Prospettive assistenziali, n. 104, ottobre-dicembre 1993

 

 

ALTRI INGANNI PERPETRATI DA POLITICI E AMMINISTRATORI PER NON RICONOSCERE LE ESIGENZE E I DIRITTI DELLE PERSONE PIÙ DEBOLI: LE ESPERIENZE IN MATERIA DELL'ANFAA, DELL'ULCES E DEL CSA (*)

 

 

Nel precedente articolo (1) abbiamo riferito in merito ai trucchi usati da molti politici e amministratori per negare le esigenze ed i diritti dei più deboli. Sulla base delle esperienze dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA, quello più comune è la deliberata violazione delle norme di legge (2).

Certamente vi sono politici e amministratori che applicano scrupolosamente le norme legislative e regolamentari; tuttavia i casi riportati di­mostrano l'ampiezza e la gravità della inosservanza delle disposizioni, peraltro non numerose, approvate dal legislatore a tutela delle persone in difficoltà per cause personali, familiari e sociali.

L'inosservanza delle leggi vigenti è soprattutto inaccettabile quando vengono colpiti cittadini che già soffrono a causa di malattie o di handi­cap, poiché si aggravano le loro condizioni, spesso già molto precarie.

Fra i trucchi di cui si avvalgono politici e amministratori, in questo articolo prendiamo in esame i seguenti:

- la violazione degli accordi pattuiti;

- il ricorso al clientelismo;

- le dichiarazioni false o gravemente inesatte o tendenziose;

- l'interpretazione e attuazione di comodo delle disposizioni;

- il travisamento della realtà per orientare l'opinione pubblica su falsi obiettivi.

 

 

VIOLAZIONE DEGLI ACCORDI PATTUITI

 

Un mezzo, purtroppo abbastanza frequente­mente usato dalle istituzioni, è la violazione degli accordi sottoscritti. A volte, tale violazione può essere addirittura programmata; l'intesa viene sottoscritta dalle stesse istituzioni, in genere do­po lunghe trattative e continui rinvii, al solo sco­po di ottenere la cessazione delle iniziative da parte dei movimenti che operano per la tutela dei diritti delle persone più deboli.

 

La provincia di Torino ignora gli impegni sottoscritti

Un esempio significativo, al riguardo, è offerto dall'accordo stipulato il 23 febbraio 1984 fra la Provincia di Torino, le Organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil aziendali dell'ente, territoriali e confederali e il CSA. In base a tale intesa, tutti i servizi assistenziali provinciali ed i relativi patri­moni immobiliari e mobiliari, piante organiche, fondi di dotazione, personale dovevano essere trasferiti ai Comuni e alle Comunità montane (se coincidenti con le USL) o alle USL entro il 31 di­cembre 1984. Questo accordo è rimasto total­mente disapplicato nonostante i reiterati solle­citi.

Non solo l'intesa non è mai stata rispettata, ma c'è stato un Assessore, Salvatore Scanca­rello, che ha tentato dì trasferire le funzioni ai Comuni singoli o associati, assegnando solo una parte dei relativi finanziamenti. Infatti, ha proposto che essi venissero ridotti ogni anno del 10% rispetto alla spesa storica. In tal modo, al decimo anno la Provincia avrebbe conservato tutti i fondi ammontanti annualmente a circa 20 miliardi (3).

Da notare che l'Assessore provinciale intendeva sottrarre denaro e personale ai servizi per handicappati intellettivi per destinarli ad attività non di assistenza sociale, nonostante le gravi carenze delle prestazioni per gli handicappati e la lunga lista di attesa.

 

Nonostante le assicurazioni scritte, la metropolitana di Torino è costruita con barriere architettoniche

Un altro esempio emblematico di violazione di accordi riguarda l'Azienda municipale dei Tra­sporti pubblici torinesi. Circa la costruenda metropolitana leggera, in data 6 ottobre 1980 l'allo­ra Presidente dell'Azienda suddetta, Roggero Bertotti, si impegnava per iscritto affermando che «le linee 1 e 2 in stadio di avanzata progetta­zione avranno incarrozzamento a raso e le strut­ture di fermata nonché quelle dei marciapiedi prospicienti non avranno barriere architettoniche, consentendo pertanto l'agevole incarrozzamento anche per coloro che sono costretti a uti­lizzare una carrozzella».

Peccato che all'inaugurazione, avvenuta il 26 ottobre 1987, gli handicappati constatino che per salire sulle vetture occorre sormontare ben due gradini e che per raggiungere le fermate è necessario percorrere rampe che si potevano evitare, rampe molto difficilmente superabili au­tonomamente da coloro che si spostano sulle carrozzelle e soprattutto dagli handicappati co­stretti a usare le stampelle.

Alle proteste degli handicappati, gli Ammini­stratori del Comune di Torino e dell'Azienda tra­sporti non hanno mai risposto.

 

Il voltafaccia del Comune di Torino

Il 20 dicembre 1984 la Giunta monocolore PCI del Comune di Torino, presieduta da Diego No­velli, approva una delibera che è un vero e pro­prio voltafaccia rispetto agli accordi intervenuti con il CSA dalla precedente Giunta PCI-PSI, presieduta dallo stesso Novelli.

In base agli accordi suddetti, lo stabile di Tori­no, via Nizza 151, già adibito a istituto di ricovero per ciechi, doveva essere ristrutturato, come dettagliatamente previsto dalla delibera della Giunta municipale del 16 maggio 1981, al fine di destinarlo a:

- scuola materna;

- centro diurno per insufficienti mentali ultra­quindicenni non inseribili nel lavoro a causa del­la gravità della loro condizione di salute;

- scuola terapisti della riabilitazione;

- scuola per assistenti sociali;

- scuola di formazione per educatori;

- scuola di preparazione di insegnanti per ciechi;

- centro di documentazione per ciechi;

- mostra permanente delle tecnologie per handicappati.

Questa mostra doveva poi essere unificata con il centro documentazione per ciechi al fine di arrivare ad un unico centro per tutti gli handi­cappati.

La mostra era richiesta poiché in tutto il Pie­monte non esiste un punto di riferimento (avente carattere commerciale) che consenta agli han­dicappati ed agli operatori di prendere cono­scenza degli strumenti e dei mezzi che possono assicurare una più completa autonomia agli handicappati e di verificarne la funzionalità.

Per la ristrutturazione della parte dell'istituto necessaria per la mostra, era stata trasferita in locali siti in via Menabrea (a 50 metri dalla sede precedente) la cosiddetta scuola media specia­le per ciechi. Cosiddetta in quanto i ciechi sono solo 2 su 106 frequentanti, mentre gli ipovedenti sono appena 3 o 4.

Tutto sembrava filare liscio, quando inspiega­bilmente si verifica il voltafaccia di Novelli, Arte­sio e Chiezzi (rispettivamente sindaco, assesso­ri all'istruzione e all'edilizia pubblica) che con la delibera del 20 dicembre 1984 e con la spesa di qualche decina di milioni hanno soppresso la mostra destinando i relativi locali alla scuola media speciale per ciechi, senza nemmeno av­vertire il CSA.

 

 

RICORSO AL CLIENTELISMO

 

Molto spesso, quando gli amministratori pub­blici (a volte anche quelli privati) non riescono a contenere le spinte dei movimenti di base, ricor­rono al clientelismo. Ai funzionari ed agli opera­tori, soprattutto a quelli dei livelli più alti, posso­no essere elargiti favori di varia natura: promo­zioni, trasferimenti di comodo, assunzione di congiunti o di amici, attribuzione di commesse (ricerche, studi, pubblicazioni, ecc.) a organiz­zazioni in cui il personale connivente dell'istitu­zione svolge attività retribuita immancabilmente in nero.

Non sono rari i casi in cui responsabili di enti pubblici e privati sono ricorsi ad appoggi di co­modo (associazioni, gruppi di volontariato, ecc.). Si tratta, in questi casi, di organizzazioni facil­mente riconoscibili: sono presiedute da persone appartenenti agli stessi gruppi politici degli am­ministratori, in brevissimo tempo ottengono dall'ente pubblico i locali per gli uffici, non man­cano i finanziamenti, entrano in attività soprat­tutto quando le istituzioni sono in difficoltà. Oc­corre, altresì, precisare che le organizzazione di comodo sono quasi sempre sostenute dai mezzi di informazione, per cui sovente la loro influenza è notevole (4).

In base alle esperienze dell'ANFAA, dell'UL­CES e del CSA, rilevanti vantaggi ottengono le persone che, ricoprendo posti chiave in orga­nizzazioni pubbliche o private, soprattutto se di massa, favoriscono le istituzioni che violano le esigenze ed i diritti siano essi quelli dei minori in situazione di abbandono non segnalandoli all'autorità giudiziaria ai fini della dichiarazione di adottabilità o non vigilando affinché le relative norme siano rispettate, o degli handicappati sempre in attesa di essere avviati al lavoro in base alla legge 482/1978, o degli anziani cronici non autosufficienti a cui sono rifiutate le neces­sarie cure sanitarie previste dalle disposizioni in vigore da taluni decenni.

Per queste persone i vantaggi si traducono nell'assegnazione di posti di governo, o ancor più sovente di sottogoverno. La buona retribu­zione è il compenso che viene corrisposto non dalle istituzioni, ma dai cittadini.

 

 

DICHIARAZIONI FALSE O GRAVEMENTE INESATTE O TENDENZIOSE

 

Il Presidente della Camera dei deputati afferma il falso

Fra le dichiarazioni false, ricordiamo quelle ri­lasciate nell'aprile 1990 dall'On. Nilde Jotti, allo­ra Presidente della Camera dei deputati.

Al riguardo, riportiamo integralmente il volanti­no distribuito dall'ANFAA davanti a Montecitorio in data 3 aprile 1990, iniziativa assunta con l'adesione dell'Associazione Papa Giovanni XXIII di Rimini:

«Il Presidente della Camera dei deputati Nilde Jotti ha detto il falso in Parlamento davanti a mi­lioni di telespettatori.

«Infatti ha affermato che in materia di adozione vi sono stati magistrati che hanno separato "dei figli dai genitori perché disoccupati".

«Questa dichiarazione irresponsabile è stata fatta dal Presidente della Camera dei deputati durante il Convegno: "L'adozione: esperienze e prospettive" svoltosi nell'aula dei Gruppi parla­mentari in data 21 marzo 1990, trasmesso in di­retta dal Tg3.

«Il fatto è ancora più grave, tenuto conto che il convegno è stato organizzato dalla stessa Nilde Jotti, nella sua funzione dl Presidente della Ca­mera dei deputati.

«Le istituzioni non dovrebbero mai essere usa­te a fini personali e per sparare nel mucchio sen­za portare nessuna prova.

«Nel citato convegno del 21 marzo, l'arroganza del Presidente della Camera dei deputati è arri­vata al punto di non ritenere necessario replicare a chi le aveva chiesto di precisare gli estremi dei provvedimenti che sarebbero stati assunti dai Tri­bunali per i minorenni, dalle Corti di appello 0 dalla Cassazione per togliere i bambini a genitori disoccupati allo scopo di darli in adozione.

«La falsa dichiarazione del Presidente della Camera dei deputati non solo infanga l'operato dei giudici dei Tribunali per i minorenni, delle Corti di appello, di Cassazione e delle relative Procure, degli Amministratori e degli Operatori, ma aizza anche l'opinione pubblica contro le fa­miglie adottive che si approprierebbero dei figli dei disoccupati e dà un'immagine distorta e fuor­viante della legge 184/83: "Disciplina dell'ado­zione e dell'affidamento dei minori", che viene presentata come lo strumento per strappare i bambini ai poveri per darli ai ricchi.

«L'ANFAA (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie), gruppo di volontariato che opera dal 1962 per difendere il diritto ad una va­lida famiglia dei minori in situazione di abbando­no materiale e morale da parte dei genitori e pa­renti (diritto sancito dalla sopracitata legge 184/ 83), chiede che la Camera dei deputati assuma con la massima urgenza una iniziativa (ad esem­pio l'approvazione di un ordine del giorno), che ristabilisca la verità dei fatti, confermi il valore al­tamente umano e sociale dell'adozione e impe­gni tutte le istituzioni a combattere il mercato dei bambini italiani e stranieri. Si chiede inoltre che a tale iniziativa la Camera dei deputati dia ampia pubblicizzazione anche attraverso la TV».

 

Dichiarazioni scorrette del Ministro per gli affari sociali

Nell'aprile 1991 i mezzi di informazione comu­nicano con grande risalto che la nota regista Li­na Wertmüller e il marito Enrico Job hanno ac­colto presso di loro una bambina, nata il 17 gen­naio dello stesso anno a Marsiglia, bambina che sarebbe stata concepita a seguito di una rela­zione extraconiugale di quest'ultimo.

Secondo quanto dichiara l'Avv. Eliane Kera­midos, Presidente del Comitato per l'infanzia di Marsiglia «aggirare la legge (francese) è facile: il primo uomo che arriva all'anagrafe e riconosce il tal bambino come suo ne diventa padre».

Dunque, tenuto anche conto che i Signori Wertmüller e Job hanno superato l'età richiesta dalla legge per l'adozione, è più che giustificato il timore che si tratti di un falso riconoscimento. Poiché tale atto può essere compiuto da chiunque, anche da persone molto anziane (non vi è alcun limite di età), prive di valide motivazio­ni e capacità educative (omosessuali, pedofili, malati di mente, ecc.), il Presidente nazionale dell'ANFAA, in data 13 aprile 1991 rivolge istan­za al Procuratore della Repubblica e alle Autori­tà giudiziare minorili di Brescia chiedendo che «vogliano assumere le necessarie iniziative al fi­ne di accertare la regolarità dell'inserimento fa­miliare della piccola Maria Zubima da parte dei coniugi Job-Wertmüller» (5).

In merito alla presa di posizione del Presiden­te dell'ANFAA, che chiede solo che si accerti se sono state violate le leggi vigenti, insorge l'On. Rosa Russo Jervolino, allora Ministro per gli af­fari sociali, le cui dichiarazioni sono riportate su "La Stampa" del 18 aprile 1991.

Ecco le preoccupanti affermazioni del Mini­stro (6):

1. «Vede, io ho paura soprattutto di una cosa, che a poco a poco una legge come quella delle adozioni, che avrà pure tanti difetti ma è nata per fare del bene ai bambini, venga vista dalla gente come una legge fatta per strappare i bambini alle famiglie, per dividere, per creare non amore, ma odio».

2. «Ho paura che la vicenda di questa bambina di Lina Wertmüller, di cui non so niente, possa di­ventare un nuovo caso Serena Cruz che di odio e timore ne ha creato tanto, bloccando le adozioni per molti mesi. E allora, dico, sono proprio d'ac­cordo con chi se la prende con l'associazione dei genitori. E chiedo perché, in un mondo pieno di bambini curdi e albanesi, perché davanti a una folla ogni giorno più grande di bimbi in pericolo di vita, puntano il dito proprio contro quei piccoli che una famiglia amorosa l'hanno trovata» (7).

3. «I genitori dell'ANFAA sono brave persone, li conosco bene e i magistrati devono fare il loro dovere, per carità, la legge è uguale per tutti. E un ministro dello Stato certe cose non può nem­meno permettersi di pensarle, ma insomma...».

«Di problemi ce ne sono molti. Il più importante mi sembra sia quello di assicurare tempi stretti, che per i bambini sono essenziali. Anche nel ca­so di Serena, se l'errore fosse stato riconosciuto in quindici giorni, la piccola non avrebbe avuto il tempo di vivere e affezionarsi alla famiglia alla quale poi è stata strappata».

All'intervento del Ministro, replica il CSA, Co­mitato per la difesa dei diritti degli assistiti, nei seguenti termini (8):

«Preoccupanti sono le dichiarazioni rilasciate dall'On. Russo Jervolino, Ministro per gli affari sociali:

«1) afferma che i magistrati dovrebbero appli­care le leggi. Però, poi, aggiunge “ma, insom­ma”. Vuol forse insinuare che omissioni devono essere consentite? A pro di chi? Da coloro che vendono o comprano i bambini?;

«2) deplora che nella vicenda di Serena Cruz "l'errore" non sia stato riconosciuto "in quindici giorni". Ma - grave è la dichiarazione del Mini­stro - i coniugi Giubergia sono stati convocati dal Tribunale per i minori di Torino 9 giorni dopo l'arrivo della bambina a Racconigi;

«3) la vicenda di Serena ha, secondo il Mini­stro, bloccato "le adozioni per molti mesi". A no­stro avviso ha invece frenato il mercato dei bam­bini;

«4) la Jervolino a suo tempo aveva ufficialmen­te ricevuto i Giubergia, e cioè coloro che aveva­no violato le esigenze ed i diritti di Serena: è que­sto il suo "primo impegno di ministro"?;

«5) moltissimi sono gli italiani desiderosi di adottare bambini curdi e albanesi in situazione di abbandono. Che cosa ha fatto o intende fare la Jervolino per consentire l'adozione dei suddetti bambini? Finora le associazioni interessate non hanno ricevuto dal Ministro alcuna comunicazio­ne al riguardo;

«6) gli interventi fatti dall'Associazione nazio­nale famiglie adottive e affidatarie e da altre or­ganizzazioni (ad esempio dal nostro Comitato) non hanno mai avuto lo scopo di "strappare i bambini dalle famiglie, per dividere, per creare non amore ma odio" come afferma la Jervolino. Al riguardo sfidiamo il Ministro a portare elementi oggettivi a sostegno della sua fantasiosa tesi. Le iniziative dell'ANFAA e dei gruppi di volontariato sono sempre state fatte per combattere la com­pravendita dei bambini. Inoltre moltissime sono state e sono le attività svolte dalle suddette orga­nizzazioni per consentire l'adozione di bambini handicappati o malati (di Aids, per esempio). In tutti questi casi, finora, è purtroppo mancato ogni concreto sostegno da parte del Ministro per gli affari sociali».

Alla lettera sopra riportata, il Ministro Jervoli­no, forse perché a corto di argomenti, non ha maì risposto.

 

La bugia del Presidente dell’USSL di Ivrea

Nel corso della tavola rotonda "Per una nuova cultura della solidarietà", svoltasi a Ivrea (Tori­no) il 19 maggio 1989, il Presidente dell'USSL 40, Valerian Grijuela, viene accusato non solo di non aver attuato nessun intervento per evitare che gli anziani cronici non autosufficienti siano dimessi, in violazione delle leggi vigenti, dagli ospedali del territorio di sua competenza e sia­no ricoverati in istituti di assistenza e beneficen­za (che sempre in base alle norme in vigore non possono provvedere alle persone malate), ma anche di pretendere dai parenti dei pazienti contributi economici.

Il Presidente dell'USSL, evidentemente in diffi­coltà, smentisce che i contributi vengano richie­sti, ma afferma il falso come risulta dal fatto che alla data suddetta era ancora in vigore una deli­bera in materia, approvata in data 24 gennaio 1986 dal Comitato di gestione dell'USSL 40, presieduto dallo stesso Grijuela.

 

Le non verità dell'Assessore all'assistenza della Regione Piemonte

Gianpaolo Brizio, allora Assessore all'assi­stenza della Regione Piemonte, inizia la sua campagna elettorale con un colpo grosso, pre­sentando in data 29 giugno 1989, il disegno di legge n. 512, che desta il massimo interesse nei componenti dei consigli di amministrazione del­le IPAB, Istituzioni pubbliche di assistenza e be­neficenza.

Il disegno di legge prevede che i patrimoni delle IPAB siano regalati, sì proprio regalati. Il regalo è totale, senza limiti; estremamente am­pio è l'ambito di privatizzazione; la sentenza del­la Corte costituzionale è interpretata nel modo più ampio possibile (9); coloro che ricevono il dono, praticamente non hanno alcun obbligo, nemmeno quello di continuare a destinare i beni ricevuti a finalità assistenziali. La torta è grossa. Difatti, le IPAB piemontesi sono oltre 1250, di es­se 300 svolgono attività di ricovero; circa 400 operano nel campo delle scuole materne; le al­tre intervengono nei confronti dei minori, degli handicappati, dei dimessi dagli ospedali psi­chiatrici, delle persone senza fissa dimora.

I patrimoni delle IPAB piemontesi sono consi­stenti se allettanti. Ammontano, secondo Cgil, Cisl, Uil, a ben 8 mila miliardi.

Di fronte alle perplessità suscitate dal disegno di legge, l'Assessore Brizio non ha saputo fare altro che scrivere una lettera piena di bugie, pubblicata da "La Repubblica" del 13 dicembre 1989, in cui allo scopo di difendere la sua pro­posta di legge, afferma che «del tutto infondato è, poi, il sospetto che le IPAB privatizzate possa­no disporre dei patrimoni, distogliendoli dalle fi­nalità assistenziali».

Invece, come precisato dal CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti su La Re­pubblica del 20 dicembre 1989: «i beni delle IPAB privatizzate possono essere venduti senza autorizzazione. Il ricavato può essere utilizzato anche per pagare i debiti di gestione (10). È quin­di facile prevedere che, nel giro di pochi anni, molti beni vadano in fumo».

Solo dopo l'insistente azione congiunta dei Sindacati e del CSA si ottiene che la legge della Regione Piemonte 19 marzo 1991 n. 10 stabili­sca quanto segue: «il patrimonio mobiliare ed immobiliare delle IPAB che abbiano conseguito il riconoscimento della personalità giuridica di di­ritto privato, i relativi redditi netti derivanti dalla sua gestione ed i proventi derivanti dalla sua alie­nazione o trasformazione sono destinati esclusi­vamente alle attività socio-assistenziali previste dallo statuto» (art. 6, comma 2) (11).

 

 

INTERPRETAZIONE E ATTUAZIONE DI COMODO DELLE DISPOSIZIONI

 

Una norma truffaldina

La convenzione stipulata il 28 ottobre 1974 fra la Regione Piemonte e il Consorzio regionale degli IACP stabilisce quanto segue: «Nelle rea­lizzazioni degli interventi di edilizia pubblica resi­denziale finanziati ai sensi dell'art. 55, lettera a) dell'art. 68 lettera b) della legge 22 ottobre 1971 n. 685, in tutti i complessi di costruzione edilizia di abitazione è da prevedersi una riserva di allog­gi, fina al massimo del 10% della consistenza vo­lumetrica totale del fabbricato, da assegnare a persone anziane e invalide».

I gruppi di volontariato valutano in modo posi­tivo la norma per ottenere la quale hanno lavo­rato per molti anni. Le istituzioni, invece, visto che non è indicata (volutamente?) una percen­tuale minima, la applicano considerando come conforme il livello zero. In sostanza non sono costruiti alloggi per anziani e per invalidi.

 

Lo Stato specula sui propri ritardi

Ai sensi della legge 11 febbraio 1980 n. 18, l'assegno di accompagnamento viene erogato dallo Stato alle persone «che si trovano nell'im­possibilità di deambulare senza l'aiuto perma­nente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, ab­bisognano di un'assistenza continua».

Per coloro che non sono autosufficienti (an­ziani con patologie invalidanti, dementi senili, handicappati intellettivi gravi, ecc.) e che vivono a casa loro (e spesso non ricevono a domicilio le necessarie prestazioni mediche e infermieri­stiche), l'assegno di accompagnamento (Lire 600.000 mensili) non è certamente adeguato al­le esigenze).

Ciò nonostante, lo Stato ha inventato un siste­ma semplicissimo e sicuro per ridurre gli oneri a suo carico: ritardare di anni (anche 5-6) l'esame delle condizioni di salute degli interessati (spes­so si tratta di persone ultraottantenni), in modo che una parte degli stessi muoia prima che l'ap­posita commissione abbia compiuto gli accerta­menti di sua competenza e assunto le conse­guenti decisioni. In questi casi, assai numerosi, lo Stato non sborsa più una lira.

 

 

TRAVISARE LA REALTÀ PER ORIENTARE L'OPINIONE PUBBLICA SU FALSI OBIETTIVI

 

Inaugurazione di comodo

Un altro trucco, spesso attuato dalle istituzio­ni, consiste nel fornire un'immagine positiva ai centri di emarginazione.

Per ottenere questo risultato le visite di strut­ture di ricovero da parte di alte personalità poli­tiche sono uno strumento molto usato.

Citiamo, ad esempio, l'inaugurazione da parte del Presidente della Repubblica, Giuseppe Sa­ragat, del nuovo istituto provinciale per l'infanzia di Genova con una capienza di 450 posti (12), inaugurazione che avviene quando la struttura non è nemmeno finita, tanto che i bambini ven­gono portati al mattino nella sede di Quarto e ri­condotti alla sera nel vecchio brefotrofio.

L'iniziativa del Presidente Saragat ha - evi­dentemente - lo scopo di rilanciare il ricovero assistenziale, mentre la legge 5 giugno 1967 n. 431, entrata in vigore qualche mese prima, é un riferimento nettamente alternativo.

Anche un altro Presidente della Repubblica sostiene gli istituti di ricovero. Si tratta di Gio­vanni Leone che visita gli istituti Giuseppina Sa­ragat di Anzio, il Cottolengo di Torino, il Villaggio del Fanciullo di Pesaro, l'istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone.

Un altro esempio è costituito dall'inaugurazio­ne avvenuta il 18 ottobre 1987 del Villaggio del subnormale, ora Comunità La Torre di Rivarolo (Torino) effettuata dal Presidente del Consiglio dei ministri Giovanni Goria, struttura di ricovero che è un caso emblematico di spreco di ingenti fondi pubblici.

Inoltre, mentre è in corso da parte dei gruppi di volontariato una azione culturale e operativa per il riconoscimento della priorità degli inter­venti domiciliari, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga inaugura in data 3 settem­bre 1989 il nuovo ricovero di S. Germano Chiso­ne (Torino), destinato a 80 anziani.

Purtroppo, anche le autorità religiose privile­giano spesso le visite alle strutture di ricovero (13), mentre né le stesse né quelle civili finora hanno dato il giusto riconoscimento pubblico al­le famiglie che accolgono bambini o adulti o an­ziani con gravi handicap o con serie malattie in­validanti.

 

Altri esempi di travisamento

1. Per nascondere le gravissime carenze esi­stenti negli interventi assistenziali e soprattutto in quelli sanitari destinati agli anziani cronici non autosufficienti, molti amministratori e alcuni giornalisti hanno inventato l'abbandono genera­lizzato dei vecchi malati da parte dei "figli ingra­ti". Non si nega che vi siano casi singoli di disin­teresse, ma sicuramente questo fenomeno non è di massa, come viene confermato da tutte le ricerche scientifiche svolte in materia.

2. Per giustificare la scadente qualità dei ser­vizi ospedalieri, molti amministratori e operatori sostengono che una delle cause di fondo sareb­be la mancanza di infermieri. Ma quasi nessuno rende noto che si tratta di una categoria che può andare in pensione dopo 19 anni di lavoro (e in certi casi anche prima) e che ottenuto que­sto privilegio, presta attività lavorativa, spesso in nero, presso istituzioni private.

La popolazione non è nemmeno informata che le carenze sono soprattutto presenti nel Nord.

Ciò nonostante, per motivi essenzialmente clientelari, le Amministrazioni regionali continua­no a consentire i trasferimenti di infermieri dal Nord al Sud. Ad esempio, la Regione Piemonte negli ultimi dieci anni ha autorizzato oltre mille infermieri a lasciare i locali servizi ospedalieri o territoriali e a riprendere il lavoro in strutture del meridione, che spesso non hanno l'esigenza di altri operatori sanitari.

3. Per evitare che le persone vengano a cono­scere posizioni diverse da quelle ufficiali, è sufficiente censurarle. È ciò che ha fatto, ad esempio, il Comune di Modena nella pubblica­zione degli atti del convegno del 7-8 febbraio 1990 "Anziani non autosufficienti: programma­zione, gestione e valutazione dei servizi residen­ziali e diurni", che non ha riportato né l'interven­to di Graziana Delpierre, Segretario nazionale della Uil Pensionati, né quello di Maria Grazia Breda del CSA di Torino, interventi che motiva­vano le ragioni per cui la competenza in materia spetta ai servizi sanitari e non a quelli assisten­ziali.

 

Conclusioni

Moltissimi sono i trucchi che i politici utilizza­no per negare alla fascia più debole della popo­lazione i servizi di cui hanno bisogno e, spesso, per non attuare le leggi in vigore. Si tratta di comportamenti che purtroppo trovano ascolto anche presso associazioni e gruppi di volonta­riato.

Sarebbe facile - ma senza alcun esito con­creto - fare appello alla onestà degli ammini­stratori e degli operatori e dei funzionari, e al lo­ro dovere di dire la verità ai cittadini.

Crediamo, invece, che questo malcostume, purtroppo estremamente esteso, possa essere eliminato o almeno ridotto solo se i movimenti che tutelano le esigenze ed i diritti dell'utenza sapranno reagire fornendo essi stessi una infor­mazione corretta, completa e tempestiva. Trop­pe volte si constata - purtroppo - che molti gruppi non fanno altro che ripetere e amplificare le notizie fornite da ministeri e assessorati, sen­za verificare se le notizie stesse sono veritiere.

 

 

(*) I precedenti articoli concernenti le attività dell'AN­FAA, dell'ULCES e del CSA sono apparsi su Prospettive as­sistenziali: “Esperienze di volontariato promozionale", n. 79, luglio-settembre 1987; "Obiettivi, strumenti e criteri di inter­vento del volontariato promozionale attuato dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA", n. 83, luglio-settembre 1988; "I di­ritti del cittadino debole: riferimento prioritario del volonta­riato promozionale praticato dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA", n. 87, luglio-settembre 1989; "I comportamenti delle istituzioni pubbliche nelle esperienze dell'ANFAA, dell'UL­CES e del CSA", n. 88, ottobre-dicembre 1989; “Priorità delle iniziative culturali per un positivo confronto con le isti­tuzioni alla luce delle esperienze dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA", n. 89, gennaio-marzo 1990; “L'azione rivendicati­va condotta dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA", n. 91, lu­glio-settembre 1990; "Le esperienze dell'ANFAA, dell'UL­CES e del CSA in materia di attuazione di leggi e di delibe­razioni: un esempio significativo in merito alla legge 431/ 1967 sull'adozione speciale", n. 96, ottobre-dicembre 1991; "I trucchi, l'inosservanza e la violazione di leggi da parte di politici e di amministratori contro le esigenze e i di­ritti dei più deboli: le esperienze dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA", n. 98, aprile-giugno 1992.

(1) Cfr. "I trucchi... ", op. cit.

(2) Ricordiamo, fra gli altri strumenti utilizzati: la nega­zione dei problemi, la mobilitazione dei pregiudizi e dei luoghi comuni, il continuo rinvio delle decisioni, la presun­ta carenza di mezzi economici e di personale, la conces­sione ad esponenti di gruppi di base di favori di vario ge­nere (consulenze, ecc.) in cambio della cessazione delle rivendicazioni, il discredito dei movimenti che promuovono i diritti dei più deboli e la denigrazione dei loro componenti più attivi o più rappresentativi, le promesse tranquillizzanti ma illusorie.

(3) Cfr. Grave disagio per gli handicappati Insufficienti mentali e le loro famiglie, in Controcittà, n. 11, dicembre 1988.

(4) Anche quando le situazioni clientelari sono note e denunciate, è estremamente raro che i mezzi di informa­zione di massa diano notizie in merito. Questo fatto do­vrebbe aprire una riflessione sul ruolo dei mass-media nel campo dell'emarginazione.

(5) Occorre tener presente che in quel periodo fortissi­me erano le pressioni da parte di parlamentari, di politici, in particolare del Ministro di grazia e giustizia, e di alcuni esperti e di una parte dei mezzi di informazione per 1a libe­ralizzazione delle adozioni, liberalizzazione che avrebbe determinato uno sviluppo del già fiorente mercato dei bambini, soprattutto stranieri. AI riguardo è stata emblema­tica la campagna di stampa orchestrata sulla vicenda Giu­bergia di Racconigi (Cuneo).

(6) Cfr. La Stampa del 18 aprile 1991.

(7) Poiché il Ministro dice che della vicenda della bam­bina «non so niente» non si capisce in base a quali ele­menti consideri che i Signori Job-Wertmüller costituiscano «una famiglia amorosa».

(8) Cfr. La Stampa del 30 aprile.

(9) La privatizzazione delle IPAB è conseguente alla sentenza della Corte costituzionale n. 396 del 7 aprile 1988, sentenza molto discutibile (Cfr. M. Dogliotti, Principi giuridici concernenti la privatizzazione delle IPAB, "Prospet­tive assistenziali", n. 90, aprile-giugno 1990). Secondo quanto dichiarato alla Camera dei deputati dall'On. Marisa Galli in data 17 febbraio 1982, i beni delle IPAB ammonta­vano in quel periodo a ben 30-45 mila miliardi.

(10) Per evitare la dispersione dei beni delle IPAB, la legge 6972/1890 vieta che essi siano utilizzati per le spese di funzionamento, compresi gli eventuali passivi di gestio­ne.

(11) Non risulta che una norma analoga a tutela della fa­scia più debole della popolazione sia prevista da altre leg­gi nazionali o regionali. Tuttavia, in Piemonte sono assenti iniziative concrete che garantiscano adeguati e tempestivi controlli diretti ad accertare il rispetto della destinazione dei beni e dei redditi delle IPAB privatizzate a servizi di as­sistenza sociale.

(12) Da notare che i bambini ricoverati nel vecchio bre­fotrofio erano 283, di cui 143 figli di ignoti per cui adottabili in brevissimo tempo. Ciò nonostante, la capienza del nuo­vo istituto era stata progettata e costruita per 450 bambini.

(13) Cfr. "II discorso del Papa al Cottolengo", in Prospet­tive assistenziali, n. 50, aprile-giugno 1980.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it