Prospettive assistenziali, n. 102, aprile-giugno
1993
TUTTO DA RIFARE PER IL TRASFERIMENTO AI COMUNI DELLE FUNZIONI ASSISTENZIALI DELLE PROVINCE: UNA PROPOSTA DI LEGGE
Più volte
abbiamo trattato il tema del trasferimento ai Comuni delle funzioni
assistenziali di competenza delle Province (1).
Inopinatamente
il Parlamento, invece di disciplinare compiutamente il trasferimento, ha stabilito
(cfr. l'art. 5 della legge 18 marzo 1993 n. 67) che siano restituite alle
Province le funzioni assistenziali.
Si tratta di
una decisione totalmente contraria alle esigenze degli assistiti come risulta
dalla proposta di legge (che riproduciamo) n. 2630 "Definitiva
assegnazione ai Comuni delle funzioni assistenziali già svolte dalle
Province" ; presentata alla Camera dei deputati in data 6 marzo 1993
dall'On. Gabriele Salerno, proposta che ha lo scopo di unificare le funzioni
assistenziali a livello dei Comuni singoli o associati.
La decisione
del Parlamento è stata ritenuta «del
tutto irragionevole» dalla Direzione
Generale dei Servizi civili del Ministero dell'interno, che ha emanato una nota
che riportiamo.
PROPOSTA DI LEGGE N. 2630
"Definitiva assegnazione ai Comuni delle
funzioni assistenziali già svolte dalle Province"
Relazione
La legge 8 giugno 1990 n. 142 sulle autonomie locali
ha stabilito il trasferimento ai Comuni delle funzioni assistenziali esercitate
dalle Province, funzioni concernenti:
-
i ciechi ed ì sordomuti poveri rieducabili; - le gestanti e madri nubili e
coniugate, comprese le attività dirette a garantire il segreto del parto alle
donne che non intendono riconoscere i loro nati;
-
i bambini esposti di cui non si conoscono i genitori;
-
i minori figli di ignoti o riconosciuti dalla sola madre;
- i minori già di competenza dell'ex ONMI.
Al momento dell’entrata in vigore della legge
142/1990, alcune Province, ad esempio quella di Torino, svolgevano rilevanti
funzioni in materia di handicappati intellettivi (minori e adulti) fornendo
prestazioni di servizio sociale, aiuti economici e domiciliari, affidamenti e
inserimenti presso famiglie e persone, centri diurni, ricoveri in comunità
alloggio e in istituto non avendo ancora provveduto a trasferire ai Comuni le
competenze, come previsto dal DPR 616/1977, trasferimento che doveva aver
luogo entro il 31 dicembre 1977.
Mentre numerose Province hanno provveduto a
trasferire ai Comuni le funzioni assistenziali, attuando tempestivamente le
disposizioni della legge 142/1990, altre Amministrazioni non vi hanno
provveduto o hanno operato in modo scorretto non assegnando ai Comuni tutto il
personale, tutte le strutture e attrezzature e tutti i finanziamenti.
Allo scopo di garantire la continuità degli interventi
assistenziali, il Governo presentava decreti leggi più volte reiterati, in
ultimo il DL 18 gennaio 1993 n. 9 così redatto: «Art. 5 - Servizi assistenziali
- 1. Fino alla data di entrata in vigore delle leggi regionali di disciplina
dei servizi assistenziali e fino al 31 dicembre 1993, per le funzioni di
assistenza di cui all'articolo 80 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2839,
di assistenza di cui al regio decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798, convertito
dalla legge 6 dicembre 1928, n. 2838, e successive modificazioni di assistenza
ai minori in stato di bisogno, di cui alla legge 23 dicembre 1975, n. 698, e
successive modificazioni, nonché per le altre eventuali funzioni assistenziali
precedentemente esercitate, le amministrazioni provinciali promuovono e
coordinano i relativi servizi a norma dell'articolo 14 della legge 8 giugno
1990, n. 142, e sono tenute a garantirne l'espletamento in base a convenzioni
con i comuni. 2. In ogni caso dovranno essere destinate risorse finanziarie in
misura almeno pari a quelle effettivamente impegnate nel 1990, con
l'incremento progressivo delle percentuali di aumento dei trasferimenti
erariali per gli anni 1991, 1992 e 1993».
Per rendere le norme più rispondenti alle esigenze
degli assistiti, il testo veniva modificato dalla Commissione Affari Sociali
della Camera dei deputati come segue: «Art. 5 - (Servizi assistenziali) - 1.
Entro e non oltre il 31 dicembre 1993 le Regioni provvedono a trasferire ai Comuni,
ai sensi dell'articolo 9 della legge 8 giugno 1990, n. 142, le funzioni
assistenziali di cui al comma 2 del presente articolo, precedentemente
esercitate dalle province. I relativi provvedimenti dovranno prevedere il
trasferimento: a) del personale addetto ai servizi assistenziali, compreso
quello amministrativo e dei servizi generali, in servizio presso le province
alla data del 31 dicembre 1992; b) delle strutture ed attrezzature utilizzate
per i suddetti servizi; c) delle risorse e dei finanziamenti necessari.
Contestualmente le Regioni devono definire le funzioni di promozione e di
coordinamento delle Province ed assicurare le condizioni per il loro esercizio.
Le Regioni devono altresì definire quali funzioni, tra quelle già svolte dalle
Province, dovranno essere gestite su base intercomunale. 2. Fino al
trasferimento di cui al comma 1, per le funzioni di assistenza di cui
all'articolo 80 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2839, di assistenza di
cui al regio decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798, convertito dalla legge 6
dicembre 1928, n. 2838, e successive modificazioni, di assistenza ai minori in
stato di bisogno, di cui alla legge 23 dicembre 1975, n. 698, e successive
modificazioni, nonché per le altre eventuali funzioni assistenziali
precedentemente esercitate, le amministrazioni provinciali promuovono e
coordinano i relativi servizi a norma dell'articolo 14 della legge 8 giugno
1990, n. 142, e sono tenute a garantirne l'espletamento in base a convenzioni
con i Comuni. 3. In ogni caso dovranno essere destinate risorse finanziarie in
misura almeno pari a quelle effettivamente impegnate nel 1990, con l'incremento
progressivo delle percentuali di aumento dei trasferimenti erariali per il
1991, il 1992 e 1993».
In aula veniva approvato un ingiustificato assurdo
cambiamento del testo, che risulta pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nei
seguenti termini: «Art. 5 (Servizi assistenziali). - 1. Le funzioni assistenziali,
già di competenza delle Province alla data di entrata in vigore della legge 8
giugno 1990, n. 142, sono restituite alla competenza delle Province che le
esercitano, direttamente o in regime di convenzione con i Comuni, secondo
quanto previsto dalle leggi regionali di settore che le Regioni approveranno
entro il 31 dicembre 1993. 2. In ogni caso dovranno essere destinate risorse
finanziarie in misura almeno pari a quelle effettivamente impegnate nel 1990,
con l'incremento progressivo delle percentuali di aumento dei trasferimenti
erariali per il 1991, il 1992 e il 1993».
Le norme suddette sollevano gravissimi e non
risolvibili problemi nel caso in cui le competenze di cui sopra restino
assegnate alle Province.
Al riguardo, occorre tener presente che in materia di
minori le competenze delle Province, come stabilito dall'art. 5 della legge
18.3.1993 n. 67, concernono:
- i bambini esposti e cioè quelli di cui non si
conoscono i genitori. La competenza resta alla Provincia solo fino al momento
in cui vengono rintracciati i congiunti. Poi, la responsabilità degli
interventi, come verrà in seguito precisato, può restare alla Provincia o
essere assunta dai Comuni;
- i minori figli di ignoti;
- i minori riconosciuti dalla sola madre, a
condizione che la prima richiesta di assistenza sia stata presentata prima del
compimento del 6° anno di vita del bambino. Nel caso di riconoscimento da
parte del padre, la competenza passa al Comune. Invece nel caso di disconoscimento
materno o paterno, le funzioni sono trasferite dai Comuni alle Province.
Per quanto riguarda le competenze ex ONMI nei
confronti dei minori legittimi e di quelli riconosciuti anche o solo dal
padre, continua a sussistere l'irrisolto e irrisolvibile conflitto di competenza
fra Comuni e Provincia, conflitto che permane dal 1925 (anno di entrata in
vigore della legge istitutiva dell'ONMI).
Un altro scontro di competenze è sorto con l'entrata
in vigore del DPR 616/1977 il quale stabilisce all'art. 23 che fra le funzioni
assegnate ai Comuni sono comprese quelle relative «agli interventi in favore
di minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili
nell'ambito della competenza amministrativa e civile».
Al riguardo vi sono interpretazioni diverse circa la
competenza nei confronti dei minori assistiti dalle Province nei casi in cui
intervenga l'autorità giudiziaria minorile. La competenza resta alle Province
o passa ai Comuni in base alla norma sopra citata?
Circa l'assistenza alle gestanti e madri si segnata
che molte (spesso si tratta di bambine di 14-15 anni) hanno l'esigenza di
supporti particolari di natura socio-assistenziale allo scopo di provvedere
coscientemente al riconoscimento del proprio nato e di acquisire gli strumenti
necessari per il proprio reinserimento sociale. Inoltre si precisa che, al
fine di salvaguardare la vita e il futuro dei bambini, le leggi vigenti consentono
giustamente alle donne nubili di partorire in condizioni di assoluta
segretezza quando non intendono riconoscere il loro nato.
In questi casi l'atto di nascita del neonato è
redatto con la dizione «nato da donna che non consente di essere nominata» e
l'Ufficiale di Stato Civile, dopo aver attribuito al neonato un nome e un
cognome, procede entro dieci giorni dalla formazione dell'atto alla
segnalazione al Tribunale per i minorenni per la dichiarazione di adottabilità
ai sensi della legge 4 maggio 1983 n. 184. Sovente l'intervento assistenziale è
necessario anche per le gestanti e madri coniugate in situazioni personali e
familiari difficili. Se questi servizi funzionassero, verrebbe certamente
ridotto il numero dei bambini abbandonati nei cassonetti delle immondizie o
uccisi alla nascita. Allo scopo di assicurare alle persone interessate i
necessari interventi, che richiedono spesso un'alta professionalità, l'art. 3
prevede che le funzioni relative siano assegnate ai Comuni capoluogo di
provincia, i quali sono tenuti ad esercitarle con riferimento al territorio provinciale.
Per quanto riguarda i ciechi e sordi (ricordiamo che
ai sensi della legge vigente le competenze delle Province riguardano solo
quelli «poveri rieducabili»), si fa presente che essi non concernono solo «gli
interventi assistenziali a supporto dell'istruzione» come sostenuto dall'On.
Raffaele Farigu nella seduta della Camera dei Deputati del 2 marzo 1993.
In primo luogo si rileva che si tratta di interventi
assistenziali, essi possono essere svolti esclusivamente a favore dei soggetti
privi di mezzi economici (cfr. il 1° comma dell'art. 38 della Costituzione e le
norme sopra citate che precisano le competenze della Provincia).
In secondo luogo, va precisato che non si tratta di
competenza assistenziale, ma di attività di assistenza scolastica. A questo
proposito l'art. 42 del DPR 616/1977 stabilisce quanto segue: «Le funzioni
amministrative relative alla materia "assistenza scolastica"
concernono tutte le strutture, i servizi e le attività destinate a facilitare
mediante erogazioni e provvidenze in denaro o mediante servizi individuali o
collettivi, a favore degli alunni di istituzioni scolastiche pubbliche o
private, anche se adulti, l'assolvimento dell'obbligo scolastico, nonché, per
gli studenti capaci e meritevoli, ancorché privi di mezzi, la prosecuzione
degli studi. Le funzioni suddette concerno tra l'altro: gli interventi di
assistenza medicopsichica, l'assistenza ai minorati psicofisici, l'erogazione
gratuita dei libri di testo ad alunni delle scuole elementari».
Da notare che, in relazione alla presenza del nostro
paese di molti piccoli comuni, l'ultimo comma dell'art. 45 del DPR 616/1977
stabilisce quanto segue: «La Regione promuove le opportune forme di
collaborazione tra i Comuni interessati».
Per quanto concerne i minori sordi e ciechi, occorre
precisare che le competenze di assistenza sociale riguardano le seguenti funzioni:
- azione di sostegno nei confronti degli interessati
e dei congiunti al fine di favorire la massima autonomia possibile dei
soggetti e il loro adeguato inserimento familiare, lavorativo e sociale;
- segnalazione dei minori in situazione di abbandono
materiale e morale e svolgimento delle attività previste dalla legge 184/1983;
- affidamento familiare a scopo educativo nei casi in
cui non sia opportuna la permanenza nella propria famiglia d'origine e non
sussistano le condizioni per la loro adozione;
- aiuti economici ai ciechi e sordi e famiglie in
situazione di carenza di sufficienti mezzi economici;
- servizi di assistenza domiciliare per la pulizia
dell'alloggio, l'igiene personale e altre incombenze;
-
predisposizione di comunità alloggio per i minori e gli adulti privi di
sostegno familiare;
-
inserimento in istituti di ricovero fino al loro urgente superamento;
-
rapporti con l'autorità giudiziaria in materia di tutela e curatela;
-
autorizzazione preventiva a funzionare delle strutture pubbliche e private di
ricovero;
-
vigilanza sulle istituzioni pubbliche e private di assistenza;
- interventi nei confronti dei minorenni e degli
adulti soggetti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria.
Ciò premesso, appare evidente l'esigenza di unificare
tutte le competenze assistenziali in un unico ente, il Comune che è a più
diretto contatto dei cittadini. Ciò anche al fine di evitare che i ciechi e i
sordi, se portatori di altri handicap, non abbiano un riferimento certo.
Infatti potrebbe essere la Provincia se si considera la cecità e la sordità;
il Comune se si tiene conto di altri handicap associati.
Per evitare che le funzioni siano disperse fra i
Comuni piccoli, l'art. 5 prevede che le Regioni entro tre mesi
dall'approvazione del presente testo, individuino gli ambiti territoriali in
cui i Comuni sono tenuti, a livello singolo o associato ad esercitare tutte le
funzioni assistenziali, comprese quelle attualmente di competenza delle Province.
Testo
Art. 1
Le funzioni assistenziali trasferite dalle Province
ai Comuni ai sensi della legge 8 giugno 1990 n. 142 "Ordinamento delle
autonomie locali" e ritrasferite dai Comuni alle Province in base
all'articolo della legge 18 marzo 1993 n. 67 "Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 18 gennaio 1993 n. 9, recante disposizioni
urgenti in materia sanitaria e socioassistenziale" sono definitivamente
assegnate ai Comuni con decorrenza 1° gennaio 1994.
Ai
Comuni sono trasferiti entro la data suddetta:
- il personale addetto ai servizi assistenziali in
servizio presso le Province alla data del 30 giugno 1990;
-
le strutture ed attrezzature utilizzate per i suddetti servizi;
- i finanziamenti per una quota pari a quelli
relativi al 1990 con l'incremento progressivo delle percentuali di aumento dei
trasferimenti statali.
Art. 2
Le norme di cui all'art. 1 si applicano a tutte le
funzioni assistenziali svolte dalle Province alla data di entrata in vigore
della legge 8 giugno 1990 n. 142.
Art. 3
Entro il 31 dicembre 1993 le funzioni di assistenza
sociale alle gestanti, alle madri e ai loro nati sono trasferite ai Comuni
capoluogo di provincia, i quali le esercitano con riferimento al territorio
provinciale.
Art. 4
Nei casi in cui il trasferimento non sia stato effettuato
o completato entro il 31 dicembre 1993, le Regioni, non oltre il 31 gennaio
1994, nominano commissari ad acta per le Province inadempienti, con il
compito di realizzare il trasferimento di cui alla presente legge nel termine
di tre mesi.
Art. 5
Entro e non oltre tre mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge, le Regioni individuano gli ambiti territoriali in
cui i Comuni sono tenuti, a livello singolo o associato, ad esercitare le
funzioni assistenziali, ivi comprese quelle già di competenza della Provincia.
NOTA N. 9659/70 DEL
MINISTERO DELL'INTERNO (2)
In riferimento alla nota sopra indicata concernente
l'oggetto, si rileva che l'art. 5 del testo approvato dall'Assemblea della
Camera il 2 u.s., relativo alle competenze attinenti all'assistenza sociale in
favore di determinati soggetti - in prevalenza minori - già attribuite alle
Province prima della legge 8 giugno 1990 n. 142, sulle autonomie locali, nel
prevedere la definitiva restituzione alle Province medesime delle competenze
suddette (sia pure nell'ambito di leggi regionali che possono anche stabilire
il convenzionamento con i Comuni), presenta profonde innovazioni rispetto, non
solo all'originaria formulazione del decreto legge n. 9/1993, ma anche al testo
risultante dalle modifiche apportate dalla XII Commissione della stessa Camera
in sede referente (A.C. 2133-A), che - al contrario - completavano le
previsioni del decreto-legge con il trasferimento ai Comuni anche del personale
e dei beni già destinati all'esercizio di quei compiti.
In ordine a tali innovazioni questa Direzione
generale non può assolutamente concordare, ritenendo che la riattribuzione
degli indicati compiti operativi alle Province contrasti palesemente con i
principi della citata legge n. 142/1990 (con particolare riferimento agli artt.
9 comma 1 e 14 comma 2) in modo del tutto irragionevole e privo di
giustificazioni, dal momento che, come accennato, il testo approvato dalla
Commissione Affari Sociali della Camera aveva contemplato il trasferimento ai
Comuni delle risorse necessarie allo svolgimento delle attività.
Le ragioni addotte, quindi, dagli autori degli
emendamenti accolti dall'Assemblea della Camera, in relazione alle difficoltà
che i Comuni avrebbero nel gestire i servizi di cui si tratta, appaiono pretestuose,
mentre sembra incontrovertibile il fatto che il nuovo testo verrebbe a
strappare illogicamente dal contesto comunale un nucleo significativo di
attività assistenziali che rimarrebbero fini a se stesse e prive degli
indispensabili collegamenti con l'intera organica rete di servizi
socio-sanitari.
A
tale riguardo sono già pervenute allarmate reazioni di associazioni
interessate.
Si aggiunge, infine, che le menzionate rilevanti
modifiche alla legge n. 142/1990 non sembrano rispettare, nell'attuale
formulazione dell'art. 5 comma 1 del decreto-legge da convertire, le puntuali
indicazioni dell'art. 1 comma 3 della stessa legge n. 142/1990 («Ai sensi
dell'art. 128 della Costituzione, le leggi della Repubblica non possono
introdurre deroghe ai principi della presente legge se non mediante espressa
modificazione delle sue disposizioni»).
Quanto sopra premesso, si prega di porre in essere
ogni possibile urgente intervento perché nel corso del dibattito al Senato
venga ripristinato il testo dell'art. 5 del decreto-legge 9/93 approvato dalla
XII Commissione della Camera in sede referente.
(1) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 91, luglio-settembre 1990 "La
nuova legge sulle autonomie locali ignora gli assistiti";
"Trasferimento delle funzioni assistenziali dalle Province ai Comuni: una
proposta di legge", n. 93, gennaio-marzo 1991; "Ancora in alto mare
il trasferimento delle funzioni assistenziali dalle Province ai Comuni e alle
USSL", ibidem; "Trasferimento
delle funzioni assistenziali delle Province: una vicenda tormentata", n.
96, ottobre-dicembre 1991; "Proposta di legge per il trasferimento delle
funzioni assistenziali dalle Province ai Comuni", n. 100, ottobre-dicembre
1992.
(2) Nota emanata in data 16 marzo 1993 dalla Direzione generale
dei servizi civili del Ministero dell'interno, indirizzata al Gabinetto del
Ministro e alla Direzione generale dell'amministrazione civile in merito
all'art. 5 della legge 18 marzo 1993 n. 67.
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