Prospettive assistenziali, n. 100, ottobre-dicembre 1992

 

 

LINEE GUIDA PER L'ATTUAZIONE DEL PROGETTO OBIETTIVO "TUTELA DELLA SALUTE DEGLI ANZIANI"

 

 

Si riportano integralmente:

- la lettera del Ministro della sanità inviata il 7 agosto 1992 ai Presidenti delle Giunte regionali e delle Province autonome, agli Amministratori straordinari delle USL, ai Commissari di Governo presso le Regioni e le Province autonome, ai Sin­dacati nazionali dei Pensionati SPI/CGIL, FNP-CISL, UILP/UIL;

- il documento «Linee guida relative al Progetto-obiettivo "Tutela della salute degli anziani"».

 

 

LETTERA DEL MINISTRO DELLA SANITÀ

 

La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica hanno approvato con rispettive Risoluzioni parlamentari, in data 30 gennaio 1992, il Progetto-obiettivo "Tutela della salute degli anziani 1991-1995", a stralcio del Piano sanitario nazionale.

Il progetto-obiettivo costituisce punto di riferi­mento per la definizione di un modello organizzativo-assistenziale in grado di garantire una svolta in senso moderno, ed in linea con le indi­cazioni dell'OMS, ai programmi di intervento socio-assistenziale a favore degli anziani. Per definizione legislativa stessa, infatti, il P.O. è «un impegno operativo idoneo a fungere da polo di ag­gregazione di attività molteplici delle strutture sanitarie, integrate da servizi socio-assistenziali, al fine di perseguire la tutela socio-sanitaria dei soggetti destinatari del progetto». Muovendo nell'ottica del disposto legislativo, il progetto­obiettivo definisce modalità per individuare i bi­sogni degli anziani, per fornire risposte nel qua­dro delle risorse finanziarie disponibili, per pro­muovere e facilitare a livello locale l'integrazione dei servizi socio-assistenziali e sanitari, il tutto concepito ed organizzato in forma di risposta unitaria e globale, con particolare attenzione al­le persone non autosufficienti. Obiettivo fonda­mentale di questa strategia è il mantenimento del miglior livello di qualità di vita possibile in rapporto alla condizione di salute psico-fisica e di autonomia funzionale.

Su alcuni temi di particolare rilievo (modalità di realizzazione dell'Assistenza domiciliare inte­grata, Residenze sanitarie assistenziali, informa­zione-formazione dei cittadini e degli operatori, controlli di qualità dei servizi e delle prestazioni, assistenza odontoiatrica e ortoprotesica), è in­tervenuto, con concrete proposte operative, il °Gruppo di lavoro" istituito nell'ambito del Proto­collo d'intesa tra Ministero della sanità e Sinda­cati dei pensionati dell'11 gennaio 1991. A tali indicazioni si rinvia costituendo anche esse «li­nee di indirizzo alle Regioni e alle USL nell'attua­zione delle Risoluzioni parlamentari e del pro­getto-obiettivo», come si è espresso il Consiglio Sanitario Nazionale con Risoluzioni nn. 1 e 2/1992.

Per dare omogenea esecuzione sull'intero ter­ritorio nazionale al P.O., nell'ottica delle indica­zioni delle suddette Risoluzioni parlamentari, vengono poste all'attenzione delle SS.LL. le alle­gate linee di guida contenenti le indicazioni ope­rative.

È doveroso evidenziare il carattere di speri­mentazione attribuito dal Parlamento agli inter­venti da promuovere nell'ambito del P.O. Di con­seguenza, è necessario che delle varie iniziative che saranno intraprese, vengano raccolti dati sistematici che portino alla valutazione dei risul­tati conseguiti, per pervenire successivamente a più appropriate indicazioni sul modello assi­stenziale da privilegiare nei vari settori di inter­vento.

Allo scopo di consentire idonee modalità di coordinamento delle iniziative che, a livello na­zionale e regionale, dovranno garantire l'ottima­le utilizzo del patrimonio informativo generato dalla realizzazione delle linee di intervento del progetto-obiettivo, le SS.LL. sono invitate a voler comunicare a questo Ministero, Servizio Centra­le della Programmazione Sanitaria, Lungotevere Ripa n. 1, 00185 Roma, fax 06/5816139, il nomi­nativo di un referente regionale per le tematiche connesse alla realizzazione del progetto-obietti­vo stesso.

 

 

LINEE GUIDA

 

1. Premessa

Con Risoluzioni in data 30 gennaio 1992, la Camera dei deputati e il Senato della Repubbli­ca hanno approvato il Progetto-obiettivo "Tutela della salute degli anziani" 1991-1995.

Contemporaneamente, e confermando una li­nea già intrapresa lo scorso anno con il finan­ziamento di interventi nel settore dell'assistenza domiciliare integrata mediante l'erogazione di appositi finanziamenti alle Regioni e Province autonome (vedasi Delibera CIPE del 16 febbraio 1990); il CIPE in data 20 gennaio 1992 ha appro­vato una proposta di ripartizione di una quota del Fondo sanitario nazionale da destinare al fi­nanziamento di linee di intervento previste nello stesso progetto-obiettivo.

Del finanziamento complessivo, che ammonta a Lire 219 miliardi, 135 miliardi sono per la pro­mozione di attività di assistenza domiciliare inte­grata, 74 miliardi per l'attivazione di Residenze sanitarie assistenziali o per convenzionamenti con RSA private dotate dei requisiti stabiliti per quelle pubbliche e 10 miliardi per attività di for­mazione dirette a qualificare il personale impie­gato in tale forma di assistenza.

L'approvazione del P.O. costituisce il presup­posto per garantire una svolta in senso moder­no, ed in linea con le indicazioni dell'OMS, ai programmi di intervento socio-assistenziale a favore degli anziani.

Nell'inviare, allegato alla presente, il testo del Progetto-obiettivo e delle due citate Risoluzioni, si sottolinea il carattere di sperimentazione attri­buito dal Parlamento alle iniziative da promuove­re. Di conseguenza, è dalla valutazione dei risul­tati che dovranno emergere appropriate indica­zioni sul modello assistenziale da privilegiare nei vari settori di intervento.

Per quanto concerne la portata vincolante del progetto-obiettivo, le sue indicazioni assumono valore di "indirizzo" nei confronti dell'attività or­ganizzativa regionale; esso rappresenta punto di riferimento per la definizione di un modello or­ganizzativo uniforme diretto ad assicurare pari condizioni di accesso ai servizi su tutto il territo­rio nazionale.

Si allegano, inoltre, i seguenti documenti pro­dotti dal "Gruppo di Lavoro Anziani" istituito nell'ambito del Protocollo d'intesa tra il Ministro della sanità ed i Sindacati dei Pensionati sotto­scritto in data 11 gennaio 1991:

- modalità di realizzazione dell'Assistenza do­miciliare integrata;

- linee-guida per le Residenze Sanitarie Assi­stenziali per anziani;

- indirizzi per l'informazione-formazione dei cittadini e degli operatori finalizzati all'educazio­ne sanitaria e promozione della salute;

- strumenti e modalità dei controlli sulla qua­lità dei servizi e delle prestazioni agli an­ziani;

- indirizzi per l'assistenza odontoiatrica e or­toprotesica agli anziani.

Su tali documenti si è espresso il Consiglio sanitario nazionale con Risoluzioni nn. 1 e 3/1992 sottolineando che le indicazioni in essi contenute «possono costituire linee di indirizzo alle Regioni e alle USL nell'attuazione delle Ri­soluzioni parlamentari e del progetto-obiettivo" e formulando specifiche raccomandazioni per ogni singolo documento.

Un ulteriore contributo tecnico-culturale è da­to dal Seminario di Trieste del 29-30 ottobre 1990 sulle "Residenze Sanitarie Assistenziali per anziani e soggetti non autosufficienti" pro­mosso dal Consiglio sanitario nazionale, ai cui atti si rinvia per ulteriori approfondimenti.

 

2. Le caratteristiche del Progetto-obiettivo

Il Progetto-obiettivo costituisce il quadro di ri­ferimento e rappresenta il modello al quale deb­bono richiamarsi le iniziative regionali e locali per la realizzazione di interventi in favore della tutela della salute degli anziani.

È lo strumento per realizzare modalità integra­te di intervento attraverso un sinergismo di azio­ni in parte sanitarie e in parte socio-assistenzia­li, con la gradualità e le priorità che le situazioni locali rendono opportune. Consente di destinare ad obiettivi comuni e in modo finalizzato quote del Fondo sanitario nazionale e «risorse aggiun­tive di provenienza diversa da quelle del fondo anzidetto, incluse quelle di competenza delle re­gioni e degli enti locali», ai sensi dell'articolo 2, comma 6, della legge n. 595/85.

A tale scopo si richiama la definizione data dalla citata legge 595: «Si definisce progetto­obiettivo un impegno operativo idoneo a fungere da polo di aggregazione di attività molteplici del­le strutture sanitarie, integrate da servizi socio­assistenziali, al fine di perseguire la tutela socio­sanitaria dei soggetti destinatari del progetto».

La finalità del progetto-obiettivo è duplice: conseguire la massima efficacia degli interventi; accrescere la resa dei finanziamenti in termini di efficienza gestionale.

La realizzazione degli interventi presuppone, peraltro, un essenziale elemento strutturale: quello di un sistema di raccolta di dati sui biso­gni della collettività anziana nell'ambiente terri­toriale di riferimento in grado di fornire informa­zioni adeguate sulla realtà ambientale, sociolo­gica, demografica, epidemiologica e organizzati­va in cui realizzare il progetto; di permettere il controllo delle attività durante lo svolgimento del programma e la valutazione degli effetti prodotti. Senza la realizzazione di un tale sistema il pro­cesso programmatorio contenuto nel progetto­-obiettivo e il carattere sperimentale delle linee di intervento verrebbero fortemente condizionati e limitati.

 

3. L'assetto organizzativo dell'assistenza geriatrica

Premesso che il progetto-obiettivo per "assi­stenza geriatrica" intende l'assistenza rivolta ad anziani non autosufficienti; parzialmente auto­sufficienti e a quelli con pluripatologie ad alto ri­schio di perdita dell'autosufficienza, con parti­colare riguardo ai pazienti ultrasettantacinquen­ni, esso ne disegna l'assetto organizzativo sotto­lineando la complessità dell'approccio derivante dall'interdisciplinarietà degli interventi diretti a contrastare i fattori che possono colpire l'anzia­no condizionandone in modo e grado diverso l'autonomia. Potendo derivare la non autosuffi­cienza da problemi di varia natura: fisica, psichi­ca, socio-economica e ambientale, il modello assistenziale da realizzare a livello locale non può prescindere da interventi tesi a garantire, al tempo stesso, la specificità e la globalità degli interventi, l'integrazione socio-sanitaria, l'inte­grazione delle competenze e dei diversi livelli di assistenza, la continuità dell'assistenza.

Tali interventi sono rivolti a prevenire la non autosufficienza, ad assicurare la cura dell'acuzie e la riabilitazione immediata e continua­tiva.

Di conseguenza, il progetto-obiettivo organiz­za i servizi destinati all'assistenza agli anzia­ni in due classi: servizi socio-sanitari di base e servizi socio-sanitari di tipo specialistico. Am­bedue le classi contemplano al loro interno ser­vizi non residenziali, semiresidenziali e residen­ziali.

Nella rete dei servizi, il progetto-obiettivo indi­vidua l'Unità di Valutazione Geriatrica (UVG) co­me strumento per la valutazione globale del sin­golo caso e la definizione del relativo program­ma preventivo, curativo e riabilitativo diretto a garantire la continuità terapeutica ed assisten­ziale all'anziano non autosufficiente.

Nel progetto-obiettivo, al quale naturalmente si rinvia per una più approfondita conoscenza delle linee di intervento, sono individuate le aree da privilegiare. Pur lasciando all'iniziativa regio­nale di ridefinire le priorità in relazione alla spe­cificità del bisogno del proprio territorio e le mo­dalità di attuazione degli interventi, le Regioni e le Province autonome avranno cura di finalizza­re, comunque, le risorse assegnate con la sopra citata deliberazione del CIPE a:

- promuovere iniziative di assistenza domici­liare integrata;

- promuovere l'attivazione di residenze sani­tarie assistenziali pubbliche o convenzioni con RSA private, a condizione ché queste ultime ab­biano le caratteristiche strutturali e gestionali fissate per quelle pubbliche;

- promuovere iniziative di formazione dirette a sviluppare negli operatori «un'adeguata cultura assistenziale e organizzativa» e a sensibilizzare gli operatori stessi alle tematiche dell'invecchia­mento e della condizione anziana.

 

4. Sperimentazione degli interventi

Nelle risoluzioni parlamentari particolare rile­vanza assume la premessa iniziale che indica «la sperimentazione come metodo da seguire per la realizzazione degli interventi».

La caratteristica sperimentale delle iniziative sottintende la necessità che siano individuate specifiche modalità operative di intervento e che gli interventi stessi siano circoscritti ad alcuni contesti che, per caratteristiche e dimensioni, consentano un monitoraggio continuo ed accu­rato delle attività, nonché la verifica dei risultati conseguiti.

A tale scopo, è necessario che siano previste modalità di raccolta di dati sui bisogni della col­lettività anziana; introdotti strumenti di valutazio­ne delle priorità e programmate linee di inter­vento nei vari settori assistenziali; definite in an­ticipo modalità di valutazione quanti-qualitativa dei risultati conseguiti.

Una relazione contenente indicazioni signifi­cative sulle modalità di intervento realizzate e sui risultati va inoltrata al livello centrale (Mini­stero della Sanità, Servizio centrale della pro­grammazione sanitaria) a cura delle Regioni e delle Province autonome, per consentire al Go­verno di «riferire annualmente in Parlamento sul­lo stato di attuazione delle strategie indicate, sui finanziamenti annualmente erogati, sui risultati conseguiti in ciascuna regione e provincia auto­noma, anche al fine di adeguare il progetto­obiettivo a mutate esigenze e bisogni».

Non va poi dimenticato che la validità della sperimentazione è strettamente legata alla pos­sibilità di comparare i risultati ottenuti con quelli di altre esperienze similari o con quelli di possi­bili applicazioni nel tempo entro la stessa realtà. Gli elementi di giudizio dei risultati ottenuti sono attendibili solo se le procedure di progettazione, l'esecuzione, il controllo delle singole sperimen­tazioni e il confronto fra le stesse sono stati ese­guiti con metodologie scientificamente corrette.

La sperimentazione dovrebbe portare alla in­dividuazione/definizione di «un modello sul qua­le parametrare standard di organizzazione, di assistenza, di formazione, da valere poi su tutto il territorio».

 

4.1 - Riqualificazione dei reparti di geriatria

Camera e Senato raccomandano la riqualifi­cazione delle unità operative di geriatria anche con la previsione dei day hospital, e la realizza­zione di posti letto nel quinquennio 1992-96 in coerente applicazione con i criteri per la rideter­minazione degli stessi posti letto previsti dalla legge 30 dicembre 1991, n. 412.

«Peraltro, l'esistenza delle divisioni di geriatria appare opportuna anche per lo studio e la spe­rimentazione di protocolli e metodologie di inter­vento terapeutico, preventivo e riabilitativo, fina­lizzati a contrastare la perdita dell'autosufficien­za e a favorire il recupero almeno parziale».

Si richiamano al riguardo anche le indicazioni della Commissione parlamentare di inchiesta sulla dignità e condizione sociale dell'anziano (Senato della Repubblica, doc. XXII-bis n. 1) se­condo la cui Relazione conclusiva, la «divisione di geriatria opportunamente trasformata» può «essere la sede più appropriata per il trattamen­to intensivo, nella fase di acuzie, degli anziani non autosufficienti affetti da polipatologie o degli anziani affetti da patologie ad alto rischio invali­dante.

Al di là di questi casi, resta fermo che l'assi­stenza ospedaliera debba avvenire, a prescin­dere dall'età dei pazienti, nei normali reparti me­dici o chirurgici, a seconda della patologia acuta che ne determina il ricovero».

Per quanto riguarda il day hospital, opportu­namente le Commissioni parlamentari richiama­no l'attenzione sulla loro istituzione, per l'impor­tante ruolo che gli stessi possono svolgere in fa­vore dei pazienti in fase sub acuta, sia per otte­nere dimissioni precoci protette, sia come alter­nativa ad un ricovero improprio. Per caratteristi­che e dimensioni, il day hospital è luogo appro­priato, aperto sul territorio, per il monitoraggio dei bisogni degli anziani e per la verifica dell'adeguatezza delle risposte assistenziali da­te e dei risultati terapeutico-riabilitativi ottenuti.

 

4.2 - Attivazione dei servizi di assistenza domiciliare integrata (ADI)

L'Assistenza domiciliare integrata è un siste­ma integrato di interventi domiciliari in favore di soggetti aventi necessità di un'assistenza socio­sanitaria continuativa, che consente alla perso­na parzialmente, temporaneamente o totalmente non autosufficiente di rimanere il più possibile nel proprio ambiente di vita. In particolare, l'ADI garantisce, in relazione ai bisogni dell'utente, un insieme di prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative, socio-assistenziali, rese al domicilio dell'ammalato, nel rispetto di standard minimi. di prestazione, in forma integrata e secondo piani individuali programmati, definiti con la parteci­pazione delle figure professionali interessate al singolo caso.

Ai fini della sperimentazione, occorre indivi­duare gli elementi indispensabili ad un corretto funzionamento del servizio di assistenza domici­liare integrata, affrontando preliminarmente il problema dell'integrazione dell'ADI con gli altri servizi geriatrici. Sarebbe, infatti, improduttiva una sperimentazione di ADI senza la contempo­ranea presenza di una rete integrata di servizi, i cui due altri poli fondamentali sono costituiti dall'unità operativa ospedaliera di geriatria, in grado di svolgere, quest'ultima, anche un servi­zio di ospedalizzazione a domicilio e di day ho­spital, e dalla RSA. L'AD], infatti, è solo uno dei possibili servizi di risposta ai fabbisogni dell'an­ziano: essa, in rapporto alle condizioni psico-fi­siche del soggetto, al tipo di dipendenza e all'entità del supporto familiare, risulterà di ele­zione in molti casi, ma sarà impraticabile in altri.

Una sperimentazione valida è solo quella che prevede, in ogni circostanza, soluzioni organiz­zative in grado di soddisfare le esigenze dell'an­ziano in termini di intervento globale individua­lizzato che spazia, in rapporto alle necessità, dalle prestazioni di ADI al ricovero in reparti specialistici ospedalieri, alla ospitalità tempora­nea o permanente in RSA. In particolare, all'in­terno dell'ADI dovrebbero essere previsti inter­venti differenziati comprendenti prestazioni sa­nitarie e socio-assistenziali.

Per il buon fine della sperimentazione dell'ADI, dovrebbero essere assicurate:

a) una effettiva integrazione tra servizi sociali e sanitari del distretto tramite un protocollo d'in­tesa tra la USL e l'Ente locale. AI riguardo do­vrebbe essere creata, a livello di USL, un punto di coordinamento specifico, costituito in via pa­ritetica da componenti della USL e dei servizi sociali dell'Ente locale con la possibilità di di­sporre di un budget unico, proveniente in parte da finanziamenti della USL e in parte da finan­ziamenti del servizio sociale del Comune. In questo modo si potrebbe garantire un'erogazio­ne integrata di prestazioni di tipo sanitario e di tipo sociale, evitando interventi parziali, fram­mentari, spesso assai slegati nel tempo e, quin­di, inefficaci;

b) l'istituzione di strumenti di valutazione mul­tidimensionale della non autosufficienza. La va­lutazione multidimensionale è uno strumento di lavoro dell'Unità valutativa geriatrica, che per­mette di:

- stabilire quali soggetti necessitano effettiva­mente di assistenza continuativa;

- verificare il fabbisogno assistenziale del singolo in modo da ottimizzare il piano indivi­dualizzato di assistenza;

c) l'individuazione del cliente potenziale dell'ADI. L'opzione ottimale sarebbe di garantire l'individuazione tempestiva di tutti gli anziani del distretto che hanno necessità di assistenza continuativa. Per arrivare ad un simile risultato, l'Unità valutativa geriatrica dovrebbe accertare lo stato funzionale di tutti gli anziani del distretto e verificarne le modificazioni ad intervalli prefissati. La procedura comporterebbe, però, tale impegno di lavoro da non essere di fatto prati­cabile ed inoltre, in assenza di un sufficiente nu­mero di operatori, potrebbe avere ripercussioni negative a danno di quei soggetti che hanno im­mediata necessità di assistenza continuativa, e che rappresentano una minoranza rispetto al to­tale da verificare.

L'alternativa potrebbe essere quella di limitar­si ad evadere le richieste che pervengono al servizio. Questa seconda opzione è da preferire, perché comporta un miglior apporto costo-be­neficio e non aumenta in modo sensibile il peri­colo di lasciare gli anziani più bisognosi privi di assistenza.

Secondo le indicazioni delle Commissioni parlamentari, dovrebbe essere possibile «realiz­zare al termine del quinquennio un modello sul quale parametrare standard di organizzazione, di assistenza, di formazione da estendere poi su tutto il territorio».

 

4.3 - Spedalizzazione domiciliare (SD)

La Spedalizzazione domiciliare viene attuata dall'unità operativa di geriatria e si differenzia dall'ADI per il tipo di prestazioni erogate. Le pre­stazioni di SD sono tipicamente ospedaliere (ad esempio alimentazione parenterale totale, tratta­menti del dolore, cicli di chemioterapia antitu­morale, ecc.). La loro praticabilità è subordinata all'esistenza, a domicilio dei paziente, di alcune specifiche condizioni ambientali e familiari.

L'avviamento di limitate ma ben definite speri­mentazioni di spedalizzazione domiciliari dovrà servire, come suggeriscono le Commissioni par­lamentari, a «verificare quali sono le situazioni spedalizzabili a domicilio».

 

4.4 - Residenza sanitaria assistenziale (RSA)

Le Commissioni parlamentari individuano co­me obiettivo prioritario quello dell'«omogeneiz­zazione graduale, partendo dalle attuali normati­ve regionali, delle istituzioni residenziali per gli anziani che siano non in fase di acuzie ma tutta­via non autosufficienti».

La RSA rappresenta la collocazione residen­ziale dell'anziano quando non può essere più assistito a domicilio. La RSA fa parte della rete dei servizi territoriali di primo livello e rientra, per la prevalenza sanitaria degli interventi, tra le strutture del comparto sanitario. Per una sua corretta organizzazione gestionale è, però, indi­spensabile che le attività che vi si svolgono sia­no adeguatamente integrate con quelle del comparto sociale.

Per le RSA, le Commissioni di Camera e Se­nato raccomandano soprattutto una regolamen­tazione adeguata alle indicazioni del DPCM del 22.12.89, che pongono la RSA in una posizione particolare e sostanzialmente diversa dalle Unità operative geriatriche ospedaliere, nonché dalle attuali soluzioni residenziali extraospedaliere (case di riposo, case albergo, ecc.) aventi per gran parte una valenza sociale.

La struttura e l'organizzazione gestionale della RSA sono finalizzate a soddisfare il fabbisogno assistenziale - sia in termini sanitari che sociali - delle persone che vi sono ospitate. Per una corretta ed adeguata gestione è quindi necessa­rio partire da una definizione precisa delle carat­teristiche dell'ospite della RSA. Si tratta di sog­getti anziani, prevalentemente non autosufficien­ti, per i quali siano comprovate da una parte la mancanza del supporto familiare, indispensabile per l'attuazione degli interventi di assistenza do­miciliare integrata e, dall'altra, l'assenza di pato­logie acute richiedenti il ricovero in ospedale.

Gran parte degli ospiti della RSA presenta una pluralità di problemi più o meno stabilizzati, che vanno affrontati e risolti stabilendone di vol­ta in volta le priorità. Questi problemi apparten­gono a diverse categorie: mediche, comporta­mentali, ambientali, psicologiche, sociali ed eco­nomiche. L'obiettivo assistenziale prioritario del­la RSA deve essere il raggiungimento o il mante­nimento del miglior livello possibile di qualità della vita dell'ospite. Ciò si realizza attraverso protocolli operativi basati sulla globalità ed in­terdísciplinarietà degli interventi e sulla "riattiva­zione" dell'ospite.

Il processo di integrazione fra sanitario e so­ciale si attua innanzitutto a livello istituzionale mediante protocolli d'intesa tra la USL e l'Ente locale, e/o con enti privati con o senza scopo di lucro e il volontariato, nell'ambito della normati­va nazionale e regionale.

Una soluzione ottimale per l'integrazione della RSA con gli altri servizi è indicata dal DPCM 22.12.89 nella collocazione contigua alla RSA del Centro socio-sanitario, cioè di un'area fun­zionale di servizi socio-sanitari a ciclo diurno aperta alla fruizione dell'anziano vivente in co­munità. Una tale realizzazione consentirebbe ad un unico gruppo di operatori di esplicare la pro­pria attività sia per gli anziani istituzionalizzati sia per quelli viventi a domicilio.

Sarebbe importante prevedere anche una stretta connessione funzionale tra la RSA e l'ospedale di riferimento. La collaborazione tra gli operatori della RSA e quelli dell'Unità operati­va di geriatria faciliterebbe sia il lavoro del grup­po interdisciplinare all'interno dei due servizi sia la dimissione programmata, con ripercussioni favorevoli sulla riduzione dei ricoveri ospedalieri impropri e della durata delle degenze.

Una volta ammesso nella RSA, l'ospite an­drebbe sottoposto ad un periodo di osservazio­ne di 2-3 settimane alla fine del quale il Gruppo interdisciplinare della RSA dovrebbe compilare una scheda di valutazione multidimensionale e, conseguentemente, il piano individualizzato di assistenza. A scadenze prefissate - almeno ogni 3-6 mesi - oppure dopo un tempo più bre­ve per l'evidenziarsi di problematiche nuove, la scheda dell'ospite dovrebbe essere aggiornata sulla base del controllo dei risultati raggiunti ri­spetto agli obiettivi fissati inizialmente nel piano individualizzato di assistenza.

Allo scopo, poi, di rendere più confortevole il soggiorno nella RSA, andrebbe garantita una abitabilità quanto più vicina possibile alle abitu­dini di vita dell'ospite nella comunità di origine, quanto a stile abitativo, ritmi di vita, comfort (svago, lettura, hobby, servizi di culto, barbiere, parrucchiere, ecc.), dandogli libertà dì persona­lizzare nella RSA il proprio ambiente.

Per quanto concerne le esigenze di sicurezza e gli aspetti di riservatezza, si richiamano tutte le indicazioni del DPCM 22.12.89.

Per quanto riguarda la valutazione del fabbi­sogno assistenziale, la programmazione degli interventi e la verifica del piano di assistenza nel tempo, la RSA dovrebbe dotarsi di uno strumen­to adeguato. Tale strumento dovrebbe essere unico per tutte le RSA della Regione e risponde­re a standard nazionali ed internazionali; essere in grado di esplorare tutte le aree determinanti la disabilità, classificare l'ospite a seconda della disabilità e del conseguente carico assistenzia­le; essere informatizzato e contenere il piano assistenziale individuale elaborato dal gruppo interdisciplinare; permettere l'implementazione di una banca dati indispensabile per il controllo di qualità e i conseguenti aggiustamenti.

 

5. L'Unità valutativa geriatrica (UVG)

L'UVG è un gruppo multidisciplinare che rea­lizza l'integrazione fra servizi sociali e sanitari, nonché fra interventi ospedalieri e territoriali. Dovrebbe far capo all'Unità operativa geriatrica dell'ospedale; in assenza di quest'ultimo, può essere collocata a livello territoriale.

La UVG deve essere intesa in senso funziona­le e non strutturale: più quindi come metodolo­gia di lavoro che come unità fissa di standard operativo. In altri termini è più importante creare un'équipe geriatrica realmente interdisciplinare nel tipo di lavoro che fissarne preventivamente i limiti operativi, nel territorio o in ospedale.

Nel gruppo della UVG dovrebbero essere sempre presenti gli operatori indispensabili in base alle loro competenze professionali speci­fiche e alle necessità dell'anziano da assi­stere.

In caso di presenza di una UVG funzionante nel territorio ed una in ospedale dovrebbe rea­lizzarsi una stretta collaborazione tra le due al fi­ne di assicurare una tempestiva allocazione del paziente anziano dopo la sua dimissione (dimis­sione programmata).

Le Commissioni parlamentari pongono la UVG «al crocevia fra la residenza dell'anziano, l'ospe­dale e la RSA» e qualificano «l'organizzazione della UVG come sede per l'analisi dei bisogni e per l'individuazione delle più corrette risposte da individuarsi nella rete integrata dei servizi a favore degli anziani in collegamento con i rima­nenti servizi socio-sanitari del territorio».

La UVG del territorio, specie quando la sua area di intervento sia caratterizzata da un eleva­to numero dì anziani, potrebbe delegare ad un suo membro, il "coordinatore del caso", la valu­tazione di primo livello sia per l'accesso all'assi­stenza continuativa sia per il controllo di qualità degli interventi erogati.

Le Risoluzioni parlamentari prevedono la co­stituzione di una UVG tendenzialmente in ogni distretto. Inizialmente ritengono «indispensabile poter contare almeno su una équipe per ogni USL nel cui ambito operi un reparto di geriatria per creare esperienze formative per il persona­le». Per quanto riguarda la composizione dell'équipe che costituisce la UVG, le Risoluzioni parlamentari danno una chiara indicazione: «l'organico minimale deve prevedere un medico specializzato o specializzando in geriatria, un in­fermiere professionale, un assistente sociale, un tecnico della riabilitazione». La coordinazione generale della UVG dovrebbe essere assunta dal geriatra o, quando questi non sia disponibi­le, da altro medico con comprovata esperienza in gerontologia e geriatria.

Quanto al metodo di lavoro e ai compiti, «il metodo di lavoro deve essere quello della colle­gialità e i compiti saranno quelli della selezione dei bisogni per definire la risposta più idonea, del follow-up, della programmazione e del con­trollo della qualità dell'assistenza nella rete inte­grata dei servizi».

Lo strumento fondamentale della UVG è la va­lutazione multidimensionale che rende operativa l'integrazione operativa mediante modalità spe­cifiche. L'Organizzazione mondiale della sanità ha indicato la valutazione multidimensionale co­me lo strumento indispensabile per stabilire il fabbisogno assistenziale dell'anziano non auto­sufficiente o a rischio, per individuare la sua corretta allocazione nella presa di servizi e, infi­ne, per controllare a distanza di tempo i risultati raggiunti.

La valutazione multidimensionale permette di esplorare i settori in cui si può verificare la non autosufficienza, dal livello di compromissione funzionale fisica e psichica, alle problematiche di ordine ambientale (abitazione), ai problemi delle interazioni sociali, al tono dell'umore e all'entità del supporto informale (famiglia, vicini, volontariato). Trattandosi di settori diversificati e richiedenti competenze specifiche, la valutazio­ne dimensionale deve essere eseguita dal grup­po interdisciplinare dell'Unità valutativa geriatri­ca (UVG).

Appena costituitasi, la UVG, dovrebbe adotta­re in via prioritaria gli strumenti di valutazione indispensabili allo svolgimento delle varie fun­zioni: per stabilire l'accesso dell'anziano ad uno o più servizi di assistenza continuativa; per for­mulare il piano di assistenza individualizzato; per verificare il controllo di qualità dei servizi erogati.

Gli strumenti di valutazione multidimensionale sono diversificati in relazione alle finalità: da quelli per l'accesso all'assistenza continuativa, a quelli adatti alla pianificazione dell'assistenza nella RSA o nell'ADI, ad altri ancora per il con­trollo di qualità o per la programmazione dei servizi, ad altri, infine, per problemi diagnostici più complessi (diagnosi di deterioramento men­tale o di altri tipi di patologie).

Nella selezione di tali strumenti andrebbe se­guito il criterio della scelta in relazione alla ga­ranzia che offrono in termini di validità e ripro­ducibilità.

 

6. La formazione del personale

Una corretta ed efficace assistenza all'anzia­no richiede l'impiego di personale specifica­mente formato.

Al riguardo le Risoluzioni parlamentari indivi­duano tra gli obiettivi prioritari quello di una «for­mazione adeguata a tutto il personale, che deve essere aggiornato sull'evoluzione dei bisogni da soddisfare».

Un mezzo per superare le difficoltà connesse alla modestia dei finanziamenti e alla necessità di preparare un numero elevato di persone, po­trebbe essere quello di fare della UVG un vero e proprio centro di formazione, tanto più che al suo interno esistono le figure professionali ne­cessarie e viene adottata, come specifico modo di lavorare, la metodologia dell'interdisciplina­rietà. Di conseguenza l'UVG potrebbe fornire il tronco comune della formazione per tutti gli operatori mediante un approccio multidimensio­nale ai problemi della tutela della salute dell'an­ziano.

La formazione dovrebbe essere svolta secon­do obiettivi graduali che, partendo dalle cono­scenze di base gerontologico-geriatriche, por­tasse all'apprendimento e allo svolgimento di capacità operative specifiche, con un ciclo di formazione da svolgersi in attività nei vari servizi geriatrici (A.D.L, RSA, Day-Hospital, Unità opera­tive ospedaliere, ecc.). L'apprendimento teorico­pratico dovrebbe essere volto ad acquisire una larga base di conoscenze e di capacità operati­ve nelle diverse aree interessanti le problemati­che dell'anziano.

Il processo formativo dovrebbe interessare tutti i componenti dell'équipe interdisciplinare dal geriatra all'infermiere professionale, dall'as­sistente sociale al terapista della riabilitazione, dal medico di medicina generale al "coordinato­re del caso", qualora si adottasse una speri­mentazione basata su tale figura, in modo da sviluppare nei suddetti operatori capacità di la­voro creativo, predisposizione al lavoro interdi­sciplinare e alla piena collaborazione con ope­ratori di differente professionalità, approccio si­stemico all'osservazione, reale professionalità nella valutazione e sensibilità alle necessità e ai desideri dell'anziano da assistere.

 

7. Le risoluzioni n. 1 e 3/1992 del Consiglio sanitario nazionale

Come riferito in premessa, il Consiglio sanita­rio nazionale si è pronunciato favorevolmente, con risoluzioni n. 1 e 3 del 1992, sui documenti predisposti dal "Gruppo di Lavoro Anziani", ri­guardanti specifici temi del progetto-obiettivo: l'assistenza domiciliare integrata, le residenze sanitarie assistenziali, l’informazione-formazio­ne finalizzata all'educazione sanitaria e alla pro­mozione della salute, strumenti e modalità di controllo della qualità dei servizi e delle presta­zioni agli anziani, l'assistenza odontoiatrica e odontoprotesica.

Tali risoluzioni attribuiscono alle indicazioni del citato Gruppo di Lavoro la connotazione di linee di indirizzo alle Regioni e alle USL da se­guire in sede di realizzazione del progetto-obiet­tivo e delle risoluzioni parlamentari.

Nel rinviare ai documenti stessi e alle risolu­zioni del C.S.N. per i necessari approfondimenti, si sottolineano i seguenti aspetti ritenuti partico­larmente significativi:

- per quanto riguarda l'ammissione del pa­ziente alla Assistenza domiciliare integrata, il C.S.N. rilevando «una qualche diversità nel documento del Gruppo Anziani rispetto alle modalità previste nel progetto-obiettivo, ritiene che si possa «riconoscere un'articolazione dellI'UVG a livello di distretto, sia per tenere conto delle eventuali diverse normative regionali sia in relazione alla indicazione della Risoluzione par­lamentare», anche prevedendo a livello regiona­le «una disciplina transitoria che valga per tutte le realtà in cui i distretti non sono ancora ope­ranti»;

- sui rapporti delle RSA con gli altri servizi, il C.S.N. raccomanda «la collaborazione in rete di particolari servizi ospedalieri, quali ad es. la spedalizzazione decentrata in RSA», i rapporti con l'ospedale stesso, oltre che l'inserimento del «possibile reticolo dì associazioni di volonta­riato e in genere di privato sociale che possono concorrere a favorire la socializzazione dell'an­ziano in RSA». Altre raccomandazioni vengono rivolte nella predisposizione delle scale di valu­tazione dell'autonomia/dipendenza. Viene an­che segnalata l'opportunità della partecipazione economica dell'anziano ospite nella RSA;

- sulla formazione, viene raccomandata la presenza di sociologi specialisti nei programmi dei corsi di qualificazione e formazione continua per formatori;

- sugli strumenti e sulle modalità di controllo sulla qualità dei servizi e delle prestazioni, viene

raccomandata dal C.S.N., in linea con le propo­ste del Gruppo di Lavoro Anziani, la vigilanza ed il controllo da parte delle sezioni provinciali del­le Organizzazioni sindacali e delle altre associa­zioni di volontariato sugli istituti di ricovero per anziani non autosufficienti, nonché la presenza di un sociologo e/o di un assistente sociale nei vari gruppi regionali di riferimento per le attività di VRQ in favore degli anziani ospitati nelle RSA;

- sull'assistenza odontoiatrica e protesica, in­fine, il C.S.N. propone che vengano seguite dalle Regioni e dalle USL, sempre come linee di indi­rizzo, le proposte formulate dal più volte citato Gruppo di Lavoro Anziani secondo le quali le protesi dentarie potrebbero esser erogate tra­mite convenzioni con laboratori odontotecnici secondo il sistema seguente: la USL tramite gli ambulatori a gestione diretta potrebbe provve­dere direttamente agli atti medico-specialistici necessari all'applicazione della protesi, mentre questa potrebbe essere fornita da un laborato­rio odontotecnico convenzionato, a prezzo pre­determinato a totale carico dell'utente che lo corrisponde direttamente al laboratorio.

 

 

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