Prospettive assistenziali, n. 104, ottobre-dicembre
1993
Specchio nero
MORIRE D'ABBANDONO A PARMA
La signora M.M. è morta il 14 ottobre 1993. Quaranta
giorni prima era caduta, ma nessuno all'istituto Romanini di Parma (una
cosiddetta casa protetta per anziani cronici non autosufficienti) dove era
ricoverata, si è accorto di lei.
Al
pronto soccorso è arrivata ore dopo, quando è intervenuto uno dei figli.
Trauma cranico, frattura di un polso; ingessata
quattro giorni dopo; frattura del femore nemmeno diagnosticata.
La signora M.M. aveva 82 anni, era vecchia e malata,
ma era ricoverata in un istituto di assistenza/beneficenza, come avviene in
Emilia-Romagna per tutti i malati cronici non autosufficienti.
Dall'ospedale volevano dimetterla. E sarebbe successo
davvero se il figlio Giorgio non fosse intervenuto: «Ho dovuto puntare i piedi perché non venisse mandata fuori, si vedeva
che non era in condizione».
La gamba era gonfia in misura preoccupante. «Chiedevo che cosa fosse - ricorda lo
stesso Giorgio - e mi sentivo dare
risposte evasive». «Un semplice ematoma, abbiamo fatto le lastre. La paziente
ha solo problemi neurologici» hanno detto ai familiari. Giorgio non ne era
convinto: «Ho preteso che venisse sottoposta a un esame radiografico».
Questa volta la diagnosi è completa. La donna, oltre
al trauma cranico e un polso rotto, ha un femore fratturato.
«E pensare - aggiunge il figlio della signora M.M - che volevano rimandarla al Romanini. Mia
madre sentiva il dolore. Se le pizzicavo le dita si lamentava: per un mese deve
aver sofferto chissà quanto».
Le sofferenze della Signora M.M. sono finite con la
sua morte. Avanti un altro. Fino a quando sarà negato il diritto alle cure
sanitarie degli anziani cronici non autosufficienti? Domani anche a noi?
DIRITTI NEGATI AGLI ANZIANI
MALATI E CONGIUNTI TARTASSATI DAL COMUNE DI REGGIO EMILIA
Con un recentissimo provvedimento, l'Assessorato
all'assistenza e sanità del Comune di Reggio Emilia ha confermato che, per il
ricovero di una signora anziana cronica non autosufficiente in una struttura
di assistenza/beneficenza, non solo l'interessata deve pagare una quota di L.
1.250.000, ma il figlio è anche tenuto a versare la somma non indifferente di
660.000 lire mensili.
Quindi, la retta di ricovero di L. 63 mila giornaliere
(corrispondenti a 1.917.000 mensili) viene totalmente coperta dalla degente e
dal figlio.
Il Comune di Reggio Emilia ignora totalmente il
provvedimento del Pretore di Bologna del 20 dicembre 1992 che ha confermato il
diritto degli anziani cronici non autosufficienti «alle cure ospedaliere e non di generica assistenza presso
istituti di riposo o strutture similari» e - come abbiamo visto - spreme come
limoni i suoi cittadini.
Nella delibera del Consiglio comunale del 21
settembre 1989, ancora oggi applicata dal Comune di Reggio Emilia senza nessun
aggiornamento (non tiene nemmeno conto del tasso non indifferente di
inflazione), è previsto che «i familiari
sono tenuti alla partecipazione al pagamento delle rette per il mantenimento
del congiunto ricoverato», norma non prevista da alcuna legge vigente, il
che è già molto grave.
Nella delibera viene addirittura stabilito che la
partecipazione al pagamento della retta deve essere spinta fino a lasciare a
disposizione del congiunto solamente «la
quota di L. 10 milioni annui», cioè 833.000 lire al mese.
In sostanza, la violazione del diritto alle cure
sanitarie, comprese - occorrendo - quelle ospedaliere, è punitiva non solo nei
confronti dell'anziano malato, ma anche dei suoi congiunti, che, se del caso,
devono tirare la cinghia non rimanendo ad essi nemmeno il necessario per
vivere.
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