INDAGINE
CONOSCITIVA DELLA CAMERA DEI DEPUTATI SULL'ADOZIONE
BIANCA GUIDETTI SERRA
Nell'anno
1989, come molti ricordano, si diffuse un'estesa ondata emotiva, alimentata
dai mezzi d'informazione, per alcuni casi di adozioni o pseudoadozioni
contestate. L'opinione pubblica si schierò appassionatamente in due accaniti
settori contrapposti, a sostegno o contro le decisioni dei giudici. Si accusò
la legge 184/1983, tanto che furono presentati vari progetti tendenti a
modificarne alcune parti, si accusarono i "servizi" ; ecc.
Al di là dei
casi in questione, il dibattito si caratterizzò, a mio parere, col fatto che
da parte di alcuni si discuteva non conoscendo la realtà generale e specifica
della situazione o conoscendola solo superficialmente.
In questa atmosfera,
nel dicembre 1989, essendo parlamentare, pensai di chiedere l'istituzione di
una Commissione conoscitiva sull'adozione ai sensi dell'art. 144 del
regolamento della Camera dei deputati (si scusi se parlerò in prima persona di
un'esperienza condivisa con altri, ma mi pare più pratico raccontare così, come
si svolsero i lavori). L'iniziativa non si prefiggeva, come è ovvio, di
rivedere la situazione dell'adozione in generale, né a mio parere ciò sarebbe
stato necessario perché, nel suo insieme la 184/1983 aveva dato buoni
risultati. Intendeva piuttosto approfondire due aspetti che apparivano i più
significativi.
Primo: come si
spiegava il prolungato ricovero di 50-55.000 fanciulli in istituto (il numero
varia secondo le fonti ma presumibilmente è quello) che farebbe presumere il
loro abbandono materiale e/o morale? Come si spiega a fronte delle numerose
domande di adozione nazionale, che non riescono ad essere soddisfatte e ad una
sempre più diffusa disponibilità ad accogliere minori in "affidamento
educativo"?
Secondo: l’“adozione
internazionale”, regolata solo dal 1983, come ha funzionato? Corrispondeva a
verità che in quel campo erano state commesse molte illegalità? Quali rimedi
si potevano ipotizzare?
La proposta
dell'indagine, venne approvata all'unanimità dalla Commissione giustizia nel
febbraio 1990. Successivamente l'On. lotti concesse la necessaria
autorizzazione.
Si decise
che in una prima fase si sarebbero sentite persone impegnate nel campo dell'adozione-affidamento
(magistrati, rappresentanti del ministero degli esteri e degli interni,
operatori sociali, membri di associazioni autorizzate e di volontariato
ecc.). Contemporaneamente si sarebbe acquisita quanta più documentazione
possibile, sia fornita nel corso dell'audizione, sia richiedendola agli
uffici competenti, in particolare a quelli delle Regioni. Si sarebbe poi deciso
se proseguire nell'indagine o meno.
Occorre
premettere che gli ordini dei giorno delle sedute della Commissione giustizia,
così come quelli d'Aula, sono sempre fitti d'impegni: sia per le attività
legislative programmate, sia per quelle che con molta frequenza si presentano
improvvise per l'incalzare dei problemi della giustizia. L'inserire in questo
calendario l’“indagine conoscitiva" non fu cosa facile, malgrado la disponibilità
del Presidente della Commissione e l'aiuto fattivo di alcuni funzionari. Questo
spiega perché la prima audizione poté tenersi solo il 19 giugno 1990 e le altre
otto si protrassero fino al 22 novembre di quell'anno. Anche il tempo dedicato
alle audizioni, per l'accavallarsi dei lavori, fu sempre ridotto: un'ora,
talvolta meno. Non nascondo di avere provato disagio per queste "ristrettezze"
di tempo di fronte a persone, molto collaborative, che a loro spese su nostro
invito erano venute a Roma, alcune anche da lontano, con molte esperienze da
raccontare.
Vi è stata
poi la difficoltà di concentrare il dialogo sui temi prestabiliti. Se i
presenti, infatti, non furono mai molto numerosi, numerosi invece erano gli
argomenti su cui intendevano intervenire. Per favorire la concentrazione delle
risposte sui problemi indagati, cercai di redigere una sorta di questionario
che feci pervenire, senza molto successo, ai rappresentanti dei Ministeri
dell'interno e degli esteri perché potessero raccogliere, prima
dell'audizione, le informazioni ed i dati richiesti.
I verbali
degli incontri, stenografati e trascritti, sono stampati su "Atti
parlamentari X legislatura - Indagini conoscitive e documentazioni legislative
".
Al termine
della 9a audizione
eravamo, secondo me, ben lontani dall'avere completato l'indagine. Tuttavia
molte informazioni nuove ci erano state date e di notevole interesse. Il quadro
generale quindi, pur carente, si era andato delineando.
Pensai
allora che fosse opportuno scrivere un primo abbozzo di relazione, prospettando
qualche argomento conclusivo. Null'altro che una base di discussione che,
infatti, si svolse nella seduta del 14 maggio 1991.
La bozza non
trovò opposizioni se non di natura marginale. Naturalmente si trattava di
"una bozza"; avrebbe dovuto essere ulteriormente elaborata ed
integrata con nuovi materiali e notizie.
Per mia
scelta politica, però, in quel periodo rassegnai le dimissioni da deputato, che
il 15 maggio 1991 vennero accolte. Non mi risulta che i lavori siano stati
ulteriormente sviluppati.
Peraltro era
immanente ed imminente lo scioglimento anticipato della Legislatura.
La domenica
22 dicembre 1991, tuttavia, la relazione con qualche modificazione per quanto
riguarda il capitolo delle "proposte" rispetto a quello che avevo
elaborato, è stata approvata all'unanimità come "Documento
conclusivo" dell'indagine.
E in quanto
"documento approvato", fa parte degli atti della Camera dei deputati.
Potrà, in avvenire essere ripreso, integrato e, forse, sarà di qualche utilità
al chiarimento delle idee in materia. Contiamo sulla buona volontà dei nuovi
parlamentari.
Di seguito vengono riportate alcune
parti significative del documento conclusivo.
DOCUMENTO CONCLUSIVO
(ESTRATTO)
L'adozione internazionale nel nostro paese
L'adozione internazionale nel nostro paese è da
qualche anno in grande sviluppo, mentre quella nazionale sembra decrescere. Si
rammentano le cifre portate dalla relazione del Ministero di grazia e
giustizia, pervenuta alla Commissione a cura del dottor Luigi Fadiga.
Domane
di adozione nazionale e internazionale:
Anno Nazionale Internazionale Totale
1984 6.531 2.601 9.132
1985 6.569 3.009 9.758
1986 7.608 5.800 13.408
1987 6.730 7.770 14.500
1988 6.697 8.316 15.013
1989 6.051 9.769 15.820
Totale 40.186 37.625 77.451
Senza
dubbio il grande incremento delle adozioni internazionali nasce da un bisogno
che non può essere soddisfatto localmente per il progressivo calo dei fanciulli
in stato di abbandono.
Basti ricordare che in Italia esiste un rapporto
medio di 5 aspiranti per un solo bambino. Ma perché è tanto aumentato il
desiderio di adozione, specie nell'ultimo decennio, tanto da spingere alla
ricerca anche all'estero?
Sembra infatti di notare una sconcertante contraddizione:
l'aumento della domanda si manifesta proprio là dove si è vista calare, quanto
meno non aumentare, la natalità.
Qualcuno ha ipotizzato che tale crescente desiderio
di adozione sia stato alimentato dalle immagini televisive e giornalistiche,
raffiguranti i disastri delle guerre, delle calamità naturali e delle carestie
che hanno, per prime vittime, i bambini. La risposta è, crediamo, più complessa.
Certo i mezzi di informazione hanno contribuito a fare meglio conoscere
determinate situazioni di difficoltà ed hanno quindi stimolato un senso di
solidarietà sociale più diffuso che nel passato. C'è da credere, inoltre, che
siano stati superati i pregiudizi di natura razziale che potevano creare nel
passato delle remore (anche se a questo proposito si può notare un indirizzo
da tempo prevalente verso quei paesi, come quelli dell'America latina, dove
gli abitanti sono più "simili" a noi).
Ma concorrono forse anche sentimenti di altra natura:
quello, ad esempio, di soddisfare un proprio indefinito bisogno di paternità e
maternità, che prevale su quello di protezione e d'amore che ha il bambino.
Solo così si spiegano le ansie, l'insofferenza ai tempi ed alle forme delle
procedure da cui discendono, nei casi peggiori, iniziative arbitrarie e abusi.
Su questi temi, peraltro, è in corso una vivace e
sofferta discussione. A favorire questa osmosi bambino-figlio, adulto-genitore,
alcuni, anche esperti di diritto e di scienze sociali, sostengono che istituti
giuridici così impregnati di "sociale" come l'adozione dovrebbero in
tutto o in parte essere regolati in modo elastico e svincolato da rigidi
formalismi, in modo da consentire ai rapporti umani la possibilità di
adeguarsi alle esigenze via via molto diverse che possono presentarsi.
Per esempio, dove e come si trova un bambino? In
Italia, si sa, è difficile e allora si guarda più lontano, ai paesi poveri, ai
paesi del sottosviluppo. Ma come raggiungerli? Certo meglio seguire le vie
legittime. Ma occorre, in questo caso, passare per il "giudizio di
idoneità" e non sempre si è in grado di soddisfare le condizioni che
vengono richieste.
In secondo luogo gli organismi di intermediazione
riconosciuti sono scarsi, soddisfano poco più del 13 per cento delle domane e
soggiacciono anch'essi ai propri statuti e alle cautele che si sono dati. Di
qui la ricerca attraverso l'intermediazione libera, fatta dai più diversi
enti, gruppi non riconosciuti o da semplici persone. Un universo sul quale
qualsiasi tipo di controllo è pressoché impossibile.
Vero è che il blocco avviene all'ingresso in Italia.
Esistono infatti precisi divieti e condizioni; ma non sembra che siano sempre
sufficienti.
Spesso cioè entra in gioco l’“adozione selvaggia”,
quella che si realizza o con l'elusione della legge o con vere e proprie azioni
illecite che, se non trovano consenso, sono spesso tuttavia tollerate dalla
opinione pubblica.
Certo meglio sono le vie legittime, si ritiene; ma se
si ha notizia che un minore vive di stenti, in un ghetto di grande miseria, non
stà comunque meglio in un qualsiasi luogo del nostro paese dove possano
essergli somministrati cibo ed abiti sufficienti, dove possa essere mandato a
scuola, eccetera?
Ma a tali modi di pensare si oppongono, si ritiene,
insuperabili argomenti; uno principale, che sta alla base di tutti e in un
certo senso li riassume: il bambino è una persona con i suoi diritti e una sua
precisa identità di cui non si può non tenere conto. Troppe volte, infatti,
queste pratiche "facili" causano gravi offese e danni proprio a chi
si voleva aiutare. Come insegna l'esperienza drammatica di quello che viene
chiamato "il traffico di bambini".
Il "traffico" di bambini
Il titolo può sembrare esagerato. Si stenta a credere
che delle creature umane così indifese come un bambino possano essere oggetto
di commercio alla stregua di cose. Purtroppo episodi allarmanti stanno
rivelando che, specie negli ultimi anni, tale traffico non solo esiste ma è in
crescita. Non si conoscono dati d'insieme, ma anche solo da quelli parziali,
ricavabili dai documenti acquisiti nel corso dell'indagine, si può avere
un'idea della gravità della situazione. Ricordiamo quelli che ci sembrano i
più significativi che, se pure in modo frammentario, offrono un panorama della
situazione.
Un documento del 12 luglio 1989, redatto a
conclusione di un'inchiesta del Segretariato delle Nazioni Unite, volta ad
accertare se vi erano prove dell'aberrante pratica del prelievo di organi di
bambini per farne oggetto di speculazione, mentre esclude tale pratica afferma
però che si è accertato «... un gigantesco traffico di bambini attraverso
l'adozione».
J.H.A Van Loon, alla conferenza dell'Aja di diritto
internazionale privato dell'aprile 1990, nella sua accuratissima e approfondita
relazione ha ritenuto di classificare in tre categorie i modi di
appropriazione illegittima di un bambino, purtroppo tutti e tre diffusi: la
compravendita, l'inganno o la violenza con cui si ottiene il consenso del
genitore biologico, la violenza-ratto.
L'avvocato R.P. Bach, quale direttore dell'Ufficio
centrale minorenni della RFT ha appurato, che nel suo paese, tra il 1984 e il
1987, circa il 25 per cento delle adozioni di bambini stranieri lasciava
indovinare uno sfondo commerciale illegale o addirittura criminale (così alla
Conferenza mondiale "Adozione internazionale tra norma e cultura",
Milano, marzo 1990).
In Cile, ambienti informati ritengono che, tra il
1983 e il 1986, alcune migliaia di bambini siano stati fatti uscire
illegalmente col pretesto di adozione. Di essi solo 402 sarebbero stati
adottati ufficialmente in Svizzera e meno di 400 in Francia. Gli altri dove
sono finiti?
Secondo la denunzia del locale "Centro per la
protezione del bambino", tra il 1980 e il 1987 sarebbero stati
"rubati" in Malesia circa 6000 minori. Si sarebbe accertata, fra
l'altro, l'esistenza di una vera e propria rete di rapitori che portavano i
piccoli oltre frontiera consegnandoli ad "agenti di adozione" per un
compenso di 250 dollari a testa. Successivamente i capi dell'organizzazione
rivendevano i rapiti a 1500-2000 dollari ("Protection des droits de
l'enfant et adoptions internationales", "Défense des enfantes-internationale",
giugno 1989).
Un articolo della Revue
de Terre de Hommes (n. 2/88) ha segnalato che sul registro dello stato
civile di Guatemala City, nel periodo della stagione turistica, appare
regolarmente iscritto da alcuni anni un numero insolito di neonati di nazionalità
straniera. Quando l'autore dell'articolo, Heinz Schmidt, esaminò il registro
risultavano nati in pochi mesi 6 svizzeri, 16 spagnoli, 6 olandesi, 11
tedeschi e 61 statunitensi. Nazionalità che derivano dal
"riconoscimento" del figlio da parte del genitore straniero.
Il problema del traffico dei minori è da tempo
all'esame del gruppo di lavoro dell'ONU che indaga sulle varie forme di tratta
in schiavitù. La situazione è stata ritenuta ormai tanto grave che la sessione
del luglio 1989 ha deciso di studiare in via prioritaria il problema della
prevenzione e repressione della vendita di bambini. Ma quale fine ha questo traffico?
La già ricordata "Conferenza dell'Aja", ha
individuato tre distinti filoni: lo sfruttamento del lavoro e magari
l'arruolamento forzato militare o paramilitare (si veda "Mondo
domani" - UNICEF - n. 7/89, che riferisce ad esempio che in Mozambico uomini
del movimento di resistenza Renamo hanno sottratto alle loro famiglie più di
10.000 ragazzi tra i 5 e i 15 anni per addestrarli alle armi); lo sfruttamento
sessuale, pornografia inclusa; l'adozione illegale.
Ma per "traffico" si intendono anche tutte
quelle prevaricazioni che il fanciullo subisce divenendo oggetto di
manipolazione per il soddisfacimento di bisogni ed aspettative degli adulti,
invece che essere considerato soggetto di diritti.
Prevaricazioni favorite, in primo luogo, dalla
carenza o inadeguatezza delle leggi. Per esempio in alcuni paesi
latino-americani è prevista un"'adozione semplice", che si stipula
tra genitori biologici ed adottivi e solo omologata da un rappresentante
dell'autorità giudiziaria; o peggio, un'adozione "per scrittura
pubblica", stipulata davanti ad un notaio o ad un avvocato. Come dire
che si cede un bambino senza alcuna ricerca sulle caratteristiche e sulle
condizioni personali degli adottanti (compresa la loro nazionalità), senza
alcun accertamento del perché viene ceduto.
Accade così che possono essere poi utilizzati atti
apparentemente corretti ma che nella realtà nascondono un sopruso.
Risultato di queste situazioni: si organizza una vera
e propria caccia ai minori, direttamente o a mezzo di intermediari di pochi
scrupoli (in Brasile, per ovviare a questi gravi inconvenienti, il 12 ottobre
1990 è stata emanata una legge che prevede un'unica ipotesi di adozione
legittimante, cioè pronunziata dall'autorità giudiziaria minorile previo
accertamento dello stato di abbandono del minore).
Talvolta sono avvocati del luogo che si attivano
come mediatori. Richiedono ai loro clienti somme comprese tra i 4000 e gli 8000
dollari, talvolta maggiori; poi istruiscono i loro complici affinché cerchino
donne incinte o giovani ragazze madri che vivono in zone rurali o nei ghetti
delle grandi città e le convincono a cedere uno o più dei loro bambini ad un
prezzo che varia dai 50 ai 100 dollari. Può avvenire che l’“affare” non sia
possibile all'ospedale o in via diretta; allora i piccoli sono collocati in
istituzioni private, talvolta finanziate dagli stessi legali, dove rimangono
finché non sono adottati da persone interessate.
Così un'assistente sociale cilena ha descritto una di
queste situazioni: «Ero senza lavoro e una mia conoscente mi ha informata che
un avvocato aveva bisogno di un'assistente sociale. Mi sono recata al suo
ufficio e mi ha detto che cercava dei bambini che potessero essere condotti
all'estero, che aveva molte donne nelle quali si arrivava a indicare il colore
degli occhi, della pelle, dei capelli del bambino desiderato. Mi offriva 500
dollari per bambino. Rifiutai l'offerta» (notizia da "Défense des
enfantes-internationale", giugno 1989).
Un altro metodo di "contrabbando" di
bambini sotto lo schermo dell'adozione si è andato diffondendo negli ultimi
anni. Consiste nel portare le madri naturali, in stato di gravidanza o con i
loro bambini in tenera età, nel paese voluto, dichiarare il loro consenso
all'adozione o il riconoscimento da parte del presunto padre direttamente
davanti ad un notaio o altra autorità senza affrontare i controlli di
frontiera.
Questa pratica riguarderebbe soprattutto minori
provenienti dalle Filippine, dallo Sri Lanka o dalla Thailandia.
Alcuni episodi simili a quelli sopra ricordati si
sono verificati, pare, anche in Italia. In particolare nel 1988 sono giunte
nel nostro paese alcune ragazze polacche, soggiornandovi per vari mesi, in
stato di gravidanza e poi vi hanno partorito. Dopo di che, ricevuta una somma
compensativa, sono tornate al loro paese mentre il figlioletto rimaneva in
Italia riconosciuto alla nascita dal padre e in certi casi anche dalla madre
italiani.
Esistono altri raggiri, escogitati ancora in barba
agli organi di vigilanza. Ci si limiterà ad una breve elencazione
esemplificativa:
- alla madre ricoverata che ha appena partorito si
annunzia che il figlio è nato morto; le viene mostrato il cadaverino di un
altro bimbo (da “Venta y trafico de Ninos en Argentina” - notizia DEI - giugno
1990);
- si ospita in clinica una madre indigente e si
trattiene poi il nato in "ostaggio" finché la stessa possa pagare le
rette del ricovero; con il risultato che la donna, spesso, dopo qualche tempo
non si fa più vedere (notizia DEI);
- si convince la madre ad affidare il figlio in via
transitoria ad un'istituzione apparentemente idonea ad assisterlo; in realtà le
si fa sottoscrivere un atto di rinunzia allo stesso (notizia DEI);
- si patteggia la cessione del bambino ancora nel
ventre e pare che in alcuni casi per la difficoltà di soggiornare a lungo
nell'attesa in un paese diverso dal proprio si sia giunti a sollecitare il
parto o a favorirlo con un taglio cesareo. Di un caso di "patteggiamento
nel ventre" ha avuto direttamente conoscenza l'onorevole Guidetti Serra,
nel corso della sua attività professionale: si deve aggiungere che la bambina,
essendo nata gravemente inferma, venne poi respinta e finì in un istituto in
Italia, sia pure con il cognome delle persone che l'avevano riconosciuta come
figlia.
In
molte di queste vicende predomina la figura di un mediatore o mediatrice.
A Bogotà una donna di mezza età si presentava a
famiglie con molti figli o ad una madre sola, abitanti in una delle tante
catapecchie intorno alla città. Conquistata la fiducia con manifestazioni di
simpatia per i bambini, cominciava col farseli affidare saltuariamente. In tal
modo poteva esibirli agli aspiranti genitori adottivi. Se questi si
dichiaravano soddisfatti, il minore veniva definitivamente sottratto e la donna
scompariva. La stessa è stata riconosciuta responsabile di almeno quattro di
questi episodi e condannata a 12 anni di reclusione (notizia DEI).
Altra mediatrice boliviana, con il pretesto di
trovare a figli di famiglie poverissime una sistemazione adeguata, sia pure
temporanea, se li faceva affidare e anche lei li portava in visione ad un
ufficio legale; qui, a seconda dei casi, i bambini, se accettati, erano pagati
a prezzi varianti secondo le loro qualità: una bambina di 20 giorni pare sia
stata venduta per 3,50 dollari americani. Anche questa donna è stata individuata
e condannata per ben 30 di questi rapimenti (notizia di fonte DEI).
Ho già accennato alle vere e proprie organizzazioni
criminali che trafficano in minorenni, ma ne esistono altre che, pur apparendo
legittime, o almeno non vietate, commerciano apertamente minori e ne fanno
pubblicità. Se ne conoscono negli Stati Uniti, in Inghilterra ed in altri
luoghi (notizia DEI).
Un esempio. Lo studio giuridico "Cook and Linden
- Beverly Hills" diffondeva lettere di cui si trascrive qualche brano:
«Signora e signore, siamo un'organizzazione la cui attività principale è quella
di assistere i futuri genitori adottivi; abbiamo l'esperienza necessaria per
guidare le coppie (ed anche i genitori celibi) nel dedalo dell'adozione
internazionale... i genitori adottivi devono specificare l'età approssimativa
ed il sesso del bambino desiderato. Di regola ottengono un bambino rispondente
ai loro criteri in meno di un anno... la tariffa è di circa 10.000 dollari, ma
dipende dal paese in cui l'adozione ha luogo e dalla necessità di recarvisi per
la decisione definitiva...».
Il
traffico di bambini esiste anche in Italia e comunque è praticato anche da
italiani.
Ha detto nel corso della sua audizione la dottoressa
Cavallo, magistrato al tribunale per i minorenni di Napoli: «... il mercato
dei bambini non è ristretto a pochi casi, ma costituisce un fenomeno massiccio
soprattutto nel sud: sono centinaia e centinaia i comprati e venduti in Campania...
Questa pratica è sempre più florida a Napoli dove viene praticata da avvocati
e medici... A Tripalda vi è una casa di cura dove fatti del genere accadevano
ogni giorno...». A conforto di questa asserzione, in un articolo su The Observer del 12 luglio 1987 si
legge che: «... le autorità valutano che almeno 600 neonati vengano venduti
ogni anno nella sola Napoli».
«... Per quanto riguarda l'adozione internazionale -
ha proseguito la dottoressa Cavallo - le coppie che tornano dal Sud America
raccontano di essere ritornate da una façenda
e di aver pagato diversi individui al fine di ottenere un bambino».
Ora episodi del genere di quelli riferiti, se avvengono
in paesi economicamente molto arretrati, come possono avvenire nel nostro? Una
delle ragioni addotte dalla dottoressa Rosalba Gentile, presidente del]
"'Associazione Progetto accoglienza" è che: «... da Roma in giù non
opera alcuna associazione riconosciuta dallo Stato, sono rarissime le coppie
tanto motivate da affrontare spese e disagi per recarsi nelle sedi di queste
associazioni e seguire i colloqui richiesti. La grande maggioranza, ottenuta
l'idoneità, inizia l'avventura dei contatti con organizzazioni improvvisate e
dai canali poco chiari, con avvocati divenuti non si sa come intermediari e che
chiedono somme le più varie per affrontare le "spese" necessarie.
Spesso le coppie più avvedute si rendono conto di trovarsi in un ginepraio e
comunicano all'associazione le proprie perplessità ma nessuna finora ha voluto
presentare una denunzia per non uscire dall'anonimato... Continuiamo ad
ascoltare racconti su come le coppie scelgano i minori da adottare (come al
supermercato, in barba ai tanto declamati criteri di abbinamento), su come gli
avvocati si interessino successivamente allo stato di adottabilità...».
Vale la pena soffermarsi ancora sulle dichiarazioni
rese dalla dottoressa: «... Il mercato si attua attraverso tanti rami, uno dei
quali è costituito dall'affidamento di fatto... si radica un affidamento...
poi circola la voce che bisogna stare sott'acqua per tre anni... dopo di che si
riemerge e si chiede l'applicazione dell'articolo 44, lettera c)... (ciò
avviene) perché i genitori non hanno l'età per adottare in via legittimante...
Talvolta si tratta di coppie non ritenute idonee... per esempio per l'età avanzata
50-55 anni alle quali era stata proposta la possibilità di adottare un ragazzo
di 15-16 anni. Rifiutata quest'ultima possibilità, la coppia si rivolge al
mercato clandestino... Ho chiesto, per esempio, al direttore di una clinica
privata il nome di una madre biologica di un certo bambino. Convocata in
tribunale... il giorno successivo è stata prima avvicinata da un'assistente
sociale.. che le ha detto che avrebbe dovuto rilasciare certe dichiarazioni...
quando la madre è venuta nel mio ufficio... ha rivelato tutta la verità... I
bambini stranieri entrano in Italia molto agevolmente. Mi è stato raccontato
che è facile passare la frontiera in automobile... Un'altra forma di
illegalità consiste nella falsificazione dei certificati di nascita; coppie anziane
che non potrebbero adottare un bambino piccolo... usano questo metodo...
Ultimamente ci siamo imbattuti nel caso di un bambino che doveva frequentare
la prima elementare perché anagraficamente aveva sei anni; in realtà ne aveva
tre, come è risultato dalla radiografia ossea... Risulta che entrino in Italia
bambini stranieri con regolare permesso di studio.. capirei che ciò potesse
avvenire per giovani di 13 0 14 anni,
ma questo sistema viene usato anche per bambini piccoli... Negli anni '80 a Talese
vi furono dei famosi falsi riconoscimenti cui seguirono le condanne dei falsi
padri, ultrasessantenni, pregiudicati...».
Anna Libri, del "Servizio sociale internazionale"
ha raccontato: «... fanno entrare i ragazzi in Italia con il visto di studio e
poi li tengono più o meno nascosti indefinitivamente... frequentano scuole
private... può anche accadere che nel piccolo paese si ottenga l'iscrizione al
Servizio sanitario nazionale... che ottengano il rinnovo del passaporto presso
ambasciate compiacenti... rimane la prospettiva di adottarli in conformità a
quanto previsto dal codice civile quando abbiano raggiunto i 18 anni... Queste
sono le strade che gli avvocati suggeriscono di seguire...».
E ancora, Valentino Zeni, dell’“Associazione amici
trentini”: «„, le coppie interessate all'adozione vogliono comunque ottenere
un risultato... addirittura uno dei coniugi arriva a prendere la cittadinanza
di un paese straniero, in modo da riuscire ad adottare un bambino molto
piccolo; seguendo questa strada una coppia è riuscita ad adottare un bambino di
tre mesi nonostante uno dei coniugi avesse 48 anni... il bambino è stato
portato in Italia senza alcun controllo, né l'assistente sociale è venuta a
conoscenza del suo arrivo...».
Adozione a rischio - La nuova sofferenza del bambino
Le "adozioni selvagge" non preoccupano solo
perché violano i diritti del bambino, ma anche perché, o per la irregolarità
formale con cui vengono fatte o per la mancanza di adeguate indagini circa la
sussistenza delle condizioni morali e materiali necessarie e, fondamentalmente,
senza l'accertamento dello stato di abbandono, sono pur sempre situazioni
"a rischio", che possono andare incontro a clamorosi fallimenti. A
maggior ragione, a rischio sono le adozioni ottenute con simulazioni o
inganni. Vero è che possono finir male anche adozioni condotte con la più
scrupolosa correttezza, così come i rapporti tra genitori e figli biologici. Ma
nel caso dell'adozione "selvaggia", il fallimento si cumula ad una
sofferenza d'abbandono già patita e quindi è molto più grave e si deve fare
quanto possibile per evitarlo.
1) Adozioni fallite - Ragioni formali
Un rapporto di filiazione adottiva può non perfezionarsi
perché non sono state rispettate le regole stabilite.
L'articolo 33, ultimo comma, della legge n. 184 del
1983 prevede due ipotesi per cui l'adozione di bambini stranieri possa essere
negata: l'esito negativo dell'affidamento preadottivo e la mancata
dichiarazione di efficacia del provvedimento straniero. Il primo è legato ad
una valutazione di fatto tra le più difficili, che riguarda anche l'adozione
nazionale, ma che assume effetti tragici quando un fanciullo viene da lontano
per essere inserito in una famiglia italiana: o lui non si adatta o non si
adatta a lui l'ospitante.
La seconda è di natura più strettamente formale e
potrebbe essere evitata se venisse verificata, prima dell'inserimento, la
sussistenza delle condizioni richieste. Risultato è che un bambino, dopo essere
vissuto per un certo tempo in un nucleo familiare, non può essere adottato. Il
dottor Fadiga sottolineava con preoccupazione questa situazione già nella sua
relazione del 1988: «... sono entrambe ipotesi di una disfunzione del
procedimento». Ha aggiunto, però, in quella del 1989 che il fenomeno: «... dei provvedimenti
stranieri non dichiarati efficaci», siccome sintomatico di adozioni fallite o
giuridicamente impossibili, e comunque causa di delicati problemi di diritto
internazionale privato (le «adozioni zoppe», così chiamate perché riconosciute
da uno dei due stati interessati) è migliorato. Forse per una maggiore
conoscenza dei meccanismi giuridici della legislazione italiana da parte degli
aspiranti adottanti. I risultati sono quelli evidenziati nella seguente
tabella.
Anno Efficacia Non efficacia Differenza
percentuale
1984 770 79 10,2
1985 1.150 43 3,7
1986 1.536 52 3,4
1987 1.541 50 3,2
1988 1.796 55 3
1989 2.161 35 1,6
Totale 8.984 314 3,5
Malgrado la diminuzione, resta ancora un certo
numero di bambini, 35 nel 1990, che viene restituito "al mittente"
perché si sono sbagliate le procedure (in genere, dice il dottor Fadiga, perché
i coniugi tornavano dall'estero con un bambino troppo piccolo per essere
adottato rispetto alla loro età secondo la normativa italiana). Allora, ci si
può chiedere, non senza angoscia, dove sono finiti questi bambini, tra l'altro
così lontani dal loro paese d'origine? Ma soprattutto quali sono le conseguenze
di questo dramma?
2) Adozioni fallite - Gli inganni e le frodi
Molti sono i modi di raggirare la legge. Per quanto
riguarda le adozioni, il "falso riconoscimento" è uno dei mezzi più
frequentemente usato: quando "si ha fretta", quando non si vogliono
rispettare le procedure, quando non si hanno le caratteristiche richieste.
L'uso di un inganno è in generale una cattiva
premessa per instaurare un rapporto di filiazione e, comunque, rende più
probabile un fallimento. Anche se i controlli non sono molto efficienti
spesso vengono scoperti. Valga l'esempio che nasce dall'articolo 74 della
legge.
Quando un coniuge (il marito, talvolta la moglie)
riconosce un figlio nato fuori del matrimonio, esiste l'obbligo dell'ufficiale
dello stato civile di segnalarlo al tribunale per i minorenni che deve
accertare la veridicità di tale riconoscimento. Vero è che qualche volta gli
uffici trascurano di fare la segnalazione; che il tribunale è spesso lento
nell'indagine e che le varie garanzie processuali ne ritardano l'esito
definitivo. Ma, alla fine, se risulta che è stato dichiarato il falso, il
bambino non è più figlio e neppure può essere adottato. Deve essere quindi
restituito e, se non rimpatria, il che pare non sia mai avvenuto (nessun paese
straniero ha reclamato i propri cittadini...), viene dichiarato in stato di
abbandono divenendo soggetto di un nuovo procedimento adottivo. Un'adozione,
quindi, fallita.
Casi di questo tipo sono giunti clamorosamente alla
ribalta della cronaca e sono più frequenti di quanto non si possa immaginare.
Ancora, è vietato introdurre un minorenne nel paese,
se non alle prescritte condizioni, salvo che per ragioni di salute o di studio.
Queste motivazioni spesso divengono il pretesto per un ingresso in Italia. Ma
la preclusione al perfezionamento di un'adozione e, quindi, all'instaurarsi di
un pieno rapporto di filiazione ne è impedito. Si può immaginare con quali
complicazioni rispetto al cognome, alla scuola, al servizio sanitario, alla
necessità di ottenere permessi di soggiorno, alle possibili interferenze di
terzi ecc. Un rapporto quindi instabile che può facilmente esporre a
fallimenti.
3) Adozioni fallite - Bambini rifiutati
È doveroso premettere che il bambino, preso lontano o
vicino, viene accolto nella stragrande maggioranza dei casi con gioia e che ben
presto e spontaneamente si instaurano quei legami di affetto reciproco che
caratterizzano un rapporto di filiazione. Ma accade, talvolta, che ciò non
avvenga. Di qui il "rifiuto". Esso è raro con un bambino piccolo; più
frequente con il grandicello o con l'adolescente. Rifiuto che può giungere
alla restituzione. I motivi di questa non reciproca accettazione sono molti,
legati alla ragione del "bisogno" di ciascuna delle parti e al loro
rispettivo "vissuto", che non è possibile in questa sede
approfondire.
Spesso però il mancato consolidamento del rapporto
nasce dalla mancata consapevolezza in chi adotta di che cosa significhi
"un figlio", più in particolare "un figlio adottivo". Si
può essere bloccati anche dall'inesperienza nell'affrontare le più o meno
difficoltà di natura meramente pratica che possono presentarsi, specie quando
si abbia a che fare con un bimbo straniero: diversa lingua, diversi costumi,
diverse abitudini ecc. Di qui, ancora, fallimenti.
«I genitori adottivi debbono essere preparati a
incontrare delle differenze e a comprenderle. Diversamente interpreteranno le
reciproche difficoltà di adattamento come un segno di loro incapacità a
stabilire un rapporto con il piccolo» (T.B. Brazelton, Families: crisi and caring, marzo 1989).
Il problema dell’“impreparazione” (e chi segue le vie
traverse più facilmente si trova in tali condizioni) è stato uno degli
argomenti denunciati dai partecipanti all'indagine come una delle cause dei
fallimenti con la conseguente richiesta di una previsione d'intervento
adeguato da parte dei servizi sociali.
Luisa Sivo per l'associazione SPAPI: «... ho potuto
verificare l'insufficiente preparazione e la scarsa capacità dei genitori
adottivi, in particolare delle coppie che adottano bambini stranieri... forse
il tribunale per i minorenni concede troppo facilmente l'idoneità, è troppo
largo nella selezione delle coppie a differenza di quanto avviene per
l'adozione nazionale... Purtroppo bambini rifiutati ve ne sono, anche se non
posso fornirne i dati esatti... sono ancora a conoscenza di rifiuti
riguardanti bambini peruviani...».
Luisa Quaranta del Coordinamento dei genitori
democratici ha fatto riferimento a fallimenti specie legati a problemi
scolastici rilevando: «... nell'impatto con l'istituzione scuola e con i compagni,
spesso, e con l'avvicinarsi dell'adolescenza esplodono una serie di
contraddizioni, di crisi d'identità che qualche volta arrivano sulle pagine dei
giornali... Altre volte sono liquidati rapidamente casi di ragazzi stranieri
riconsegnati come un sacco al giudice perché non corrispondevano più a ciò che
i genitori avevano immaginato; arrivando ai dodici-tredici anni, età nelle
quali tutti i figli sono ingrati, le difficoltà di gestione del rapporto
vengono tranquillamente risolte restituendo i bambini al mittente, che facilmente
sarà un nuovo istituto essendo ormai tagliati i legami e le radici con il paese
di origine...».
Rosalba Gentile De Luca, dell'Associazione progetto
accoglienza: «... Per quanto riguarda l'adozione internazionale le coppie che
ne fanno domanda sono nella quasi totalità dei casi assolutamente prive della
necessaria consapevolezza dei problemi specifici... (la considerano) la via
più facile e breve per adottare un bambino contro la penuria di minori
italiani... peraltro nel convincimento che sia sempre un modo per salvarli
dalla miseria e dalle malattie e, quindi, un'opera buona...».
Anna Libri, del Servizio sociale internazionale, ha
precisato che tra la fine del 1989 e l'inizio dei 1990, nel territorio di Roma,
si sono riscontrati otto fallimenti, e quindi tali bambini sono stati inviati
in istituto. A domanda ha ulteriormente precisato che: «... si tratta di
bambini grandi, da 8 a 13 anni, i quali hanno avuto problemi di rapporto con la
famiglia, più un bambino piccolo che la famiglia ha rifiutato in quanto
gravemente handicappato. I casi di fallimento che interessano bambini piccoli
sono specifici e non sono legati a difficoltà di rapporti... Nel 99 per cento
dei casi il bambino rimane in Italia».
«Infatti, se da un lato non esistono possibilità di
rientro, dall'altro spesso le autorità del paese d'origine ci esortano a
sistemare il bambino in Italia. È successo anche che un bambino grande abbia
chiesto di tornare al proprio paese... Tra i casi di fallimento vi è quello di
due sorelle assegnate a due famiglie diverse ed entrambe grandi... Poiché in
questo caso solo una coppia aveva ottenuto l'idoneità, se ne è dedotto che le
bambine erano state chiaramente vendute e quindi non si poteva organizzare un
rientro... la nostra organizzazione è particolarmente sensibile a questa
storia... perché una delle due, essendo gravemente malata, vive in ospedale...
essendo cittadina di un altro paese e priva di qualunque assistenza sanitaria e
nessuno la vuole perché ormai è grande e oltretutto malata...». Le persone che
l'hanno abbandonata avevano realizzato l'adozione nel suo paese, in Cile, dove
non vigono limiti di età per gli adottanti.
Anche Gabriella Merguigi, del CIAI, ritiene: «... che
vi siano molte restituzioni del bambino dopo che è intervenuto il decreto di
adozione. Tali rifiuti... sfuggono alla casistica del Ministero... che limita
la sua indagine alla fase anteriore all'adozione... a Cagliari ho incontrato
cinque ragazzi peruviani, il più grande ormai di 23 anni, che si trovano in
Italia da otto anni... a suo tempo sono stati adottati da tre famiglie diverse,
le quali hanno restituito tutti i ragazzi... Un'altra famiglia aveva preso
con sé tre di questi ragazzi, ma in seguito si è divisa... Non si capisce
quale sia ora la loro situazione giuridica... di fronte ad un'adozione
ordinaria realizzata a suo tempo, che produce effetti come se i ragazzi
facessero ancora parte di un nucleo familiare, mentre in realtà sono lontani
non solo dalla prima famiglia, ma anche dalla seconda...».
Aggiunge tuttavia la signora Merguigi che il CIAI, in
22 anni di attività, ha realizzato più di mille adozioni internazionali tutte
andate a buon fine, salvo 5.
Infine Sergio Casa, dell'International Adoption, asserisce
che «per fortuna, nei casi seguiti dalla loro associazione non vi sono stati
rifiuti». L'associazione usa un particolare sistema che forse meglio
garantisce il minore. Il presidente si fa nominare tutore dal giudice
straniero. Non appena il minore è individuato viene richiesto un deposito
cauzionale con documentazione valutaria appropriata, sufficiente a garantire
le spese dell'eventuale rientro nel periodo intercorrente tra l'arrivo nel
nostro paese e la dichiarazione di adozione. Si tratta però di un palliativo.
Meglio sarebbero regole precise.
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