LA VICENDA DEL FATEBENEFRATELLI DI
VENEZIA: INTERVIENE IL CENTRO PER I DIRITTI DEL CITTADINO
Nel n. 97,
gennaio-marzo 1992, abbiamo pubblicato i pareri dei Professori Pietro Rescigno
e Massimo Dogliotti in merito alla vicenda del Fatebenefratelli di Venezia (1).
Pubblichiamo
ora la presa di posizione del Centro per i diritti del cittadino di Roma
redatta in data 7 febbraio 1992 da I. Giacomeli, G. Lombardi, U. Procopio e F.
Venditti.
Ogni giorno di più possiamo constatare quante e
quali contraddizioni esprime la nostra società e come siano, per questo,
spesso violati, in danno dei più deboli, i diritti della persona riconosciuti
come cardini del vivere civile dalla nostra Costituzione.
Così il diritto alla salute, diritto fondamentale del
cittadino ed interesse primario della collettività (art. 32 Cost.) viene
compresso e mutilato dall'egoismo sociale della società del benessere e dalle
istituzioni incapaci di esprimersi proprio là dove sarebbe più necessario in
una dinamica d'intervento e servizio corrispondente ai consacrati principi
costituzionali di solidarietà sociale (art. 2 e 3 Cost.).
Così il caso del "Fatebenefratelli" di
Venezia, pur nella sua specificità, evidenzia quella tendenza strisciante di
modificare di fatto i valori su cui si fonda la nostra società. La vicenda,
nella sua drammaticità, è un riferimento esemplare di come vengono affrontati
in questa società i problemi dei più deboli ed in particolare degli anziani.
Società che nel 2000 avrà un terzo dei suoi cittadini ultrasessantacinquenni.
Nel luglio del 1988 il reparto di lungodegenza
dell'ospedale Fatebenefratelli di Venezia, decideva di dimettere un'anziana
donna (novantenne) dopo che questa aveva terminato la terapia medica. Di tale
circostanza venivano messi a conoscenza i figli, i quali si opponevano alle dimissioni,
eccependo l'impossibilità, dovuta dalle loro precarie condizioni economiche e
di salute, ad offrire alla propria congiunta adeguate cure. La struttura
sanitaria di fronte all'opposizione dei familiari addebitava loro la retta
giornaliera di degenza, attivando anche un ricorso, in sede civile, per
ottenere il pagamento del preteso credito.
Epilogo della vicenda: il Giudice per le Indagini
Preliminari di Venezia accoglieva la richiesta di rinvio a giudizio del
Pubblico Ministero, formulata a carico dei familiari della anziana ricoverata
per il reato di cui all'art. 591 c.p. (Abbandono di persona incapace).
La vicenda merita di essere approfondita con serietà
per i drammatici risvolti che essa esprime, analizzandola proprio partendo
dalle norme civili e penali in materia, che sono alla base del ricorso civile e
dell'azione penale.
Ci sembra opportuno a tal proposito, riportare
sinteticamente le posizioni espresse in merito alla vicenda dal Prof. U.
Rescigno e dal Prof. M. Dogliotti che sono da noi pienamente condivise.
Dal punto di vista civilistico il Prof. Rescigno
ritiene insussistente la pretesa obbligazione nei confronti dei familiari,
facendo notare che il richiamo alle norme degli art. 315, 230 bis e 433 c.c.
non è pertinente in quanto:
- nella disciplina prevista dall'art. 315 c.c.
(Doveri del figlio verso il genitore) non rientrano le obbligazioni di
carattere patrimoniale;
- la collaborazione domestica prestata dalla vecchia
madre nell'ambito della famiglia, non è titolo per la pretesa che
l'amministrazione fa valere in via surrogatoria rispetto al soggetto creditore
al mantenimento;
- quanto agli obblighi alimentari e al modo di
somministrare gli alimenti, nel nostro sistema l'obbligo si configura come
avente per oggetto la prestazione periodica di somme di denaro a titolo di
assegno alimentare. La possibilità di accogliere e mantenere nella propria
casa è una facoltà rimessa alla volontaria scelta dell'obbligato.
Il Prof. Dogliotti analizzando la vicenda dal punto
di vista penate, sostiene che «non può ritenersi coincidente l'obbligo di
custodia e cura indicato dall'art. 591 c.p., con l'obbligo previsto dall'art.
433 c.c.»; che comunque, quest'ultimo, non prevede un obbligo ad accogliere e
mantenere nella propria casa il titolare dell'obbligazione, limitandosi ad
attribuire solo una facoltà di farlo.
Oltre agli elementi evidenziati dai due noti giuristi,
riteniamo che nella fattispecie sia ravvisabile anche un altro aspetto non
trascurabile: il soggetto che può compiere il reato previsto dall'art. 591 c.p.
non è chiunque, ma soltanto colui che si trovi in un preciso rapporto con l'incapace
(l'anziana, per quanto attiene al caso di specie), e precisamente «chi ne debba
avere la cura». L'abbandono, perciò, presuppone il cessare di una relazione
con il soggetto destinatario delle cure. Pertanto per la sussistenza del reato
è necessario che sia violato un preesistente obbligo e, soprattutto, che dal
fatto derivi una situazione di pericolo per l'incapace.
Nella fattispecie a noi sembrano insussistenti gli
elementi costitutivi del reato di cui all'art. 591 c.p. Il diniego dei
familiari a ricondurre a casa l'ammalata era fondato sullo stato di salute
della stessa, bisognosa di adeguate cure mediche ed attrezzature ospedaliere
che nessun familiare avrebbe mai potuto assicurare alla degente in una
qualsiasi abitazione privata.
Il permanere della paziente nella struttura sanitaria
era l'unica condizione, al momento, che (a ponesse al riparo da eventuali
pericoli per la sua salute.
Tale concetto è possibile ravvisarlo in una sentenza
emessa dal Tribunale di Ferrara il 6/10/1953 che ha ritenuto la insussistenza
del reato nell'ipotesi in cui i familiari di una vecchia paralitica, ricoverata
in ospedale, si siano rifiutati di riprenderla a casa, violando l'obbligo assunto
verso l'amministrazione dell'ospedale di riprendere la degente dopo un certo
tempo, poiché, avendo l'incapace tutte le cure richieste dal suo stato, non si
è ravvisato l'estremo del pericolo.
Il diritto degli anziani cronici non autosufficienti
alle cure ospedaliere è sancito dalla legge che specificatamente dispone:
- l'assistenza sanitaria deve essere fornita senza
limiti di durata alle persone colpite da malattie specifiche della vecchiaia
(legge 692/55);
- le Regioni devono programmare i posti letto degli
ospedali tenendo conto delle esigenze dei malati «acuti, cronici, convalescenti
e lungodegenti» (legge 132/68);
- le USL devono provvedere alla «tutela della salute
degli anziani anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che
possono concorrere alla loro emarginazione» (legge 833/78).
Concludendo riteniamo che i congiunti della vecchia
signora, poste le condizioni di fatto per come note, non possono essere
raggiunti da responsabilità né penale né civile.
La vicenda del Fatebenefratelli di Venezia oltre ad
evidenziare la drammaticità della situazione in cui versano gli anziani
cronici non autosufficienti, l'inettitudine e l'ignavia delle strutture
assistenziali pubbliche, dimostra anche a quale tipo di pressione giungono le
strutture ospedaliere per liberarsi di un "peso scomodo".
(1) Cfr. "Il Fatebenefratelli di
Venezia viola il diritto alle cure di una anziana cronica non autosufficiente:
la magistratura non processa l'ente ma i familiari", in Prospettive assistenziali, n. 95,
luglio-settembre 1991.
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