Prospettive assistenziali, n. 100, ottobre-dicembre 1992

 

 

ESPERIENZE POSITIVE DI ANZIANI RICOVERATI IN OSPEDALE

BRUNO FINZI - GABRIELE PIERESCA

 

 

Da alcuni anni, politici, amministratori, medici, infermieri ed anche alcuni geriatri sostengono che il ricovero in ospedale di anziani determina sempre e comunque conseguenze negative peri pazienti.

È una posizione strumentale, diretta ad allontanare i vecchi malati dagli ospedali, soprattutto quelli colpiti da cronicità e da non autosufficienza.

È vero, e le iniziative di ospedalizzazione a domicilio sono esemplari al riguardo, che occorrerebbe che il Servizio sanitario nazionale riconoscesse la priorità degli interventi che consentono la permanenza a casa degli anziani (e adulti) malati acuti e cronici (1) quando si realizzano le seguenti condizioni:

1) vantaggi terapeutici per il soggetto;

2) disponibilità di familiari o di terzi ad accogliere a casa loro il paziente e idoneità degli stessi e dell'abitazione;

3) necessità di personale medico, infermieristi­co e riabilitativo non superiore a quello occorrente in ospedale per la cura e la riabilitazione di pazienti con analoghe condizioni di salute;

4) costi nettamente inferiori alle rette ospedaliere.

Tuttavia, è purtroppo altrettanto vero che politici, amministratori, medici, infermieri - salvo casi del tutto eccezionali - rifiutano o boicottano questa modalità di intervento. In alternativa all'ospedalizzazione a domicilio, sponsorizzano l'assistenza domiciliare integrata, intervento che è estremamente vantaggioso per i medici sotto il profilo economico (2).

Ciò premesso, abbiamo chiesto al Prof. Bruno Finzi, Primario Geriatria Emerito e al Dr. Gabriele Pieresca della Divisione Lungodegenti dell'Ospe­dale Giustinian di Venezia diretta dal Dr. Salvatore Cucca di fornirci una documentazione in merito ai vantaggi, spesso rilevantissimi, conseguiti dai pa­zienti anziani a seguito del ricovero in ospedale.

Al riguardo è evidente che, durante la degenza non devono essere forniti solo gli interventi stret­tamente sanitari, ma anche le prestazioni che fa­voriscono l'umanizzazione, le relazioni con la fa­miglia e il volontariato. Inoltre la valutazione degli aspetti medici, infermieristici e riabilitativi deve tenere nella giusta considerazione le problemati­che sociali.

 

 

RELAZIONE FINZI-PIERESCA

 

La definizione di lungodegente viene data per la prima volta in Italia dalla "Commissione per lo studio dei problemi geriatrici", nominata dal Mi­nistro della Sanità nel 1968. A noi pare tuttora del tutto accettabile e suona così: «Sono lungo­degenti (geriatrici) quei pazienti che, dopo il trat­tamento iniziale, necessitano ancora di cure ospedaliere, poiché il loro recupero funzionale è soltanto parziale ed incostante. Sono quindi ma­lati in cui non esistono più problemi diagnostici ma molti e di grande impegno sono invece i pro­blemi terapeutici».

I reparti sono quindi (o dovrebbero essere) reparti di terapia intensiva, tali da condurre a quel fine ultimo di reinserire le persone nella fa­miglia e nella società. Se tale scopo non può es­sere raggiunto e solo dopo attenta e ripetuta va­lutazione geriatrica, può essere giustificato di considerarli lungodegenti non recuperabili o cronici. Non si può fissare e non è valido il crite­rio temporale (un paziente è cronico dopo venti giorni o dopo sei mesi) ma solo la valutazione ri­petuta, quando dimostri che, dopo aver fatto tut­to il possibile in campo terapeutico e riabilitati­vo, non vi è nessun miglioramento del paziente che non ha riacquistato neanche in minimo gra­do la perduta autosufficienza.

I dieci casi che riportiamo sono esempi tratti da una vasta casistica di malati cronici, momen­taneamente non autosufficienti ma recuperabili, cui una o più adeguate degenze in una divisione lungodegenti con possibilità di riabilitazione ha dato la possibilità di tornare a casa ad abitare da soli o in famiglia, in condizioni di netto miglio­ramento. Questo è tanto più importante se si tie­ne conto che si trattava spesso di forme neopla­stiche non guaribili ma sicuramente curabili.

Come altre volte abbiamo detto o scritto, ciò che caratterizza la patologia prevalente nell'an­ziano è la difficoltà in molti casi di arrivare alla guarigione completa. Se nel giovane lo scopo di un ricovero ospedaliero può e deve essere quel­lo di guarirlo e di restituirgli la capacità lavorativa, nell'anziano per lo più si dovrà accontentarsi di creargli un nuovo equilibrio e difenderne in modo più o meno completo l'autonomia.

Se ciò non avviene si ha la non autosufficien­za, la dipendenza più o meno completa, l'inabili­tà definitiva e per lo più il ricovero definitivo in cronicario.

Se questa, la difesa cioè dell'autonomia, indipendentemente dall'eventuale handicap deri­vante da una malattia cronica o dai suoi esiti, è lo scopo da perseguire, è evidente che i reparti di lungodegenti non devono essere il deposito dei pesi morti delle più nobili divisioni di medici­na o di geriatria per acuti, col risultato finale di diventare fabbriche di cronici, ma reparti di tera­pia intensiva e riabilitativa in cui la degenza, pro­lungata per il tempo necessario senza limitazio­ni, non si conclude con la dimissione pura e semplice, ma in una continuità di assistenza do­miciliare e ambulatoriale, con la possibilità di ri­tornare in reparto per degenze più o meno brevi, quando le condizioni del paziente lo richiedano.

Non vi è chi non veda come a questa conce­zione della lungodegenza si oppongano dispo­sizioni odiose e contrarie alle leggi, secondo cui in alcuni reparti lungodegenti (vedi la denuncia per il recente episodio del Fatebenefratelli di Ve­nezia) si limitano le degenze a venti giorni, facen­do firmare ai parenti un impegno inderogabile a portare via il malato, indipendentemente dalle sue condizioni, che spesso sono peggiorate.

Riportiamo qui di seguito dieci casi a cui se­gue un breve commento.

 

1 ° caso - Sig. B.F., anni 81

Ricoverato il 10.4.1991 nella nostra Divisione, trasferito dalla Geriatria 2a del nostro Ospedale. Diagnosi di entrata: Carcinoma prostatico con metastasi diffuse - Ulcera gastrica.

Il paziente all'ingresso è allettato, si alimenta poco. Si anemizza rapidamente richiedendo emotrasfusioni settimanali.

Durante il ricovero nella nostra Divisione, co­mincia ad alimentarsi di più. Viene messo a se­dere il primo mese e poi comincia a deambu­lare con l'appoggio di un bastone. Anche la cra­si ematica migliora fintanto che il paziente viene dimesso.

All'uscita (20.6) rientra a domicilio a piedi. Vi­ve da solo assistito da personale volontario del­la Parrocchia. Rientra in Reparto regolarmente per controlli e terapie antitumorali ogni quattro settimane. Non ha più avuto bisogno di emotra­sfusioni.

 

2° caso - Sig. L.L., anni 75

Ricoverato l'8.3.1991 nella nostra Divisione. Trasferito dalla Geriatria 2a del nostro Ospedale. Diagnosi di entrata: Deterioramento cognitivo in vasculopatia cerebrale - Sindrome depressi­va.

Il paziente all'ingresso lamenta difficoltà alla deambulazione. Sindrome vertiginosa. Anores­sia. Grave stato depressivo. Insonnia.

Durante il ricovero migliora nettamente la sua cenestesi e aumenta il tono dell'umore. Comin­cia a nutrirsi regolarmente. Riprende il ritmo sonno-veglia regolarmente.

All'uscita (12.6.1991), il paziente rientra a ca­sa dove vive solo. Non lamenta più grossolane difficoltà di deambulazione e soprattutto sono quasi scomparsi del tutto i sintomi legati alla sindrome depressiva.

 

3° caso - Sig. D.R.D., anni 76

Ricoverato il 3.9.1990 e dimesso l'8.12.1990. Era stato trasferito dalla Chirurgia.

Diagnosi di entrata: Arteriopatia agli arti infe­riori - Ulcera trofica piede destro - Miocardio - Sclerosi ipertensiva - Pregresso infarto del mio­cardio - Insufficienza renale cronica in portatore di elettrostimolatore midollare.

All'ingresso il paziente è costretto a letto per compenso labile di cuore, anche a riposo, e per forti algie al piede destro che si presenta infiam­mato con un'ulcera al malleolo esterno del dia­metro di cm 2x2.

Durante il ricovero il paziente è riuscito a re­cuperare un buon compenso cardiaco, con ri­presa di una discreta capacità deambulatoria senza lamentare precordialgie e dispnea da sforzo. L'ulcera trofica, dopo tre mesi di medica­zioni, si è chiusa.

II paziente rientra a casa dove vive con la mo­glie e si muove anche per strada con l'appoggio del bastone.

 

4° caso - Sig. M.N., anni 88

Ricoverato dal 23.7.1990 al 12.9.1990 e, dopo breve periodo in Urologia, dal 10.4.1990 al 24.12.1990.

Il paziente è trasferito dalla Geriatria. Diagnosi di entrata: Carcinoma prostatico con metastasi ossee - Miocardio - Sclerosi - Bron­copneumopatia cronico-ostruttiva.

All'entrata il paziente è allettato con catetere vescicale a dimora, lamenta dispepsia e poliar­tralgie.

Durante fa degenza nella nostra Divisione vie­ne mobilizzato. Prima viene messo a sedere e poi, con l'uso di un bustino, il paziente comincia la deambulazione in reparto, consentita anche dalla diminuzione dei dolori articolari con l'aiuto della terapia con la calcitonina. Dopo la ginna­stica vescicale, si riesce a rimuovere il catetere vescicale. Riprende ad alimentarsi con più rego­larità.

Il paziente viene dimesso quando è in grado di deambulare solo con l'appoggio di un bastone. Rientra a casa dove vive solo.

È già rientrato nella nostra Divisione per con­trolli due volte. Attualmente è stazionario, nono­stante la patologia neoplastica di cui soffre e a cui si è aggiunto nel frattempo anche il riscontro di un adenocarcinoma gastrico.

 

5° caso - Sig. D.R.E., anni 76

Ricoverato dal 5.2.1991 al 29.4.1991, ci viene trasferito dalla Geriatria 2a.

Diagnosi di entrata: Carcinoma gastrico - Esiti ischemia cerebrale - Fibrillazione atriale - In­continenza urinaria.

Durante la degenza viene fatta la diagnosi di probabile metastasi esofagea.

Il paziente all'entrata è in cattive condizioni generali di nutrizione. Anoressia totale e vomito ripetuto. È allettato con catetere vescicale a di­mora.

Dopo un periodo di nutrizione parenterale, che permette al paziente di riprendersi dal pun­to di vista generale, si passa all'alimentazione per bocca. Il paziente negli ultimi giorni di de­genza riesce a mangiare anche da solo metten­dolo a sedere in poltrona. Si riesce anche a far­gli fare, accompagnato, qualche passo in stan­za. Viene rimosso il catetere vescicale.

Viene dimesso nettamente migliorato dal pun­to di vista generale. Ora vive con la moglie e la figlia.

 

6° caso - Sig.ra S.M., anni 54

Ricoverata dal 20.11.1985 al 25.2.1986, ci vie­ne trasferita dalla Geriatria 1a.

Diagnosi di entrata: Polineuropatia con note di extrapiramidalismo - Sindrome depressiva.

La paziente all'entrata è allettata, depressa, con psiche rallentata.

L'assistenza continua di due amiche, la tera­pia medica e la fisiokinesiterapia, riescono a far recuperare alla paziente la voglia e la forza, dapprima di tenere la posizione seduta, e poi, a poco a poco di ricominciare a camminare. Da segnalare inoltre che la signora, durante la de­genza riprende a dipingere quadri, cosa che non faceva più da cinque anni.

Alla dimissione, la signora è in grado di cam­minare anche senza appoggio. Rientra a casa dove vive da sola, ma può contare sempre sull'assistenza delle due amiche che tanto han­no contribuito alla sua ripresa.

 

7° caso - Sig. Z.U., anni 63

Ricoverato il 28.3.1991, viene dimesso il 18.5.1991.

Il paziente viene ricoverato direttamente dal Pronto Soccorso del nostro Ospedale.

Diagnosi di entrata: Vasta ulcera da stasi all'arto inferiore sinistro - Insufficienza venosa cronica.

Il paziente, all'ingresso, presentava una lesio­ne alla gamba di cm 12 x cm 8 di estensione. La­mentava algie e parestesie che non gli permette­vano una deambulazione facile. Inoltre il paziente presentava un sovrappeso importante (kg 97 x h 1.70) che gli procurava dispnea da sforzo.

Il paziente, all'uscita, pesava kg. 88.500 e la lesione ulcerativa si era completamente chiusa con medicazioni quotidiane. Da notare anche il netto miglioramento da parametri ematochimici con la terapia e la dieta medica: glicemia da 186 a 109; uricemia da 7.2 a 4.8; colesterolo totale da 250 a 190; trigliceridi da 380 a 133.

Vive solo.

 

8° caso - Sig. R.P., anni 65

Ricoverato il 9.4.1990 e dimesso l'11.6.1990. Viene trasferito dalla Geriatria 2a del nostro Ospedale.

Diagnosi di entrata: Emiplegia destra con afa­sia da cospicuo focolaio di rammollimento cere­brale sinistro da occlusione della carotide inter­na in iperteso.

Il paziente all'ingresso presenta un grave de­terioramento psichico con afasia globale. È al­lettato.

Inizia un trattamento riabilitativo, prima a letto, poi in palestra e logopedia.

All'uscita, il paziente è in grado di deambulare con l'appoggio di un bastone. Permane l'afasia anche se molto migliorata è la comprensione e la ripetizione.

Rientra nella sua abitazione dove vive con la moglie. Verrà ricoverato altre due volte per ulte­riori cicli di fisiokinesiterapia.

 

9° caso - Sig. B.S., anni 56

Ricoverato l'11.11.1990 e dimesso il 22.2.1991.

Ci viene trasferito dalla Neurologia dove era stato ricoverato per ictus cerebrale.

Diagnosi di entrata: Emiplegia destra da infar­to cerebrale sinistro - Ipertensione arteriosa gammopatia monioclonale.

All'ingresso il paziente è allettato. Inizia un ci­clo di kinesiterapia e sedute con la psicologa per sindrome depressiva reattiva. Quando viene dimesso, il paziente riesce a deambulare con l'appoggio di un bastone. Anche il tono dell'umore è migliorato.

Rientra in casa dove vive con la moglie. Rientrerà in reparto per ulteriori cicli di fisioki­nesiterapia.

 

10° caso - sig.ra G.G., anni 82

Ricoverata il 6.12.1990 e dimessa il 7.3.1991. Ci viene trasferita dalla Divisione ortopedica dell'Ospedale di Mestre dove era stata ricovera­ta il 28.11.1990.

Diagnosi di entrata: Fratture scomposte delle branche ischiopubiche destre e frattura della 9a costa sinistra in seguito ad incidente automobili­stico.

La paziente all'ingresso era allettata, accusa­va dolore ai minimi movimenti dei segmenti os­sei interessati dalle lesioni traumatiche. Si ali­mentava poco e portava un catetere vescicale.

Dopo venti giorni, durante i quali è stata tratta­ta con anabolizzanti e calcitonina, la paziente è stata messa a sedere ed ha iniziato fisiokinesi­terapia con ottimi risultati.

Alla dimissione, la paziente è in grado di deambulare, anche se per tragitti non molto lun­ghi e solo con l'aiuto di un bastone.

Rientra a casa senza catetere vescicale. Vive con il figlio.

 

Commento

Particolarmente dimostrativo ci pare il caso n. 4: un paziente ottantaduenne con tumore ma­ligno della prostata metastatizzato alle ossa, che, dopo adatto trattamento, può essere di­messo senza il catetere a permanenza con cui era arrivato in reparto e in grado di camminare col bastone.

Interessante anche il caso n. 6: una signora di 54 anni con una grave forma nervosa e sindro­me depressiva che può essere dimessa avendo recuperato la capacità di camminare e la voglia di dipingere, anche per merito dell'affettuosa e continua assistenza di due amiche che la segui­ranno anche a casa.

Nel settimo caso si è ottenuta la completa guarigione di una vasta ulcera alla gamba sini­stra in diabetico obeso con insufficienza venosa cronica.

Notevole anche il decimo caso: una signora ottantaduenne con fratture multiple in seguito a incidente automobilistico, allettata e con catete­re vescicale a permanenza che può essere di­messa dopo tre mesi senza catetere e in grado di camminare, aiutandosi col bastone.

Da notare anche che tutti i dieci casi si sono risolti con il ritorno a casa. Sei sono tornati a vi­vere in famiglia e quattro da soli, trovando l'ap­poggio di amici o di organizzazioni di volontaria­to.

Se vogliamo ora trarre alcune conclusioni, possiamo dire che:

1) un reparto di lungodegenti bene organizza­to può recuperare pazienti altrimenti destinati all'inabilità permanente e dimetterli, pur essen­do necessario in alcuni casi di seguirli e ricove­rarli di nuovo per periodi più o meno lunghi;

2) un paziente cronico è per definizione in­guaribile ma non incurabile: anche di fronte a una neoplasia metastatizzata si può aiutarlo a ri­trovare una vita accettabile;

3) la guarigione di un anziano è spesso im­possibile: lo scopo della geriatria è di fargli ritro­vare nuovi equilibri fisici e psichici e di fargli conservare o recuperare l'autosufficienza: que­sto può richiedere degenze spesso anche molto lunghe;

4) non è valido il criterio cronologico: il recu­pero di un emiplegico afasico può richiedere un periodo di mesi o di più di un anno, ma vale sempre la pena di continuare fintanto che si ot­tengono miglioramenti quantificabili;

5) interrompere una prestazione riabilitativa ponendo limiti temporali per ragioni economiche e burocratiche rende vano lo sforzo e sfocia nella fabbrica di un cronico.

 

 

(1) Analoghe considerazioni valgono per i minori.

(2) Cfr. "Ospedalizzazione a domicilio e assistenza do­miciliare integrata" in Prospettive assistenziali, n. 94, apri­le-giugno 1991.

 

 

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