Prospettive assistenziali, n. 98, aprile-giugno 1992

 

 

LA VICENDA DEL FATEBENEFRATELLI DI VENEZIA: INTERVIENE IL CENTRO PER I DIRITTI DEL CITTADINO

 

 

Nel n. 97, gennaio-marzo 1992, abbiamo pubblicato i pareri dei Professori Pietro Rescigno e Massimo Dogliotti in merito alla vicenda del Fatebenefratelli di Venezia (1).

Pubblichiamo ora la presa di posizione del Centro per i diritti del cittadino di Roma redatta in data 7 febbraio 1992 da I. Giacomeli, G. Lombardi, U. Procopio e F. Venditti.

 

Ogni giorno di più possiamo constatare quan­te e quali contraddizioni esprime la nostra so­cietà e come siano, per questo, spesso violati, in danno dei più deboli, i diritti della persona rico­nosciuti come cardini del vivere civile dalla no­stra Costituzione.

Così il diritto alla salute, diritto fondamentale del cittadino ed interesse primario della collettività (art. 32 Cost.) viene compresso e mutilato dall'egoismo sociale della società del benesse­re e dalle istituzioni incapaci di esprimersi pro­prio là dove sarebbe più necessario in una dina­mica d'intervento e servizio corrispondente ai consacrati principi costituzionali di solidarietà sociale (art. 2 e 3 Cost.).

Così il caso del "Fatebenefratelli" di Venezia, pur nella sua specificità, evidenzia quella ten­denza strisciante di modificare di fatto i valori su cui si fonda la nostra società. La vicenda, nella sua drammaticità, è un riferimento esemplare di come vengono affrontati in questa società i pro­blemi dei più deboli ed in particolare degli an­ziani. Società che nel 2000 avrà un terzo dei suoi cittadini ultrasessantacinquenni.

Nel luglio del 1988 il reparto di lungodegenza dell'ospedale Fatebenefratelli di Venezia, deci­deva di dimettere un'anziana donna (novanten­ne) dopo che questa aveva terminato la terapia medica. Di tale circostanza venivano messi a conoscenza i figli, i quali si opponevano alle di­missioni, eccependo l'impossibilità, dovuta dalle loro precarie condizioni economiche e di salute, ad offrire alla propria congiunta adeguate cure. La struttura sanitaria di fronte all'opposizione dei familiari addebitava loro la retta giornaliera di degenza, attivando anche un ricorso, in sede civile, per ottenere il pagamento del preteso credito.

Epilogo della vicenda: il Giudice per le Indagi­ni Preliminari di Venezia accoglieva la richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico Ministero, for­mulata a carico dei familiari della anziana rico­verata per il reato di cui all'art. 591 c.p. (Abban­dono di persona incapace).

La vicenda merita di essere approfondita con serietà per i drammatici risvolti che essa espri­me, analizzandola proprio partendo dalle norme civili e penali in materia, che sono alla base del ricorso civile e dell'azione penale.

Ci sembra opportuno a tal proposito, riportare sinteticamente le posizioni espresse in merito alla vicenda dal Prof. U. Rescigno e dal Prof. M. Dogliotti che sono da noi pienamente condivise.

Dal punto di vista civilistico il Prof. Rescigno ritiene insussistente la pretesa obbligazione nei confronti dei familiari, facendo notare che il ri­chiamo alle norme degli art. 315, 230 bis e 433 c.c. non è pertinente in quanto:

- nella disciplina prevista dall'art. 315 c.c. (Doveri del figlio verso il genitore) non rientrano le obbligazioni di carattere patrimoniale;

- la collaborazione domestica prestata dalla vecchia madre nell'ambito della famiglia, non è titolo per la pretesa che l'amministrazione fa va­lere in via surrogatoria rispetto al soggetto cre­ditore al mantenimento;

- quanto agli obblighi alimentari e al modo di somministrare gli alimenti, nel nostro sistema l'obbligo si configura come avente per oggetto la prestazione periodica di somme di denaro a titolo di assegno alimentare. La possibilità di ac­cogliere e mantenere nella propria casa è una facoltà rimessa alla volontaria scelta dell'obbli­gato.

Il Prof. Dogliotti analizzando la vicenda dal punto di vista penate, sostiene che «non può ri­tenersi coincidente l'obbligo di custodia e cura indicato dall'art. 591 c.p., con l'obbligo previsto dall'art. 433 c.c.»; che comunque, quest'ultimo, non prevede un obbligo ad accogliere e mante­nere nella propria casa il titolare dell'obbligazio­ne, limitandosi ad attribuire solo una facoltà di farlo.

Oltre agli elementi evidenziati dai due noti giu­risti, riteniamo che nella fattispecie sia ravvisa­bile anche un altro aspetto non trascurabile: il soggetto che può compiere il reato previsto dall'art. 591 c.p. non è chiunque, ma soltanto colui che si trovi in un preciso rapporto con l'in­capace (l'anziana, per quanto attiene al caso di specie), e precisamente «chi ne debba avere la cura». L'abbandono, perciò, presuppone il ces­sare di una relazione con il soggetto destinata­rio delle cure. Pertanto per la sussistenza del reato è necessario che sia violato un preesi­stente obbligo e, soprattutto, che dal fatto derivi una situazione di pericolo per l'incapace.

Nella fattispecie a noi sembrano insussistenti gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 591 c.p. Il diniego dei familiari a ricondurre a casa l'ammalata era fondato sullo stato di salute della stessa, bisognosa di adeguate cure mediche ed attrezzature ospedaliere che nessun familiare avrebbe mai potuto assicurare alla degente in una qualsiasi abitazione privata.

Il permanere della paziente nella struttura sa­nitaria era l'unica condizione, al momento, che (a ponesse al riparo da eventuali pericoli per la sua salute.

Tale concetto è possibile ravvisarlo in una sentenza emessa dal Tribunale di Ferrara il 6/10/1953 che ha ritenuto la insussistenza del reato nell'ipotesi in cui i familiari di una vecchia paralitica, ricoverata in ospedale, si siano rifiu­tati di riprenderla a casa, violando l'obbligo as­sunto verso l'amministrazione dell'ospedale di riprendere la degente dopo un certo tempo, poi­ché, avendo l'incapace tutte le cure richieste dal suo stato, non si è ravvisato l'estremo del peri­colo.

Il diritto degli anziani cronici non autosuffi­cienti alle cure ospedaliere è sancito dalla legge che specificatamente dispone:

- l'assistenza sanitaria deve essere fornita senza limiti di durata alle persone colpite da ma­lattie specifiche della vecchiaia (legge 692/55);

- le Regioni devono programmare i posti letto degli ospedali tenendo conto delle esigenze dei malati «acuti, cronici, convalescenti e lungode­genti» (legge 132/68);

- le USL devono provvedere alla «tutela della salute degli anziani anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che possono concor­rere alla loro emarginazione» (legge 833/78).

Concludendo riteniamo che i congiunti della vecchia signora, poste le condizioni di fatto per come note, non possono essere raggiunti da re­sponsabilità né penale né civile.

La vicenda del Fatebenefratelli di Venezia ol­tre ad evidenziare la drammaticità della situazio­ne in cui versano gli anziani cronici non autosuf­ficienti, l'inettitudine e l'ignavia delle strutture assistenziali pubbliche, dimostra anche a quale tipo di pressione giungono le strutture ospeda­liere per liberarsi di un "peso scomodo".

 

 

(1) Cfr. "Il Fatebenefratelli di Venezia viola il diritto alle cure di una anziana cronica non autosufficiente: la magi­stratura non processa l'ente ma i familiari", in Prospettive assistenziali, n. 95, luglio-settembre 1991.

 

 

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