PER UN APPROCCIO POSITIVO ALLA DIPENDENZA
ANDREA BARTOLI
Quale può e deve essere il ruolo degli interventi
domiciliari sanitari e socio-assistenziali, delle strutture diurne per malati
di Alzheimer, dei centri socio-educativi per handicappati, delle comunità
alloggio e delle RSA per anziani cronici non autosufficienti e disabili? Gli
approcci a questa domanda possono essere molteplici, ora valutando i singoli
servizi per le diverse condizioni di bisogno (1), ora localizzando
l'attenzione su coloro che ne usufruiscono (2). Sembra, però, che tali
diversità possano essere ricondotte a due sostanziali visioni.
La prima è l'osservazione d'insieme; la seconda è
l'analisi specifica dei casi.
Circa la visione d'insieme credo sia utile partire
da una nota di Elias che scriveva: «Oggi
è ancora abbastanza difficile rendersi conto fino a che punto gli uomini
dipendano gli uni dagli altri; uno dei fattori fondamentali di reciproca dipendenza
è senz'altro dovuto al fatto che il senso di ogni azione umana risiede in ciò
che rappresenta per gli altri individui, non solo contemporanei ma anche
futuri, e dipende dunque dal progresso della società umana attraverso le
generazioni. È particolarmente difficile rendersi conto di questa dipendenza
perché cerchiamo costantemente di evitare il confronto diretto con la coscienza
della limitatezza della vita individuale e quindi con la nostra stessa vita, e
con la inevitabile decadenza del corpo, trascurando così di tener conto di tale
dipendenza sia nell'organizzazione della nostra vita, del lavoro e del
divertimento, sia nel nostro comportamento verso gli altri. Troppo spesso
l'uomo contemporaneo si considera isolato, del tutto indipendente da altri
individui altrettanto isolati» (3).
Davanti agli occhi ecco quindi la visione dei
rapporti che oggi ci legano ai soggetti menzionati: minori e adulti colpiti da
handicap intellettivi, fisici e sensoriali; anziani malati cronici non
autosufficienti. Che relazione c'è, e quale rapporto ci deve essere, tra i
minori e gli adulti colpiti da handicap e... "noi"?
La domanda di dipendenza
La domanda non vuole essere primariamente
"personale", né si vuole indulgere ad una revisione morale del
proprio vissuto. Il "noi", nel quale ciascuno è compreso, è quello
della società civile, o, ancor meglio, quello della società degli individui
(4). Quale rapporto dunque tra questa società e tali persone in difficoltà?
Le parole di Elias mi sembrano illuminanti: tutti
sono dipendenti. Addirittura - sostiene quest'Autore - siamo dipendenti dallo
scorrere delle generazioni. E mentre, quindi, il presente ci appare come un
prodotto, ecco che si può percepire l'avvenire come il risultato degli sforzi
compiuti nella realtà presente (5). Siamo dipendenti ma ciò diviene
drammaticamente evidente, nel rapporto dell'handicappato e dell'anziano con i
sani.
Chi non può svolgere le attività della sua vita
quotidiana: dipende dagli altri. È la dipendenza di chi non può verso chi può.
Chi ha bisogno di aiuto per mangiare, bere, vestirsi, camminare: dipende dagli
altri (6).
Questa dipendenza è una richiesta implicita o
esplicita, formulata chiaramente o inespressa. La dipendenza fa emergere una
esigenza ed è, in ogni caso, una domanda. Taluni sottolineano la differenza tra
bisogno e domanda.
Nei casi gravi di cui trattiamo, la condizione dl
dipendenza da altri per la sopravvivenza è in se stessa, e comunque, una
domanda cui rispondere, indipendentemente dalla sua formulazione esplicita.
Questa dipendenza-domanda pone ulteriori questioni. In particolare:
1) a chi è rivolta questa domanda?
2) qualcuno è tenuto a rispondere?
3) come comprenderla nelle sue dimensioni reali?
A chi è rivolta la domanda
La domanda è rivolta dal soggetto all'esterno. I
moduli espressivi sono molto diversi, verbali e non verbali, di facile o di
difficile comprensione, continuamente sottoposti al vincolo della soggettività.
Un handicappato intellettivo non sempre potrà
comunicare, con la stessa precisione di un cronico fisicamente non
autosufficiente ma mentalmente lucido, «ciò di cui c'è bisogno ora». Un
anziano colto potrà rendere ragione della propria condizione con più
padronanza di un anziano ignorante cui mancheranno anche le categorie
culturali per esprimersi. Una persona abituata al comando saprà farsi valere
più di altri, ecc.
Ciò su cui è quindi necessario riflettere è che
questa dipendenza-domanda può anche non essere comunicata verbalmente in modo
compiuto. Sappiamo ormai di parlare anche senza le parole. Le persone
comunicano con il loro corpo.
L'OMS ha parlato di handicap nelle «funzioni della
sopravvivenza» (7). Le carenze in questi ambiti, anche se non comunicate
volontariamente e chiaramente, sono in ogni caso rilevanti. Comunque bisogna
alimentarsi; idratarsi; muoversi.
La domanda in questo caso è in sé; è iscritta nella
stessa condizione umana. Il corpo, per la sua sopravvivenza, e la mente, per la
sua crescita, esigono che tutto questo accada. Se non si esercitano queste
funzioni, semplicemente, si muore.
Mi sembra quindi importante sottolineare che non è
necessario che qualcuno dica: «ho fame» per dargli da mangiare, perché potrebbe
non essere in grado di trasformare il suo bisogno in domanda formale.
Purtuttavia, la sua domanda di essere alimentato permane e se non può rispondervi
da se stesso qualcuno dovrà provvedere (8).
Chi è tenuto a rispondere
A questo punto la riflessione s'intreccia con la
seconda domanda: chi è tenuto a provvedere? Chi deve recepire questa domanda e
rispondervi? C'è un vincolo generale di solidarietà che lega gli uomini gli
uni gli altri, ma per quel che riguarda la salute, questo vincolo di
solidarietà è stato sancito giuridicamente, fino alla formulazione di un
diritto soggettivo perfetto. Ciò vuol dire che lo Stato, e non solo
genericamente la società, si fa carico di rispondere a questa domanda
tutelando il soggetto affinché sia garantito in questa sua particolare
situazione di bisogno (9).
Il dovere derivante dai vincoli familiari, parentali
e amichevoli unisce le persone anche al di là della norma giuridica. Ma è bene
sottolineare la distinzione tra i due per evitare che, volutamente o
involontariamente, si pretenda dal settore "informale" ciò che
l'insieme dei servizi non intende garantire (10).
È noto che la compagnia di persone coinvolte ed
interessate fa bene alla salute. È quindi da incoraggiare questa assunzione di
responsabilità da parte delle famiglie e del volontariato. Preme però
sottolineare l'aspetto del diritto perché stabilisce in modo inequivoco che il
vincolo alla tutela della salute e della sopravvivenza lega ciascuno non solo
alla propria famiglia.
Correttamente il nostro ordinamento prevede piuttosto
delle forme indirette di sostegno ad essa. Tali forme dovrebbero essere
accentuate. Lo Stato, cioè, può fare in modo, come è stato fatto in altri paesi
europei - si veda a proposito la significativa esperienza danese (11) - che la
famiglia sia maggiormente coinvolta nel processo di prevenzione, cura e
riabilitazione dei soggetti dipendenti. Questo però deve avvenire in modo
corretto evitando "scarichi" paradossali.
È bene soffermarsi su questo punto per le conseguenze
disastrose che può determinare. Chi sostiene che «le famiglie abbandonano i
vecchi» pretende al tempo stesso «che le famiglie se ne occupino di più». I
mezzi attraverso cui si pensa di attuare questa politica sono frequentemente
quelli della imposizione, della repressione, del dileggio, della
intimidazione. Chi non si occupa di queste persone dipendenti è «... cattivo,
incivile, detestabile...».
In questo momento stiamo arrivando alle denunce penali
che, anche se prive di fondamento, fanno certo impressione sull'opinione
pubblica (12). Il messaggio che sta passando è «se un tuo parente anziano è in
ospedale è colpa tua: vedi di occupartene».
Ma questa affermazione risulta paradossale se si riflette
sul fatto che quelle stesse famiglie che «scaricano i vecchi e li abbandonano»
dovrebbero poi «occuparsene per forza» (13). Impositivamente poche cose si
riescono a fare in Italia e non si vede come si possa pretendere di
costringere le famiglie ad occuparsi dei propri anziani. Eppure si crede che si
possa costringere, obbligare, e si pretende di farlo in modo scomposto,
scorretto, illegale.
L'unico modo, infatti, per determinare nuovi vincoli
di questo tipo, ovvero per rafforzare quelli già esistenti (in Italia -
secondo molti studiosi - la famiglia si prende cura degli anziani più che in
altri paesi) (14) sarebbe una modifica alle leggi attualmente in vigore che
non prevedono nulla di tutto ciò. Ma questa strada non viene percorsa.
Perché? Perché se la si perseguisse seriamente ci si renderebbe conto che,
come è normale, ad un aumento dei doveri per la famiglia dovrebbe
corrispondere anche la crescita del sostegno.
Se si affermasse un movimento di riforma legislativa
che, facendo perno sulla famiglia, affrontasse il problema della dipendenza,
potrebbero determinarsi degli scenari estremamente interessanti. Si potrebbero
prevedere infatti sostegni economici, sgravi fiscali, permessi sul lavoro,
contributi per le modifiche alle abitazioni, ecc.
A fronte di un investimento, relativamente contenuto,
si potrebbero attivare delle risorse ingenti attualmente deconsiderate. Gli
interventi a favore di famiglie, o individui, o gruppi, che vogliono occuparsi
attivamente di persone dipendenti sono numerosi, possibili e ragionevolmente
economici.
Se analizziamo i comportamenti delle famiglie
italiane in merito al problema, ci accorgiamo che molte sono disposte ad
assumersi il peso di queste dipendenze anche senza aiuto alcuno. Molte altre
sarebbero disposte a farlo se aiutate. Molte altre potrebbero comunque dare un
contributo significativo (15). È chiaro però che possibilità della rete
informale vanno sostenute.
Il pregio delle esperienze di assistenza domiciliare
sanitaria e socio-assistenziale - si pensi all'ospedalizzazione a domicilio di
Torino ma non solo - è di dimostrare che molto si può fare con poco; che basta
offrire qualcosa e famiglie, amici, vicini si lasciano coinvolgere nelle
attività di prevenzione, cura e riabilitazione. Si ricrea un tessuto di
solidarietà, e anche amici e volontari
trovano
dei riferimenti che possono valorizzare la loro disponibilità.
Come hanno messo bene in evidenza alcuni autori, uno
dei problemi più rilevanti, che costringe alla istituzionalizzazione, è il nodo
della responsabilità, del coordinamento, del punto di riferimento (16). Quando
una situazione si fa pesante, quando la dipendenza cresce molti dicono «come
può restare a casa?». Si dovrebbero chiedere piuttosto «come si può rompere
definitivamente l'equilibrio che s'è creato?».
L'istituzionalizzazione appare una soluzione perché è
rassicurante per chi «non se la sente di prendersi responsabilità». Le
esperienze cui si faceva cenno dimostrano invece che persone competenti possono
prendersi la responsabilità dei casi e coinvolgere altri assegnando a ciascuno
un ruolo positivo in uno scenario del tutto nuovo (17).
L'esperienza della Cooperativa Cultura Popolare a
Roma è in questo senso illuminante (18). Negli ultimi tre anni sono stati
risolti più di 500 casi di anziani con compromissioni diverse nella salute
fisica, mentale, nelle risorse economiche e sociali e con incapacità a svolgere
attività di vita quotidiana, attraverso una seria opera di counseling.
Nel 1988 è stata istituita infatti un'Area di Controllo
alla quale accedevano gli anziani che non potevano essere presi in carico
direttamente dal personale in assistenza. Poco più di 20 operatori riuscivano
a seguire, correttamente, meno di 200 anziani, mentre le domande erano
superiori. Motivata quindi dall'esigenza di non respingere le richieste, l'Area
di Controllo ha dato vita a risposte ad hoc, rese possibili attraverso la consulenza
di personale specializzato.
Molte volte basta spiegare, informare, chiarire. Non
è vero che le famiglie vogliano mandare per forza gli anziani in istituto. Non
è vero che le persone non possano restare a casa loro. C'è bisogno però di
qualcuno, che in modo competente, sostenga ed incoraggi queste scelte.
Il valore delle esperienze già realizzate sarebbe, a
mio giudizio, considerevolmente aumentato, se si aprissero a questa dimensione
del controllo, della informazione, della consulenza. Ciascuna esperienza
dovrebbe diventare un punto di riferimento.
Lo Stato, da parte sua, dovrebbe sostenere
politicamente ed economicamente queste risposte nuove, non istituzionali, non
eludendo i vincoli giuridici che sono a tutt'oggi in vigore e che impongono il
riconoscimento del diritto del singolo cittadino alla tutela della sua salute
e della sua sopravvivenza.
Come comprendere la domanda
Circa il terzo punto («Come comprendere questa
domanda nelle sue dimensioni reali?») va fatto uno sforzo di analisi che tenga
conto dei singoli e delle popolazioni (19).
La dipendenza è un problema per chi la subisce in
quanto dipendente più di altri da altri; è un problema per le persone che
devono accogliere e rispondere a questa domanda; è un problema per la società
nel suo complesso per le dimensioni che il fenomeno ha (20). Al di là del
terrorismo in base al quale saremo tutti sommersi da una massa di non autosufficienti
nel futuro, va detto che il problema non riguarda delle unità ma migliaia di
persone e di famiglie (21).
Le dimensioni della domanda, abbiamo detto, sono sia
individuali - ed in questo caso va usata una grande finezza nella
decodificazione della eterogeneità che si manifesta soprattutto in età avanzata
- che collettive, e di questo si dovrà tener conto soprattutto in fase di
programmazione dei servizi e delle risposte istituzionali.
In definitiva si può sostenere che debba essere
fatto uno sforzo di comprensione che tenga più conto delle interdipendenze. La
sfida rappresentata dal sostegno positivo alle persone dipendenti può e deve
essere raccolta.
(1) Bartoli A., Per una categorializzazione dei servizi, in 'Manuale OARS",
ERI, Roma, 1992.
(2) Gruppo Nazionale CSPSS-ISTISSS,
Diritti ed esigenze delle persone gravemente non autosufficienti, in Eutanasia da abbandono, Rosenberg &
Selller, Torino, 1988.
(3) Elias N., La solitudine del morente, Il Mulino, Bologna, 1985.
(4) Elias N., La società degli individui, Il Mulino, Bologna, 1990.
(5) Trabucchi M., Invecchiamento della specie e vecchiaia
della persona, Franco Angeli, Milano, 1992.
(6)
Cohen S., Syme S. (ed.), Social Support
and Health, Academic Press, Orlando (USA), 1985.
(7) OMS, Classificazione internazionale delle menomazioni, delle disabilità e
degli handicaps - Manuale per una classificazione riferita alle conseguenze
della malattia, Ginevra, 1980.
(8) Dogliotti M., Editoriale,
in "Sanitas Domi", n. 2-3, 1991.
(9) Dogliotti M., Diritti
degli anziani, diritti di tutti, in "L'età più lunga", Edizioni
Paoline, Milano, 1991.
(10) Bartoli A., Dall'etica alla norma giuridica, in “Anziani e Società", n. 6,
1988.
(11) Theisler
J., Commentaire, in Atti della Conferenza
"Les citoyens européens âgés des années 1990", Bruxelles, 1991.
(12) Il Fatebenefratelli di Venezia viola il diritto alla cura di una
anziana cronica non autosufficiente: la magistratura non processa l'ente ma i
familiari, in "Prospettive assistenziali", n. 95, 1991.
(13) “Anziani: un giudice per amico”, di Nino Pietropinto, in "La
Stampa", martedì 8 gennaio 1991, p. 13.
(14) Hanau C. (a cura di), I nuovi vecchi: un confronto internazionale,
Maggioli, Rimini, 1989.
(15) Bartoli A., Anziani e benessere, FENACOM, Roma, 1988.
(16) Weakland J.H, Herr J.J, L'anziano e la sua famiglia, NIS, Roma,
1986.
(17) Atti del Convegno nazionale di
studio "Prima intervenire a casa", Milano, 19-20 aprile 1991 (in
corso di pubblicazione).
(18) Bartoli A., L'assistenza domiciliare agli anziani in area metropolitana: il caso di
Roma, in "Prospettive sociali e sanitarie", n. 6/1990.
(19) Bartoli A., La valutazione funzionale su singoli e popolazioni, "Medicina
Geriatrica", n. 5, 1990.
(20)
OMS, Health of the Elderly, Technical
Report Series 779, Ginevra, 1989.
(21) Golini A. (e al.), Problemi posti dalle prospettive di
trasformazioni demografiche e sociali nei popoli dell'Europa, IRP, Roma,
1990.
www.fondazionepromozionesociale.it