Prospettive assistenziali, n. 105, gennaio-marzo 1994

  

 ENTI PUBBLICI:
NON IMBROGLIATE
I PARENTI DEGLI ASSISTITI

 

Ricordatevi che, in base alle leggi vigenti, gli enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti (compresi quelli tenuti agli alimenti) di persone assistite

È MORALMENTE INACCETTABILE CHE I PARENTI CHE SI IMPEGNANO NELL’ASSISTENZA DEI LORO CONGIUNTI NON AUTOSUFFICIENTI SIANO ANCHE COSTRETTI A VERSARE CONTRIBUTI ECONOMICI

 

GLI ENTI PUBBLICI NON POSSONO PRETENDERE CONTRIBUTI ECONOMICI DAI PARENTI TENUTI AGLI ALIMENTI DI PERSONE ASSISTITE (*)

MASSIMO DOGLIOTTI (**)

Da tempo è invalsa la prassi degli enti pubblici erogatori dì assistenza di ri­chiedere un contributo per l'assistito (spesso anche piuttosto cospicuo) ai parenti «tenuti agli alimenti». E si tenta di giustificare tale comportamento soste­nendo che il presupposto della presta­zione assistenziale è l'inabilità a qualsia­si proficuo lavoro e la «mancanza di mezzi di assistenza o !'assenza di pa­renti tenuti agli alimenti e in condizioni di poterli prestare».

Su tali basi l'ente locale svolge, trami­te i servizi sociali, indagini ampie sull'esistenza di parenti e sulle loro pos­sibilità economiche e, una volta raggiun­ti, li invita a pagare un contributo, spes­so ottenendo il loro assenso, con la mi­naccia, neppure tanto velata, di non ac­cogliere l'assistito in istituto o magari di dimetterlo, se già si trova ricoverato.

In realtà, già il presupposto teorico, che vorrebbe giustificare tale prassi, ap­pare illegittimo. L'art. 38 delta Costitu­zione precisa che ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari di sussistenza ha diritto al mantenimen­to e all'assistenza sociale. Nessun riferi­mento viene fatto all'obbligo alimentare dei parenti (e del resto la nozione di fa­miglia che emerge dalla Carta costitu­zionale (art. 29-30 e 31) sembra piutto­sto quella di famiglia nucleare, limitata al rapporto coniugale e di filiazione).

È vero che il codice civile (legge che regola - è il caso di sottolinearlo - le re­lazioni tra singoli soggetti privati) disci­plina l'obbligo alimentare (inteso come obbligo delle prestazioni strettamente necessarie al soddisfacimento dei biso­gni essenziali, quelli che concorrono al mantenimento in vita dell'individuo). A tale obbligo (art. 433 e ss. cod. civile) sono tenuti, nell'ordine, il coniuge, i figli legittimi naturali, adottivi o, in mancanza, i discendenti prossimi, l'adottante nei confronti del figlio adottivo, i genitori o, in mancanza, gli ascendenti prossimi, i ge­neri e le nuore, il suocero e la suocera, i fratelli. Infine il destinatario di una dona­zione è tenuto, con precedenza su ogni altro, a prestare gli alimenti al donante.

In realtà l'obbligo alimentare, e la pre­visione di una così ampia fascia di pa­renti, appare palese espressione di una società diversa dall'attuale, nella quale era diffuso il modello di famiglia patriar­cale caratterizzato da una solidarietà al­largata, mentre l'assistenza pubblica era in sostanza inesistente. E infatti, come si è detto, la Costituzione (che meglio ri­specchia l'odierno contesto sociale) non prende in considerazione l'obbligo alimentare e attribuisce le funzioni assi­stenziali direttamente all'organizzazione pubblica.

In ogni caso non si può fare contrasto tra l'obbligo alimentare (dei parenti) e prestazione assistenziale (pubblica), che rispondono a logiche e si muovono in prospettive tra loro totalmente diffe­renti, senza possibilità di collegamento alcuno.

Non si può dunque affermare che l'in­tervento pubblico è giustificato laddove non possa giungere la solidarietà fami­liare.

L'assistenza è funzione fondamentale dello Stato moderno e i suoi compiti non possono essere delegati o piuttosto "scaricati" sulla famiglia. Tale assunto non emerge soltanto da un'analisi dei principi costituzionali (che in ogni caso sono sovraordinati a tutta la legislazione nazionale) ma pure da un esame dell'or­dinamento nei suo complesso. Non esi­ste una norma (altrimenti ad essa fareb­bero volentieri riferimento gli enti locali) che direttamente o indirettamente legitti­mi l'ente erogatore di assistenza a chia­mare in giudizio i parenti tenuti agli ali­menti per sentirli condannare all'adem­pimento della prestazione alimentare nei confronti del congiunto povero. Si inten­de lasciare a quest'ultimo la facoltà del tutto discrezionale di agire nei confronti degli obbligati agli alimenti. E nel caso che l'inabile non sia in grado di provve­dere ai propri interessi, potrà agire il tu­tore, nominato a seguito di una pronun­cia di interdizione, ma ancora una volta non l'ente erogatore di assistenza.

D'altra parte la prestazione assisten­ziale è comunque dovuta indipendente­mente dalla rinuncia dell'assistito ad agire nei confronti dei suoi parenti (trat­tandosi, come si è detto, di funzione fon­damentale dell'organizzazione pubbli­ca). E in tal senso un rifiuto al ricovero (perché, ad esempio, il richiedente po­vero non si è rivolto ai parenti per otte­nere il pagamento della retta, o perché questi contattati dal richiedente o dall'ente non l'hanno consentito) po­trebbe integrare, se del caso, ipotesi di reato di omissione di atti d'ufficio.

Appaiano del tutto privi di fondamento i tentativi di giustificare un potere di so­stituzione processuale dell'ente eroga­tore: ove quest'ultimo chiami in giudizio il parente tenuto agli alimenti, la doman­da non potrebbe che essere respinta. Non potrebbe far riferimento all'art. 7 della legge 6872 del 1890, per cui spet­ta alla congregazione di carità (poi ECA, oggi Comune) la cura degli interessi dei poveri e la loro rappresentanza legale dinanzi all'autorità amministrativa e a quella giudiziaria. In realtà, tale norma è da intendersi come previsione di salva­guardia e protezione verso i "poveri" vi­sti come collettività, e non nei confronti del singolo individuo. Non possono es­servi eccezioni: o l’individuo è capace e allora agisce da sé, o è incapace, e allo­ra agisce in sua vece il rappresentante legale, il tutore nominato dal giudice. Al­tre possibilità non sono date.

Né può richiamarsi l'art. 2041 del Co­dice civile: l'azione di ingiustificato ar­ricchimento, per cui chi senza giusta causa si è arricchito a danno di un'altra persona, è tenuto a indennizzare que­st'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale, ma il riferimento é del tutto errato: non si potrebbe parlare di ingiu­stificato arricchimento per il parente te­nuto agli alimenti finché questi non sia­no richiesti dal beneficiario.

Ad analogo risultato conduce l'esame dell'art. 155 del testo unico della pubblica sicurezza. È vero che la norma preve­de una possibilità di diffida da parte dell'autorità di pubblica sicurezza ai congiunti di un mendicante inabile al la­voro e privo di mezzi, tenuti per legge agli alimenti, ma tale obbligo si porrebbe nei confronti del povero direttamente, e non nei confronti dell'istituto di ricovero. Riprova di ciò è data dal contenuto del secondo comma della norma: decorso il termine della diffida, l'inabile al lavoro è ammesso di diritto al beneficio del gra­tuito patrocinio per promuovere il giudi­zio degli alimenti; ancora una volta non è prevista alcuna sostituzione proces­suale da parte dell'ente erogatore.

Accade peraltro nella prassi che l'ente aggiri l'ostacolo e ottenga il pagamento della retta dal parente, magari, come si diceva, sotto la minaccia di dimissioni del ricoverato. In genere il consenso del parente viene ottenuto, stipulando un vero e proprio contratto, con il quale egli appunto si obbliga alla prestazione.

A questo punto la facoltà di ottenere il pagamento trova la sua fonte nel con­tratto, e non già nell'obbligo alimentare del parente. Non rileva minimamente la qualità di figlio, fratello, ecc. dell'assisti­to, anche un estraneo potrebbe impe­gnarsi al pagamento.

Dunque, in definitiva, se il parente non sottoscrive, non potrebbe mai essere chiamato dall'ente al pagamento di una retta. E, d'altra parte, il rifiuto al ricovero o magari la dimissione del ricoverato perché il parente non paga, potrebbe configurarsi come atto (o comportamen­to) illegittimo, viziato da eccesso di po­tere e come tale impugnabile davanti al giudice amministrativo.

Ma, trattandosi di atto dovuto, potreb­be talora pure prospettarsi, come si é vi­sto, il reato di omissione di atti d'ufficio.

 

 

Analoghe considerazioni sono state svolte dal Prof. Pietro Rescigno (cfr. Giurisprudenza Italiana, otto­bre 1993, pp. 687 e segg.) e dal Prof. Gaspare Lisella (cfr. "Rilevanza della condizione di anziano nell'ordinamento giuridico", in “Anziani e tutele giuridiche” a cura di Pasquale Stanzione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991).

 

 

FAC-SIMILE DELLA DISDETTA

I parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti, che hanno firmato l’impegno di corri­spondere contributi economici a Comuni, Province, Usi, ecc. possono inviare la se­guente disdetta.

 

RACCOMANDATA R.R.

 

Sindaco di .......................................................................

oppure    Presidente della Provincia di ...........................................

oppure    Amministratore straordinario dell’Usl ..............................

e p.c.     CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti
                      
Via Artisti 36 - 10124 Torino

 

Il sottoscritto ..................................................................................................................... abitante in ...................................... Via ................................................................... n....... in relazione all'impegno sottoscritto per il pagamento di un contributo per il ricovero (oppure per la frequenza del Centro diurno per handicappati intellettivi) del Sig. .................................... fa presente di non essere più in grado, né nella disponibilità per continuare ad assolvere all'onere di garanzia.

 

Pertanto, l'impegno viene revocata a far tempo dal primo giorno del mese di ................ 

Allega alla presente l'articolo del Prof. Massimo Dogliotti “Gli enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti tenuti agli alimenti di persone assistite".

 Con osservanza.

  

Nota bene:
Per le disdette concernenti IPAB
e enti privati chiedere ragguagli.

  

Per informazioni (gratuite) rivolgersi al
CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti
Via Artisti 36, 10124 Torino,
Tel. 011-812.23.27 - 812.44.69, Fax 011-812.25.95

Si riceve su appuntamento

 

  

 

(*) Questo articolo è già stato pubblicato sui n. 87, luglio-settembre 1989, di Prospettive assisten­ziali.

(**) Giudice del Tribunale di Genova e Docente universitario, è autore fra l'altro dell'articolo "I diritti dell'anziano" pubblicato su “La rivista trimestrale di diritto e procedura civile”, settembre 1987.

  

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