SOLIDARIETÀ
A DISTANZA: UNA INIZIATIVA POSITIVA DA NON CONFONDERE CON L'ADOZIONE
In questi ultimi tempi stanno sempre più moltiplicandosi
iniziative tese ad aiutare bambini e famiglie in difficoltà nei paesi del terzo
mondo.
È estremamente positiva l'opera di persone e di
gruppi che si attivano per informare e per sensibilizzare l'opinione pubblica
in merito alle miserrime condizioni di vita di centinaia di milioni di persone
e che avviano in conseguenza iniziative di sostegno e di aiuto alle famiglie in
difficoltà affinché possano provvedere direttamente e nel modo più adeguato
possibile ai loro figli.
Riteniamo
che queste iniziative debbano partire dal riconoscimento che:
1) diritto fondamentale di ogni bambino - compresi i
bambini handicappati o malati - è quello di crescere in famiglia: innanzitutto
quella in cui è nato, che deve essere aiutata dalla comunità a svolgere il suo
compito educativo. Quando ciò non è possibile, il bambino ha diritto a crescere
in una famiglia affidataria o adottiva che deve essere prioritariamente
reperita nel suo paese d'origine;
2) le differenze etniche, culturali e sociali di ogni
paese non possono prescindere da queste esigenze di fondo di ogni bambino,
anche se è necessario tenerne conto rispetto, ad esempio, ad una concezione
allargata della famiglia;
3) la vastità del fenomeno dell'abbandono materiale
e morale e della morte per fame e per indigenza dei bambini in certe aree del
mondo, non può essere positivamente affrontata agendo unicamente sugli effetti.
È necessario infatti operare sulle cause socio-economiche e politiche che la
determinano, intervenendo soprattutto per il cambiamento delle politiche
internazionali che causano un sempre maggior sfruttamento dei paesi ricchi
nei confronti di quelli poveri. A questo riguardo, pare opportuno richiamare
l'importanza del ruolo della cooperazione internazionale e del volontariato che
deve agire nell'ottica del superamento di queste situazioni di sfruttamento;
4) l'adozione internazionale è una risposta positiva
ai bisogni di quei bambini in situazione di abbandono materiale e morale che
non possono trovare all'interno della comunità di appartenenza una soluzione
di tipo familiare.
L'azione dei gruppi e delle associazioni italiane
operanti nei paesi del terzo mondo deve quindi privilegiare la promozione del
diritto di ogni minore a crescere in una famiglia, sostenendo e aiutando anche
economicamente le famiglie in difficoltà, ed avviando iniziative tese a favorire
la crescita di una cultura di solidarietà e di accoglienza dei bambini soli da
parte della comunità locale.
Partendo da questi principi, riteniamo che non
possano essere sostenute e condivise quelle iniziative dirette a finanziare la
costruzione di nuovi istituti di ricovero.
Infatti il diritto del bambino a crescere in una
famiglia nasce dal fatto che è ormai universalmente riconosciuto che ogni
bambino, per poter raggiungere uno sviluppo psico-fisico equilibrato, ha
bisogno di cure personali e continue.
Il contesto psicologico ed educativo che può
garantire al bambino il soddisfacimento dei suoi bisogni fisici e psicologici è
l'ambiente familiare, pur nelle sue diverse caratterizzazioni a seconda dei
vari contesti culturali e sociali.
Qualsiasi soluzione istituzionale (istituti tradizionali,
villaggi, ecc.) non può essere una risposta adeguata alle esigenze
fondamentali di ogni bambino, indipendentemente dalla cultura e dall'etnia cui
appartiene.
La drammaticità e l'emergenza delle situazioni,
l'enorme entità del bisogno in certi paesi del terzo mondo, non possono
giustificare la riproposizione di soluzioni istituzionali.
Proprio l'immensità del bisogno deve indirizzare
l'opera di aiuto verso soluzioni che siano rispettose dei diritti delle
persone coinvolte e che favoriscano il soddisfacimento dei bisogni fondamentali
di queste persone, e ciò a maggior ragione allorché si tratti di bambini.
Le ricerche scientifiche condotte da oltre 50 anni in
tutte le parti del mondo, hanno infatti dimostrato i danni anche irreversibili
che la carenza di cure familiari provocano sullo sviluppo dei bambini.
Inoltre non possiamo dimenticare che gli interventi
alternativi al ricovero in istituto sono di gran lunga meno onerosi e
consentono di aiutare un maggior numero di persone (bambini e famiglie), oltre
che di rafforzare il concetto di famiglia e il valore del legame familiare,
che sono certamente la più efficace prevenzione dell'abbandono.
Da ultimo queste forme di solidarietà e di aiuto non
possono, a nostro avviso, essere - come spesso avviene - chiamate
"Adozioni a distanza".
Infatti l'adozione è l'atto sociale e giuridico in
base al quale i bambini diventano figli a tutti gli effetti di genitori che non
li hanno procreati e, parallelamente, i genitori diventano padre e madre di un
figlio non nato da loro.
Molti considerano ancora come sinonimi i due termini
"nato da" e "figlio di". Sappiamo, invece, che la
personalità non è determinata tanto dall'apporto ereditario, quanto
dall'ambiente, in particolare dall'ambiente familiare che educa il figlio
(procreato o adottivo), forma gli aspetti essenziali del carattere e
costruisce in sostanza la base della sua personalità.
Ciò premesso, se si considera il rapporto di adozione
come un vero e proprio rapporto di filiazione, ne deriva l'esigenza che la denominazione
"Adozione a distanza" non debba essere più usata e che ne sia scelta
una, ad esempio "Solidarietà a distanza", che non comporti connotazioni
riduttive per l'adozione e metta in risalto gli aspetti positivi dell'aiuto
disinteressato che persone e gruppi realizzano nei confronti di coloro che
sono in situazione di grave indigenza.
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