Prospettive assistenziali, n. 102, aprile-giugno 1993

 

 

Editoriale

 

LA MAGISTRATURA CONFERMA IL DIRITTO ALLE CURE SANITARIE DEGLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI: UN APPELLO AI SINDACATI, ALLE ASSOCIAZIONI E AL VOLONTARIATO

 

 

Il 1° giugno 1993 il Tribunale di Venezia ha assolto «perché il fatto non sussiste», i figli ed i nipoti (1) della signora R.F. nata nel 1902, denunciati alla magistratura penale dall'Ospedale S. Raffaele Arcangelo appartenente all'ordine Fatebenefratelli per il fatto che non avevano accettato la dimissione della loro congiunta ricoverata in un reparto di lungodegenza (2). Ricordiamo altresì:

- il provvedimento del Pretore di Bologna del 21 dicembre 1992, che ha riconosciuto il diritto della signora P.F., nata nel 1913, ricoverata dal 1986 in varie strutture sanitarie a cura e spese del Servizio sanitario nazionale «di poter conti­nuare a beneficiare di adeguata assistenza sanitaria usufruendo delle prestazioni gratuite del Servizio sanitario nazionale presso una struttura ospedaliera e non di generica assistenza presso istituti di riposo o strutture equivalenti» (3);

- la sentenza pronunciata dal Giudice conci­liatore di Torino in data 11 novembre 1991 che ha stabilito che i parenti di C.E., una anziana cronica non autosufficiente ricoverata presso l'istituto di riposo per la vecchiaia, gestito direttamente dall'Assessorato all'assistenza del Comune di Torino, non devono versare alcun contributo in quanto la struttura «svolge una funzione sanitaria in luogo e sostituzione del ricovero ospedaliero», precisando che «la distinzione operata fra quota - cosiddetta alberghiera - posta a carico della malata e quota sanitaria a carico del Comune - non ha alcun senso logico e ragionevole. Se una persona è malata ha diritto all'assistenza sanita­ria e questa assistenza non è distinguibile in parte alberghiera e in parte sanitaria. In buona so­stanza l'Istituto di riposo per la vecchiaia svolge una funzione sostitutiva dell'ospedale» (4).

 

Sono trascorsi 38 anni

Nel n. 44, ottobre-dicembre 1978 di Prospetti­ve assistenziali sono stati esposti i motivi etici, sanitari e giuridici in base ai quali deve essere attuato il diritto degli anziani cronici non auto­sufficienti alle cure sanitarie, comprese quelle ospedaliere, come previsto da leggi vigenti fin dal 1955 (sono trascorsi, quindi, ben 38 anni).

Oggi, questo diritto viene riconosciuto dalla magistratura, anche e soprattutto perché soste­nuto da persone di cultura (il Cardinale Carlo Maria Martini, il Filosofo e Senatore a vita Nor­berto Bobbio, il Premio Nobel Rita Levi Montalci­ni, ecc.), da operatori sanitari e sociali, da asso­ciazioni e da gruppi di volontariato.

Per l'approvazione del progetto obiettivo "Tu­tela della salute degli anziani", un ruolo impor­tante è stato svolto anche dai Sindacati dei pen­sionati CGII, CISL, UIL.

Tuttavia, occorre rilevare che dall'approvazio­ne del progetto stesso da parte del Parlamento (30 gennaio 1992) è trascorso un anno e mezzo, senza che a livello operativo siano state assunte concrete e non marginali iniziative per la sua at­tuazione. Di conseguenza, gli anziani cronici non autosufficienti, anche se colpiti da gravi pa­tologie in atto e non curabili a domicilio, conti­nuano ad essere dimessi dagli ospedali, i servizi di ospedalizzazione a domicilio non decollano, l'assistenza domiciliare integrata è quasi ovun­que organizzata in modo da consentire ai medici di base di introitare fino a 5-6 milioni al mese in più rispetto agli attuali emolumenti senza che gli utenti ne ricavino vantaggi significativi (5), vi sono Regioni (come ad esempio il Piemonte), che riconoscono come RSA (residenze sanitarie assistenziali) istituti di assistenza/beneficenza, violando le norme del progetto obiettivo, le quali stabiliscono che la RSA è una «struttura propria del Servizio sanitario nazionale». Vi è, dunque, l'urgente necessità che il progetto obiettivo "Tu­tela della salute degli anziani" venga corretta­mente attuato (6).

 

Appello ai sindacati, alle associazioni e al volontariato

Per ottenere l'attuazione del progetto obiettivo "Tutela della salute degli anziani" è urgente pre­disporre iniziative a livello regionale e locale; se necessario bisogna avviare vertenze vere e pro­prie, unendo anche in questo caso tutte le forze disponibili: i sindacati (in particolare quelli dei pensionati), le organizzazioni di categoria (com­mercianti, artigiani, coltivatori diretti, ecc.), gli operatori geriatrici, l'associazionismo, i gruppi di volontariato, le personalità della cultura.

Occorre, infatti, vincere le fortissime resisten­ze frapposte dalle Regioni, dalle USL e dagli isti­tuti pubblici e privati di ricovero assistenziale.

Nella relazione tenuta al convegno di Milano del 28 maggio 1993 sul tema «Il progetto obietti­vo "Tutela della salute degli anziani": quali servi­zi, quale personale, quali strutture», Silvano Mi­niati, Segretario nazionale della UIL pensionati, ha sottolineato le responsabilità del Ministero della sanità, il quale nella gestione del progetto obiettivo «si è dimostrato disattento, incerto e contraddittorio» e quella degli Assessori e Giun­te regionali «privi di dati aggiornati, incapaci di progettare e spesso solo interessati ad utilizzare i pochi soldi messi a disposizione per tappare i buchi di altre gestioni». Ha, quindi, aggiunto che «neppure il sindacato può essere completamen­te assolto se è vero che al grande impegno delle organizzazioni dei pensionati in diverse regioni, ha fatto riscontro un atteggiamento fortemente corporativo dei sindacati della sanità e degli enti locali che sono rimasti prigionieri di una logica che guarda solo ai trattamenti e alle qualifiche degli operatori e non ai bisogni dell'utenza e alla qualità dei servizi».

Miniati ha messo il dito sulla piaga: salvo casi rarissimi, i sindacati CGIL, CISL, UIL della sanità e degli enti locali non solo non hanno mai difeso il diritto degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie, ma spesso sono proprio fra coloro che operano per la loro espulsione dagli ospedali e dalle altre strutture curative e riabili­tative.

Un esempio - purtroppo molto significativo - è fornito dalla proposta di legge di iniziativa popolare per il riordino del Servizio sanitario na­zionale su base regionale, il cui testo è stato redatto dal Dipartimento Politiche sociali della CGIL nazionale. All'art. 2, è precisato che «ferme restando le vigenti disposizioni in materia di assi­stenza protesica ed integrativa, le Regioni e le Province autonome stabiliscono i limiti e i criteri di erogazione, nonché le forme di partecipazione alla spesa degli assistiti, delle prestazioni ambu­latoriali di base di recupero e di rieducazione funzionale; disciplinano altresì le modalità di ero­gazione, determinando gli oneri a carico degli assistiti, dei trattamenti di tipo riabilitativo assicu­rati dalle strutture nei confronti di tossicodipen­denti, disabili fisici o psichici, anziani portatori di patologie invalidanti che necessitano di interventi ad alta intensità assistenziale.

«Tutto ciò che esula dal pacchetto di prestazio­ni universalmente garantito a tutti definibile come prestazioni di cittadinanza potrà essere assicura­to da forme di mutualità integrativa, in attuazione dell'art. 46 legge 833 del 23.12.1978.

«La mutualità integrativa potrà essere impiega­ta per garantire forme di personalizzazione delle prestazioni non previste dal Servizio sanitario na­zionale, di comfort alberghiero nelle situazioni di ricovero, per coprire le eventuali spese che i citta­dini dovranno sostenere in relazione alle presta­zioni loro erogate non previste dal Servizio sanita­rio nazionale, per favorire processi di deistituzio­nalizzazione e intervenire sulle situazioni di non autosufficienza anche a sostegno delle famiglie».

È scandaloso che la CGIL esprima una posi­zione così crudele nei confronti dei più deboli. Al­tro che solidarietà: questa è vera e propria esclu­sione sociale. È una vergogna che si raccolgano le firme: la proposta deve essere immediatamen­te ritirata! La CGIL e gli altri sindacati si confronti­no al più presto con le organizzazioni che da an­ni, in certi casi da decenni, si occupano seria­mente e con continuità delle esigenze e dei diritti della fascia più debole della popolazione.

 

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È inaccettabile che le Regioni, le USL ed i Co­muni continuino a non riconoscere agli anziani malati cronici non autosufficienti la condizione di malati. Ne deriva una discriminazione intolle­rabile per il fatto che ai giovani ed agli adulti so­no assicurati trattamenti diversi e di gran lunga più adeguati di quelli forniti agli anziani con pa­tologie uguali o analoghe.

Inoltre - fatto importantissimo - mentre i cit­tadini hanno diritti concretamente esigibili nei confronti degli interventi di competenza del Ser­vizio sanitario nazionale, non vi è alcuna possi­bilità di pretendere prestazioni dal settore assi­stenziale.

Ad esempio, il cittadino malato ha diritto di ottenere che le proprie condizioni di salute siano esaminate dal proprio medico o, nei casi di urgenza, dagli operatori del pronto soccorso.

Invece, il cittadino che si rivolge al settore as­sistenziale non può esigere che la sua situazione venga presa in esame con immediatezza o entro tempi brevi. A dimostrazione di quanto so­pra affermato basti pensare alle lunghissime li­ste di attesa esistenti, anche per esigenze ur­genti, presso gli assessorati comunali all'assi­stenza per il ricovero.

Da quanto sopra precisato, emerge l'esigenza che l'integrazione dei servizi sanitari con quelli assistenziali non sia prevista secondo norme e modalità che comportino la negazione o l'affie­volimento del diritto alle cure sanitarie, compre­se quelle ospedaliere.

Di fronte a queste intollerabili discriminazioni, non si può continuare a tacere; occorre denun­ciare chi oggi nega i diritti dei vecchi e domani violerà le nostre esigenze.

Non vogliamo, come succede a migliaia di persone, vivere, se cronici non autosufficienti, in condizioni disumane, soffrendo per il disinteres­se di medici, infermieri e altri operatori che sono assunti e pagati per curare; non vogliamo essere espulsi dal Servizio sanitario nazionale ed es­sere costretti a pagare cifre da capogiro alle strutture private con il risultato di cadere in mi­seria noi ed i nostri congiunti.

I sindacati, in particolare quelli dei pensionati, le associazioni di categoria (artigiani, commer­cianti, coltivatori diretti, ecc.), le organizzazioni con finalità sociali, il volontariato devono urgen­temente intervenire con atti concreti anche a tu­tela dei casi individuali (7). I risultati sarebbero certamente migliori se a livello nazionale, regio­nale e locale le suddette organizzazioni agissero unitariamente.

Non intervenire significa essere di fatto com­plici di coloro che negano i diritti più elementari ai vecchi malati.

 

 

 

 

(1) Da notare che i due nipoti (figli di figli) sono stati rin­viati a giudizio senza nemmeno essere stati interpellati dal Fatebenefratelli e dall'Autorità giudiziaria. Inspiegabile, al riguardo, il comportamento del Pubblico ministero e del giudice per le indagini preliminari.

(2) Sulla vicenda si vedano: l'articolo “Il Fatebenefratelli di Venezia viola il diritto alla cura di una anziana cronica non autosufficiente: la Magistratura non processa l'ente, ma i familiari", in Prospettive assistenziali, n. 95, luglio-set­tembre 1991, i pareri dei Proff. Pietro Rescigno e Massimo Dogliotti, ibidem, n. 97, gennaio-marzo 1992 e la nota del Centro per i diritti del cittadino, ibidem, n. 98, aprile-giugno 1992.

(3) Finora l'USL 28 di Bologna Nord non ha assunto al­cuna iniziativa per ottenere l'annullamento del provvedi­mento del Pretore di Bologna, provvedimento che è stato pubblicato integralmente sul n. 101, gennaio-marzo 1993, di Prospettive assistenziali.

(4) Va precisato che il Comune di Torino non ha presen­tato ricorso contro la sentenza da noi riportata sul n. 98, aprile-giugno 1992, di Prospettive assistenziali.

(5) Nella delibera della Giunta della Regione Piemonte 3 maggio 1993 n. 214-24814 (in Bollettino ufficiale n. 22 del 2 giugno 1993) "Attribuzione alle UU.SS.SS.LL. di finanzia­menti per interventi di assistenza domiciliare integrata e di ospedalizzazione a domicilio" si sostiene giustamente che «gli interventi sanitari a domicilio devono prescindere da ri­gide definizioni burocratico-amministrative, che differenzia­no nettamente i due interventi domiciliari, in quanto è spes­so impossibile tale differenziazione». Per il superamento della distinzione fra i due servizi riteniamo indispensabile che le équipes, composte da medici di base o ospedalieri, da infermieri e da riabilitatori, assicurino prestazioni per al­meno 10 ore al giorno per tutti i giorni dell'anno, festivi compresi (cfr. "Ospedalizzazione a domicilio e assistenza domiciliare integrata", in Prospettive assistenziali, n. 94, aprile-giugno 1991 e, l'art. 2 della proposta di legge regio­nale di iniziativa popolare "Riordino degli interventi sanitari a favore degli anziani cronici non autosufficienti e realizza­zione delle residenze sanitarie assistenziali", in Prospettive assistenziali, n. 95, luglio-settembre 1992).

(6) GIACOMO PERICO, «Tutela degli anziani malati: il "progetto-obiettivo 1992"», Aggiornamenti sociali, maggio 1993. Si veda, inoltre, l'articolo dello stesso Autore «Anzia­ni "cronici" non autosufficienti. Rilievi giuridico-legislativi e note etico-sociali», Aggiornamenti sociali, luglio-agosto 1988.

 (7) Cfr. l'editoriale dello scorso numero "La difesa dei casi individuali: banco di prova del volontariato, dei sinda­cati e dei patronati".

 

 

 

 

 

 

 

 

PRECISAZIONE

 

Terminata la stampa di questo numero, abbiamo appreso che la CGIL ha modificato il testo della proposta di legge di iniziativa popolare "Riordino del servizio sanitario nazionale su base regionale", il cui art. 2 risulta ora così redatto:

«1. Il Servizio Sanitario Nazionale garantisce a tutti i cittadini italiani e stranieri presenti sul territorio nazionale, senza distinzione di condizioni sociali, tutte le prestazioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi di cui all'art. 2 e all'art. 14 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, previa even­tuale richiesta del medico nei casi previsti dalle Regioni e dalle Province Autonome, a livello domiciliare nonché pressa ambulatori, presidi, strutture direttamente gestiti o comunque afferenti al Servizio Sanitario Nazionale. Sono altresì garantite a tutti i cittadini:

a) le prestazioni di profilassi individuale obbligatorie per legge o pre­viste da programmi regionali con carattere di generalità;

b) le prestazioni di recupero e di rieducazionale funzionale effettuate in regime di ricovero o di day hospital nonché le prestazioni prescritte da medici specialisti effettuabili a livello ambulatoriale o domiciliare a comple­tamento e integrazione di programmi di riabilitazione e mantenimento di particolare complessità;

c) le prestazioni sanitarie domiciliari e gli interventi sanitari di emer­genza, ivi compreso il trasporto infermi in urgenza.

«2. Le suddette prestazioni non sono assoggettabili ad alcuna forma di partecipazione alla spesa da parte degli assistiti a livello nazionale od a livello regionale.

«3. Per le prestazioni non previste nel presente articolo le Regioni e le Province Autonome stabiliscono i limiti e i criteri di erogazione, nonché le forme di partecipazione degli assistiti alla spesa.

«4. Le Regioni e le Province Autonome, sentite le confederazioni sinda­cali maggiormente rappresentative e le organizzazioni di pensionati e dell'utenza organizzata, stabiliscono altresì i limiti e i criteri di erogazione, nonché !e eventuali forme di partecipazione alla spesa degli assistiti, per le prestazioni di tipo riabilitativo che necessitano di trattamenti prolungati ad alta intensità assistenziale.

«5. In attuazione del 1° comma dell'art. 46 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, le Regioni favoriscono lo sviluppo della mutualità volontaria integra­tiva attraverso la costituzione, anche contrattuale, di forme o associazioni volontaristiche di carattere privato, al fine della erogazione di prestazioni o attività sanitarie aggiuntive a quelle indicate nei commi precedenti.

«6. Tale mutualità potrà essere destinata alla copertura delle spese per le prestazioni di cui ai commi 3 e 4 del presente articolo nonché alla coper­tura delle spese derivanti dalla fruizione di prestazioni diverse dai livelli uniformi di assistenza assicurati dal Servizio Sanitario Nazionale che i cittadini richiedono anche al fine di favorire processi di deistituzionalizzazione e interventi nelle situazioni di non autosufficienza a sostegno delle famiglie».

 

Pertanto, rispetto al testo precedente, cambia la forma, non la sostanza.

Resta quindi immutato il giudizio nettamente negativo che abbiamo espresso nell'editoriale.

 

 

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