Prospettive assistenziali, n. 104, ottobre-dicembre 1993

 

 

POSITIVA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE SULL'AFFID0

 

 

Riportiamo integralmente l'ottima sentenza n. 1502 del 6 febbraio 1993, decisa dalla Corte di cassazione, Presidente Corda, Relatore Borruso, P.M. Aloisi.

Rileviamo, con estrema soddisfazione, che la Corte ha stabilito che l'opportunità e la conseguente legittimità di ogni affidamento devono es­sere valutate non in base a schematismi giuridici di mero stampo accademico e formalistico, bensì con riguardo alle esigenze primarie del minore in stato di bisogno ed alla congruenza e tempestivi­tà di ogni provvedimento in rapporto al preminente suo interesse (nella specie, era stata di­sposta la revoca dell'affidamento ad una coppia, presso la quale il minore si era da molto tempo proficuamente inserito, solo allorché e perché si era appreso che uno degli affidatari era stato in passato un tossicodipendente: circostanza dap­prima taciuta dall'USL ai giudici di primo grado, i quali, dopo averla accertata, avevano disposto solo per questo motivo e senza alcuna conside­razione per le ottimali condizioni dei minore presso gli affidatari e per le prevedibili conse­guenze assai negative di un suo allontanamento da questi ultimi, la revoca di un affidamento che pure aveva sortito un esito felice.

 

 

TESTO DELLA SENTENZA

 

Svolgimento dei processo

In data 29 settembre 1987, il Tribunale per i minorenni dell'Emilia Romagna, ai sensi dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983 n. 184 sospende­va la potestà dei genitori sul bambino A.D.B., vietando che egli fosse consegnato ad essi o ad altri parenti, ne affidava la tutela alla USL dei luogo dove il bambino abitava (cioè all'USL ......) e autorizzava tale ente-tutore a lasciare il mino­re presso la casa-famiglia dell'Associazione Giovanni XXIII, presieduta da don Oreste Benzi, dove il quel momento si trovava. Più precisa­mente, fin dal 16 settembre 1987 il bambino era stato accolto da una giovane coppia di sposi (V.M. e T.B.), che facevano parte dell'Associa­zione predetta. La predetta USL incaricava un'assistente sociale (AV) di seguire da vicino l'andamento dell'affidamento dei minore alla coppia M. per la scrupolsa esecuzione di tutte le prescrizioni impartite dal Tribunale per i mino­renni anche al fine di responsabilizzare la madre naturale dei bambino (C.A., qualificata come sie­ropositiva e sifilitica) e di favorirne i rapporti con il figlio.

Ai primi di marzo 1989, il Tribunale per i mino­renni dichiarava lo stato di adottabilità dei mino­re e i coniugi M. manifestavano il desiderio di poter adottare il bambino. Successivamente, avendo la responsabile dei Servizio sociale (dott.ssa S.D.P., psicologa cui l'assistente socia­le V. riferiva) informato il Tribunale per i mino­renni che il M. in passato era stato tossicodi­pendente e che era stato esonerato dal servizio militare per turbe nervose, il predetto Tribunale, con decreto dei 20 marzo 1990, rimuoveva la detta USL dalla tutela sul minore, rilevando che: il M. non poteva più essere ritenuto idoneo psi­chicamente e moralmente a svolgere le funzioni genitoriali; era opportuno disporre, quindi, l'affi­damento preadottivo dei minore dichiarato in stato di adottabilità ad altra famiglia; il passag­gio dei minore da una famiglia all'altra avrebbe comportato una adeguata e leale collaborazione da parte dei tutore, collaborazione che non ci si poteva più aspettare dalla USL ... per aver volon­tariamente taciuto le caratteristiche e i prece­denti dei M.; il comportamento omissivo della USL era sospetto di favoritismo, in quanto il pa­dre dei M. era veterinario capo presso la detta USL.

La USL proponeva reclamo alla Corte d'ap­pello di Bologna, deducendo che il suo compor­tamento era stato ineccepibile sotto il profilo deontologico, essendosi preoccupata soprattut­to di seguire attentamente le vicende dei piccolo A.D.B. e di verificare il carattere positivo dei suo affidamento ai coniugi M., i quali avevano mani­festato una piena capacità genitoriale. La Corte bolognese rigettava il predetto reclamo sul rilie­vo che «il thema decidendum non riguardava l'idoneità o meno dei coniugi M. ad assolvere compiti genitoriali, ma la sussistenza di un com­portamento omissivo della USL, idoneo a deter­minare la rottura - ovviamente in relazione alla adozione dei minore A.D.B. - dei rapporto fidu­ciario che deve intercorrere tra giudice minori­le e Servizio sociale». Era indubbio - prosegue la Corte - che la USL volutamente tacque al Tri­bunale la condizione di ex tossicodipendente dei M. e gli altri suoi trascorsi e che, con tale comportamento omissivo, violò un suo preciso dovere, facendo, quindi, venir giustamente me­no la fiducia che sta alla base delle funzioni tu­torie.

Avverso tale provvedimento della Corte d'ap­pello di Bologna, depositato il 28 giugno 1990, la USL ha proposto ricorso per Cassazione (notifi­cato il 17 luglio 1990 al Procuratore generale presso la Corte d'appello di Bologna, alla Pro­vincia di Bologna e al giudice tutelare presso la Pretura civile di Bologna) in base a due motivi. Nessuno si è costituito per le controparti.

 

Motivi della decisione

Innanzitutto occorre prendere in esame, sia pure d'ufficio, la ricorribilità per cassazione del provvedimento de quo ai sensi dell'art. 111 della Costituzione. AI riguardo, la giurisprudenza di questa Corte non risulta concorde. Invero con le sentenze nn. 8588 del 1990, 6896 e 424 dell'88 è stato ritenuto che i provvedimenti (positivi o negativi) adottati in tema di affidamento tempo­raneo, a norma dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983 n. 184, o sull'affidamento preadottivo a norma del successivo art. 24 costituiscono atti di volontaria giurisdizione che non risolvono conflitti fra interessi contrapposti, avendo la sola funzione di provvedere in via provvisoria alla cu­ra degli interessi del minore e possono essere in ogni tempo revocati o modificati, ancorché siano stati resi in sede di reclamo dalla Corte di appello, sicché, essendo privi di caratteri della decisorietà e definitività, non sono suscettibili di ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost.

Ma con altre sentenze (vedi sent. nn. 8858 del 1987 e 2151 del 1985) è stato ritenuto il contrario. Più precisamente, con la più remota delle due sentenze qui da ultimo citate è stato ritenuto che: «Avverso il provvedimento camerale, con il quale la Corte d'appello, in sede di reclamo, re­voca il decreto reso dal Tribunale in tema di affi­damento di minore (tanto temporaneo, quanto preadottivo), nella disciplina della legge 4 mag­gio 1983, n. 184, deve ritenersi che i coniugi affi­datari del minore medesimo in forza di quel de­creto del Tribunale possano esperire ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, tenuto conto che l'indicata revoca dell'affidamento viene ad incidere in via definiti­va su loro posizioni di diritto soggettivo».

Con la sentenza più recente, invece, si distin­gue tra i due tipi di affidamento e si ritiene che: «II decreto camerale reso dalla Corte d'appello, sezione per i minorenni, in sede di reclamo avverso il provvedimento del Tribunale per i minorenni sull'affidamento preadottivo, secondo la previsione degli artt. 22-24 della legge 4 mag­gio 1983 n. 184, è impugnabile con ricorso per Cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Costitu­zione, in quanto non si esaurisce in un interven­to di natura amministrativa nell'ambito di una gestione pubblicistica degli interessi del minore (come invece il decreto di affidamento provviso­rio o fiduciario disposto in pendenza del proce­dimento per la dichiarazione di adottabilità), ma statuisce su posizioni di diritto soggettivo in via decisoria, con attitudine, cioè, a spiegare effetti di giudicato sostanziale, assegnando al minore uno status prodromico alla successiva adozione con il suo stabile inserimento nel nucleo familia­re dei coniugi che hanno richiesto l'adozione stessa».

Anche questo Collegio ritiene, re melius per­pensa, che una distinzione debba esser fatta, ma non tanto in considerazione del tipo di affi­damento, quanto del soggetto nel cui interesse il ricorso per cassazione sia stato proposto. Se tale soggetto è il minore, non par dubbio che sia sempre in gioco e quindi debba sempre ritener­si esser fatto valere un suo preciso diritto assoluto (peraltro sancito solennemente anche nella Costituzione) alla integrità della salute psicofisi­ca e, quindi, il suo diritto a crescere in un am­biente materialmente e moralmente sano.

Se questo è il bene da difendere, è chiaro che qualsiasi provvedimento, giudiziario o ammini­strativo, possa nuocere alla sua salute o pregiu­dicare il suo sviluppo, attenta a un suo diritto in­violabile e merita di essere rimosso con tutti i ri­medi previsti nell'ordinamento, tanto da rendere assolutamente fuor di luogo pensare di proteg­gerlo con intensità diversa, a seconda che il provvedimento stesso sia provvisorio o definitivo e possa o meno meritare la qualifica di senten­za. Anche un provvedimento provvisorio, infatti, può provocare danni irreversibili alla salute, e, comunque, sarebbe davvero un assurdo logico­giuridico pretendere che un danno alla salute diventi irreversibile per concedere quei rimedi che, se attuati tempestivamente, avrebbero po­tuto evitarlo. Si vuole, in altri termini, qui sottoli­neare che la nozione giuridica di provvisorietà o definitività del provvedimento non può essere utilizzata in relazione ad un diritto quale quello qui fatto valere, non sopportando esso di essere tutelato a distanza di tempo.

È appena il caso di aggiungere che decidere di mutare gli affidatari di un bambino (nel caso de quo dopo diversi anni di ininterrotta permanenza presso di loro) facendogli mutare di colpo consuetudini di vita e rapporti umani, strappan­dolo ex abrupto ad effetti rassicuranti già da tempo consolidati e ad ambienti divenuti familia­ri per immetterlo tra persone nuove e sconosciute, può provocargli - come è notorio - trau­mi gravissimi per la sua salute psico-fisica (tal­volta addirittura irreversibili), sicché costituireb­be certamente summa iniuria che un provvedi­mento giudiziario di così gravide conseguenze sfuggisse, in omaggio a schematismi giuridici di puro stampo accademico e formalistico, a quel controllo immediato di legittimità da parte della Corte di Cassazione che la Costituzione stessa prevede come massima garanzia di ogni cittadino. E, nel caso di specie, questa Corte è chia­mata a riparare una gravissima violazione di leg­ge, quale quella di aver deciso il mutamento di affidatari del bambino per considerazioni del tutto estranee al suo interesse e, quindi, alla tu­tela della sua salute psico-fisica (come nella stessa sentenza impugnata è apertamente con­fessato, là ove si afferma che «il thema deciden­dum non riguarda l'idoneità dei coniugi M. ad assolvere compiti genitoriali»).

Invero, col primo motivo di ricorso si denunzia violazione degli artt. 357 e 382 c.c. e - premes­so che in nessun modo l'aver taciuto il passato del M. poteva costituire nella specie violazione dell'obbligo di diligenza del tutore, in quanto la USL aveva sempre informato il Tribunale per i minorenni di tutte le circostanze utili alle migliori possibilità di assistenza del minore, rispetto alle quali, invece, il passato del M. non aveva rivelato alcuna conseguenza - si lamenta che la Corte d'appello di Bologna avrebbe completamente omesso di prendere in esame l'interesse del mi­nore, non pronunziandosi minimamente sulla capacità rivelata, di fatto, dai coniugi M. di favo­rire lo sviluppo del bambino loro affidato, né sul rischio di esporlo a danni irreversibili, quali po­tevano essere quelli che avrebbe segnalato la psicologa D.P., responsabile del Servizio socia­le, la quale aveva ipotizzato come "disastroso" l'eventuale affidamento del bambino ad altra famiglia.

Col secondo motivo di ricorso si denunzia vio­lazione dell'art. 384 c.c. e si lamenta che la pre­tesa negligenza della USL non sia stata in alcun modo collegata con un danno per il minore, cosicché il provvedimento di revoca sarebbe ba­sato su di un giudizio di inaffidabilità del tutto ar­bitrario. La Corte bolognese, invero, non avreb­be potuto respingere il reclamo della USL senza prendere in considerazione le richieste del Pro­curatore generale, che così aveva concluso: «Allo stato non è possibile formulare un parere definitivo; è, invece, indispensabile disporre una perizia psicologica approfondita sul minore, sui suoi rapporti con la famiglia M. e sulla opportu­nità o meno di spostare il minore presso altra famiglia affidataria». Entrambi i motivi di ricorso che - ruotando sostanzialmente intorno ad un medesimo vizio della sentenza impugnata pos­sono essere congiuntamente esaminati - sono pienamente fondati.

Invero, la Corte bolognese ha commesso l'er­rore di diritto di considerare irrilevante, ai fini del decidere l'affidamento del minore, la tutela del suo interesse e, quindi, quale fosse la statuizio­ne ottimale da prendere, innanzitutto in vista di questo obiettivo preminente su ogni altro. Nella motivazione del suo provvedimento, infatti, si è limitata a stigmatizzare il comportamento negli­gente (o addirittura sospetto di favoritismo) della USL e l'inaffidabilità della medesima rispetto al futuro, senza spendere neppure una parola sul­le condizioni attuali del bambino, sulla idoneità mostrata in concreto dai coniugi M. nell'allevarlo e nell'educarlo, sugli eventuali pericoli, per il suo equilibrio psico-fisico, dello sradicarlo, dopo an­ni di ininterrotta permanenza presso di loro, dall'ambiente e dalle persone che gli erano di­venute familiari, sulla opportunità di subordinare ogni decisione al riguardo ad una approfondita perizia psicologica sul minore, come il Procura­tore generale aveva formalmente richiesto. È evidente, quindi, che la Corte bolognese ha rite­nuto erroneamente preminente non già l'interes­se del minore (che ha, anzi, sorprendentemente del tutto ignorato, quasi si trattasse di elemento privo di valore), bensì la necessità di sanzionare il comportamento della USL, cioè di perseguire un obiettivo estraneo a quello che avrebbe do­vuto avere il giudizio de quo. Occorre, pertanto, che (cassato il provvedimento impugnato) la causa sia rimessa alla Corte bolognese (ovvia­mente in diversa composizione), affinché decida l'affido del bambino in considerazione esclusiva del suo interesse (cioè della sua salute psichi­co-fisica), previa una penetrante indagine su quanto hanno mostrato in concreto di sapere fa­re per lui i coniugi M. e sulla necessità di espor­lo ai rischi sempre connessi ad un mutamento improvviso di ambiente e di rapporti personali, rischi da valutarsi comparativamente a quelli prevedibili per un eventuale mutamento dello status quo.

 

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