CAUSA VINTA SUL DIRITTO DEGLI
ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI ALLE CURE OSPEDALIERE
Riportiamo
integralmente i due provvedimenti assunti dal Pretore di Bologna, Dr. Bruno
Ciccone, nella causa civile intentata dall'USL 28 Bologna Nord contro la signora
PF (nata nel 1913) ricoverata presso l'Ospedale Malpighi del capoluogo
emiliano e contro BI e BG (nato nel 1908), rispettivamente figlio e marito
della Signora PF.
Rileviamo
con estremo malessere (speriamo transitorio) che le dimissioni dall'Ospedale S.
Orsola-Malpighi di Bologna sono state richieste dal primario della divisione
geriatrica. Al riguardo, riteniamo che i geriatri e le loro organizzazioni
(SIGG - Società italiana di geriatria e gerontologia, SIGO - Società italiana
Geriatri Ospedalieri, ecc.) (1) dovrebbero riesaminare le posizioni incompatibili
con le esigenze ed i diritti degli anziani cronici non autosufficienti.
L'attuazione
del progetto obiettivo "Tutela della salute degli anziani" esige, a
nostro avviso, la massima coesione possibile fra coloro (operatori sanitari,
familiari, volontari), che operano affinché la geriatria sia una innovativa
metodica di intervento rivolta agli anziani colpiti da malattie acute e
croniche, compresi quelli non autosufficienti.
La difesa
dei diritti dei signori PF, BI e BG è stata assunta dagli avvocati Elena
Passanti, Maria Virgilio e Bianca Guidetti Serra che si sono avvalsi della
collaborazione del CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti di
Torino e del Tribunale della salute di Bologna.
Ordinanza del 27 giugno 1992
Il
Pretore osserva:
- che la Pubblica Amministrazione ricorrente dispone
di un potere di autotutela nel caso di specie che le consente di porre
direttamente in esecuzione il provvedimento di dimissioni della paziente già
emanato, con effetti pressoché identici rispetto a quelli ottenibili in questa
sede;
- che comunque è in facoltà della P.A. ricorrere al
giudice ordinario per «l'accertamento di
un suo diritto che pretende violato», sia in quanto il potere di autotutela
della pubblica amministrazione si pone come un quid pluris rispetto alle posizioni giuridiche dei "soggetti
comuni", sia in quanto non sembra possibile negare alla stessa P.A., in
mancanza di una norma espressa che le imponga di agire in via amministrativa, «il diritto potestativo di agire
giudizialmente» davanti al giudice ordinario - cfr. Cass., Sez. Un. del
1957, n. 842 -;
- che la natura del diritto che la P.A. reputa
violato può ben assurgere a diritto pubblico soggettivo, quantunque di
carattere generale: in questa sede, non si può negare che la USL ricorrente
agisca in proprio per la tutela di un diritto «alla disponibilità del posto
letto da adibire in modo appropriato alle esigenze dei malati che ne hanno
effettivamente bisogno», con ciò facendosi inoltre portatrice di un generale
diritto della collettività, meglio individuata dall'area di operatività della
USL 28 di Bologna, a vedersi assicurata, all'interno del diritto costituzionalmente
garantito della tutela della salute, la fruibilità dell'assistenza sanitaria
ospedaliera compatibilmente con la capacità oggettiva di accoglienza in tali
istituti: capacità oggettiva che non può essere limitata da eventuali
soggettive ed illegittime occupazioni di posti disponibili da parte di
pazienti giudicati non bisognosi di quel particolare tipo di cura a cui la
struttura è destinata, pena la lesione del diritto in oggetto;
- che una volta riconosciuto tale diritto soggettivo
in capo alla USL, appaiono evidenti i presupposti processuali di cui all'art.
700 c.p.c., in quanto l'occupazione del posto letto operata dalla intimata (ove
dovesse ritenersi ingiustificato) incide sulla potenziale assistenza di
persone bisognose di «cure funzionali» alla struttura de quo - ovvero il
reparto del nosocomio Malpighi - S. Orsola di Bologna ove attualmente si trova
ricoverata la Sig.ra PF -;
- che inoltre il protrarsi della degenza
nell'istituto ospedaliero oltre la data indicata dal primario per le dimissioni
(sempre se ingiustificata) comporta per la USL ospitante gravose spese di
mantenimento che, qualora non siano più giustificate dal dovere di assistenza
sanitaria imputabile all'ente, costituiscono un vero e proprio danno di natura
patrimoniale derivante dal fatto illecito (nonché eventuale responsabilità
contabile degli amministratori dell'ente stesso), di difficile determinazione,
se non statistica, vista la complessità della struttura in oggetto;
- che, tuttavia, avendo come detto la Pubblica
Amministrazione preferito ricorrere al giudice ordinario anziché avvalersi del
suo potere di autotutela, essa viene a porsi sullo stesso piano del soggetto
privato e deve soggiacere alle regole del processo civile;
- che, pertanto, pur dovendosi ritenere autorevole il
foglio di dimissioni del primario, non può disattendersi la sostanziale
richiesta della paziente, come persona avente diritto ad una assistenza
sanitaria adeguata, di una verifica, a mezzo consulente tecnico, della
sussistenza o meno dei presupposti di dette dimissioni, e, più precisamente,
della esistenza o meno di un quadro clinico cronico stabilizzato tale da non
richiedere l'ulteriore permanenza in ambiente ospedaliero.
P.Q.M.
Il Pretore, visto l'art. 2 L. 1865/2248; ritenuta la
propria giurisdizione e competenza a decidere sulla domanda del ricorrente,
trattiene la causa presso il proprio Ufficio, e fissa per il prosieguo
l'udienza del 7.7.1992 h. 11,45.
Provvedimento del 21 dicembre 1992
Il
Pretore osserva:
In
fatto.
L'USL 28 Nord proponeva in data 6.11.1991 ricorso ex
art. 700 contro PF. BI e BG, assumendo tra l'altro che la Signora PF dal 1986
era ricoverata senza giustificato motivo presso strutture ospedaliere della
città;
che in data 6.3.1991 il primario della divisione
geriatrica dell'ospedale S. Orsola-Malpighi, in cui la convenuta era ricoverata
dal 18.12.1990, aveva disposto le sue dimissioni rilevando che il quadro
clinico della stessa si era stabilizzato;
che, rifiutandosi la PF di abbandonare il posto letto
abusivamente occupato, la USL aveva inviato in data 6.4.1991 una prima
diffida, quindi una seconda in data 17.5.1991, e infine atto della
amministrazione sanitaria nel quale si contestava l'illecito penale, civile e
amministrativo della convenuta, notificato in data 31.5.1991.
Tutto ciò premesso, ritenendo che la sede assistenziale
fruibile dalla paziente fosse la c.d. "casa protetta" cioè la
struttura extraospedaliera destinata ad accogliere persone anziane e non la
struttura ospedaliera disponibile, invece, per i casi acuti, la USL 28 chiedeva
al Pretore adito di ordinare in via d'urgenza il rilascio del posto letto
abusivamente occupato dalla PF e nel merito, previa rimessione degli atti al
Tribunale competente per valore, la conferma dell'ordine di rilascio e la
condanna dei convenuti al risarcimento dei danni quantificabili nell'importo
della retta giornaliera dal 6.3.1991 alla data del rilascio del posto letto.
Si costituiva poi PF chiedendo il rigetto del ricorso
perché inammissibile e infondato in quanto essendo la stessa malata cronica
con pregressa patologia tale da richiedere assistenza medica e infermieristica
e non la sola assistenza generica abitualmente prestata presso le case di
riposo e anche presso le c.d. case protette,
aveva
assoluta necessità di occupare un posto letto ospedaliero.
Si costituiva anche BI che, pur sostenendo la tesi
sopra esposta, eccepiva nei suoi confronti il difetto di legittimazione passiva
e chiedeva di essere estromesso, sollevando inoltre eccezione di carenza di
giurisdizione. In relazione a tale ultima questione, il Pretore in data 27
giugno pronunciava motivata ordinanza con cui dichiarava la propria
giurisdizione e competenza e tratteneva la causa presso il proprio ufficio.
IN DIRITTO
Preliminarmente, appare opportuno che il
provvedimento venga pronunciato anche nei confronti del figlio della PF non
potendosi escludere che la stessa per ragioni di età e in relazione alle
dedotte infermità possa trovarsi talora in condizione di incapacità naturale.
Nel merito, si osserva che il problema della
lungodegenza è stato affrontato dal legislatore già nella L. 12.2.1968 n. 132
riguardante enti ospedalieri e assistenza ospedaliera che all'art. 29 prevede
interventi regionali relativi a trasformazioni e modifiche da apportare in
conformità al fabbisogno di posti letto distinti per acuti, cronici,
convalescenti e lungodegenti.
In seguito anche la L. 23.10.1985 n. 595 si pone come
obiettivo, fra gli altri (lett. b punto 2 art. 8) quello della tutela della
salute degli anziani e si occupa della lungodegenza prevedendo all'art. 10, c.
6, lett. a la « strutturazione » di specifiche sezioni di degenza per
riabilitazione di malati lungodegenti e ad alto rischio invalidante.
La L. 11.3.1988 n. 67, all'art. 20, autorizza poi
l'esecuzione di un programma pluriennale di interventi in materia di
ristrutturazione edilizia e la realizzazione di residenze per anziani e
soggetti non autosufficienti per l'importo complessivo di 30.000 miliardi e, in
particolare, prevede la realizzazione di 140.000 posti in strutture residenziali
per anziani che non possono essere assistiti a domicilio e nelle strutture di
cui alla lett. e) e che richiedono trattamenti continui. In seguito è stato
emanato il D.M. 13.9.1988 che all'art. 3 (unità operative di degenza) punto F
tratta diffusamente del problema della lungodegenza.
In particolare al punto F1 precisa che è destinazione
specifica degli ospedali quella del trattamento dei pazienti in fase acuta o
bisognosi di terapia riabilitativa intensiva ed estensiva e che pertanto può
giustificarsi la presenza in essi dei lungodegenti soltanto limitatamente alla
fase di convalescenza, di primo trattamento, di rieducazione funzionale o di
fase terminale.
Al punto F2 sottolinea come esista tuttavia un numero
considerevole di pazienti con forme croniche stabilizzate o di anziani
ultrasessantacinquenni abbisognevoli di trattamenti protratti di conservazione,
i quali sono impropriamente ricoverati in strutture per acuti a causa della carenza
di residenze sanitarie assistenziali extraospedaliere o dell'insufficiente
approntamento di forme alternative di spedalizzazione domiciliare o assistenza
domiciliare integrata. .
Ciò premesso al punto F3 si prevede che la
riorganizzazione degli ospedali "deve" farsi carico di assegnare
alla funzione di lungodegenza i posti letto abitualmente utilizzati per
ammalati non acuti destinandovi i pazienti impropriamente ricoverati nelle
strutture per acuti.
Al punto F5 si prevede infine che l'assegnazione di
degenti di cui al punto F2 (cioè pazienti con forme croniche stabilizzate ed
anziani ultrasessantacinquenni ecc.) alla funzione di lungodegenza prevista
al punto F3 rivesta carattere di transitorietà in attesa che siano realizzate
le residenze sanitarie assistenziali extraospedaliere o vengano attivate forme
adeguate di spedalizzazione domiciliare o di assistenza domiciliare integrata
nell'ambito di progetti obiettivo del piano sanitario nazionale previsto della
L. 23.10.1985 n. 595, già citata. In attuazione della normativa di cui sopra il
Consiglio regionale dell'Emilia Romagna con delibera 2727 del 27.09.1989 - dopo
aver specificato che i posti letto assegnati alla lungodegenza sono stati individuati,
con riferimento al disposto del punto F1 dell'art. 3 D.M. 13.09.1988, in base
al parametro di «3 posti letto per lungodegenti ogni 100 posti letto per
acuti» già stabilito nella direttiva regionale 2214 del 29.09.1988 - stabilisce
che per quanto riguarda le esigenze di ricovero di pazienti con forme croniche
stabilizzate o di anziani ultrasessantacinquenni abbisognevoli di trattamenti
protratti di conservazione, alle quali si debba far fronte transitoriamente in
ambito ospedaliero (come previsto dall'art. 3 D.M. 13 settembre 1988 al punto
F5) i posti letto di lungodegenza saranno calcolati in eccedenza rispetto
alla dotazione complessiva di posti letto.
La ricorrente considera tali disposizioni (in
particolare il D.M. 13.9.1988 e la delibera del Consiglio regionale 2727 del
27.9.1989 atti di indirizzo e assume che la loro efficacia vincolante sarebbe
limitata all'attuazione del programma in esse predisposto senza tuttavia
imporre né limiti temporali né un comportamento specifico alla Pubblica
Amministrazione che potrebbe invece attuare il previsto indirizzo secondo la
propria discrezionalità.
Si osserva, in proposito, però che, se pur in via di
principio atti di indirizzo e direttive hanno come contenuto tipico
l'indicazione di finalità e criteri guida cui devono ispirarsi le attività del
destinatario e dunque la loro efficacia ha di solito un grado di intensità
minore rispetto alla norma giuridica, tuttavia vi sono casi in cui tali atti
risolvono il loro contenuto in vere e proprie regolamentazioni amministrative,
in prescrizioni puntuali, in divieti inderogabili (es. direttive del CIPI; D.M.
8.3.1985 contenente direttive ai comandi provinciali dei vigili del fuoco per
la prevenzione incendi).
Deve dunque ammettersi in via generale l'esistenza
di atti di indirizzo, come del resto sostenuto da autorevole dottrina, che non
solo prevedono fini e programmi, ma dispongono anche i mezzi di attuazione
degli stessi e ne regolano l'uso. Oltretutto sembra preferibile, allorquando
appare incerto il contenuto promozionale o precettivo di un atto, interpretare
il medesimo nel senso di attribuire ad esso efficacia immediata anziché valore
programmatico e ciò per assicurare una più spedita regolamentazione dei rapporti
sottostanti.
La valutazione dell'efficacia vincolante o meno di
tali atti andrà comunque effettuata valutando l'intera disciplina giuridica
del rapporto in esame e verificando la possibile "valenza attuativa"
dell'atto di indirizzo stesso.
Nel caso di specie, dalla formulazione letterale
della normativa in oggetto ed in particolare, del punto F5 art. 3 D.M.
13.9.1988, appare evidente il carattere precettivo e immediatamente vincolante
della stessa, anche in considerazione del fatto che il legislatore si è posto
espressamente il problema e ha previsto, con riferimento alle infermità
croniche stabilizzate ed ai soggetti anziani ultrasessantacinquenni, una
specifica disciplina della fase transitoria (v. punto F3) e da valere sino a
quando non verranno realizzate residenze assistenziali sanitarie o attivate
forme di spedalizzazione o assistenza domiciliare integrate.
Sulla base delle argomentazioni che precedono legittima.
appare pertanto la pretesa della PF di poter continuare a beneficiare di
adeguata assistenza sanitaria usufruendo delle prestazioni gratuite del
servizio sanitario nazionale presso una struttura ospedaliera e non di
generica assistenza presso istituti di riposo o strutture equivalenti.
La novità della questione in esame e le difficoltà
interpretative della medesima rendono opportuna l'integrale compensazione
delle spese di lite.
P.Q.M.
a)
respinge il ricorso;
b)
dichiara integralmente compensate le spese di lite tra le parti.
N.B. - Il provvedimento è stato redatto con la collaborazione
della dott.ssa Donatella Donati.
(1) Segnaliamo che le posizioni di
altre organizzazioni di geriatri (Gruppo di Terapia Geriatrica e SIMOG, Società
Italiana Medici e Operatori Geriatrici) coincidono con quelle sostenute dal
CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti di Torino.
www.fondazionepromozionesociale.it