ESPERIENZE
POSITIVE DI ANZIANI RICOVERATI IN OSPEDALE
BRUNO FINZI - GABRIELE PIERESCA
Da alcuni
anni, politici, amministratori, medici, infermieri ed anche alcuni geriatri
sostengono che il ricovero in ospedale di anziani determina sempre e comunque
conseguenze negative peri pazienti.
È una
posizione strumentale, diretta ad allontanare i vecchi malati dagli ospedali,
soprattutto quelli colpiti da cronicità e da non autosufficienza.
È vero, e le
iniziative di ospedalizzazione a domicilio sono esemplari al riguardo, che
occorrerebbe che il Servizio sanitario nazionale riconoscesse la priorità
degli interventi che consentono la permanenza a casa degli anziani (e adulti)
malati acuti e cronici (1) quando si realizzano le seguenti
condizioni:
1) vantaggi terapeutici per il
soggetto;
2)
disponibilità di familiari o di terzi ad accogliere a casa loro il paziente e
idoneità degli stessi e dell'abitazione;
3) necessità
di personale medico, infermieristico e riabilitativo non superiore a quello
occorrente in ospedale per la cura e la riabilitazione di pazienti con
analoghe condizioni di salute;
4) costi nettamente inferiori alle
rette ospedaliere.
Tuttavia, è
purtroppo altrettanto vero che politici, amministratori, medici, infermieri -
salvo casi del tutto eccezionali - rifiutano o boicottano questa modalità di
intervento. In alternativa all'ospedalizzazione a domicilio, sponsorizzano
l'assistenza domiciliare integrata, intervento che è estremamente vantaggioso
per i medici sotto il profilo economico (2).
Ciò
premesso, abbiamo chiesto al Prof. Bruno Finzi, Primario Geriatria Emerito e al
Dr. Gabriele Pieresca della Divisione Lungodegenti dell'Ospedale Giustinian di
Venezia diretta dal Dr. Salvatore Cucca di fornirci una documentazione in
merito ai vantaggi, spesso rilevantissimi, conseguiti dai pazienti anziani a
seguito del ricovero in ospedale.
Al riguardo
è evidente che, durante la degenza non devono essere forniti solo gli
interventi strettamente sanitari, ma anche le prestazioni che favoriscono l'umanizzazione,
le relazioni con la famiglia e il volontariato. Inoltre la valutazione degli
aspetti medici, infermieristici e riabilitativi deve tenere nella giusta
considerazione le problematiche sociali.
RELAZIONE FINZI-PIERESCA
La definizione di lungodegente viene data per la
prima volta in Italia dalla "Commissione per lo studio dei problemi
geriatrici", nominata dal Ministro della Sanità nel 1968. A noi pare
tuttora del tutto accettabile e suona così: «Sono lungodegenti (geriatrici)
quei pazienti che, dopo il trattamento iniziale, necessitano ancora di cure
ospedaliere, poiché il loro recupero funzionale è soltanto parziale ed
incostante. Sono quindi malati in cui non esistono più problemi diagnostici ma
molti e di grande impegno sono invece i problemi terapeutici».
I reparti sono quindi (o dovrebbero essere) reparti
di terapia intensiva, tali da condurre a quel fine ultimo di reinserire le
persone nella famiglia e nella società. Se tale scopo non può essere
raggiunto e solo dopo attenta e ripetuta valutazione geriatrica, può essere
giustificato di considerarli lungodegenti non recuperabili o cronici. Non si
può fissare e non è valido il criterio temporale (un paziente è cronico dopo
venti giorni o dopo sei mesi) ma solo la valutazione ripetuta, quando dimostri
che, dopo aver fatto tutto il possibile in campo terapeutico e riabilitativo,
non vi è nessun miglioramento del paziente che non ha riacquistato neanche in
minimo grado la perduta autosufficienza.
I dieci casi che riportiamo sono esempi tratti da una
vasta casistica di malati cronici, momentaneamente non autosufficienti ma
recuperabili, cui una o più adeguate degenze in una divisione lungodegenti con
possibilità di riabilitazione ha dato la possibilità di tornare a casa ad
abitare da soli o in famiglia, in condizioni di netto miglioramento. Questo è
tanto più importante se si tiene conto che si trattava spesso di forme neoplastiche
non guaribili ma sicuramente curabili.
Come altre volte abbiamo detto o scritto, ciò che
caratterizza la patologia prevalente nell'anziano è la difficoltà in molti
casi di arrivare alla guarigione completa. Se nel giovane lo scopo di un
ricovero ospedaliero può e deve essere quello di guarirlo e di restituirgli la
capacità lavorativa, nell'anziano per lo più si dovrà accontentarsi di creargli
un nuovo equilibrio e difenderne in modo più o meno completo l'autonomia.
Se ciò non avviene si ha la non autosufficienza, la
dipendenza più o meno completa, l'inabilità definitiva e per lo più il
ricovero definitivo in cronicario.
Se questa, la difesa cioè dell'autonomia, indipendentemente
dall'eventuale handicap derivante da una malattia cronica o dai suoi esiti, è
lo scopo da perseguire, è evidente che i reparti di lungodegenti non devono
essere il deposito dei pesi morti delle più nobili divisioni di medicina o di
geriatria per acuti, col risultato finale di diventare fabbriche di cronici, ma
reparti di terapia intensiva e riabilitativa in cui la degenza, prolungata
per il tempo necessario senza limitazioni, non si conclude con la dimissione
pura e semplice, ma in una continuità di assistenza domiciliare e
ambulatoriale, con la possibilità di ritornare in reparto per degenze più o
meno brevi, quando le condizioni del paziente lo richiedano.
Non vi è chi non veda come a questa concezione della
lungodegenza si oppongano disposizioni odiose e contrarie alle leggi, secondo
cui in alcuni reparti lungodegenti (vedi la denuncia per il recente episodio
del Fatebenefratelli di Venezia) si limitano le degenze a venti giorni, facendo
firmare ai parenti un impegno inderogabile a portare via il malato,
indipendentemente dalle sue condizioni, che spesso sono peggiorate.
Riportiamo
qui di seguito dieci casi a cui segue un breve commento.
1 ° caso - Sig. B.F., anni 81
Ricoverato
il 10.4.1991 nella nostra Divisione, trasferito dalla Geriatria 2a
del nostro Ospedale. Diagnosi di entrata: Carcinoma prostatico con metastasi
diffuse - Ulcera gastrica.
Il paziente all'ingresso è allettato, si alimenta
poco. Si anemizza rapidamente richiedendo emotrasfusioni settimanali.
Durante il ricovero nella nostra Divisione, comincia
ad alimentarsi di più. Viene messo a sedere il primo mese e poi comincia a
deambulare con l'appoggio di un bastone. Anche la crasi ematica migliora fintanto
che il paziente viene dimesso.
All'uscita (20.6) rientra a domicilio a piedi. Vive
da solo assistito da personale volontario della Parrocchia. Rientra in Reparto
regolarmente per controlli e terapie antitumorali ogni quattro settimane. Non
ha più avuto bisogno di emotrasfusioni.
2° caso - Sig. L.L., anni 75
Ricoverato l'8.3.1991 nella nostra Divisione.
Trasferito dalla Geriatria 2a del nostro Ospedale. Diagnosi di
entrata: Deterioramento cognitivo in vasculopatia cerebrale - Sindrome depressiva.
Il paziente all'ingresso lamenta difficoltà alla
deambulazione. Sindrome vertiginosa. Anoressia. Grave stato depressivo.
Insonnia.
Durante il ricovero migliora nettamente la sua
cenestesi e aumenta il tono dell'umore. Comincia a nutrirsi regolarmente. Riprende
il ritmo sonno-veglia regolarmente.
All'uscita (12.6.1991), il paziente rientra a casa
dove vive solo. Non lamenta più grossolane difficoltà di deambulazione e
soprattutto sono quasi scomparsi del tutto i sintomi legati alla sindrome
depressiva.
3° caso - Sig. D.R.D., anni 76
Ricoverato
il 3.9.1990 e dimesso l'8.12.1990. Era stato trasferito dalla Chirurgia.
Diagnosi di entrata: Arteriopatia agli arti inferiori
- Ulcera trofica piede destro - Miocardio - Sclerosi ipertensiva - Pregresso
infarto del miocardio - Insufficienza renale cronica in portatore di
elettrostimolatore midollare.
All'ingresso il paziente è costretto a letto per
compenso labile di cuore, anche a riposo, e per forti algie al piede destro che
si presenta infiammato con un'ulcera al malleolo esterno del diametro di cm
2x2.
Durante il ricovero il paziente è riuscito a recuperare
un buon compenso cardiaco, con ripresa di una discreta capacità deambulatoria
senza lamentare precordialgie e dispnea da sforzo. L'ulcera trofica, dopo tre
mesi di medicazioni, si è chiusa.
II paziente rientra a casa dove vive con la moglie e
si muove anche per strada con l'appoggio del bastone.
4° caso - Sig. M.N., anni 88
Ricoverato dal 23.7.1990 al 12.9.1990 e, dopo breve
periodo in Urologia, dal 10.4.1990 al 24.12.1990.
Il paziente è trasferito dalla Geriatria. Diagnosi di
entrata: Carcinoma prostatico con metastasi ossee - Miocardio - Sclerosi - Broncopneumopatia
cronico-ostruttiva.
All'entrata il paziente è allettato con catetere
vescicale a dimora, lamenta dispepsia e poliartralgie.
Durante fa degenza nella nostra Divisione viene
mobilizzato. Prima viene messo a sedere e poi, con l'uso di un bustino, il
paziente comincia la deambulazione in reparto, consentita anche dalla
diminuzione dei dolori articolari con l'aiuto della terapia con la calcitonina.
Dopo la ginnastica vescicale, si riesce a rimuovere il catetere vescicale.
Riprende ad alimentarsi con più regolarità.
Il paziente viene dimesso quando è in grado di
deambulare solo con l'appoggio di un bastone. Rientra a casa dove vive solo.
È già rientrato nella nostra Divisione per controlli
due volte. Attualmente è stazionario, nonostante la patologia neoplastica di
cui soffre e a cui si è aggiunto nel frattempo anche il riscontro di un adenocarcinoma
gastrico.
5° caso - Sig. D.R.E., anni 76
Ricoverato
dal 5.2.1991 al 29.4.1991, ci viene trasferito dalla Geriatria 2a.
Diagnosi di entrata: Carcinoma gastrico - Esiti
ischemia cerebrale - Fibrillazione atriale - Incontinenza urinaria.
Durante
la degenza viene fatta la diagnosi di probabile metastasi esofagea.
Il paziente all'entrata è in cattive condizioni
generali di nutrizione. Anoressia totale e vomito ripetuto. È allettato con
catetere vescicale a dimora.
Dopo un periodo di nutrizione parenterale, che
permette al paziente di riprendersi dal punto di vista generale, si passa
all'alimentazione per bocca. Il paziente negli ultimi giorni di degenza riesce
a mangiare anche da solo mettendolo a sedere in poltrona. Si riesce anche a
fargli fare, accompagnato, qualche passo in stanza. Viene rimosso il catetere
vescicale.
Viene dimesso nettamente migliorato dal punto di
vista generale. Ora vive con la moglie e la figlia.
6° caso - Sig.ra S.M., anni 54
Ricoverata
dal 20.11.1985 al 25.2.1986, ci viene trasferita dalla Geriatria 1a.
Diagnosi di entrata: Polineuropatia con note di
extrapiramidalismo - Sindrome depressiva.
La paziente all'entrata è allettata, depressa, con
psiche rallentata.
L'assistenza continua di due amiche, la terapia
medica e la fisiokinesiterapia, riescono a far recuperare alla paziente la
voglia e la forza, dapprima di tenere la posizione seduta, e poi, a poco a poco
di ricominciare a camminare. Da segnalare inoltre che la signora, durante la degenza
riprende a dipingere quadri, cosa che non faceva più da cinque anni.
Alla dimissione, la signora è in grado di camminare
anche senza appoggio. Rientra a casa dove vive da sola, ma può contare sempre
sull'assistenza delle due amiche che tanto hanno contribuito alla sua ripresa.
7° caso - Sig. Z.U., anni 63
Ricoverato
il 28.3.1991, viene dimesso il 18.5.1991.
Il
paziente viene ricoverato direttamente dal Pronto Soccorso del nostro Ospedale.
Diagnosi di entrata: Vasta ulcera da stasi all'arto
inferiore sinistro - Insufficienza venosa cronica.
Il paziente, all'ingresso, presentava una lesione
alla gamba di cm 12 x cm 8 di estensione. Lamentava algie e parestesie che non
gli permettevano una deambulazione facile. Inoltre il paziente presentava un
sovrappeso importante (kg 97 x h 1.70) che gli procurava dispnea da sforzo.
Il paziente, all'uscita, pesava kg. 88.500 e la
lesione ulcerativa si era completamente chiusa con medicazioni quotidiane. Da
notare anche il netto miglioramento da parametri ematochimici con la terapia e
la dieta medica: glicemia da 186 a 109; uricemia da 7.2 a 4.8; colesterolo
totale da 250 a 190; trigliceridi da 380 a 133.
Vive
solo.
8° caso - Sig. R.P., anni 65
Ricoverato il 9.4.1990 e dimesso l'11.6.1990. Viene
trasferito dalla Geriatria 2a del nostro Ospedale.
Diagnosi di entrata: Emiplegia destra con afasia da
cospicuo focolaio di rammollimento cerebrale sinistro da occlusione della
carotide interna in iperteso.
Il paziente all'ingresso presenta un grave deterioramento
psichico con afasia globale. È allettato.
Inizia
un trattamento riabilitativo, prima a letto, poi in palestra e logopedia.
All'uscita, il paziente è in grado di deambulare con
l'appoggio di un bastone. Permane l'afasia anche se molto migliorata è la
comprensione e la ripetizione.
Rientra nella sua abitazione dove vive con la moglie.
Verrà ricoverato altre due volte per ulteriori cicli di fisiokinesiterapia.
9° caso - Sig. B.S., anni 56
Ricoverato
l'11.11.1990 e dimesso il 22.2.1991.
Ci
viene trasferito dalla Neurologia dove era stato ricoverato per ictus
cerebrale.
Diagnosi di entrata: Emiplegia destra da infarto
cerebrale sinistro - Ipertensione arteriosa gammopatia monioclonale.
All'ingresso il paziente è allettato. Inizia un ciclo
di kinesiterapia e sedute con la psicologa per sindrome depressiva reattiva.
Quando viene dimesso, il paziente riesce a deambulare con l'appoggio di un
bastone. Anche il tono dell'umore è migliorato.
Rientra
in casa dove vive con la moglie. Rientrerà in reparto per ulteriori cicli di
fisiokinesiterapia.
10° caso - sig.ra G.G., anni 82
Ricoverata il 6.12.1990 e dimessa il 7.3.1991. Ci
viene trasferita dalla Divisione ortopedica dell'Ospedale di Mestre dove era
stata ricoverata il 28.11.1990.
Diagnosi di entrata: Fratture scomposte delle branche
ischiopubiche destre e frattura della 9a costa sinistra in seguito
ad incidente automobilistico.
La paziente all'ingresso era allettata, accusava
dolore ai minimi movimenti dei segmenti ossei interessati dalle lesioni
traumatiche. Si alimentava poco e portava un catetere vescicale.
Dopo venti giorni, durante i quali è stata trattata
con anabolizzanti e calcitonina, la paziente è stata messa a sedere ed ha
iniziato fisiokinesiterapia con ottimi risultati.
Alla dimissione, la paziente è in grado di
deambulare, anche se per tragitti non molto lunghi e solo con l'aiuto di un
bastone.
Rientra
a casa senza catetere vescicale. Vive con il figlio.
Commento
Particolarmente dimostrativo ci pare il caso n. 4: un
paziente ottantaduenne con tumore maligno della prostata metastatizzato alle
ossa, che, dopo adatto trattamento, può essere dimesso senza il catetere a
permanenza con cui era arrivato in reparto e in grado di camminare col bastone.
Interessante anche il caso n. 6: una signora di 54
anni con una grave forma nervosa e sindrome depressiva che può essere dimessa avendo recuperato la
capacità di camminare e la voglia di dipingere, anche per merito
dell'affettuosa e continua assistenza di due amiche che la seguiranno anche a
casa.
Nel settimo caso si è ottenuta la completa guarigione
di una vasta ulcera alla gamba sinistra in diabetico obeso con insufficienza
venosa cronica.
Notevole anche il decimo caso: una signora
ottantaduenne con fratture multiple in seguito a incidente automobilistico,
allettata e con catetere vescicale a permanenza che può essere dimessa dopo tre mesi senza catetere e in grado di
camminare, aiutandosi col bastone.
Da notare anche che tutti i dieci casi si sono
risolti con il ritorno a casa. Sei sono tornati a vivere in famiglia e quattro
da soli, trovando l'appoggio di amici o di organizzazioni di volontariato.
Se
vogliamo ora trarre alcune conclusioni, possiamo dire che:
1) un reparto di lungodegenti bene organizzato può recuperare pazienti altrimenti
destinati all'inabilità permanente e dimetterli, pur essendo necessario in
alcuni casi di seguirli e ricoverarli di nuovo per periodi più o meno lunghi;
2) un paziente cronico è per definizione inguaribile
ma non incurabile: anche di fronte a una neoplasia metastatizzata si può aiutarlo a ritrovare una vita
accettabile;
3) la guarigione di un anziano è spesso impossibile:
lo scopo della geriatria è di fargli ritrovare nuovi equilibri fisici e
psichici e di fargli conservare o recuperare l'autosufficienza: questo può
richiedere degenze spesso anche molto lunghe;
4) non è valido il criterio cronologico: il recupero
di un emiplegico afasico può richiedere
un periodo di mesi o di più di un anno, ma vale sempre la pena di continuare
fintanto che si ottengono miglioramenti quantificabili;
5) interrompere una prestazione riabilitativa ponendo
limiti temporali per ragioni economiche e burocratiche rende vano lo sforzo e
sfocia nella fabbrica di un cronico.
(1)
Analoghe
considerazioni valgono per i minori.
(2) Cfr.
"Ospedalizzazione a domicilio e assistenza domiciliare integrata" in
Prospettive assistenziali, n. 94,
aprile-giugno 1991.
www.fondazionepromozionesociale.it