Prospettive assistenziali, n. 98, aprile-giugno 1992

 

 

PROPOSTA DI LEGGE REGIONALE PER L'INCENTIVAZIONE DELLE ATTIVITÀ ALTERNATIVE AL RICOVERO IN ISTITUTO

 

 

In data 19 marzo 1991 i Consiglieri Bortolin, Calligaro, Dameri e Foco del Gruppo PCI-PDS hanno presentato al Consiglio Regionale del Pie­monte la proposta di legge "Incentivazione delle iniziative socio-assistenziali alternative al ricovero in istituto e delle attività di aiuto domiciliare ai nuclei familiari e ai singoli”; proposta di cui riproduciamo integralmente la relazione e il testo.

 

Relazione

Sempre più prevalente è una politica restritti­va fatta di tagli netti dei fondi da erogare a so­stegno di scelte che privilegino, prima di tutto, l'affermazione dei diritti dei cittadini, come san­cito negli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione.

Politica restrittiva e di presunta razionalizza­zione della spesa che, partendo dal bilancio del­lo Stato, ha una forte ricaduta a livello regionale e comunale e che, complessivamente, risulta essere punitiva nei confronti dei soggetti più de­boli: minori, portatori di handicap, disagiati so­ciali, anziani.

Le novità introdotte dalla legge 142 del 1990, rischiano, per quanto concerne i servizi socio­assistenziali, ancor prima di far valere la loro ef­ficacia, di indebolire ulteriormente gli interventi di carattere sociale ed assistenziale nei con­fronti di quelle categorie di cittadini (ciechi, ma­lati mentali, sordomuti, ecc.) che, ad esempio, nelle Province trovavano il soggetto erogatore dei servizi.

Confusione, indebolimento e assenza di servi­zi territoriali e domiciliari e di sostegno econo­mico adeguato a favore dei soggetti disagiati, portano inevitabilmente a far lievitare la doman­da di istituzionalizzazione, seppur come scelta disperata per i cittadini e molte volte anche per le loro famiglie; scelta costosa economicamente e, di fatto, quasi sempre senza ritorno.

A conferma di quanto affermato stanno il di­battito che si è sviluppato in questi mesi con il volontariato sociale in prima fila e la domanda pressante di servizi alternativi al ricovero che viene dai cittadini. Servizi alternativi al ricovero richiesti giustamente anche perché sempre af­fermati come prioritari e compresi in questo senso ancora nella legge 23 aprile 1990 n. 37 "Norme per la programmazione regionale per il triennio 1990-1992", ma altrettanto sempre di­sattesi e confinati all'ultimo posto nell'ambito delle scelte politiche e delle priorità.

Alla vecchia cultura dell'istituzionalizzazione, sempre in agguato, occorre contrapporre una cultura che affermi i diritti del cittadino prima di tutto.

Oggi prevale una politica di razionalizzazione fittizia, perché perseguita senza programmazio­ne e senza un minimo supporto valutativo dei costi rispetto ai benefici: si pensi alla introduzio­ne di tickets di partecipazione alla spesa sanita­ria, che, con la nuova normativa, va di fatto a gravare per quei cittadini dichiarati indigenti sul­la spesa assistenziale; oppure agli interventi economici assistenziali, ciascuno con proprie misure economiche, soglie di reddito diverse per l'accesso, che costituiscono oggi una vera e propria giungla; o, ancora, alle varie provviden­ze che sotto forma di contributi integrativi o di pensioni determinano ingiustizie e disparità.

Molto deriva dal dover operare in carenza di una legge quadro di riforma sull'assistenza. Ma proprio per questa ragione occorre allora ope­rare, nel rispetto dei poteri che vengono ricono­sciuti alle Regioni dalla Costituzione, innanzitut­to in direzione della prevenzione: per prevenire situazioni che generano rischi sociali, situazioni di bisogno e fenomeni di emarginazione; a favo­re del reinserimento e mantenimento nei normali ambienti di vita dei soggetti deboli o menomati e di quelli che vivono in strutture chiuse ed emar­ginanti; forme di assistenza integrativa domici­liare o in strutture diurne per soggetti non auto­sufficienti o ad autonomia limitata; sostegno alla famiglia quando sia centro di continuità affettiva e di sviluppo dei rapporti di solidarietà.

Si vuole in sostanza, pur nei voluti limiti di questa proposta di legge, affermare la priorità e la concezione dei servizi diurni, domiciliari ed anche il ricorso alla residenzialità, quando è ne­cessario, considerando i servizi e la permanen­za in tali strutture per il tempo necessario al ri­pristino delle funzioni compromesse; allo stesso modo si intende l'intervento di aiuto economico, in particolare per soggetti non pensionati: tem­porale e teso a recuperare l'autonomia del citta­dino.

La proposta di legge riprende perciò i riferi­menti normativi regionali e nazionali, a questi si collega nella definizione dell'intervento di incentivazione alle iniziative alternative al ri­covero (art. 1) proponendo l'istituzione ed il po­tenziamento modulato per i diversi soggetti de­stinatari degli aiuti: minori, portatori di handicap, anziani.

L'art. 2 individua i contributi già previsti dalla legge regionale 2 aprile 1990 n. 22, per l'attua­zione e l'adeguamento di interventi (Centri diurni e comunità alloggio) che sono ispirati ad un mo­dello di prestazioni che per dimensioni e moda­lità tendono a mantenere la persona in difficoltà in una dimensione personalizzata.

L'art. 3 precisa in questo senso la tipologia degli interventi.

L'art. 4 si propone di finalizzare le risorse pre­viste dalla legge finanziaria 11 marzo 1988 per strutture sanitarie che rispondano al diritto degli anziani cronici non autosufficienti di essere cu­rati nell'ambito di strutture e con il riferimento normativo alla sanità, come avviene per tutte le persone malate.

L'art. 5 riafferma il dettato della legge 20/1982 e successive integrazioni e modifiche, di trasfe­rimento alle USSL di servizi socio-assistenziali.

 

Testo

Art. 1

1. La Regione Piemonte eroga alle Associa­zioni dei Comuni, oltre alla quota del fondo pre­visto all'art. 34 della legge regionale 23 agosto '82 n. 20 e successive integrazioni e modifiche apportate dalla legge regionale 3 maggio 1985 n. 59, Piano socio-sanitario della Regione Pie­monte 1985-86 e legge regionale n. 37 del 23 aprile 1990, P.S.S.R. 1990-92, dalla legge regio­nale 7 marzo 1988 n. 12 e dalla legge regionale 6 luglio 1988 n. 31, un contributo aggiuntivo an­nuo di L. 3 miliardi per l'istituzione ed il poten­ziamento delle attività socio-assistenziali relative a:

- sostegno sociale individuale e familiare;

- assistenza economica finalizzata a garanti­re il minimo vitale;

- assistenza domiciliare;

- attuazione della legge 4 maggio 1983 n. 184 "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento di minori";

- funzionamento di comunità alloggio per mi­nori, handicappati e anziani e di centri diurni di cui al successivo art. 2.

 

Art. 2

1. I contributi di cui alla legge regionale 2 apri­le 1990 n. 22 sono erogati per l'istituzione e l'adeguamento di:

- centri diurni per handicappati ultraquindi­cenni che, a causa della gravità delle loro condi­zioni psico-fisiche, non possono svolgere attivi­tà lavorative presso le normali aziende pubbli­che e private;

- comunità alloggio per minori normali e han­dicappati per i quali non siano attuabili le priori­tà di cui alla legge 4 maggio 1983 n. 184;

- comunità alloggio per adulti handicappati privi delle condizioni necessarie per un'autono­ma vita individuale e familiare;

- comunità alloggio per anziani autosufficienti in tutto o in parte, che liberamente scelgono questa tipologia di servizio.

 

Art. 3

1. Le comunità alloggio sono istituite in appar­tamenti delle normali case di abitazione o utiliz­zando altri tipi di abitazione.

2. In ogni caso devono essere inserite nel vivo del contesto sociale. Di norma la capienza non può essere superiore ad otto persone e i rag­gruppamenti di comunità alloggio non superiori alle due unità.

 

Art. 4

1. Per la trasformazione di case di riposo e di residenze protette per anziani cronici non auto­sufficienti in strutture residenziali sanitarie ed assistenziali, cura e riattivazione, o per le nuove costruzioni, i finanziamenti sono concessi dalla legge 11 marzo 1988 n. 67, art. 20.

2. Le strutture residenziali sanitarie di acco­glienza, cura e riattivazione devono avere una capienza massima di 40 posti.

 

Art. 5

1. Nel rispetto dell'art. 36 della legge 20/1982 e successive integrazioni e modifiche, i Comuni devono trasferire la gestione dei servizi socio­assistenziale alle USSL entro e non oltre 30 giorni dall'entrata in vigore della presente legge.

 

 

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