Prospettive assistenziali, n. 98, aprile-giugno 1992

 

 

PER UN APPROCCIO POSITIVO ALLA DIPENDENZA

ANDREA BARTOLI

 

 

Quale può e deve essere il ruolo degli interventi domiciliari sanitari e socio-assistenziali, delle strutture diurne per malati di Alzheimer, dei centri socio-educativi per handicappati, delle comunità alloggio e delle RSA per anziani cronici non autosufficienti e disabili? Gli approcci a questa domanda possono essere molteplici, ora valutando i singoli servizi per le diverse condi­zioni di bisogno (1), ora localizzando l'attenzione su coloro che ne usufruiscono (2). Sembra, però, che tali diversità possano essere ricondotte a due sostanziali visioni.

La prima è l'osservazione d'insieme; la seconda è l'analisi specifica dei casi.

Circa la visione d'insieme credo sia utile partire da una nota di Elias che scriveva: «Oggi è an­cora abbastanza difficile rendersi conto fino a che punto gli uomini dipendano gli uni dagli altri; uno dei fattori fondamentali di reciproca dipen­denza è senz'altro dovuto al fatto che il senso di ogni azione umana risiede in ciò che rappresenta per gli altri individui, non solo contemporanei ma anche futuri, e dipende dunque dal progresso della società umana attraverso le generazioni. È particolarmente difficile rendersi conto di questa dipendenza perché cerchiamo costantemente di evitare il confronto diretto con la coscienza della limitatezza della vita individuale e quindi con la nostra stessa vita, e con la inevitabile decadenza del corpo, trascurando così di tener conto di tale dipendenza sia nell'organizzazione della nostra vita, del lavoro e del divertimento, sia nel nostro comportamento verso gli altri. Troppo spesso l'uomo contemporaneo si considera isolato, del tutto indipendente da altri individui altrettanto isolati» (3).

Davanti agli occhi ecco quindi la visione dei rapporti che oggi ci legano ai soggetti menzio­nati: minori e adulti colpiti da handicap intelletti­vi, fisici e sensoriali; anziani malati cronici non autosufficienti. Che relazione c'è, e quale rap­porto ci deve essere, tra i minori e gli adulti col­piti da handicap e... "noi"?

 

La domanda di dipendenza

La domanda non vuole essere primariamente "personale", né si vuole indulgere ad una revi­sione morale del proprio vissuto. Il "noi", nel quale ciascuno è compreso, è quello della so­cietà civile, o, ancor meglio, quello della società degli individui (4). Quale rapporto dunque tra questa società e tali persone in difficoltà?

Le parole di Elias mi sembrano illuminanti: tut­ti sono dipendenti. Addirittura - sostiene quest'Autore - siamo dipendenti dallo scorrere delle generazioni. E mentre, quindi, il presente ci appare come un prodotto, ecco che si può per­cepire l'avvenire come il risultato degli sforzi compiuti nella realtà presente (5). Siamo dipen­denti ma ciò diviene drammaticamente evidente, nel rapporto dell'handicappato e dell'anziano con i sani.

Chi non può svolgere le attività della sua vita quotidiana: dipende dagli altri. È la dipendenza di chi non può verso chi può. Chi ha bisogno di aiuto per mangiare, bere, vestirsi, camminare: dipende dagli altri (6).

Questa dipendenza è una richiesta implicita o esplicita, formulata chiaramente o inespressa. La dipendenza fa emergere una esigenza ed è, in ogni caso, una domanda. Taluni sottolineano la differenza tra bisogno e domanda.

Nei casi gravi di cui trattiamo, la condizione dl dipendenza da altri per la sopravvivenza è in se stessa, e comunque, una domanda cui rispon­dere, indipendentemente dalla sua formulazione esplicita. Questa dipendenza-domanda pone ul­teriori questioni. In particolare:

1) a chi è rivolta questa domanda?

2) qualcuno è tenuto a rispondere?

3) come comprenderla nelle sue dimensioni reali?

 

A chi è rivolta la domanda

La domanda è rivolta dal soggetto all'esterno. I moduli espressivi sono molto diversi, verbali e non verbali, di facile o di difficile comprensione, continuamente sottoposti al vincolo della sog­gettività.

Un handicappato intellettivo non sempre potrà comunicare, con la stessa precisione di un cro­nico fisicamente non autosufficiente ma mental­mente lucido, «ciò di cui c'è bisogno ora». Un anziano colto potrà rendere ragione della pro­pria condizione con più padronanza di un anzia­no ignorante cui mancheranno anche le catego­rie culturali per esprimersi. Una persona abitua­ta al comando saprà farsi valere più di altri, ecc.

Ciò su cui è quindi necessario riflettere è che questa dipendenza-domanda può anche non essere comunicata verbalmente in modo com­piuto. Sappiamo ormai di parlare anche senza le parole. Le persone comunicano con il loro corpo.

L'OMS ha parlato di handicap nelle «funzioni della sopravvivenza» (7). Le carenze in questi ambiti, anche se non comunicate volontaria­mente e chiaramente, sono in ogni caso rilevan­ti. Comunque bisogna alimentarsi; idratarsi; muoversi.

La domanda in questo caso è in sé; è iscritta nella stessa condizione umana. Il corpo, per la sua sopravvivenza, e la mente, per la sua cre­scita, esigono che tutto questo accada. Se non si esercitano queste funzioni, semplicemente, si muore.

Mi sembra quindi importante sottolineare che non è necessario che qualcuno dica: «ho fame» per dargli da mangiare, perché potrebbe non essere in grado di trasformare il suo bisogno in domanda formale. Purtuttavia, la sua domanda di essere alimentato permane e se non può ri­spondervi da se stesso qualcuno dovrà provve­dere (8).

 

Chi è tenuto a rispondere

A questo punto la riflessione s'intreccia con la seconda domanda: chi è tenuto a provvedere? Chi deve recepire questa domanda e risponder­vi? C'è un vincolo generale di solidarietà che le­ga gli uomini gli uni gli altri, ma per quel che ri­guarda la salute, questo vincolo di solidarietà è stato sancito giuridicamente, fino alla formula­zione di un diritto soggettivo perfetto. Ciò vuol dire che lo Stato, e non solo genericamente la società, si fa carico di rispondere a questa do­manda tutelando il soggetto affinché sia garanti­to in questa sua particolare situazione di biso­gno (9).

Il dovere derivante dai vincoli familiari, paren­tali e amichevoli unisce le persone anche al di là della norma giuridica. Ma è bene sottolineare la distinzione tra i due per evitare che, volutamente o involontariamente, si pretenda dal settore "in­formale" ciò che l'insieme dei servizi non inten­de garantire (10).

È noto che la compagnia di persone coinvolte ed interessate fa bene alla salute. È quindi da incoraggiare questa assunzione di responsabili­tà da parte delle famiglie e del volontariato. Pre­me però sottolineare l'aspetto del diritto perché stabilisce in modo inequivoco che il vincolo alla tutela della salute e della sopravvivenza lega ciascuno non solo alla propria famiglia.

Correttamente il nostro ordinamento prevede piuttosto delle forme indirette di sostegno ad essa. Tali forme dovrebbero essere accentuate. Lo Stato, cioè, può fare in modo, come è stato fatto in altri paesi europei - si veda a proposito la significativa esperienza danese (11) - che la famiglia sia maggiormente coinvolta nel proces­so di prevenzione, cura e riabilitazione dei soggetti dipendenti. Questo però deve avvenire in modo corretto evitando "scarichi" parados­sali.

È bene soffermarsi su questo punto per le conseguenze disastrose che può determinare. Chi sostiene che «le famiglie abbandonano i vecchi» pretende al tempo stesso «che le fami­glie se ne occupino di più». I mezzi attraverso cui si pensa di attuare questa politica sono fre­quentemente quelli della imposizione, della re­pressione, del dileggio, della intimidazione. Chi non si occupa di queste persone dipendenti è «... cattivo, incivile, detestabile...».

In questo momento stiamo arrivando alle denunce penali che, anche se prive di fonda­mento, fanno certo impressione sull'opinione pubblica (12). Il messaggio che sta passando è «se un tuo parente anziano è in ospedale è col­pa tua: vedi di occupartene».

Ma questa affermazione risulta paradossale se si riflette sul fatto che quelle stesse famiglie che «scaricano i vecchi e li abbandonano» do­vrebbero poi «occuparsene per forza» (13). Impositivamente poche cose si riescono a fa­re in Italia e non si vede come si possa preten­dere di costringere le famiglie ad occuparsi dei propri anziani. Eppure si crede che si possa co­stringere, obbligare, e si pretende di farlo in mo­do scomposto, scorretto, illegale.

L'unico modo, infatti, per determinare nuovi vincoli di questo tipo, ovvero per rafforzare quel­li già esistenti (in Italia - secondo molti studiosi - la famiglia si prende cura degli anziani più che in altri paesi) (14) sarebbe una modifica alle leg­gi attualmente in vigore che non prevedono nul­la di tutto ciò. Ma questa strada non viene per­corsa. Perché? Perché se la si perseguisse se­riamente ci si renderebbe conto che, come è normale, ad un aumento dei doveri per la fami­glia dovrebbe corrispondere anche la crescita del sostegno.

Se si affermasse un movimento di riforma le­gislativa che, facendo perno sulla famiglia, af­frontasse il problema della dipendenza, potreb­bero determinarsi degli scenari estremamente interessanti. Si potrebbero prevedere infatti so­stegni economici, sgravi fiscali, permessi sul la­voro, contributi per le modifiche alle abitazioni, ecc.

A fronte di un investimento, relativamente contenuto, si potrebbero attivare delle risorse ingenti attualmente deconsiderate. Gli interventi a favore di famiglie, o individui, o gruppi, che vo­gliono occuparsi attivamente di persone dipen­denti sono numerosi, possibili e ragionevolmen­te economici.

Se analizziamo i comportamenti delle famiglie italiane in merito al problema, ci accorgiamo che molte sono disposte ad assumersi il peso di queste dipendenze anche senza aiuto alcuno. Molte altre sarebbero disposte a farlo se aiutate. Molte altre potrebbero comunque dare un con­tributo significativo (15). È chiaro però che pos­sibilità della rete informale vanno sostenute.

Il pregio delle esperienze di assistenza domi­ciliare sanitaria e socio-assistenziale - si pensi all'ospedalizzazione a domicilio di Torino ma non solo - è di dimostrare che molto si può fare con poco; che basta offrire qualcosa e famiglie, ami­ci, vicini si lasciano coinvolgere nelle attività di prevenzione, cura e riabilitazione. Si ricrea un tessuto di solidarietà, e anche amici e volontari

trovano dei riferimenti che possono valorizzare la loro disponibilità.

Come hanno messo bene in evidenza alcuni autori, uno dei problemi più rilevanti, che costringe alla istituzionalizzazione, è il nodo della responsabilità, del coordinamento, del punto di riferimento (16). Quando una situazione si fa pesante, quando la dipendenza cresce molti dicono «come può restare a casa?». Si dovrebbero chiedere piuttosto «come si può rompere definitivamente l'equilibrio che s'è creato?».

L'istituzionalizzazione appare una soluzione perché è rassicurante per chi «non se la sente di prendersi responsabilità». Le esperienze cui si faceva cenno dimostrano invece che persone competenti possono prendersi la responsabilità dei casi e coinvolgere altri assegnando a cia­scuno un ruolo positivo in uno scenario del tutto nuovo (17).

L'esperienza della Cooperativa Cultura Popo­lare a Roma è in questo senso illuminante (18). Negli ultimi tre anni sono stati risolti più di 500 casi di anziani con compromissioni diverse nella salute fisica, mentale, nelle risorse economiche e sociali e con incapacità a svolgere attività di vita quotidiana, attraverso una seria opera di counseling.

Nel 1988 è stata istituita infatti un'Area di Con­trollo alla quale accedevano gli anziani che non potevano essere presi in carico direttamente dal personale in assistenza. Poco più di 20 operato­ri riuscivano a seguire, correttamente, meno di 200 anziani, mentre le domande erano superiori. Motivata quindi dall'esigenza di non respingere le richieste, l'Area di Controllo ha dato vita a ri­sposte ad hoc, rese possibili attraverso la con­sulenza di personale specializzato.

Molte volte basta spiegare, informare, chia­rire. Non è vero che le famiglie vogliano man­dare per forza gli anziani in istituto. Non è vero che le persone non possano restare a casa loro. C'è bisogno però di qualcuno, che in modo competente, sostenga ed incoraggi que­ste scelte.

Il valore delle esperienze già realizzate sareb­be, a mio giudizio, considerevolmente aumenta­to, se si aprissero a questa dimensione del con­trollo, della informazione, della consulenza. Cia­scuna esperienza dovrebbe diventare un punto di riferimento.

Lo Stato, da parte sua, dovrebbe sostenere politicamente ed economicamente queste rispo­ste nuove, non istituzionali, non eludendo i vin­coli giuridici che sono a tutt'oggi in vigore e che impongono il riconoscimento del diritto del sin­golo cittadino alla tutela della sua salute e della sua sopravvivenza.

 

Come comprendere la domanda

Circa il terzo punto («Come comprendere questa domanda nelle sue dimensioni reali?») va fatto uno sforzo di analisi che tenga conto dei singoli e delle popolazioni (19).

La dipendenza è un problema per chi la subi­sce in quanto dipendente più di altri da altri; è un problema per le persone che devono ac­cogliere e rispondere a questa domanda; è un problema per la società nel suo comples­so per le dimensioni che il fenomeno ha (20). Al di là del terrorismo in base al quale saremo tutti sommersi da una massa di non autosuffi­cienti nel futuro, va detto che il problema non ri­guarda delle unità ma migliaia di persone e di famiglie (21).

Le dimensioni della domanda, abbiamo detto, sono sia individuali - ed in questo caso va usata una grande finezza nella decodificazione della eterogeneità che si manifesta soprattutto in età avanzata - che collettive, e di questo si dovrà tener conto soprattutto in fase di programmazio­ne dei servizi e delle risposte istituzionali.

In definitiva si può sostenere che debba esse­re fatto uno sforzo di comprensione che tenga più conto delle interdipendenze. La sfida rap­presentata dal sostegno positivo alle persone dipendenti può e deve essere raccolta.

 

 

(1) Bartoli A., Per una categorializzazione dei servizi, in 'Manuale OARS", ERI, Roma, 1992.

(2) Gruppo Nazionale CSPSS-ISTISSS, Diritti ed esigen­ze delle persone gravemente non autosufficienti, in Eutana­sia da abbandono, Rosenberg & Selller, Torino, 1988.

(3) Elias N., La solitudine del morente, Il Mulino, Bologna, 1985.

(4) Elias N., La società degli individui, Il Mulino, Bologna, 1990.

(5) Trabucchi M., Invecchiamento della specie e vec­chiaia della persona, Franco Angeli, Milano, 1992.

(6) Cohen S., Syme S. (ed.), Social Support and Health, Academic Press, Orlando (USA), 1985.

(7) OMS, Classificazione internazionale delle menoma­zioni, delle disabilità e degli handicaps - Manuale per una classificazione riferita alle conseguenze della malattia, Gi­nevra, 1980.

 (8) Dogliotti M., Editoriale, in "Sanitas Domi", n. 2-3, 1991.

 (9) Dogliotti M., Diritti degli anziani, diritti di tutti, in "L'età più lunga", Edizioni Paoline, Milano, 1991.

(10) Bartoli A., Dall'etica alla norma giuridica, in “Anziani e Società", n. 6, 1988.

(11) Theisler J., Commentaire, in Atti della Conferenza "Les citoyens européens âgés des années 1990", Bruxel­les, 1991.

(12) Il Fatebenefratelli di Venezia viola il diritto alla cura di una anziana cronica non autosufficiente: la magistratura non processa l'ente ma i familiari, in "Prospettive assisten­ziali", n. 95, 1991.

(13) “Anziani: un giudice per amico”, di Nino Pietropinto, in "La Stampa", martedì 8 gennaio 1991, p. 13.

(14) Hanau C. (a cura di), I nuovi vecchi: un confronto in­ternazionale, Maggioli, Rimini, 1989.

(15) Bartoli A., Anziani e benessere, FENACOM, Roma, 1988.

(16) Weakland J.H, Herr J.J, L'anziano e la sua famiglia, NIS, Roma, 1986.

(17) Atti del Convegno nazionale di studio "Prima inter­venire a casa", Milano, 19-20 aprile 1991 (in corso di pub­blicazione).

(18) Bartoli A., L'assistenza domiciliare agli anziani in area metropolitana: il caso di Roma, in "Prospettive sociali e sanitarie", n. 6/1990.

(19) Bartoli A., La valutazione funzionale su singoli e po­polazioni, "Medicina Geriatrica", n. 5, 1990.

(20) OMS, Health of the Elderly, Technical Report Series 779, Ginevra, 1989.

(21) Golini A. (e al.), Problemi posti dalle prospettive di trasformazioni demografiche e sociali nei popoli dell'Euro­pa, IRP, Roma, 1990.

 

 

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