LE
PICCONATE CONTRO LA LEGGE 184
PIERGIORGIO GOSSO
2. Se si
dovesse tracciare la "storia" dell'adozione dei minori in Italia (e
qualcuno un giorno dovrà pur scriverla), sarebbe assai istruttivo soffermarsi
sulle tappe principali che di volta in volta hanno accompagnato le fasi della
sua introduzione, del suo sviluppo e della sua trasformazione nel corso degli
anni.
Per
limitarci qui ad una estrema sintesi, non si può fare a meno di ricordare,
innanzi tutto, che per garantire ai minori privi di genitori o con genitori
incapaci di allevarli il diritto alla pienezza degli affetti familiari con il
varo della legge 431 del 5 giugno 1967 fu necessario sostenere una dura lotta
contro resistenze di varia natura e di risalente origine storica, ancora ferme
alla concezione tradizionale della tutela dell'infanzia abbandonata intesa
come un mero intervento assistenziale imperniato sulla istituzionalizzazione,
e tutte attestate sulla difesa ad oltranza dei privilegi della "famiglia
di sangue".
L'introduzione
a pieno titolo del minore abbandonato nella famiglia di accoglienza e la
totale equiparazione giuridica degli effetti dell'adozione al regime della
filiazione legittima fu a lungo sentita nel comune modo di pensare come un
artificio legale che si poneva in contrasto con i dati dell'esperienza
naturale, e soltanto una paziente e capillare opera di penetrazione culturale e
sociale riuscì in un successivo arco di tempo a far passare quella profonda
rinnovazione del costume - sorretta dalla contestuale riforma del diritto di
famiglia e da una più attenta considerazione dei princípi fondamentali della
nostra carta costituzionale - che ridisegnò l'adozione dei minori come
l'estrinsecazione, nel campo dell'infanzia, dei diritti della persona umana.
2. Si andava
così affermando l'esigenza prioritaria di dare concreta realizzazione - su di
un piano autenticamente familiare - alla difesa dei soggetti più deboli, in una
scala di valori in cui la cura del fanciullo passava dall'antica funzione
"protettiva" ad una più compiuta finalità di stampo educativo, nella
consapevolezza che il nucleo primario in cui si forma la personalità
dell'individuo non può che essere la cellula familiare, la quale deve essere
assicurata ad ogni bambino per tutta la durata della sua crescita, così come
deve rappresentare un settore di intervento in cui lo Stato ha il potere-dovere
di incidere ogni qual volta si tratti di prevenire o di reprimere gli abusi
all'infanzia che si commettono nel chiuso delle istituzioni familiari. Era
nata una seconda fase, quella che oggi si suol definire come la "cultura
dell'adozione”, e che veniva a trovare la sua traduzione giuridica
nell'articolata disciplina normativa delineata dalla legge 184 del 4 maggio
1983 sull'adozione e sull'affidamento dei minori, tuttora in vigore.
3. Nello spazio
di circa quindici anni si era così arrivati ad una regolamentazione organica
dell'adozione, perfezionando una linea di sviluppo e di programmazione sociale
che vedeva protagonista la figura del minore, il cui ingresso nella famiglia
di accoglienza era finalmente realizzato come inserimento con effetti uguali
alla procreazione responsabile, in un concetto di famiglia prioritariamente
incentrato sull'educazione e sugli affetti. Nello stesso contesto erano
esaltate le risorse della solidarietà per sopperire alle difficoltà educative
di tipo transitorio (ed eccezionale) dei nuclei familiari (l'affidamento),
così come era data una dettagliata regolamentazione al fenomeno dell'adozione
internazionale (in precedenza lasciata in balìa di prassi prive di ogni serio
controllo giudiziario), parificandolo il più possibile all'adozione interna.
Gli anni che
sono seguiti a questa produzione legislativa sono stati assai intensi, permeati
da sollecitazioni e da problematiche di diversa natura e di grande impegno
sociale, ed attraversati da non poche contraddizioni e disomogeneità, a fronte
di una realtà assai variegata e ricca di chiaroscuri, ed anche a causa dei
vistosi divari culturali esistenti tra le varie zone geografiche e culturali
del paese.
4. In ogni
caso, sembra legittimo poter affermare che si è passati durante quest'ultimo
periodo ad una nuova fase che potremmo definire di "liberalizzazione
dell'adozione", nel senso che - anche sotto l'impulso di ricorrenti fatti
di cronaca e con l'influsso di atteggiamenti poco meditati degli organi di
informazione - si è preso atto dell'alto numero dei minori che continuano ancora
oggi ad essere ricoverati negli istituti per l'infanzia abbandonata per
contrapporre questo dato alle critiche riguardanti la macchinosità, la lentezza
ed il preteso fiscalismo delle procedure relative al vaglio delle domande di
adozione (che sono, come si sa, eccedenti rispetto alle dichiarazioni di
adottabilità), invocando l'introduzione di meccanismi che facilitino e
incrementino le adozioni, anziché selezionarle. Questa tendenza si è
ultimamente accentuata in maniera notevole, facendosi appello anche ad un altro
dato suggestivo, e cioè all'immenso numero di minori che si trovano in situazione
di totale abbandono nelle nazioni sottosviluppate e che potrebbero essere
adottati in Italia.
Sta di fatto
che, in questi ultimi anni, è in atto una vera e propria "corsa" alla
adozione internazionale, in cui l'attenzione verso le esigenze dell'infanzia
abbandonata si è andata spostando, in maniera più o meno inavvertita, verso
l'angolo visuale delle esigenze degli adulti desiderosi di ricevere un bambino
in adozione. Questo fenomeno, favorito anche dal ricorso indiscriminato ai
canali privati per ottenere all'estero l'affidamento di minori da adottare e
dalle carenze degli organi dello Stato nel dar corso al riconoscimento ed al
controllo delle organizzazioni previste dall'articol0 38 della
legge 184 per lo svolgimento delle pratiche di adozione internazionale e nel
predisporre accordi bilaterali con gli Stati di provenienza dei minori (ed
ulteriormente incentivato da dichiarazioni di idoneità affrettatamente e superficialmente
rilasciate da alcuni Tribunali per i minorenni e da svariate Corti d'appello),
ha fatto sì che siano aumentati in misura allarmante i casi di adozioni
irregolari e di adozioni non riuscite, quando non anche i casi di
"mercato" dei bambini (si veda, in proposito, quanto pubblicato su
questa rivista sullo scandalo dei bambini comprati in Salvador e in Brasile) (1).
Le
conseguenze di tutto ciò sono facilmente immaginabili: scarsi o inesistenti
verifiche circa la reale capacità degli adottanti ad educare e atteggiamenti
tolleranti circa l'omesso rispetto dei limiti di età che la legge prescrive per
far sì che l'esperienza adozionale avvenga con le risorse fisiche e psichiche
indispensabili per realizzare un rapporto genitoriale a tutti i livelli (la
cosiddetta "imitatio naturae").
5. È in questa
temperie che va letta non senza preoccupazione una recente sentenza della Corte
costituzionale (1° aprile 1992, n. 148), con la quale è stata dichiarata
l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6, comma secondo, della legge 184
nella parte in cui non consente l'adozione di uno o più fratelli in stato di
adottabilità quando per uno di essi l'età degli adottanti supera di più di
quarant'anni l'età dell'adottando, e dalla separazione deriva un danno grave
per il venir meno della comunanza di vita e di educazione (cfr., in questo numero,
l'articolo "Sentenza inquietante della Corte costituzionale").
6. A questo
punto ci sia consentito di mettere in evidenza un altro pericolo ancor più
serio che si sta profilando all'orizzonte nel settore delle adozioni: e cioè
il pericolo che in nome di un presunto "interesse" del minore
finiscano per prendere piede delle prassi che in concreto vadano, viceversa,
ad assecondare prevalentemente, se non esclusivamente, le aspettative degli
adulti. E questa preoccupazione deve essere espressa con estrema fermezza per
quanto riguarda la questione che quanto prima la Corte costituzionale dovrà
esaminare in merito all'eccezione di incostituzionalità sollevata dalla Corte
d'appello di Venezia con riferimento all'attuale testo dell'articolo 27 della
legge 184, nella parte in cui non prevede la revoca dell'adozione legittimante
di un minore (ordinanza 20 dicembre 1991).
Il caso, da
quel poco che si riesce a capire dalla lettura dell'ordinanza dei giudici,
sembra essere il seguente. Una coppia ha chiesto al Tribunale per i minorenni
la revoca dell'adozione di un minore da essa adottato, essendosi il ragazzo
(non ne è indicata l'età, né è indicata quella dei genitori adottivi)
«allontanato dall'abitazione per andare a vivere con la madre naturale».
Orbene, la Corte di Venezia, nell'accogliere l'eccezione sollevata dai legali
della coppia, scrive che, nei casi di "fallimento" del rapporto
adozionale, la revoca dell'adozione si porrebbe come una doverosa forma di
"protezione" dell'adottato, qualora si sia in presenza di «gravi
motivi da valutare dal giudice caso per caso» (come, ad esempio, la possibilità
di un ripristino dei rapporti con i genitori di origine): soluzione, questa,
che ad opinione di quella Corte sarebbe la stessa che è stata accolta a suo
tempo dalla Convenzione europea di Strasburgo sull'adozione di minori del 24
aprile 1967 - ratificata dall'Italia i125 maggio 1976 - e precisamente
dall'articolo 13, oltre ad essere raccomandata dalla considerazione che escludere
ogni possibilità di revoca dell'adozione (ad eccezione di quella consentita
dagli articoli 51 e seguenti della legge 184 per l'adozione in casi particolari)
spingerebbe «al di là del necessario» la «finzione di biologicità della
filiazione adottiva» (sic!).
In questi
tempi di "picconate", siamo ormai abituati al peggio. Ciò non toglie
che questo maldestro tentativo di demolire dalle sue fondamenta l'istituto
dell'adozione debba essere respinto con ogni energia. Accondiscendervi anche
solo con riserva significherebbe semplicemente annullare con un colpo di
spugna la profonda ragion d'essere dell'istituto, azzerando quella "cultura
dell'adozione" acquisita grazie ad una integrale evoluzione del costume,
facendoci precipitare ai tempi in cui l'adozione era circoscritta al rango di
palliativo dell'abbandono, un'opera di misericordia e di carità lasciata
all'insindacabile e volubile disponibilità degli adottanti.
Dev'essere
chiaro, al contrario, che la scelta adozionale introdotta dal legislatore del
1967 e poi perfezionata da quello del 1983 si identifica per sua stessa essenza
con il rapporto familiare tout court, attraverso l'instaurazione di un vincolo
di genitorialità responsabili, rappresentando la matrice di quella rete di
educazione e di amore che, allo stesso modo della filiazione naturale, può
essere recisa soltanto da una situazione di rifiuto o di incapacità
irreversibili. Pensare, allora, di rivolgersi al giudice per chiedergli di
annullare il rapporto di filiazione, sia che si tratti di figli biologici, sia
che si tratti di figli adottivi, non può che avere sempre e soltanto un unico
significato: quello di abdicare alla propria figura di genitore. E questo
equivale a riaprire per il figlio, per qualsiasi figlio, l'odissea
dell'abbandono. Allo stesso modo del figlio respinto da chi lo ha generato.
È davvero triste dover ritornare ancora
una volta su questi discorsi.
A mero
titolo di postilla, è appena il caso di ricordare, infine, che l'affermazione
della Corte di Venezia, secondo la quale nell'escludere la revoca dell'adozione
piena dei minori la legislazione italiana non si sarebbe attenuta al dettato
dell'articolo 13 della convenzione di Strasburgo, è semplicemente frutto di un
grossolano abbaglio, poiché il senso di tale disposizione è quello di
raccomandare, a quegli Stati che ammettono ancora la revoca dell'adozione, di
farla almeno dipendere non dalla esclusiva volontà dei privati, ma di
affidarla al sindacato decisionale dell'autorità statale.
TESTO DELL'ORDINANZA DELLA
CORTE DI APPELLO, SEZIONE MINORI DI VENEZIA
La Corte di appello ha pronunciato la seguente
ordinanza nella causa promossa in appello con ricorso depositato il 28 giugno
1991 da G.A e R.A., rappresentati e difesi dall'avv. M.L.M. per mandato a
margine del ricorso ex art. 742 del c.p.c., con domicilio eletto nello studio
della stessa in Mestre, via Q.; reclamanti, con l'intervento del p.g. presso
l'intestata Corte.
Oggetto: Riforma del decreto 13 maggio 1991 del
tribunale per i minorenni di Venezia; in punto: Revoca adozione minore.
Causa
trattata in camera di consiglio il 20 dicembre 1991.
Ritenuto in fatto
Con decreto 13 maggio 1991 il tribunale per i
minorenni di Venezia respinse l'istanza di revoca dell'adozione legittimante
del minore G.L. proposta dai genitori adottivi G.A. e R.A., i quali avevano
fatto presente che il predetto minore si era allontanato dalla loro abitazione
per andare a vivere con la madre naturale LM.I. e che lo stesso p.m. aveva
quindi richiesto che fosse formalizzato l'affidamento a quest'ultima, osservando
che la revoca dell'azione ai sensi degli artt. 51 e seguenti, legge n.
184/1983, è prevista solo in ipotesi tassativa.
Hanno proposto reclamo, con ricorso depositato il 28
giugno 1991 i predetti coniugi ribadendo che il tribunale, con il decreto 17
dicembre 1990, con il quale aveva affidato il minore al servizio sociale ai
sensi dell'art. 25 l.m. con facoltà di autorizzarlo a risiedere presso la madre
naturale aveva di fatto ripristinato i rapporti con questa.
Successivamente gli stessi hanno proposto eccezione
di illegittimità costituzionale dell'art. 27 della legge n. 184/1983 in quanto
non prevede alcuna possibilità di revoca del decreto di adozione.
Il
p.g. si è associato alla predetta eccezione, sia pure sotto diverso profilo.
Considerato in diritto
L'eccezione non è manifestamente infondata. È da
premettere che erroneamente il tribunale ha ritenuto astrattamente ammissibile
la revoca pur respingendo l'istanza per insussistenza di una delle ipotesi
tassative previste dagli artt. 51 e seguenti della legge n. 184/1983, in quanto
nella fattispecie si tratti non già di adozione in casi particolari, per la
quale è prevista tale limitata possibilità di revoca, ma di adozione legittimante,
che non può essere revocata per nessun motivo. L'adozione legittimante appare
"immagine" della famiglia legittima, nella quale non può certo
revocarsi il rapporto di filiazione. Lo status
conferito dall'adozione legittimante o piena può cessare solo per effetto di
un'altra adozione piena (la quale presuppone, naturalmente, che il minore
venga a trovarsi nuovamente in stato di abbandono).
Anche chi, in dottrina, ritiene che l'esclusione di
ogni forma di revoca sia condivisibile, reputa tuttavia che una possibilità di
controllo, seppur cauto e discreto, da parte del tribunale sarebbe stata forse
auspicabile in quanto incomprensioni, contrasti dei genitori adottivi con
l'ambiente circostante, e magari la tentazione di attribuire le difficoltà del
rapporto alla nascita "estranea" sono sempre possibili.
Sul piano del diritto comparato si deve poi osservare
che, accanto a legislazioni che accolgono la soluzione della piena
equiparazione della filiazione adottiva a quella legittima, come quella
francese (art. 359 code civil) e quella belga (art. 370 par. 5 code civil), oltre
a quella italiana, ne esistono altre in cui vige la regola opposta in tema di
revoca, come quella olandese (art. 231 cod. civ.) e quella tedesca (pas. 1763
B G B).
Si può peraltro rilevare la sussistenza di un
orientamento di ordine generale nelle regolamentazioni moderne dell'adozione,
legittimante o meno, volto a configurare la revoca come uno strumento di
protezione dell'adottato contro il fallimento del rapporto, utilizzabile
principalmente allo scopo di rendere possibile una nuova adozione o di ripristinare
legami familiari preesistenti. Tale orientamento si manifesta soprattutto
nelle disposizioni che espressamente limitano la revoca al caso che essa sia
richiesta dall'interesse dell'adottato, come quella olandese e tedesca da
ultimo ricordate, ma la realizzazione delle esigenze che vi stanno a base è
resa ugualmente possibile dalla crescente diffusione di clausole legislative
generali che, anziché elencare specifiche cause legali di dissoluzione del
rapporto, subordinano la revoca unicamente alla presenza di gravi motivi da
valutarsi dal giudice caso per caso. Una tale soluzione è accolta anche
dall'art. 13, primo comma, della convenzione europea sull'adozione di minori
del 24 aprile 1967, ratificata il 25 maggio 1976. Si potrebbe profilare un
contrasto della normativa italiana con tale convenzione (ratificata senza riserva
sul punto) e, sul piano costituzionale, con l'art. 10, primo comma, della
Costituzione giacché, per quanto esposto, l'esclusione di ogni possibilità di
revoca sarebbe contraria alle norme di diritto internazionale generalmente
riconosciute.
Il mantenimento, sia pure in ipotesi tassativa, della
possibilità di revoca delle ipotesi di adozione in casi particolari sembra poi
contrastare con l'art. 3 della Costituzione, soprattutto se si considera che
l'ipotesi di cui all'art. 44 lettera C) non si differenzia sostanzialmente da
quelle che danno luogo all'adozione legittimante presupponendo anch'essa
l'accertamento dello stato di abbandono e la conseguente dichiarazione dello
stato di adottabilità.
Come ha poi rilevato la dottrina, riecheggiata dai
reclamanti, l'esclusione di ogni revoca a beneficio esclusivo dell'adottato
(divenuto capace) negli stessi limiti circoscritti adombrati dalla convenzione
di Strasburgo comporta che la finzione di "biologicità" della
filiazione adottiva sia spinta al di là del necessario forzando il dato della
equiparazione dello status con effetti che, a ben vedere, possono essere
contrastanti proprio con l'interesse del minore che viene normalmente
invocato a favore della scelta opposta. Si deve, tra l'altro, osservare che
l'istituto dell'adozione legittimante si giustifica, sotto il profilo
costituzionale, in base all'art. 30, secondo comma della Costituzione per il
quale «nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano
assolti i loro compiti». Tale fondamento costituzionale dell'istituto ne segua
anche il limite nel senso che ove ricorrano gravi motivi quale il fallimento
dell'adozione, che costituisce ovviamente il motivo fondamentale, e, quale
motivo subordinato, la possibilità di un ripristino dei rapporti con i
genitori naturali, non vi è motivo di escludere la revoca, la cui esclusione
appare contrastante sia con l'interesse dell'adottato sia con ogni criterio di
ragionevolezza.
P.Q.M.
Visto
l'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 27 della legge 4 maggio 1983,
n. 184 in relazione agli artt. 3, 10, 30 della Costituzione in quanto non
prevede la revoca dell'adozione legittimante, e in particolare per gravi
motivi nell'interesse dell'adottato, come stabilito anche dalla convenzione di
Strasburgo 24 aprile 1967, ratificata il 25 maggio 1976.
(1)
Cfr.
Prospettive assistenziali, n. 97,
gennaio-marzo 1992.
www.fondazionepromozionesociale.it