Prospettive assistenziali, n. 100, ottobre-dicembre 1992

 

 

ASPETTI DELLA VITA SOCIALE DEGLI ANZIANI IN EUROPA: PROBLEMI E POSSIBILI SCENARI

ANDREA BARTOLI (*)

 

 

Il tema affidatomi è vasto e complesso. Vorrei quindi affrontarlo provando a identificare alcune grandi tendenze del rapporto tra anziani e generazioni in Europa, mettendo in evidenza, in modo particolare, la condizione degli anziani dipen­denti, cioè non autosufficienti (1). È, infatti, a partire dalle condizioni estreme che possiamo raccogliere elementi chiari di analisi (2).

In Europa le prospettive demografiche indicano dei cambiamenti consistenti: cresce la quota di persone anziane (3). Alle volte si prefigura uno scenario drammatico e molti, anche studiosi, pensano che i vecchi siano veramente un problema. "Come si potrà integrarli?" ci si chiede e la domanda nasconde una preoccupazio­ne: "Come potremo occuparcene?". Secondo quest'approccio gli anziani sono soprattutto una difficoltà. La questione è vista con gli occhi degli attivi. Gli ambienti produttivi sono in ansia per quelli che non producono. Così le domande centrali della questione sembrano essere: "Quanto ci costa?" e "Cosa ci guadagnamo?". È la previdenza che reagisce alla sfida difenden­dosi (4). È il settore della sanità che si chiude allo stesso modo. È, in generale, un'impostazione economicista che riduce la vita sociale e perso­nale ai soli aspetti economici.

Ponendosi però dal punto di vista degli anzia­ni, le stesse affermazioni sono percepite in altro modo. Innanzi tutto il prolungamento della vita non è una minaccia, ma è una condizione per­sonale positiva. Oggi sono sempre più numero­se le persone che possono dire: «A settanta, ot­tanta anni sono ancora vivo! Non mi è accaduto di morire giovane come i miei genitori, i nonni...». Gli anziani, in genere, non sono affatto scontenti di vivere di più. La stragrande maggioranza è autonoma, vive a casa sua, frequentemente svolge attività, lavorative e di vario tipo, non è per nulla un peso o un problema. A volte si in­contra un giusto orgoglio. È la forza della pro­pria età, dell'esperienza, della voglia di vivere e di contare (5).

La prima osservazione che dobbiamo sottoli­neare è quindi che c'è una percezione diversa della stessa situazione da parte degli anziani ri­spetto al resto della popolazione. Assistiamo, in­fatti, ad una divaricazione tra l'atteggiamento degli adulti, attivi, sani, integrati e quello degli anziani. Da una parte si tende al catastrofismo, dall'altra si cerca di presentare la terza età in termini positivi. Le posizioni a volte s'incontrano, a volte si scontrano, a volte danno dei risultati imprevisti. Proviamo a delineare alcuni possibili scenari.

 

Alleanza tra forze ostili

Il primo potremmo definirlo come lo "scenario dell'alleanza". Può infatti accadere che qualcu­no parli di "alleanza tra generazioni". Si cerca di presentare l'anziano come risorsa, come poten­zialità da utilizzare ancora e si propone un ac­cordo con la parte attiva della società. Lo slogan ha avuto molto successo in Germania, ed anche in Italia ci sono segnali in questo senso. Si pensi ad Auser, alle esperienze di mutuo aiuto, alle at­tività di utilità sociale. Gli anziani, secondo que­sta impostazione, devono essere produttivi an­cora; sono una risorsa che non va abbandona­ta, ma piuttosto valorizzata. Questa ipotesi ha dei vantaggi: non costringe le persone alla inat­tività, non pesa sull'assistenza, non identifica gli anziani in ruoli negativi. Dalla parte degli anziani questo tipo di soluzioni può essere bene accolto perché presenta un riconoscimento delle loro effettive potenzialità.

È indiscutibile che queste soluzioni debbano essere tentate soprattutto favorendo la possibili­tà di lavorare comunque anche in tarda età, ma non bisogna negare un risvolto a suo modo conturbante: l'alleanza può essere fatta solo con gli anziani attivi. Il corollario dell'accordo non scritto suona più o meno: «Andiamo avanti insieme, noi ci preoccupiamo di voi, vi valoriz­ziamo, vi facciamo spazio, ma mi raccomando non vi ammalate, non diventate dipendenti, non vi isolate». Le condizioni dell'accordo prevedono la buona salute, l'autonomia, qualche risorsa culturale e finanziaria. È un accordo d'interessi e non di diritti (6). Per questa strada si può giun­gere facilmente non ad una alleanza reale, che per essere tale ha bisogno di non essere condi­zionata, ma ad un armistizio tra forze ostili. In ef­fetti proprio la duplicità degli atteggiamenti che abbiamo provato a descrivere fa pensare ad una sorta di "alleanza tra forze ostili" dove il re­ciproco vantaggio deriva dalla non belligeranza attiva.

 

Rottura della solidarietà

Un secondo tipo di scenario si determina quando una parte dello schieramento "anziani" aumenta le sue richieste. Accade, e questo è terreno di dibattito tra gli esperti, che gli anziani, almeno alcuni tra loro, si ammalino di più degli altri, consumino più farmaci, siano più lenti a guarire (7). Accade che abbiano bisogno dì una pensione e non possano continuare a produrre. Accade che abbiano bisogno di alcune cure specifiche, di verifiche continue, che diventino più dipendenti (8).

Questa quota di anziani dipendenti sta au­mentando o no? Gli epidemiologi stanno discu­tendo e un recente contributo dell'OMS ne rias­sume così il dibattito: «La sopravvivenza di per­sone che sarebbero altrimenti morte può far cre­scere il numero degli anziani ammalati cronici, ma, d'altra parte, i miglioramenti fondamentali nel campo della salute che contribuiscono alla crescita della sopravvivenza, possono anche portare ad una riduzione della morbosità e della disabilità» (9). Ciò vuol dire che posizioni pregiudizialmente negative sono quanto meno scienti­ficamente dubbie.

Le nuove generazioni di anziani più colte, più ricche, più capaci di autonomia probabilmente confermeranno questa tendenza non negativa. Lo stesso Antonini rileva che la percentuale di vecchi, definendo così le persone con una spe­ranza di vita media di dieci anni, si mantiene co­stante negli ultimi cento anni, stimabile fra il 5 e il 6% della popolazione (10).

Ciò che interessa, però, in questo momento è cogliere gli atteggiamenti che si stanno determi­nando in Europa. Credo allora che si debba pur­troppo parlare di negativismo: «Gli anziani sono un problema e la categoria deve essere affron­tata come tale». In più si pensa che il problema stia aumentando a dismisura, ed i tentativi di al­leanza tra le generazioni vengono meno con il modificarsi delle condizioni.

D'altra parte gli anziani attivi si ribellano a questa impostazione che percepiscono come penalizzante. Il ragionamento che si afferma tra loro è: «Per colpa di quelli che stanno male gli attivi non danno ascolto anche a noi che stiamo bene. Noi siamo costretti a subire il peso dei problemi degli altri. Se ci sono questi problemi, io non li ho, noi non li abbiamo, quindi dobbiamo distinguere i nostri destini». Questo scenario po­tremmo definirlo quindi come "la rottura della solidarietà". È più che evidente che la condizio­ne di maggior svantaggio dei più deboli viene acuita dall'atteggiamento degli attivi, siano que­sti giovani, adulti o anziani. Quando si rompono i legami di solidarietà sociale e si crede che il be­nessere del tutto sia legato all'abbandono della parte poco importa che a dir questo sia un gio­vane o un anziano. Per questa via, s'afferma so­lo la rottura del tessuto sociale. In termini di vita personale, questo vuol dire vivere meno e vivere peggio.

Anche in questo scenario viene meno un sen­so pieno del diritto soggettivo alle cure, alle ga­ranzie vitali, alla sicurezza per la propria perso­na. II diritto si trasforma in una possibilità con­cessa dai sani ai sani, dai forti a chi può meritar­la e mantenerla. Questo scenario determina una corsa verso una impossibile perenne indipen­denza.

 

Solidarietà attiva

Il terzo tipo di scenario è quello della "solida­rietà attiva". Una quota di persone attive, giovani, adulti e anziani si mobilitano per sostenere il maggior bisogno di una parte della compagine sociale (11). In questo caso l'alleanza è destina­ta a durare perché non nega il problema, anzi ne fa un fondamento del patto. Si lavora per ridurre la dipendenza, ma se questa sopraggiunge non c'è minaccia d'abbandono. Si combatte la ma­lattia, ma se questa si presenta viene curata, non negata. Se si presentano delle esigenze di rapporto sociale, queste vengono accolte e non respinte.

Questo scenario che potremmo definire an­che "sistemico-comunicativo" presuppone che gli elementi del tutto parlino tra loro. Gli anziani, anche i più malati, vengono quindi ascoltati co­me interlocutori credibili (12).

I problemi non sono affrontati nella prospetti­va di una soluzione dall'alto, subita dall'elemen­to più debole anche suo malgrado. Si pensi ai ri­coveri in istituto ancora oggi fatti a volte "per il bene dell'anziano", ma contro la sua volontà che determinano bruschi innalzamenti dei livelli di mortalità (13). Si cerca di operare piuttosto at­traverso una esplicita accoglienza delle esigen­ze e dei diritti della persona.

Ed eccoci quindi giunti al vero fulcro del tema: le esigenze ed i diritti della persona. Il primo scenario sembra positivo, ma è estremamente pericoloso. Non ha senso infatti ricontrattare una alleanza tra soggetti e categorie che non hanno uguali rapporti di forza. Inevitabilmente gli uni, più forti, prevarranno sugli altri.

Non bisogna dimenticare i valori fondamentali della persona sanciti dal diritto e dalle dichiara­zioni universali. II riferimento non è privo di si­gnificato. A ciascun uomo è dovuto, da tutti, per diritto, il rispetto del proprio corpo. E ciò ha, nel caso degli anziani, soprattutto di quelli dipen­denti, un senso decisivo. La cura della persona non è dovuta in quanto attivo, in quanto capace di esprimere positivamente il suo ruolo nella so­cietà dei produttori. II diritto di vivere, di mangia­re, di bere, di essere vestito, di essere accolto con il proprio sesso, la propria cultura, la pro­pria particolare individualità, è un diritto da ga­rantire a tutti, in ogni modo, non è e non può es­sere il frutto di una falsa alleanza ricontrattata in tarda età (14).

D'altra parte anche il terzo scenario può avere delle controindicazioni. Se il movimento di so­stegno che unisce settori forti a quelli deboli non si esplicita in una definizione giuridica vin­colante per tutti, rischia d'aver vita breve e di trasformarsi nel suo contrario. Vita breve perché come ricorda Ignatieff: «Guai a chi affida la pro­pria alimentazione e la propria protezione all'astratta umanità di un altro! Guai a chi non ha alle spalle uno Stato, una famiglia, una comunità, dei vicini, che facciano valere il suo appello a soddisfare un suo bisogno!» (15).

È necessario che la difesa delle persone in difficoltà non sia confinata nel caso singolo, ma che sappia trasformare la singolarità in emble­maticità.

Si tratta cioè di identificare una esigenza ed un diritto, esplicitare i momenti in cui viene ne­gato, pretenderne la definizione e richiederne l'attuazione.          .

Questa sembra la strada che possa realizza­re, in modo effettivo, il terzo scenario che, pur essendo indiscutibilmente migliore e propugna­to a parole da molti, fatica ad affermarsi.

Nella realtà gli atteggiamenti che definivo di "alleanza tra forze ostili" e di "rottura della soli­darietà" sono attualmente vincenti.

 

Il diritto alle cure sanitarie e la vicenda del Fatebenefratelli di Venezia

Il caso più evidente lo si ha quando si af­fronta il tema degli anziani non autosufficienti. Si tratta di persone malate che il sistema sanitario, non isolatamente ma con molta evidenza in Ita­lia, abbandona a se stesse prive delle cure cui pure avrebbero diritto.

La legislazione nel nostro paese prevede che le cure siano prestate senza limiti di durata (16), che i posti letto ospedalieri debbano essere programmati tenendo conto delle esigenze di acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti (17), che il ricovero sia fatto in base al principio della obbligatorietà nel caso in cui ne sia accertata la necessità (18). Eppure accade frequentemente che gli anziani siano discriminati. In quanto an­ziani, sono meno malati degli altri, o meglio sono dei malati con meno diritti.

È quanto ad esempio è accaduto proprio qui a Venezia dove una anziana donna ricoverata in difficili condizioni di salute è stata dimessa suo malgrado dall'ospedale San Raffaele Arcangelo dell'Ordine Fatebenefratelli. Cito il caso perché sta divenendo clamoroso soprattutto dopo la denuncia penale presentata dall'Ospedale contro i familiari accusati di abbandono.

È chiaro il contenuto emblematico dell'episodio. Da una parte un'anziana malata e la sua famiglia che pretendono cure gratuite secondo la legge. Dall'altra un ospedale che vuole utilizzare le sue strutture secondo criteri di razionalità ed efficienza. Cosa è prioritario? Il diritto soggettivo perfetto o l'interesse della struttura? Non bisogna lasciarsi impressionare dall'importanza degli interlocutori.

 

Conclusioni

Il fondamento di una effettiva alleanza, non occasionale, non capestro, è il diritto. Il diritto alle cure ne è una componente essenziale. Questo diritto va riaffermato anche tenendo presente che il non prestare cure adeguate sta diventando frequente anche per altre categorie di persone: si pensi ai malati terminali, soprat­tutto oncologici, si pensi ai giovani colpiti da AIDS.

Come ricordavo precedentemente va invece riaffermato il diritto di ciascuno per garantire la tutela di tutti. Nessuno creda d'ottenere dal buon cuore degli altri quello che per legge non si vuole concedere. Molto di quel che è dovuto è un diritto, non una concessione. Essere curati quando si è malati, almeno nel nostro paese. è ancora un diritto sancito dalla Costituzione.

Insisto su questo punto perché ritengo che il fondamento di una vera politica sociale per gli anziani in Europa alle soglie del 2000 sia da ri­cercare nella difesa dei diritti dei cittadini, non solo anziani, e nell'ascolto degli stessi anziani come interlocutori credibili (19). Ciò dovrà rea­lizzarsi non solo nel campo della salute, ma an­che in quello della sicurezza economica, della casa, del lavoro, in generale della vita sociale.

 

 

(*) Relazione tenuta al convegno europeo di Venezia del 14-16 ottobre 1991 "Le problematiche dell'anziano alle so­glie del 2000".

(1) Per una definizione di non autosufficiente cfr. i docu­menti del Gruppo nazionale ISTISSS-CSPSS pubblicati, in varie occasioni, su Prospettive assistenziali.

(2) Comunità di Sant'Egidio, L'età più lunga: anziani dall'abbandono alla solidarietà, Milano, 1991.

(3) Walker A. e al., Les politiques sociales et économi­ques et les personnes âgées, Premier rapport annuel de I'observatoire de la Communauté Européenne, Bruxelles, 1991.

(4) Berghman J. e al., Vieillissement de la population et financement de la sécurité sociale, relazione al "Colloque Sur les prestations de vieillesse et de la santé: leur impact sur le financement actuel et futur de la sécurité sociale", organizzato dal Consiglio d'Europa a Strasburgo il 18 otto­bre 1991.

(5) Urbani e al., L'anziano attivo, Torino, 1991.

(6) Bobbio N., in Eutanasia d'abbandono, Torino, 1988.

(7) Commissione delle Comunità Europee, Atti del Collo­quio "L'économie de l'aide aux personnes âgées", Bruxel­les, 24 marzo 1990.

(8) Nijkamp P. e al., Services for the Elderly in Europe: a Cross-National Comparative Study, Bruxelles, 1990.

(9) OMS, Technical Report Series 779, Ginevra, 1989.

(10) Antonini F.M., I bisogni di salute dell'anziano, Atti del seminario della Fondazione Smith Kline, Venezia 20 aprile 1991.

(11) Santanera F., Breda M.G., Per non morire d'abban­dono, Torino, 1990.

(12) Weakland J.H., Herr J.J., L'anziano e la sua famiglia, Roma, 1986.

(13) Atti del Convegno "Prima intervenire a casa", Mila­no, 1991.

(14) Cfr. a questo proposito i numerosi articoli sull'argo­mento apparsi su Prospettive assistenziali.

(15) Ignatieff M., I bisogni degli altri, Bologna, 1986.

(16) Legge di riforma sanitaria del 23 dicembre 1978 n. 833.

(17) Legge del 12 febbraio 1968 n. 132.

(18) Ibidem.

(19) Atti del Convegno internazionale organizzato dalla Commissione delle Comunità Europee, "Les citoyens euro­péens âgés des années 1990", Bruxelles, 17-18 settembre 1991.

 

 

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