritti elenchi trimestrali dei minori ricoverati. Qualunque
sia il motivo di tale omissione - timore di perdere le rette che Enti pubblici
o privati concedono per tutti i bambini, ovvero necessità di giustificare con
la presenza dei bambini la esigenza dell'istituto od altro - sta di fatto che
essa ha impedito la possibilità per i minori di essere adottati, sicché il
fatto che centinaia di minori siano "occultati" senza che il giudice
tutelare possa avere neanche sentore della loro esistenza ha frustrato la
speranza delle numerosissime domande di adozione, che giacciono inevase anche e
soprattutto (ed è questo l'aspetto drammatico della questione) per la mancanza
ufficiale dei bambini da adottare (19).
«Ma,
purtroppo ben altre sono state le violazioni di legge riscontrate nel corso
delle indagini. Possono al riguardo citarsi, come esempio illuminante dello
stato delle cose dei singoli istituti, le chiare attendibili testimonianze del
dott. Larocca e del Cap. Mori.
«Il primo
nella sua specifica qualità di medico legale e di pediatra, ha riferito che in
un istituto ove le condizioni igienico-sanitarie erano del tutto
insufficienti, egli rinvenne in una stanza di mt. 4 x 5 ben 11 lettini,
addossati gli uni agli altri, con sulle reti alcuni materassini laceri di un
sottile strato di gomma-piuma; nella cucina il più assoluto disordine "in
una sporcizia indescrivibile" resti abbandonati di pasti precedenti,
poppatoi per terra ecc. Inoltre furono scoperti dei bambini con una tutina chiusa
da un legaccio all'altezza delle caviglie, tutina di contenzione, che, a parere
anche del medico impediva non solo la possibilità di movimento ma anche la
normale circolazione del sangue.
«Gravissime
le carenze relative all'igiene personale: alcuni bambini presentavano tracce
di feci tra le pieghe delle cosce con conseguenti arrossamenti molto estesi;
su di uno in particolare fu riscontrato "eritema gluteale" molto
evidente cioè una macerazione della cute dovuta ad impregnazione della stessa
con urine e sostanze fecali.
«Alla
conoscenza del medico legale si presentava ancora un altro istituto, "il
più squallido, il più sporco ed inabitabile istituto che mai avesse visto":
qui non solo vi erano cumuli di sporcizia dappertutto, ma la biancheria dei letti
risultava,alla data dell'accesso al luogo che avvenne il 16 febbraio, cambiata
soltanto una volta a Natale (specifica al riguardo altro teste, Maresciallo dei
Carabinieri Solinas Antonio che tra i materassini vecchi e scuciti e le reti
smagliate vi erano tozzi di pane raffermo e indumenti intimi sporchi e maleodoranti).
Abbandonato in una camerata del tutto priva di riscaldamento fu rinvenuto un
bambino affetto da bronchite febbrile; nessuno nell'istituto si era mai dato
pensiero, nonostante la malattia durasse da giorni, di avvertire un medico o
di somministrargli delle medicine.
«Puntuale
conferma delle deposizioni del dottor Larocca, si riscontra nella chiara
testimonianza del teste Mori che quale ufficiale del nucleo investigativo dei
CC, ha diretto e partecipato a numerose perquisizioni negli istituti.
«Anch'egli,
narrando di un istituto, ricorda che "entrando nei locali la prima cosa
che colpiva era un fetore intensissimo" e che in cucina tra cumuli di
sporcizia furono rinvenuti prodotti omogeneizzati con validità scaduta.
«In un altro
istituto, alla Borgata Massimina, i Carabinieri vi si recarono su precisa
denunzia del Preside della locale scuola media, preoccupato per quanto alcune
bambine ospiti dell'istituto raccontavano ai loro insegnanti. Invero fu accertato
che le piccole "venivano più volte sottoposte a percosse ad ogni minima
disobbedienza o disciplina, che la minestra era immangiabile per la sporcizia
sui piatti, per i vermi, capelli od altro che vi si trovavano. Come punizione
una suora - allontanata qualche giorno prima dell'arrivo dei carabinieri su
suggerimento di un vescovo "per i metodi poco materni" - usava
rinchiudere le bambine in uno scantinato stretto e buio senza finestre o luce,
ove erano ammassati vari materiali.
«Gli
accertamenti presso gli istituti hanno altresì messo in luce con preoccupante
frequenza casi di omosessualità o di violenze perpetrate sui bambini. Presso un
Ente invero lo stesso Rettore compiva tali pratiche su minori ricoverati sicché
si procedeva al suo arresto nonché alla denunzia per lo stesso reato di atti di
libidine di altro religioso, e all'incriminazione degli assistenti per
maltrattamenti continuati.
«Anche in
altro istituto, ricorda il teste Mori "abbiamo accertato numerosi casi di
omosessualità": specifica in proposito il medico legale Larocca che un
bambino di circa 10 anni visitato in loco si presentava come "abuso al
coito" per ricorrenti rapporti carnali che subiva.
«Nell'ambito
della stessa operazione le indagini effettuate dalla Polizia portavano
all'arresto di un altro religioso che in un istituto alla periferia di Roma
sottoponeva ad atti di libidine violenta i minori ivi ricoverati.
«L'esemplificazione
fin qui riportata può forse bastare per avere un sufficiente quadro della situazione
degli istituti di assistenza all'infanzia di Roma: v'è da aggiungere che
secondo i rapporti della Polizia e dei Carabinieri in numerosi istituti sono
stati sequestrati medicinali scaduti di validità e cibi avariati, 138
direttori e direttrici sono sfati incriminati sia per aver omesso l'invio degli
elenchi dei minori al giudice tutelare, sia per aver tenuto i minori senza mai
aver conseguito la prescritta autorizzazione; e per numerosi altri rettori o
istitutori si è iniziata l'azione penale per maltrattamenti, o abusi di mezzi
di correzione o lesioni.
«Ciò che
stupisce dolorosamente non è tuttavia la serie pure impressionante di reati
perpetrati a danno di bambini, ma la constatazione che per tale infanzia
abbandonata (nel senso più vero della parola) non sussistono non solo le condizioni
per la sua normale evoluzione fisica e psichica, ma neanche le condizioni
primarie di vita quali un vitto appena sufficiente o un alloggio anche
modesto.
«V'è da
chiedersi - a prescindere dal rispetto umano a cui ogni bambino ha naturale
diritto, consacrato anche nella nostra Carta Costituzionale all'art. 31 -
quale sarà l'apporto ed il contributo che questi infelici, una volta adulti,
daranno ad una società che nella quasi totalità dei casi li ha di fatto
abbandonati, spesso alla mercè di persone disumane senza vegliare assiduamente
su di essi come il più normale senso di civiltà impone e come le stesse leggi
- inascoltate - prescrivono.
«Esiste nel
nostro ordinamento un sistema normativo che, se attuato dagli organi
competenti, può assicurare una sufficiente vigilanza ed un efficace controllo
sulle condizioni di vita dei minori che sono ospiti negli istituti di
assistenza all'infanzia» (20).
Analoghe condizioni di vita - in alcuni casi ancora
peggiori di quelle descritte in precedenza - risultano da altre sentenze della
magistratura (21).
Attualmente la situazione degli istituti sembra
essere migliorata: tuttavia continuano ad essere nefaste le conseguenze del
ricovero a carattere di internato.
Altre violazioni delle leggi di protezione della
maternità e dell'infanzia
Per quanto concerne le disposizioni del già citato
R.D. 15 aprile 1926 n. 718, che minuziosamente indicava le funzioni attribuite
all'ONMI (ora alle Regioni e alle USL), le violazioni più gravi riguardano:
- l'art. 50 - «Gli
istituti, i comitati e le associazioni di carattere pubblico o privato che, in
tutto 0 in parte, intendano comunque provvedere alla protezione e
all'assistenza della maternità e dell'infanzia, devono essere previamente
riconosciuti idonei a tale funzione, nei riguardi economici, tecnici e morali
dalla Giunta esecutiva dell'ONMI».
L'applicazione corretta della suddetta disposizione
avrebbe consentito di disporre, fin dal 1926, del censimento aggiornato degli
istituti pubblici e privati, censimento che è indispensabile per poter
predisporre ed attuare la vigilanza sulle condizioni di vita dei minori ivi
ricoverati. Va precisato che, nella maggior parte delle regioni italiane, le
strutture di ricovero non sono ancora state censite nemmeno oggi; solo in due
regioni (Piemonte e Lombardia) è operante un'anagrafe del minori
istituzionalizzati;
- l'art. 194 - «In
ogni istituto di assistenza si deve impiantare e tenere al corrente:
a) un
registro nominativo di tutti gli assistiti;
b) un
fascicolo personale per ciascun assistito, contenente i documenti relativi
all'ammissione nell'istituto, la corrispondenza con la famiglia dell'assistito,
con le autorità e con gli organi dell'ONMI, gli atti relativi all'eventuale
trasferimento in altro istituto, o al collocamento esterno, o al licenziamento;
c) una
scheda individuale per ogni assistito (...)».
La registrazione e il continuo aggiornamento della
documentazione sopra elencata, tuttora non attuata dalla stragrande maggioranza
degli Istituti, avrebbe permesso una conoscenza approfondita delle condizioni
dei minori istituzionalizzati e dei loro familiari, presupposto indispensabile
per attuare sia una programmazione dei servizi fondata sulla realtà, sia
l'elaborazione di plani di intervento individualizzati redatti sulla base delle
concrete esigenze di ciascun minore;
- l'art. 119 - «In
quelle zone d'assistenza nelle quali se ne presenti la necessità, i Comitati di
patronato, quando abbiano mezzi all'uopo disponibili, possono essere, a loro
richiesta, autorizzati dall'ONMI a nominare speciali agenti di protezione all'infanzia,
scelti tra le persone d'ineccepibile condotta morale, discrete, fidate e
capaci, con l'incarico di coordinare e assistere i patroni nell'esercizio delle
loro attribuzioni, specie per quanto riguarda la segnalazione e il collocamento
dei fanciulli materialmente o moralmente abbandonati, la vigilanza sui minori
ai quattordici anni collocati fuori della dimora dei genitori o tutori, la
protezione dei fanciulli maltrattati e la vigilanza degli articoli, 23, 24 e
25 della legge» (22).
L'applicazione della norma suddetta avrebbe
consentito di sopperire alle carenze del personale e avrebbe impedito che i
minori ricoverati in istituto fossero oggetto di violenze, spesso assai gravi
(23).
Ricordiamo inoltre la mancata applicazione dei
seguenti articoli del R.D. 15 aprile 1926 n. 718:
- art 51 - Disponeva che le istituzioni pubbliche e
private di assistenza all'infanzia devono uniformare la loro attività, oltreché
alle norme di legge, alle disposizioni impartite dall'ONMI. Questa, d'altra
parte, può promuovere la riforma degli istituti che fossero in contrasto con
le disposizioni di legge o impartite dall'ONMI stessa;
- art. 52 - L'ONMI esercitava il potere di vigilanza
e di controllo ad essa attribuito dalla legge, anche mediante apposite
ispezioni sull'andamento dei servizi nelle varie province e sul funzionamento
delle singole istituzioni;
- art. 53 - Per l'esercizio della funzione ispettiva,
l'ONMI si poteva avvalere di persone che, per gli uffici coperti, per gli studi
fatti o per le missioni compiute, fossero riconosciute provviste di speciale
competenza tecnica;
- art. 185 - I comitati comunali dell'ONMI (istituiti
in ogni Comune) dovevano vigilare sulla condotta e sull'educazione dei minori
di diciotto anni, consegnati o restituiti ai genitori, ascendenti o tutori, o
collocati presso famiglie o liberati da riformatori o dimessi da istituti.
Dovevano inoltre agevolare il loro collocamento al lavoro, assistendoli in ogni
evenienza;
- art. 186 - I comitati comunali dell'ONMI dovevano
concorrere all'assistenza morale e all'opera di rieducazione dei minorenni
inquisiti, condannati e liberati dal carcere;
- art. 181 e 191 - Prevedevano che i componenti dei
comitati comunali dell'ONMI e le assistenti da essi dipendenti dovessero
periodicamente verificare le condizioni dei fanciulli ricoverati in istituto
e quelli affidati a famiglie. I bambini fino al terzo anno di età dovevano
essere visitati almeno una volta al mese nel primo anno di vita e in seguito
ogni due mesi, a meno che le loro particolari condizioni non esigessero visite
più frequenti;
- art. 202 - Negli istituti e asili doveva essere
assicurata una sorveglianza per ogni gruppo di sei bambini minori di diciotto
mesi ed una per ogni gruppo di dodici bambini dai diciotto mesi a tre anni;
-
art. 224 - Vietava le punizioni corporali e quelle consistenti nella privazione
degli alimenti.
Di particolare rilievo la disapplicazione estesissima
dei DPR 11 febbraio 1961 n. 264 e 22 dicembre 1967 n. 1513 (24) in base ai
quali i Comuni o i Consorzi di Comuni (e sostitutivamente le Province)
dovevano approntare i servizi di medicina scolastica in tutte le scuole pubbliche
e private di ogni ordine e grado ed estenderli agli istituti
educativo-assistenziali e medico-psico-pedagogici.
Il servizio di medicina scolastica comprendeva, per
quanto concerne l'aspetto igienico-sanitario: la profilassi, la medicina
preventiva, la vigilanza igienica, il controllo dello stato di salute di ogni
allievo e degli insegnanti.
Per quanto riguarda invece l'aspetto psicopedagogico,
prevedeva che i Comuni e i Consorzi fra i Comuni (e sostitutivamente le Province)
curassero, previa istituzione di apposite équipes, il trattamento dei minori
con difficoltà, ivi compresi gli handicappati fisici e sensoriali che
frequentavano le scuole o istituti assistenziali pubblici o privati.
Gli interventi dovevano anche essere diretti a
ridurre le carenze delle famiglie e dell'ambiente In genere. Negli interventi
obbligatori erano comprese le terapie preventive e curative.
Ai sensi dell'art. 10 dei DPR 22 dicembre 1967 n.
1518, i Comuni e i Consorzi fra Comuni dovevano approntare propri regolamenti
in materia di medicina scolastica entro il 20.6.1969.
A suo tempo, nonostante che l'inosservanza di dette
disposizioni costituisse il reato di omissione di atti d'ufficio, la maggior
parte dei Comuni italiani non le ha mai attuate. Gli esposti indirizzati
dall'ULCES a tutte le Procure della Repubblica del nostro paese non sono mai
stati presi in considerazione.
Bambini abbandonati dei Comune e dalla Provincia di
Milano
Purtroppo i diritti dei bambini continuano ad essere
violati da molti enti pubblici. Citiamo, ad esempio, la dolorosa vicenda dei
tre bambini abbandonati dal Comune e dalla Provincia di Milano, la cui vicenda
è stata denunciata da Prospettive assistenziali (cfr. il n. 61, gennaio-marzo
1983).
Ricoverati presso l'Ospedale Niguarda perché affetti
da salmonellosi, vengono dichiarati guariti dai sanitari e quindi potrebbero,
anzi dovrebbero essere dimessi.
Per il disinteresse degli enti preposti alla loro
assistenza, continuano a restare per un lungo periodo in ospedale.
Purtroppo non si tratta di un caso isolato. Un altro bambino,
ricoverato all'Ospedale Niguarda quando aveva 9 mesi, vi è rimasto ricoverato,
solo per il disinteresse degli enti pubblici fino all'età di due anni e mezzo,
nonostante che, da decenni, siano note le deleterie conseguenze della carenza
di cure familiari e della permanenza protratta in strutture di ricovero.
Problemi attualmente aperti per la tutela
dell'infanzia e concrete possibilità di azione
Oltre a promuovere l'applicazione della legge
184/1983 sull'adozione che, come abbiamo esaminato, è ancora ampiamente
violata, i gruppi di volontariato e le altre organizzazioni Interessate
potrebbero operare per l'approvazione della legge quadro sull'assistenza, di
norme regionali di riordino dei settore, l'affermazione della priorità degli
interventi domiciliari, la definizione di adeguati standards dei servizi, il
superamento delle strutture di ricovero, la preparazione e l'aggiornamento
dei personale, ecc. Dette richieste, anche per essere più incisive, dovrebbero
essere fatte partendo dalie disposizioni vigenti che, se attuate, rispondono
alle esigenze dei minori.
Andate in fumo alcune migliaia di miliardi di beni
destinati al più bisognosi
1. L'art. 102 della legge 17 luglio 1890 n. 6972, ancora
in vigore, stabilisce che «ogni anno il
Ministro dell'Interno deve presentare al Senato e alla Camera dei deputati una
relazione intorno ai provvedimenti dl concentramento, raggruppamento e
trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e dl
revisione dei relativi statuti e regolamenti emanati nell'anno precedente.
Deve pure presentare un elenco delle amministrazioni disciolte, coll’indicazione
dei motivi che avranno determinato lo scioglimento». La norma, introdotta
per evitare che potessero sfuggire al controllo pubblico i beni delle 21.819
IPAB individuate dalla Commissione reale di inchiesta sulle IPAB (25) con un
lavoro durato ben otto anni (1880-1888), è mai stata attuata. Tale omissione ha
consentito la sparizione di alcune migliaia di enti pubblici con i relativi
patrimoni.
Tale situazione omissiva è stata altresì favorita
dalla disapplicazione dell'art. 44 della legge 17 luglio 1890 n. 6972 che così
si esprime: «Al Ministro dell'interno
spetta l'alta sorveglianza sulla pubblica beneficenza. Esso invigila sul
regolare andamento delle istituzioni, ne esamina le condizioni, così nei
rapporti amministrativi, come in relazione ai loro fini, e cura l'osservanza
della presente legge, delle tavole di fondazione, degli statuti e dei
regolamenti. Per ogni provincia il prefetto incarica un consigliere di
prefettura di vigilare all'osservanza delle leggi in materia di pubblica
beneficenza». Nonostante la precisione delle citate norme di legge, i
Ministri dell'interno, i Prefetti (26) ed i Consiglieri di prefettura mai si
sono preoccupati di aggiornare anno per anno il censimento delle IPAB, con la
conseguenza che nel 1968 il Ministero dell'interno comunicava, senza fornire
altri elementi, che esse erano 9.407. Che fine abbiano fatto le 12.412 IPAB
risultanti in meno rispetto alle 21.819 accertate nel 1880 ed i relativi
patrimoni, nessuno lo sa e si preoccupa di saperlo.
2. Per assicurare la conservazione dei patrimoni delle
IPAB, il cui saccheggio era stato accertato dalla Commissione reale d'inchiesta
(27), la legge 6972/1890 stabilisce che i beni mobili e immobili non possono
essere utilizzati, neanche nel caso di riconversione patrimoniale, per le spese
di gestione.
Sovente detta norma è stata ed è ancora oggi
disapplicata, per cui numerosi beni sono stati e sono alienati anche per sanare
passività accumulate nell'amministrazione dell'ente oppure per altri motivi,
in particolare, per destinarli ad attività non assistenziali (28).
Quando
la magistratura è stata informata, ha fatto orecchie da mercante (29).
Altro elemento che ha consentito la dispersione
delle IPAB e dei relativi patrimoni è la disapplicazione del R.D. 4 febbraio
1915 n. 148, il cui articolo 132 prevede quanto segue: «Sono sottoposte al Consiglio comunale tutte le istituzioni fatte a
pro della generalità degli abitanti del Comune, o delle sue frazioni, alle
quali non siano applicabili le regole degli istituti di carità e beneficenza,
come pure gli interessi dei parrocchiani quando questi non sostengono qualche
spesa a termini di legge. Gli stessi stabilimenti di carità e beneficenza sono
soggetti alla sorveglianza del Consiglio comunale, il quale può sempre esaminare
l'andamento a vederne i conti» (30).
Parimenti disapplicate le norme dell'art. 81 della
legge 6972/1890 secondo cui «il sindaco
od un suo delegato, da scegliersi nel seno del Consiglio comunale, hanno
diritto di esaminare sul luogo tutti gli atti, contratti e registri delle amministrazioni,
riferendone nella prima tornata al Consiglio».
3. Altra inosservanza della legge, destinata anch'essa
a favorire la dispersione delle IPAB e dei relativi patrimoni, concerne l'art.
35 della legge 6972/1890 che prevede: «Le
istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza sono poste sotto la tutela
della Giunta provinciale amministrativa» (31).
4. Inoltre, la scomparsa dei patrimoni delle IPAB è
stata resa possibile dalla inosservanza da parte delle IPAB stesse degli
articoli 18 e 19 della legge 17 luglio 1890 n. 6972, i quali stabiliscono (art.
17): «Le amministrazioni delle
istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza devono tenere in corrente un
esatto inventario di tutti i beni mobili ed immobili, ed uno stato dei diritti,
crediti, pesi ed obbligazioni coi titoli relativi» e art. 18 «Dell'inventario e delle successive aggiunte
e variazioni è data comunicazione al sindaco e alla giunta provinciale
amministrativa nel termine e nelle forme stabilite dal regolamento».
L'inosservanza da parte delle IPAB di questa e di altre disposizioni della
legge 17 luglio 1890 n. 6972 e del relativo regolamento di attuazione approvato
con R.D. 5 febbraio 1891 n. 99 è anche, se non soprattutto, una conseguenza
delle inadempienze dei vari organi (Ministri dell'interno, Prefetti,
Consiglieri di prefettura addetti alla beneficenza, Consigli comunali, Sindaci,
ecc.) che non hanno rispettato la legge.
Anche il passaggio di competenze alle Regioni non ha
migliorato la situazione. Basti ricordare che la maggioranza di esse non ha
nemmeno provveduto a censire le IPAB.
Problemi attuali per la tutela dei beni delle IPAB
Come abbiamo esaminato, numerose sono le disposizioni
della legge 2972/1890 e del relativo regolamento d'attuazione, che ancora oggi
non sono rispettate. Dunque, specialmente in questo periodo in cui la classe
politica lamenta la mancanza di mezzi economici, i movimenti di base
dovrebbero intervenire per rivendicare l'osservanza delle sopra citate norme.
Il problema è di attualità, non solo per ottenere,
come abbiamo ricordato, che le leggi regionali stabiliscano, sull'esempio
della normativa del Piemonte, che i beni delle IPAB privatizzate ed i relativi
redditi sono destinati all'utenza del settore assistenziale, ma anche che gli
immobili delle IPAB trasferite ai Comuni devono essere utilizzati a favorire
dei cittadini più deboli.
È quanto da anni sta facendo il CSA affinché lo
stabile di Corso Francia 73, Torino, il cui valore è di 15-20 miliardi, già
appartenente all'IPAB Prinotti, i cui beni, dopo lo scioglimento dell'ente,
sono stati assegnati al Comune di Torino, venga destinato a mostra permanente
delle tecnologie per gli handicappati, a sede di formazione del personale
infermieristico, adibendo i restanti locali a centro per incontri anche seminariali.
La violazione del diritto alle cure sanitarie per gli
anziani e gli adulti cronici non autosufficienti
Diverse leggi dello Stato, a partire dal 1955 (32),
sanciscono l'obbligo delle cure sanitarie anche per gli adulti e anziani
cronici non autosufficienti. Ciò nonostante, tutti i giorni migliaia e
migliaia di soggetti con gravi situazioni patologi che sono rifiutati dal
settore sanitario; in particolare dagli ospedali, al punto che ormai si parla
apertamente di "eutanasia da abbandono" (33).
Va inoltre rilevata la costante violazione delle
leggi vigenti compiuta dai primari che dimettono i pazienti asserendo che essi
non hanno più necessità di cure ospedaliere (34). Da osservare che l'art. 41
della legge 12 febbraio 1968 n. 132 stabilisce che le ammissioni e le
dimissioni degli infermi dagli ospedali devono «ispirarsi al principio della obbligatorietà del ricovero nel caso in
cui ne sia accertata la necessità». Pertanto viene superato il concetto
della semplice constatazione medica della presenza di una malattia. Il criterio
della necessità impone una valutazione globale delle condizioni sanitarie e
sociali del malato. In sostanza per decidere su dimissioni e ammissioni occorre
partire dalle esigenze del malato e non da quelle dell'ospedale e degli
operatori (35).
La violazione delle leggi, operata dal 1955 ad oggi,
non riguarda solo il personale sanitario, ma, in primo luogo il Governo, i
Ministri della sanità, le Regioni, i Comuni e le USL (36) che non hanno
provveduto a istituire le strutture occorrenti per la cura dei pazienti
cronici non autosufficienti (37).
Disapplicata è altresì la legge 23 ottobre 1985 n.
595 che impone alle Regioni di istituire almeno un posto letto ogni mille
abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza riabilitativa (38).
Il decreto del Ministro della sanità del 13 settembre
1988 ribadisce l'obbligo di assicurare idonei interventi ai pazienti «con forme croniche stabilizzate o anziani
ultrasettantacinquenni abbisognevoli di trattamenti protratti di conservazione,
che sono impropriamente ricoverati in strutture per acuti a causa della
carenza di residenze sanitarie assistenziali extraospedaliere o dell'insufficiente
approntamento di forme alternative di ospedalizzazione domiciliare e di
assistenza domiciliare integrata». Anche queste disposizioni finora sono
rimaste totalmente disapplicate.
Costretti a pagare contributi non dovuti. Un caso di
distorta applicazione di norme
In base alle leggi vigenti gli enti pubblici non
possono costringere i parenti, nemmeno quelli tenuti agli alimenti, a
corrispondere contributi economici per interventi assistenziali rivolti a
congiunti assistiti. È invece noto che Comuni, Comunità montane, Province, USL
obbligano i familiari a versare somme anche rilevanti (fino a 50-60 lire al
giorno in Emilia Romagna), sia affermando falsamente che l'obbligo è stabilito
dagli artt. 433 e seguenti del codice civile (39), sia ponendo in atto veri e
propri ricatti, ad esempio condizionando l'intervento del servizio assistenziale
alla sottoscrizione da parte dei congiunti dell'impegno a pagare (40).
Finalmente, dopo anni di raccolta e trasmissione di
proposte, documentazione, proteste, volantinaggi, la Giunta della Regione
Piemonte, con le deliberazioni n. 332-8498 e 333-8499 del 2 agosto 1991 ha
stabilito che i parenti di anziani e handicappati ricoverati in RSA, residenze
sanitarie assistenziali, non sono tenuti a versare contributi economici agli
enti pubblici, confermando che spetta al ricoverato decidere se chiedere o
meno gli alimenti ai propri congiunti, alimenti che, se ottenuti, concorrono
alla formazione del suo reddito. Inoltre, le due delibere prevedono quanto
segue: «In nessun caso, comunque,
l'ingresso nella RSA (...) può essere subordinato alla sottoscrizione
dell'impegno al pagamento della retta da parte dei parenti».
Ovviamente, quanto è previsto nelle sopra citate
delibere dovrebbe essere applicato non solo alle RSA, ma anche a tutte le
strutture assistenziali gestite da enti pubblici.
Disapplicate le norme sulla prevenzione ed estinzione
degli incendi
Da parte degli istituti di ricovero di minori,
handicappati e anziani, sono ampiamente disapplicate anche attualmente le
norme concernenti la prevenzione ed estinzione degli incendi. Le inadempienze
riguardano i mezzi e gli strumenti di allarme e difesa dagli incendi, gli impianti
elettrici, le vie di fuga.
Al riguardo, è significativo che, in risposta alla
lettera inviata dal CSA ai Vigili del fuoco del Piemonte (41), i Comandi
provinciali di Novara, Torino e Vercelli dei Vigili stessi abbiano risposto
richiedendo l'elenco degli istituti, il che dimostra che i responsabili della
vigilanza nemmeno conoscevano gli indirizzi delle strutture da controllare.
I ricoverati negli ospedali devono sborsare quattrini
non dovuti
Com'è noto, molti sono gli ospedali che pretendono
dal ricoverato e dai suoi familiari la presenza di personale per prestazioni
(imboccamento, igiene della persona, sorveglianza, ecc.) che, in base alle
leggi vigenti, devono essere fornite dal Servizio sanitario nazionale.
Si tratta di un abuso che arriva a costare al
paziente e ai suoi congiunti anche 2-3 milioni al mese (42).
È evidente che occorre favorire l'intervento dei
familiari, ma è una violenza obbligarli a fare ciò che non sono tenuti a
svolgere e, ancor più a sborsare somme non indifferenti nei casi in cui le
prestazioni non possano essere assicurate da essi stessi.
Il Sindaco di Torino viola la legge sulle barriere
architettoniche
La legge finanziaria del 1986 prevedeva all'art. 32
che i Comuni dovevano provvedere, entro un anno, alla redazione del censimento
delle barriere architettoniche esistenti presso i propri edifici e alla
redazione dei piani per la loro eliminazione. Tali atti erano anche la condizione
per poter accedere ai fondi erogati a fondo perduto dallo Stato per il
finanziamento dei lavori di ristrutturazione edilizia.
Poiché a Torino non era stato né effettuato il
censimento, né elaborato il piano, un gruppo di organizzazioni (43), dopo aver
inoltrato inutilmente vari solleciti, hanno presentato in data 15 maggio 1989
al Pretore penale una denuncia contro il Sindaco di Torino, denuncia rimasta finora
senza alcun esito.
Vi è da osservare che per la predisposizione del
censimento e del piano, molto limitato sarebbe stato l'esborso economico a
carico del Comune di Torino.
Nella stessa denuncia veniva precisato che, in
difformità alla legislazione vigente, il Comune di Torino aveva continuato a
costruire e a ristrutturare edifici pubblici. Gli esempi riguardavano il nuovo
Museo del Cinema ed i servizi igienici "a cupola" installati nella
città.
Evasione dell'obbligo scolastico
Nonostante la gravità delle conseguenze per i
ragazzi, molto spesso appartenenti a famiglie in difficoltà, nulla o quasi
viene fatto da decenni per combattere l'evasione dall'obbligo scolastico e per
fare osservare le norme previste al riguardo.
In base al rapporto del CENSIS (44), ogni anno sono
ben 120 mila i ragazzi che non raggiungono nemmeno la licenza media inferiore.
Altri trucchi
In base alle esperienze dell'ANFAA, dell'ULCES, e
del CSA, si possono elencare ancora altri numerosi trucchi messi in atto da
politici e da amministratori per negare le esigenze ed i diritti dei più
deboli.
Di
questi atti riferiremo in un prossimo articolo.
(*) I precedenti articoli concernenti
le attività dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA sono apparsi su "Prospettive
assistenziali": "Esperienze di
volontariato promozionale", n. 79, luglio-settembre 1987; "Obiettivi, strumenti e criteri di
intervento del volontariato promozionale attuato dall'ANFAA, dall'ULCES e dal
CSA", n. 83, luglio-settembre 1988; "I diritti del cittadino debole, riferimento prioritario del
volontariato promozionale praticato dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA",
n. 87, luglio-settembre 1989; "I
comportamenti delle istituzioni pubbliche nelle esperienze dell'ANFAA,
dell'ULCES e del CSA", n. 88, ottobre-dicembre 1989; "Priorità delle iniziative culturali
per un positivo confronto con le istituzioni alla luce delle esperienze
dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA", n. 89, gennaio-marzo 1990; "L'azione rivendicativa condotta dall'ANFAA,
dall'ULCES e dal CSA”, n. 91, luglio-settembre 1990; "Le esperienze delI'ANFAA, dell'ULCES e del
CSA in materia di attuazione di leggi e di deliberazioni: un esempio
significativo in merito alla legge 431/1967 sull'adozione speciale”, n. 96,
ottobredicembre 1991.
(1) Cfr. I
comportamenti, op. cit.
(2) Le ricerche scientifiche
effettuate in materia dimostrano che, mentre - come è ovvio - vi sono casi di
abbandono da parte di familiari, questi eventi sono sporadici.
(3) Si osservi che la legge prevede la
nomina di un tutore per la persona non in grado di provvedere alla tutela dei
propri interessi. Gli amministratori degli enti pubblici sono tenuti a
segnalare all'autorità giudiziaria le persone nei cui confronti deve essere
aperto il procedimento di interdizione o di inabilitazione.
(4) Cfr. AA.VV., Quarta età e non autosufficienza, Edizioni T.E.R., 1988. Il volume
raccoglie i risultati di una indagine svolta dal Labos per conto della
Direzione dei Servizi civili del Ministero dell'interno. Al riguardo si veda
altresì F. Santanera, Ricerca Labos
sugli anziani non autosufficienti: metodologia e conclusioni fuorvianti,
in "Prospettive assistenziali", n. 82, aprile-giugno 1988.
(5) Va tuttavia rilevato che molto
spesso Regioni e Enti locali non utilizzano i finanziamenti loro concessi. Cfr.
“Inefficienza delle Regioni: non spesi i
fondi disponibili”, in “Prospettive assistenziali", n. 81,
gennaio-marzo 1988.
(8) Cfr. "La privatizzazione
delle IPAB, ovvero i poveri ancore più poveri» , in “Prospettive assistenziali”,
n. 90, aprile-giugno 1990. Nello stesso numero sono riportati i commenti di
Mons. G. Nervo e di M. Dogliotti alla sentenza della Corte costituzionale n.
398 del 24 marzo 1988.
(7) Detto R.D. non è stato abrogato esplicitamente.
(8) L'art. 2 del R.D. 6535/1889 è
ripreso dall'ancora vigente R.D. 6 maggio 1940 n. 835 "Regolamento per
l'esecuzione del testo unico delle leggi dl pubblica sicurezza 18 giugno 1931,
n. 773". Attualmente sono ritenuti inabili al lavoro i minori di anni 15.
(9) Il R.D. 383/1934 è stato abrogato
dalla legge 8 giugno 1990 n. 142 "Ordinamento delle autonomie locali»,
che tuttavia prevede che tutte le funzioni assistenziali spettano ora ai
Comuni. Per "mantenimento” si intende non solo quanto è necessario per il
vitto, ma anche tutto quanto è necessario per vivere.
(10) Ricordiamo che, prima
dell'approvazione del DPR 24 luglio 1977 n. 616, gli enti, organi e uffici di
assistenza erano oltre 50 mila.
(11) Nel 1962 erano ricoverati in istituto quasi 300 mila
minori.
(12) Si osservi che, invece, per i
nati fuori dal matrimonio la legge indicava, purtroppo, il ricovero come
intervento prioritario. Infatti l'art. 23 del R.D. 29 dicembre 1927 n. 2822
prevedeva quanto segue: «... I divezzi
che non vengono ritenuti (dai brefotrofi, n.d.r.) o ritirati dalle madri, sono di regola ricoverati, sino al terzo anno
di età, in un distinto reparto del brefotrofio o in altri istituti, a cura del
brefotrofio stesso, e allevati da apposito personale femminile che abbia
seguito corsi di puericultura. Dopo il terzo anno i fanciulli sono
preferibilmente collocati in appositi istituti (...). Qualora non siano
possibili le predette forme di assistenza, i fanciulli vengono affidati ad
allevatori esterni, possibilmente abitanti in campagna, che hanno diritto ad
una congrua retribuzione. Solo quando non possa essere collocato presso la
madre o la nutrice, il divezzo può essere affidato, per l'allevamento esterno,
ad altra persona».
(13) Com'è noto, attualmente per i
noti fenomeni sociali, il numero delle domande di adozione è superiore a quello
dei bambini dichiarati adottabili dai Tribunali per i minorenni.
(14) Cfr. "Le esperienze"..., op. cit. e "Assolto per aver violato la legge sull'adozione speciale”, in
“Prospettive assistenziali", n. 30, aprile-giugno 1985.
(15) L'ISTAT indica, inoltre, che
alla data del 1° gennaio 1988, erano ricoverati in istituto anche 20.667
persone aventi dai 15 ai 24 anni, senza precisare però quante di esse sono
minorenni.
(16) La sentenza è riportata integralmente in Prospettive assistenziali, n. 17,
gennaio-marzo 1972.
(17) I giornali riferiscono che sono stati impiegati ben
mille fra poliziotti e carabinieri.
(18) Le parti in corsivo sono tratte dalla sentenza del
Pretore Luciano Infelisi. Cfr. la nota 16.
(19) Ricordiamo, ancora una volta, lo
scandaloso provvedimento del giudice istruttore Alibrandi che ha ritenuto di
non rinviare a giudizio i dirigenti degli istituti che avevano omesso l'invio
al giudice tutelare degli elenchi dei minori ricoverati. Cfr. anche la nota
14.
(20) La sentenza del Pretore Infelisi
si sofferma, in particolare, sulla funzione di controllo degli istituti,
attribuita dalla legge all'ONMI e ad altre istituzioni.
(21) Cfr. B. Guidetti Serra - F.
Santanera (a cura di), Il Paese dei Celestini
- Istituti di assistenza sotto processo, Einaudi, Torino, 1973.
(22) Gli articoli 23, 24 e 25 del
R.D. 24 dicembre 1934 n. 2316 "Testo unico delle leggi sulla protezione e
l'assistenza della maternità e dell'infanzia" riguardano il divieto di
adibire i minori dl anni 18, anche da parte dei relativi genitori, ascendenti
e tutori, ai mestieri girovaghi di qualsiasi natura; la somministrazione ai
minori stessi di bevande alcooliche e la punizione con ammenda di coloro che
vendono o somministrano tabacco ai fanciulli di età superiore ai 16 anni.
(23) Cfr. la nota
21.
(24) I suddetti DPR dovevano essere
attuati almeno fino al 1978, anno di entrata in vigore della legge di riforma
sanitaria.
(25) Dall'indagine erano state
escluse le istituzioni di beneficenza mantenute unicamente della carità privata
mediante elargizioni temporanee, i monti di pietà e le altre opere «che hanno
ufficio presso Istituti di credito».
(26) Al Prefetto spettano altresì i
poteri di intervento nei casi di emergenza. Da anni le Regioni hanno competenze
importanti in materia di IPAB.
(27) La Commissione reale d'inchiesta
sulle IPAB, che ha operato dal 1880 al 1888, ha accertato gravissime irregolarità:
mancanza di statuti, di regolamenti, di inventari dei beni, di bilanci preventivi
e di conti consuntivi; costituzione di clientele; irregolarità negli appalti e
nei contratti; patrimoni usurpati; controlli carenti o inesistenti. Cfr. M.
Tortello e F. Santanera, L'assistenza
espropriata - I tentativi di salvataggio delle IPAB e la riforma
dell'assistenza, Nuova Guaraldi Editrice, Firenze, 1982.
(28) Cfr. gli art. 28 della legge 17 luglio 1890 n. 6972 e
75 del R.D. 5 febbraio 1891 n. 99.
(29) È il caso dell'esposto
presentato dall'ANFAA e dall'ULCES circa le sottrazioni di 500 milioni dal
patrimonio dell'IPAB "Casa Benefica", illegalmente destinati a coprire
un passivo di gestione.
(30) Queste disposizioni sono state
rimesse in vigore dal R.D. 4 aprile 1944, n. 11, dopo essere state abrogate dal
T.U. 3 marzo 1934 n. 383. Cfr. G. Mazzoni e R. Catelani, "Codice della
legislazione assistenziale", Istituto Poligrafico dello Stato, Roma,
1958, p. 236.
(31) La Giunta provinciale
amministrativa è stata sostituita dal Comitato provinciale di assistenza e
beneficenza pubblica, in base al decreto legislativo luogotenenziale 23 marzo
1945 n. 173.
(32) Ricordiamo la legge 4 agosto
1955 n. 692, il decreto del Ministro del lavoro 21 dicembre 1956, le leggi 12
febbraio 1968 n. 132 (in particolare gli artt. 29 e 41), 13 maggio 1978 n. 180
e 23 dicembre 1978 n. 833. Cfr. F. Santanera e M.G. Breda, Vecchi da morire - Libro bianco sui diritti violati degli anziani
malati cronici, Rosenberg & Sellier, Torino, 1987, e F. Santanera e
M.G. Breda, Per non morire d'abbandono -
Manuale di autodifesa per pazienti, familiari, operatori e volontari,
Rosenberg & Sellier, Torino, 1990.
(33) Cfr. AA.VV., Eutanasia da abbandono - Anziani cronici
non autosufficienti: nuovi orientamenti culturali e operativi, Rosenberg
& Sellier, Torino, 1988.
(34) L'art. 7 del decreto
presidenziale 27 marzo 1968 n. 128 "Ordinamento interno dei servizi
ospedalieri" precisa giustamente che «il
primario (...) provvede a che le degenze non si prolunghino oltre il tempo
strettamente necessario agli accertamenti diagnostici e alle cure», senza
alcun riferimento alle cure di natura ospedaliera.
(35) Al riguardo si veda la sentenza
del Tribunale di Savona del 31 maggio 1958: «Il ricovero deve essere necessario soggettivamente e non
oggettivamente, perché l'ammalato non è in grado di discutere la diagnosi del
dottore e nemmeno sono in grado di farlo a distanza di tempo i medici
dell'INAM e tanto meno i suoi dipendenti del ramo amministrativo, in quanto
anche una malattia che normalmente può essere curata in casa può rendere
necessario il ricovero del malato in ospedale». Foro Italiano, 1959/1859.
(36) Da sottolineare che il
Parlamento non è mai intervenuto per chiedere il rispetto delle leggi
approvate dal Parlamento stesso.
(37) L'art. 29 della legge 12
febbraio 1968 n. 132, tuttora in vigore, sancisce quanto segue: «Ciascuna Regione provvede a programmare i
propri interventi nel settore ospedaliero (...) in relazione al fabbisogno dei
posti letto distinti per acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti».
Detta norma è ribadita dall'art. 62 della stessa legge. Occorre aggiungere che
la legge 132/1968 prevedeva in particolare (cfr. l'art. 25) la creazione di
reparti e ospedali per lungodegenti e per convalescenti.
(38) Cfr. il documento "Cronicità, lungodegenza,
riabilitazione alla luce della legge 595/1985 e del decreto 13 settembre
1988", in Prospettive assistenziali,
n. 87, lugliosettembre 1989.
(39) Cfr. M. Dogliotti, «Gli enti
pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti tenuti agli
alimenti di persone assistite", in Prospettive
assistenziali, n. 87, luglio-settembre 1989.
(40) Cfr. M. Dogliotti, op. cit. Si
noti che il Comune di Torino finora non si è mai rivolto all'autorità
giudiziaria nei confronti dei parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti,
che, dopo aver sottoscritto l'impegno di pagare al Comune stesso contributi
concernenti rette dl ricovero in istituti, hanno disdettato tale impegno. Cfr.
F. Santanera e M.G. Breda, Per non morire
d'abbandono, op. cit.
(41) La lettera è stata spedita anche
al Presidente e all'Assessore all'assistenza della Regione Piemonte, ai
Prefetti, si Sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 10 mila abitanti,
ai Presidenti delle USL piemontesi.
(42) Segnaliamo questa esperienza
esemplare: qualora i loro familiari non siano in grado di provvedere o il
ricoverato non abbia congiunti, le prestazioni sono fornite dall'ospedale
Santa Maria della Croce di Ravenna. Cfr. L. Nardozzi - A. Zaffi - M.
Pieratelli, Le "badanti" in
ospedale: una sperimentazione innovativa, in "Prospettive assistenziali",
n. 83, luglio-settembre 1988.
(43) La denuncia penale è stata
presentata dalle seguenti organizzazioni: Lega per il Diritto al Lavoro degli
Handicappati, Coordinamento Para Tetraplegici; Sezione di Torino
dell'Associazione Italiana Assistenza agli Spastici, Unione per la lotta
contro 1'Emarginazione Sociale, Associazione Italiana Sclerosi Multipla e
dall'Unione Lotta alla Distrofia Muscolare.
(44) Cfr. Prospettive
assistenziali, n. 74, aprile-giugno 1986.
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