Prospettive assistenziali, n. 103, luglio-settembre 1993

 

 

L'ADOZIONE INTERNAZIONALE SECONDO LA CORTE DI CASSAZIONE

PIERGIORGIO GOSSO

 

 

Con due sentenze, emesse rispettivamente il 14 ottobre ed il 9 novembre 1992 (ma depositate, con il proverbiale ritardo soltanto il 1° aprile ed il 2 febbraio di quest'anno) di cui pubblichiamo integralmente la prima, la Corte di Cassazione, prima sezione civile (e cioè la sezione specializzata nel diritto di famiglia) ha annullato due decreti dei Tribunali per i minorenni di Trieste e di Bologna che avevano respinto altrettante richieste di dichiarare l'efficacia in Italia di due provvedimenti di adozione di minori pronunciati da autorità giudiziarie straniere, avendo constatato i giudici minorili che i coniugi richiedenti avevano superato la differenza massima di quarant'anni consentita dall'art. 6 della legge 4 maggio 1983 n. 184.

Le argomentazioni svolte in tali sentenze per affermare la validità per l'ordinamento italiano dei provvedimenti stranieri pur nel mancato ri­spetto della differenza di età tra adottanti ed adottato possono così sintetizzarsi:

1) da un lato si è affermato, nella sentenza del 9 novembre 1992, che l'art. 6 comma secondo della L. 184, nel fissare in quarant'anni la differenza massima di età tra adottanti ed adottato, non ha però stabilito espressamente il criterio per calcolarla, talché sarebbe consentito ritene­re che tale computo vada effettuato - in casi ec­cezionali e circoscritti - in relazione agli "anni solari" anziché in relazione alle rispettive date di nascita, allorché si tratti di tutelare l'interesse del minore evitando di recidere un rapporto di convivenza già instauratosi con l'ingresso dei minore in Italia (nel caso specifico, infatti, uno dei coniugi aveva superato di circa sei mesi la differenza massima dei quarant'anni);

2) la sentenza del 14 ottobre 1992, a sua vol­ta, ha stabilito in termini espliciti che il supera­mento del limite massimo di età tra gli adottanti e l'adottato stabilito dal citato art. 6 della legge 184/83 non contrasta né con i principi di «ordi­ne pubblico internazionale italiano» né con i «principi fondamentali dell'ordinamento» ma co­stituisce un caso di «mera derogabìlità interna» della norma, con la conseguenza che bisogna accertare di volta in volta «il rapporto elastico di proporzionalità» tra l'età dell'adottato e quella dell'adottante (che nel caso concreto superava di due mesi e mezzo la soglia massima dei qua­rant'anni), allo scopo di ridurre la differenza bio­logica naturale.

Va subito osservato al riguardo che con que­ste due pronunce la Corte di Cassazione, oltre a ribaltare completamente il suo precedente orientamento in materia (cfr. la sentenza n. 7439 del 5 luglio 1991, la quale aveva correttamente statuito che il superamento del limite massimo di quarant'anni tra l'età degli adottanti e l'età dell'adottato - da calcolarsi sempre con riferi­mento ai giorni delle rispettive nascite - era da considerarsi di per sé impeditivo della deliba­zione di efficacia del provvedimento straniero disciplinata dall'art. 32 della legge 184/83), por­tano ad ulteriore compimento il guasto che alla corretta applicazione della disciplina dell'ado­zione internazionale aveva arrecato la mai a suf­ficienza criticata sentenza n. 148 della Corte co­stituzionale in data 18 marzo 1992 (la quale ave­va dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6 comma secondo della legge 184/83 «nella parte in cui non consente l'adozione di uno o più fratelli in stato di adottabilità, quando per uno di essi l'età degli adottanti supera di più di qua­rant'anni l'età dell'adottando e dalla separazione deriva un danno grave per il venir meno della co­munanza di vita e di educazione»: anche in quel caso specifico si trattava di dichiarazione di effi­cacia in Italia di una sentenza di adozione di un tribunale rumeno).

Infatti la parziale abrogazione legislativa deri­vante da quest'ultima sentenza era da conside­rarsi in termini di totale dissenso avendo intro­dotto un principio foriero di gravissimi abusi (1), senza considerare che il delicatissimo argo­mento avrebbe dovuto caso mai essere affron­tato insistendo sull'esigenza di amministrare gli abbinamenti di due o più minori stranieri legati tra di loro da un vincolo di fratellanza con criteri di grande attenzione e di grande rigore, e cioè con affidamenti preadottivi a coppie dotate di particolarissime risorse educative e come tali selezionate.

Con le due odierne pronunce della Corte di Cassazione (che, si ripete, segnano un vistoso arretramento rispetto alla precedente giurispru­denza del Supremo Collegio) la situazione già tutt'altro che rosea dell'adozione internazionale di minori in Italia, sempre più in balia di impulsi privati, sottratti al pubblico controllo, registra un ulteriore e gravissimo peggioramento, ed il pro­cesso di sottile ma progressiva erosione del­l'istituto che ne deriva è di tutta evidenza.

Va rilevato che non a caso uno dei provvedi­menti stranieri venuti all'esame della Corte sono di provenienza rumena, e cioè di un paese che nel solo anno 1991 risulta aver fornito all'Italia il 35% dei minori in adozione (cfr., in proposito, Notiziario di Magistratura democratica, 1993, n. 4, p. 9) in procedure presumibilmente espletate al di fuori dei canali ufficiali previsti dall'art. 38 della legge 184/83: e tutto questo in un contesto in cui si manifesta sempre più evidente l'insor­genza, nelle coppie aspiranti all'adozione, del ti­more di dover crescere un bambino con carat­teristiche somatiche diverse dagli standards eu­ropei e di doversi confrontare con i temi della di­versità e dell'emarginazione sociale.

Non a caso, poi, tali innovazioni giurispruden­ziali intervengono a ridosso della presentazione di un progetto di riforma della legislazione sul­l'adozione (avvenuta nel giugno 1992) da parte di una commissione ministeriale a suo tempo in­sediata dall'ex Ministro della giustizia Vassalli, nel quale, all'art. 9, è prevista la derogabilità del divario massimo di età tra adottanti ed adottan­do «in presenza di particolari circostanze» non meglio precisate.

Suscita - è appena il caso di dirlo - un'im­pressione a dir poco sgradevole il leggere, nella sentenza 9 novembre 1992 della Corte di cas­sazione che la differenza di età «corrisponde ad un requisito essenziale per l'adozione da parte di cittadini italiani a favore di minore italiano», quasi che l'adozione internazionale fosse da conside­rarsi come un'adozione di ripiego, nella quale è permessa una maggiore tolleranza nei parame­tri valutativi riguardanti l'idoneità educativa ed affettiva dei richiedenti.

Non sembra il caso, in questa sede, di soffer­marsi ad esaminare gli errori di diritto che infar­ciscono la motivazione delle due sentenze (erro­ri che comunque suscitano un certo qual stupo­re, visto che si tratta di provvedimenti emanati dall'organo giudiziario cui appartiene per legge il compito di uniformare la retta applicazione delle norme), ma si deve comunque sottolineare come appaia del tutto fuori luogo l'affermazione secondo la quale il superamento della differen­za massima dei quarant'anni non impedirebbe la dichiarazione di efficacia dei provvedimento straniero in quanto non sarebbe incompatibile né con l'ordine pubblico (art. 31 delle disposi­zioni preliminari del codice civile) né con i prin­cipi fondamentali che regolano nello Stato il di­ritto di famiglia e dei minori (art. 32 comma pri­mo lett. c della legge 184/83), poiché è ben noto agli studiosi della materia che i principi giuridici sopra richiamati riguardano tutt'altra esigenza, e cioè il diritto inviolabile del minore ad essere educato nell'ambito della propria famiglia e la li­ceità del suo distacco dal nucleo familiare nei soli casi di abbandono conclamato o di irrever­sibile incapacità educativa dei genitori biologici (cfr. tra gli altri Poletti di Teodoro, in Le nuove leggi civili commentate, 1984, pp. 146-147).

Non resta che auspicare che la Cassazione (eventualmente su sollecitazione di quanti - stu­diosi, operatori, magistrati - sono chiamati a la­vorare giorno per giorno sul campo) si convinca al più presto a ritornare sulla corretta posizione precedentemente assunta, riaffermando il prin­cipio che il rispetto della differenza massima di età tra adottanti ed adottando previsto dall'art. 6 della legge 184/83, essendo uno dei requisiti essenziali per il rilascio della dichiarazione di idoneità di competenza dei Tribunali per i mino­renni, impedisce la dichiarazione di efficacia di quei provvedimenti stranieri che non ne abbiano tenuto conto, e che in questo modo ponga un freno alla sempre più smodata "deregulation" che sta imperversando nella pratica dell'adozio­ne internazionale, mettendo le giurisprudenze superiori di fronte alla logica del "fatto compiu­to".

L'esperienza del "caso Serena" dovrebbe pur aver insegnato qualcosa!

È, altresì, molto preoccupante che le Autorità consolari italiane ed i nostri uffici di polizia di frontiera abbiano consentito l'ingresso in Italia della minore B.L.Z., violando in tal modo la legge 184/83, la quale stabilisce che l'entrata nel no­stro Paese è permessa esclusivamente quando sono soddisfatti i requisiti fissati dalle norme sull'adozione, compreso quello relativo alla dif­ferenza massima di 40 anni di età fra ciascun adottante e l'adottato.

 

 

SENTENZA N. 03907/93

 

La Corte Suprema di Cassazione, sezione I Civile, composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: dott. Francesco F. Rossi - Presidente, dott. Fran­cesco Favara - Consigliere, dott. Antonio Sensa­le - Consigliere, dott. Pietro Pannella - Consiglie­re, dott. Giuseppe Berruti (relatore) - Consiglie­re, ha pronunciato la seguente sentenza sul ri­corso proposto da F.A. e R.B., entrambi residenti in U., elettivamente domiciliati in R., Via T., pres­so l'Aw. D.D., che li rappresenta e li difende giu­sta delega in atti (ricorrente) contro: 1) Tribunale dei minorenni di Trieste, 2) P.M. c/o il Tribunale dei minorenni di Trieste, nella procedura riguar­dante la minore B.L.Z. (intimati) avverso il decre­to n. 91/90 del Tribunale dei minorenni di Trieste dell'11.7.90; udita nella pubblica udienza del 14.10.92 la relazione della causa svolta dal Cons. Rel. Dr. B.; sentito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dr. R.V. che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

I coniugi F.A. e R.B., con ricorso in data 22 febbraio '90, chiedevano al Tribunale dei mino­renni di Trieste di dichiarare efficace in Italia il provvedimento straniero di adozione, relativo al­la minore B.L.Z., nata il 6 marzo 1977 in Croazia (Jugoslavia).

Il Tribunale negava il richiesto provvedimento. Rilevava infatti che tra la minore in questione e gli istanti, eventuali adottanti, esisteva una diffe­renza di età superiore a quella massima prevista dalla legge, ovvero superiore ai quaranta anni. Affermava che tale requisito dell'età doveva considerarsi rispondente ad un principio fonda­mentale dell'ordinamento italiano e che pertanto il provvedimento straniero in questione doveva ritenersi contrastante con l'art. 32 lett. c della legge n. 184 del 1983.

Contro questa decisione ricorrono i coniugi F.A. e R.B. alla Corte Suprema, con un motivo.

 

Motivi della decisione

1) Con l'unica, articolata censura, il ricorrente afferma la violazione degli artt. 6 e 32 della leg­ge sulle adozioni, nonché dell'art. 797 c.p.c.

Afferma infatti che la differenza di età esami­nata sarebbe stata superata di soli due mesi e mezzo, ovvero in misura irrilevante rispetto alle finalità della normativa in questione.

Rileva inoltre che la differenza suddetta, se corrisponde ad un requisito essenziale per la adozione da parte di cittadini italiani a favore di minore italiano, non corrisponde tuttavia ad un principio fondamentale dell'ordinamento, cosic­ché non assurge, nella specie, a limite di ordine pubblico ostativo alla efficacia del provvedimen­to straniero nell'ordinamento italiano.

2) Il ricorso è fondato. La questione in esame, ovvero se il superamento del limite massimo di differenza di età tra gli adottandi e gli adottanti, stabilito dall'art. 6 della legge sulle adozioni, dia luogo a contrasto con un principio di ordine pubblico internazionale italiano, è stata già af­frontata da questa Corte, sia con riferimento alle procedure straniere iniziate prima della entrata in vigore della legge n. 184 del 1983, che a quel­le successive. Con riferimento a queste ultime è stato osservato (Cass. n. 67 del 1988), che una prescrizione si pone nell'ambito dell'ordine pub­blico internazionale solo quando essa estrinse­ca, oltre al connotato della inderogabilità da pri­vate convenzioni, anche quello della fondamen­talità, rispetto al sistema. Fondamentalità da ac­certare caso per caso, alla luce, per l'appunto, delle direttive che il sistema stesso propone.

Tale carattere di fondamentalità, così precisa­to, non si riscontra nel divieto di cui all'art. 6, comma sesto, della legge sulle adozioni, per la ragione testuale offerta dall'art. 32 della legge stessa che in tema di efficacia dei provvedimenti adottivi emessi all'estero, rimanda (vedi lett. a), al precedente art. 30 per tutto quanto concerne l'accertamento della idoneità degli adottanti (compresa dunque la loro età). Quindi, ulterior­mente, esige che il provvedimento straniero non sia contrario «ai principi fondamentali che rego­lano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori». Ciò vuol dire che con tali principi di per sé non contrasta il superamento della soglia stabilita dall'art. 6 in questione. Detta conclusione natu­ralmente non comporta che per l'ordinamento italiano sia del tutto indifferente l'età massima degli adottanti, oppure che essa sia comunque irriferibile all'ordine pubblico: invece significa che quest'ultimo deve essere ulteriormente spe­cificato mediante l'accertamento del rapporto elastico di proporzionalità tra l'età dell'adottan­do e quella dell'adottante; che sia in grado di ri­produrre la differenza biologica naturale, ovvero ordinaria, tra genitori e figli (adoptio naturam imitatur), cui fa riferimento anche la convenzione di Strasburgo (parte integrante dell'ordinamento giuridico italiano), all'art. 8 n. 3 (ancora Cass. 67/88).

Il provvedimento impugnato pertanto è erra­to, per aver dedotto la fondamentalità, ovvero il contrasto con l'ordine pubblico internazionale, dalla mera inderogabilità interna della norma.

Il ricorso va dunque accolto. La sentenza im­pugnata va cassata e la causa va rinviata al Tri­bunale per i minorenni di Venezia, che deciderà facendo applicazione del principio appena enunciato.

Ricorrono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la senten­za impugnata e rinvia la causa al Tribunale dei minorenni di Venezia. Compensa le spese tra le parti.

 

Roma, 14 ottobre 1992 - Depositata in Cancelle­ria il 1° aprile 1993

 

 

 

 

 

(1) Cfr. l'articolo "Sentenza inquietante della Corte co­stituzionale" in Prospettive assistenziali, n. 98, aprile-giu­gno 1992. Nel suddetto articolo precisavamo di temere che «la sentenza della Corte costituzionale in oggetto fosse il primo passo per lo smantellamento della differenza massi­ma di età, limite che era stato introdotto per evitare che i mi­nori fossero adottati da persone vecchie». D'altra parte, è noto che il numero delle coppie giovani aspiranti all'ado­zione è di gran lunga superiore al numero dei minori adot­tabili.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it