Editoriale
MESSAGGIO
DEL CARDINALE MARTINI PER IL CONVEGNO SULLA LEGGE-QUADRO SULL'HANDICAP
In occasione
del convegno di Milano del 6 giugno 1992 "La legge-quadro sull'handicap:
una occasione mancata? Proposte per l'affermazione di diritti esigibili";
il Cardinale Carlo Maria Martini ha inviato il messaggio che riproduciamo integralmente.
Desidero esprimere la mia partecipazione al Convegno
promosso dalla vostra Associazione, a me nota per aver preso la parola ed avere
ascoltato i vostri interventi in precedenti incontri sui problemi della
condizione anziana e dell'assistenza domiciliare oltre che dell'ospedalizzazione
a domicilio.
Sono, perciò, lieto di partecipare a questo vostro
"convenire" e "riflettere", a partire dalla legge 104/92,
sui problemi della disabilità.
È un tema che mi sta molto a cuore e che incontro
quotidianamente nella mia esperienza pastorale.
Il tempo corre e scorre veloce se penso all'ormai
lontano 1980, quando nel mio primo discorso di sant'Ambrogio affermavo:
«L'imminente inizio dell'Anno internazionale dell'Handicappato, indetto
dall'ONU per il prossimo 1981, mi spinge a dire qualcosa su un problema così
importante per la nostra società qual è quello di assicurare una comunicazione
profonda e autentica con i fratelli handicappati... Vorrei dare a ciascuno una
voce, diventare voce di chi non ha voce. Vorrei ripetere a questa immensa folla
muta la parola liberatrice di Gesù: Effatà, apriti, parla! (Mc 7, 3)...
«Ma non si tratta solo di intervenire sull'handicappato
perché diventi capace di entrare nella società, ma anche di intervenire sulla
società, perché diventi degna e capace di accogliere i valori che ogni
handicappato porta con sé».
È trascorso l'Anno internazionale; siamo nel secondo
decennio da quella circostanza. Viene da chiedersi: che cosa si è fatto in questi
dieci anni? È la domanda che abbiamo proposto, a noi anzitutto e agli altri in
un recente Convegno della Caritas Ambrosiana (11 aprile 1992) sulla legge
104/92.
Certamente molto è stato fatto, sia in termini
legislativi che amministrativi, a livello nazionale e a livello regionale.
Molti e pregevoli sono gli interventi delle comunità locali e del privato
sociale. Anche la Chiesa ambrosiana ha fatto la sua parte.
Ma la domanda che mi torna più spesso alla mente e
che talvolta mi lascia inquieto, è la seguente: come è cresciuta la
sensibilità, la coscienza e il costume di fronte a numerosi problemi del
disabile fisico, psichico e sensoriale? Quali risposte, non assistenzialistiche,
ai problemi dell'handicap grave o gravissimo? Quali risposte per i genitori
che col trascorrere degli anni pensano con angoscia al futuro dei propri figli,
tanto più quanto essi quotidianamente se ne sono fatti carico?
Molte potrebbero essere le domande e mi auguro che i
vostri lavori aiutino tutti ad individuare percorsi ed itinerari solutivi dei
molti interrogativi, lasciati aperti, anche dalla legge 104/92.
A
me pare che i livelli siano diversi; ne prospetto tre:
1) la dimensione legislativa.
Attendo da questo Convegno una seria e serena
valutazione sulla legge 104 del 1992, esaltata e criticata ad un tempo.
La domanda è relativa soprattutto alla garanzia,
alla tutela dei diritti sociali, dei diritti di cittadinanza della persona
handicappata. È davvero garantito il diritto soggettivo, e quindi esigibile,
del disabile alla dignità esistenziale, alla riabilitazione, all'istruzione,
al lavoro, alla tutela della salute, ad un'assistenza che garantisca e promuova
qualità nella vita e della vita?
Quanto
lo stesso disegno costituzionale, sotto questo profilo, resta ancora
incompiuto?
2) La dimensione amministrativa e gestionale.
Le leggi non bastano. Occorre verificare la
traduzione concreta e la realizzazione, nei singoli territori - Comuni e USSL
- dei principi, anche pregevoli, affermati nelle leggi.
Debbo dire che anche nella società civile, accanto a
forme di grande generosità e solidarietà, avverto una caduta di tensione e di
attenzione per le fasce più deboli della popolazione.
I sistemi e i sottosistemi sociali, sempre più
autorefenziali, i corporativismi spesso latenti non consentono voce ed
espressività ai più deboli ed indifesi.
È urgente, quanto necessario, restituire cultura
della legalità anche e soprattutto ai diritti sociali e di cittadinanza per
gli handicappati.
E tutto ciò non sarà possibile senza la crescita di
un rinnovato consenso civile, eticamente radicato nel riconoscimento della
dignità, della inviolabilità e della sacralità della persona.
3) La dimensione della solidarietà.
Vi è altresì un cammino ulteriore, quello che
ridisegna i rapporti tra giustizia e carità, socialità e prossimità, diritti di
cittadinanza e solidarietà.
È questo un tema sul quale più volte sono tornato in
questi anni: lo ritengo fondamentale per avviare, consolidare e ulteriormente
radicare una cultura della solidarietà.
Nel documento "Evangelizzazione e testimonianza
della carità", i Vescovi italiani scrivono: «Può essere facile aiutare
qualcuno senza accoglierlo pienamente. Accogliere il povero, il malato, lo
straniero, il carcerato, è infatti fargli spazio nel proprio tempo, nella
propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città e nelle proprie
leggi.
«La carità è molto più impegnativa di una beneficenza
occasionale: la prima coinvolge e crea un legame, la seconda si accontenta di
un gesto» (n. 39).
Per questo occorre una rinnovata coscienza che
"il prendersi cura" appartiene a tutti - ciascuno nel proprio ruolo
-.
È verso una rinnovata forma di community care, propiziata anche dal nuovo quadro legislativo,
che occorre orientarsi: mi riferisco alle leggi sulle autonomie locali, sul
volontariato e sulle cooperative sociali.
È nel "prendersi cura della comunità da parte
della comunità" che occorre ripensare anche e soprattutto i servizi alla persona
handicappata: perché sia mantenuta non solo la conoscenza dei problemi, bensì
la ri-conoscenza della persona e alla persona.
Occorrerà operare, anche nei sentieri e nei percorsi
del quotidiano, le urgenti transizioni da una figura condominiale della
convivenza ad una figura fraterna e accogliente del vivere, dal semplice
"curare" al "prendersi cura", dall'"essere
socio" al "farsi prossimo", dalla privatizzazione della
coscienza alla radicazione etica della dignità della persona, che chiede di
essere, in particolare se disabile, non tanto e non solo "conosciuta"
nei suoi bisogni, quanto e soprattutto "ri-conosciuta" nel suo
valore, di soggetto unico e irripetibile.
Ed è questa la "notizia buona" che la
Chiesa non cessa di annunciare: ripartire dagli ultimi è condizione di vita
buona, degna e vivibile per tutti.
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