Prospettive assistenziali, n. 105, gennaio-marzo 1994
PER
I MINORI IN DIFFICOLTÀ: UN INTERVENTO ATTUALE ED EFFICACE NEL SOLCO DI UN
CARISMA NATO NELL'800
SUOR SANDRA DEL BEL BELLUZ
Un modello d'intervento nell'Italia dell'800
Ogni
Istituto religioso nasce in un particolare contesto socio-culturale ed in un periodo
preciso della storia; manifesta ben presto la sua fisionomia e la definisce
man mano concretizzando la propria spiritualità spesso attraverso il servizio
a favore di chi vive in situazioni di grave difficoltà e nel disagio.
Tale servizio ha
delle caratteristiche:
-
è aperto a tanti bisognosi, ma si orienta di preferenza verso chi soffre di un
disagio maggiore;
-
si propone degli scopi non facili e li persegue con slancio e generosità anche
se le difficoltà sono tali da sembrare talvolta insuperabili;
-
coinvolge molte persone e fa crescere intorno a sé la capacità di
collaborazione;
-
i risultati sono spesso di ottima qualità e talvolta segnano delle svolte
positive di grande significato nel particolare settore di assistenza nel quale
l'Istituto religioso concentra maggiormente le proprie forze.
Alle
origini dell'Istituto delle suore della Provvidenza, un Istituto di suore nato
a Udine nel 1837 per opera di un sacerdote friulano, il Beato P. Luigi
Scrosoppi, si ritrovano le stesse caratteristiche.
Nel
Friuli del primo '800 imperversano guerre ed epidemie per cui la miseria era
grande e gli orfani sempre più numerosi erano spesso in balia di se stessi.
È
questo il tipo di contesto in cui nell'800 nascono tanti istituti per
bambini/e "orfani e abbandonati" e da qui è facile immaginare quanto
fossero benemeriti tutti quegli interventi che toglievano l'infanzia e la
gioventù dall'abbandono, dalla miseria, dai pericoli di ogni genere.
A
loro veniva offerto un tetto, la possibilità di mangiare e di vestirsi, tutte
cose che si ottenevano con non poco sacrificio, vista la povertà generale ed
il quasi totale disinteresse dei governi di allora. Inoltre si curava la loro
educazione e si cercava di dare loro un lavoro, incominciando dall'apprendimento
di un mestiere, ed in tutti i casi possibili ad insegnare loro a leggere e
scrivere. Così la formazione impartita negli istituti dell'800 poteva dirsi
completa, ben fatta e davvero provvidenziale per tanta gioventù che
diversamente avrebbe avuto un avvenire ben triste.
La
maggioranza di queste istituzioni ottenne davvero un grande successo per cui
questo modello si impose, per lo meno nella nostra società italiana, in
maniera indiscussa. Infatti, pur essendo nato nell'800 continuò a
caratterizzare l'intervento educativo a favore dell'infanzia e della gioventù
in difficoltà fino a qualche decina di anni fa. Anzi, in diverse parti
d'Italia, specialmente nel Sud del paese gli istituti (i collegi) continuano a
rappresentare la soluzione più normale al disagio minorile.
Avvicinandosi
però ai giorni nostri tali istituzioni per i minori sono entrate in crisi. È
facile comprenderne il perché: è molto cambiato il contesto sociale, politico,
culturale, ed il reddito medio della famiglia italiana indica che lo stato di
miseria grave è oggi superato.
Certo
i problemi relativi al mondo minorile non sono spariti, sono però cambiati
notevolmente. Il disagio minorile dunque, derivando oggi da cause diverse,
richiede evidentemente risposte nuove.
Per lo stesso buon risultato, occorre oggi modificare
il programma
In
base a questa ultima considerazione alcune suore della Provvidenza 10 anni fa,
e provvidenzialmente in concomitanza con la promulgazione della legge 184 del
maggio 1983 sull'affidamento familiare e l'adozione, furono incaricate dai
propri superiori di studiare forme di intervento nuove e ad avviarne una
sperimentazione.
Per
questo motivo le suore della Provvidenza chiusero una propria scuola materna a
Roma, nella zona di Monte Sacro, ristrutturarono la casa ricavandone alcuni
appartamenti e dopo aver lavorato un anno intero per coinvolgere le persone e
le strutture del territorio, diedero vita ad una casa-famiglia per minori, anzi
più precisamente ad una «struttura di passaggio».
Alcune
riflessioni e valutazioni, infatti, portarono ad avviare un nucleo di
accoglienza non come gruppo avente una certa stabilità nel tempo, ma come
luogo in cui i minori potevano essere accolti solo temporaneamente (il tempo
medio di permanenza è di 10-11 mesi).
Le
suore operarono tale scelta pedagogica nel tentativo di adeguare i metodi di
intervento alle nuove cause dell'emarginazione minorile, per poter giungere
così agli stessi risultati ai quali nel Friuli dell'800 giungevano le loro
prime sorelle. Scopo dell'accoglienza e dell'educazione delle «povere fanciulle
orfane ed abbandonate» (1) di Udine era quello di formarle in modo armonico e
completo, così che fossero in grado di gestire autonomamente la loro vita,
divenendo donne capaci di mantenersi con onestà attraverso il proprio lavoro,
fossero in grado di sposarsi e di formare una buona famiglia o di diventare
educatrici di altre fanciulle povere (2).
Come
potevano le suore della Provvidenza, a Roma negli anni '80, trovare il modo per
raggiungere mete così positive per la persona?
Fu
ovvio il tentativo di utilizzare al meglio le possibilità espresse nella legge
184 sull'affidamento e l'adozione, avvalendosi per questo non solo degli
interventi delle varie istituzioni pubbliche preposte, ma soprattutto coinvolgendo
nel loro progetto di accoglienza tante persone, per poter realisticamente
mettere in campo il meglio delle risorse.
Infatti,
si ritenne fondamentale che il programma educativo non fosse gestito ed
attuato quasi esclusivamente dalle suore, ma che un lavoro così delicato, quale
la crescita e la formazione di minori già tanto provati, coinvolgesse tutte le
persone sensibili, in particolare le famiglie.
Collaborazione tra suore e laici
Si
diede così il via, fin dall'inizio, ad una collaborazione tra suore e laici
che divenne sempre più intensa ed organizzata. Le forme di collaborazione
furono varie; tra queste è da sottolineare che fin dal 1985 una coppia di
sposi venne ad abitare in uno degli appartamenti di Via Moncenisio 4, Roma, e
cominciò un lavoro di accoglienza temporanea come già da due anni stava
facendo la comunità delle suore.
Inoltre,
nel 1989 si costituì fra le suore della Provvidenza ed alcuni laici
un'associazione che prese il nome di "Moncenisio 4" dall'indirizzo
della palazzina in cui vivono i diversi nuclei di accoglienza.
In vista di uno scopo comune
Scopo
primo di tutta l'attività dell'associazione è il tentativo di recuperare i
minori in difficoltà ad una crescita sana ed armoniosa.
Per
questo scopo si ritiene importante l'accoglienza dei minori, che costituisce
il momento centrale del lavoro di religiose e laici residenti negli
appartamenti della casa di Via Moncenisio e dei collaboratori esterni.
Tuttavia,
tale accoglienza si qualifica come temporanea perché è finalizzata al
compimento di tutti gli interventi necessari affinché il bambino possa
iniziare a riprendere il suo percorso di crescita nel soddisfacimento dei suoi
bisogni educativi e di accudimento all'interno di una intensa relazione
affettiva con l'adulto.
Così
il bambino potrà essere avviato a soluzioni di vita più idonee alla sua
integrazione sociale. Tali soluzioni sono individuate nel rientro nella
propria famiglia d'origine, nell'affidamento familiare o nell'adozione.
La relazione come fondamento di un metodo
In
base a questi scopi l'associazione è andata delineando man mano un suo metodo
psico-pedagogico che finora ha ottenuto risultati globalmente molto buoni,
nonostante le difficoltà di qualche fallimento.
Riepilogo
del lavoro svolto dal maggio 1983 al settembre 1993
Totale
minori accolti n.
117
Totale
minori dimessi n.
109
-
per affidamento 59
-
per rientro in famiglia 29
-
per adozione 12
-
per altra struttura 9
È
un metodo fondato sulla cura ed il rispetto profondo di ogni bambino e della
sua situazione personale e familiare, sulla convinzione che per il bene di ogni
minore accolto è necessario attivare tutte le risorse esistenti. È un metodo
che mette al centro la relazione adulto-bambino, la relazione fra gli adulti,
sia quelli che abitano in casa, sia con i collaboratori esterni, perché la
positività e la serenità delle relazioni che si creano fra gli adulti sono
l'intervento più significativo sulle cause attuali del disagio minorile.
In
questa ottica risulta particolarmente significativa anche la collaborazione
fra suore e laici, fondata sulla corresponsabilità, sulla condivisione di mete
e metodi, sul rispetto profondo dei rispettivi stati di vita nella
consapevolezza che l'incontro tra questi e la dinamica integrativa che ne
consegue costituisce un'enorme ricchezza per la comunità civile ed ecclesiale
ed è la base perché suore e laici possano garantire ai minori accolti
quell'armonia di cui hanno bisogno e dlritto (3).
La famiglia
Nel
nostro attuale contesto sociale le cause del disagio minorile, dunque, non sono
più determinate dalla miseria materiale, ma dipendono soprattutto da problemi
che, in ultima analisi, sono di tipo relazionale.
La
famiglia, generalmente, oggi non è favorita nell'adempimento del suo compito
verso i figli, è lasciata in balìa di se stessa. Se ne ha la capacità, essa
svolge la sua funzione, attiva la sua responsabilità ed è quindi luogo di
risorse per la vita di tutti i componenti e specificamente per la crescita dei
figli. Quando, invece, la famiglia da sola non sa cogliere in se stessa la
continuità dei suoi vissuti e non sa dinamicamente ricostruire al suo interno
sempre nuovi equilibri che la renderebbero vitale, essa stessa diventa luogo
di patologie.
Nell'attuale
società del benessere si assiste cioè ad un paradosso: la struttura relazionale
può fungere sia da "terapia" che da "causa„ della patologia; il
nodo problematico è appunto relazionale ed è questo il luogo di nuove situazioni
di rischio per la famiglia e per i suoi singoli membri.
Dunque
quando la famiglia, le cui relazioni sono fondamentali ed imprescindibili per
la formazione dell'identità del soggetto, si fa assente o è comunque carente o
difettosa nella sua funzione vitale, si può entrare in un ambito di patologie.
Da
qui deriva che la famiglia non può essere surrogata da un qualunque tipo di
servizio, ma deve essere supportata da servizi che dal punto di vista
relazionale si avvicinino alle dinamiche familiari.
Per
questi motivi Via Moncenisio scelse un tipo di lavoro che si avvicina alle politiche
deistituzionalizzanti e che sceglie come meta di tutti i suoi sforzi la
famiglia, intesa come luogo naturale dove la vita nasce e si sviluppa. Anzi la
famiglia è anche qualcosa di più, qualcosa che va oltre il legame genetico, è
una struttura avente delle caratteristiche peculiari in quanto luogo eminente
di relazionalità, dove due persone fanno la scelta di condividere la vita.
Questa relazionalità è peculiare perché ha come fondamento il rapporto di
amore dei coniugi. Un rapporto che non nega le diversità di ognuno di essi costitutive
del rapporto stesso.
Se
questo rapporto è vissuto in modo pieno dalla coppia, esso è un'offerta che in
sé reca un valore affettivo di crescita per tutti coloro che vivono nel nucleo
familiare. La famiglia è perciò un'offerta valida sotto tutti i punti di vista,
a prescindere dal legame di sangue, perché, avendo in sé il germe
dell'apertura alla vita, è necessaria per chiunque deve crescere.
Tale
apertura è il risultato di un cammino continuo e la famiglia che lo sceglie
come modalità esistenziale può vivere l'esperienza "di un affidamento"
così come prevede la legge 184/ 1983, perché è in grado di non sostituirsi ai
legami genetici ed affettivi originari di chiunque essa accolga; è capace,
invece, di affiancarvisi per integrarli, poiché sa rispettare profondamente l'alterità
del bambino.
Può
anche vivere adeguatamente l'esperienza di un'adozione o può rendersi utile per
quelle famiglie in difficoltà che, se sostenute ed incoraggiate dall'aiuto di
qualche altra famiglia, oltre che dai servizi preposti, potrebbero superare la
disperazione ed i rischi della solitudine, il senso di fallimento ed il caos
della disorganizzazione, evitando così di vedersi allontanare i propri figli.
(1) Dal Regolamento
del 1840 della Casa di Udine, pag. 7.
(2) Idem.
(3) Cfr. Dal
Regolamento dell'Associazione «Moncenisio 4».
www.fondazionepromozionesociale.it