Prospettive assistenziali, n. 106, aprile-giugno 1994

 

 

Libri

 

 

VITTORE MARIANI, L'handicappato mentale adulto, Editrice Elle Di Ci, Leumann (To), 1992, pp. 119, L. 10.500.

 

L'Autore affronta un tema ancora poco esplo­rato: quello dei l'handicappato mentale adulto. È evidente e palpabile una conoscenza diretta da parte dell'Autore delle persone di cui parla, perché ogni tema è sviluppato con competenza e con cognizione di causa.

A partire dal primo capitolo dove con semplicità e chiarezza è definito l'handicappato mentale adulto, che non è, per intendersi, né il disadattato sociale, né colui che soffre dì disturbi di natura psichiatrica, ma quello che noi - di Prospettive assistenziali - chiamiamo handicappato intellettivo.

L'Autore si sofferma su questo tipo di handicap perché riconosce il grande passo realizzato nell'integrazione sociale per questi soggetti nell'età evolutiva, soprattutto per quanto riguar­da la scuola dell'obbligo, e il grande vuoto invece con cui ci si scontra a partire dai 16-17 anni.

Con lucidità evidenzia il rischio all'isolamento cui è sottoposta la famiglia che ha scelto, dopo le gravi sofferenze intuibili, di mantenere all'interno del proprio nucleo il figlio handicappato. Descrive i problemi della madre, del padre, della coppia, dei fratelli e sorelle, ma fornisce anche un quadro di azioni positive e comportamenti che la famiglia può (e deve) adottare per com­battere l'emarginazione del figlio e di se stessa dal contesto sociale.

Non manca neppure un richiamo al ruolo poli­tico che la famiglia deve imparare a svolgere per rimuovere gli ostacoli anche legislativi che im­pediscono la piena realizzazione dei diritti delle persone handicappate intellettive.

Alcuni capitoli sono dedicati:

- all'inserimento lavorativo, per quanti ne hanno la capacità, anche se ridotta, con un'analisi del ruolo della cooperazione;

- ai centri diurni per chi, a causa della gravità delle condizioni, non può essere avviato al lavo­ro, ma necessita di interventi educativi/socializzanti continui;

- alle comunità di accoglienza, quale rispo­sta "al dopo di noi" quando la famiglia non c'è più, o non è più in grado di sostenere il peso del figlio ormai adulto;

- al ruolo del volontariato come sostegno, ma anche come stimolo nei confronti degli Enti lo­cali.

Mariani mette in evidenza il ruolo della socie­tà, che deve farsi carico del problema, che non compete solo alla famiglia dell'handicappato. Esamina, poi, nel dettaglio il compito di una pedagogia che punti all'educazione permanente dell'handicap intellettivo, anche solo per man­tenere i livelli di autonomia raggiunti ed evitare negative regressioni.

Un capitolo interessante è dedicato, infine, al­la figura dell'educatore, ai requisiti indispensa­bili che deve avere per rispondere alle esigenze dell'handicappato intellettivo adulto. Condizione essenziale è il riconoscimento della sua dignità come persona capace di sentimenti, emozioni, relazioni e portatrice, come tutti, di bisogni e di diritti che devono essere soddisfatti.

 

 

CGIL Regionale Piemonte, Le politiche attive del lavoro nel pianeta handicap: la valorizzazione delle diversità e delle potenzialità, pag. 141, disponibile presso Cgil, via Pedrotti 5,10152 To­rino.

 

Il volume raccoglie gli interventi presentati nel corso del seminario tenutosi il 30 settembre 1992, presso la Camera del lavoro di Torino.

È una panoramica sulle metodologie sindacali adottate per l'inserimento lavorativo delle perso­ne handicappate, senza trascurare una analisi critica sullo scarso ruolo svolto dal sindacato in questo settore per ottenere effettivi posti di lavo­ro per gli handicappati stessi.

Emerge dagli interventi uno sforzo di ricerca per mutare anche l'atteggiamento culturale osti­le, che si riscontra - inutile negarlo - anche tra gli stessi delegati, che non credono nella pro­duttività dell'handicappato.

Per cambiare questa situazione, è stata rite­nuta urgente e inderogabile una nuova modalità del collocamento obbligatorio, che tenga conto non solo della percentuale di invalidità, ma con­sideri la capacità lavorativa della persona han­dicappata, capacità che potrà essere piena o ri­dotta, ma comunque produttiva se la persona è collocata in modo mirato.

Positive sono le testimonianze di rappresen­tanti delle categorie che sono riuscite a colloca­re al lavoro anche giovani handicappati intelletti­vi, testimonianze che sottolineano la necessità di attivare una seria politica del lavoro a livello locale per promuovere e incentivare l'inserimen­to lavorativo di questi soggetti, oggi veramente più a rischio degli altri di restare disoccupati a vita.

 

AA.VV., Cooperazione inganno dei poveri - Dagli affari alla solidarietà, Editrice Missionaria italiana, Bologna, 1993, pp. 222, L. 22.000.

 

Denuncia degli sprechi, delle improvvisazioni, dei ritardi, e soprattutto della corruzione, che hanno inquinato in questi anni l'impegno del popolo italiano per la cooperazione internazionale; ma anche proposta, convinta e articolata, per un pronto rilancio: queste le coordinate del libro che un gruppo di Autori, fra i più preparati e impegnati sul tema, presentano al pubblico italiano (1).

Attilio Gaudio è da più di vent'anni corrispondente dell'ANSA per la zona saheliana e subsaheliana dell'Africa. Giovanni Ferrò lavora anche lui per un'Agenzia (Adista) e per riviste quali Je­sus e Famiglia Cristiana. Rosario Lembo è presi­dente del CIPSI, uno dei tre coordinamenti na­zionali delle Organizzazioni non Governative; Stefano Squarcina segue al Parlamento Euro­peo la Commissione "Cooperazione e Svilup­po"; Aluisi Tosolini, pedagogista, dirige AlfaZeta, una delle riviste più impegnate sul tema della pace, dell'ambiente, della povertà. Graziano Zo­ni, per moltissimi anni presidente di Mani Tese, coordina ora in Italia il Movimento internazionale "Emmaus", creato dall'Abbé Pierre. Non si pote­va pensare ad un "assortimento" migliore per fare il punto, adesso, sulla Cooperazione italiana con i Paesi in via di Sviluppo.

Come dicono gli stessi Autori, nella presenta­zione, «L'inchiesta Mani pulite del giudice Di Pietro ha travolto - in maniera prevedibile - anche il mondo della cooperazione governativa italiana, con i suoi finanziamenti occulti alle imprese italiane, con le sue tangenti ai partiti. L'attualità e la cronaca politica di questi mesi hanno dimostrato che non è stata certo la giustizia Nord/Sud a gui­dare il flusso dei miliardi verso le casse dei Paesi in via di sviluppo. Strade mai terminate, aiuti mai distribuiti, progetti finanziati e mai realizzati: i mi­steri della cooperazione governativa italiana so­no al vaglio del magistrato romano Paraggio che - si spera in breve tempo - farà piena luce sull'utilizzo dei fondi teoricamente destinati dall'Italia alle popolazioni povere (...). Eppure, no­nostante la sua profondità la crisi è un'occasione propizia per ragionare sulle nuove finalità di cui essa si deve dotare nel rinnovato sistema delle relazioni internazionali».

Fra le prospettive si parla di rilancio, ma an­che di rinnovamento e di ritorno alle origini del volontariato internazionale. «Sappiamo che l'ar­gomento è delicato... proprio per una tangibile in­sofferenza del mondo del volontariato internazio­nale a riconoscere l'esistenza di una crisi di iden­tità (..). Ma non saremmo onesti con noi stessi e con il popolo italiano se, analizzando criticamen­te quanto è stato fatto, specie nell'aiuto pubblico allo sviluppo, non inglobassimo, pur con tutte le riserve e le differenze necessarie e obiettive, an­che tutto il mondo delle Organizzazioni non go­vernative e in particolare quello del volontariato internazionale».

La principale richiesta che viene fatta ai gio­vani che scelgono questa via, è quella di metter­si veramente "al servizio" delle popolazioni fra le quali si devono inserire. Non devono muoversi con il "loro" progetto già fisso in testa, ma met­tersi in ascolto di chi è sul posto; non andare a lavorare "per" i poveri, ma "con" i poveri. Quasi mai il volontario che arriva dall'Italia dovrà avere lui la responsabilità di un progetto: preferibil­mente sarà inserito in attività ed iniziative alle di­pendenze di responsabili e animatori autoctoni.

Parallelo al rinnovamento del volontariato in­ternazionale sarà quello delle Organizzazioni non Governative: ad esse si chiede di restare sempre collegate alla base popolare e di non di­ventare di fatto "agenzie governative" per la troppo marcata dipendenza dall'aiuto pubblico. Questa ritrovata autonomia le renderà capaci di «rielaborare una progettualità politica a partire dalla solidarietà, per portare i veri bisogni del Sud negli uffici dei Governi». Devono insomma riprendere la funzione di stimolo sia verso l'opi­nione pubblica sia verso le istituzioni, facendosi voce della gente "di qua" e soprattutto di quella "di là", che esige rapporti di giustizia prima che contributi.

 

 

ENRICO MONTOBBIO (a cura di), Il falso sé nell'handicap mentale, Edizioni del Cerro, Tirre­nia, Pisa, 1992, pp. 75, L. 18.000

 

Il libro propone un'ipotesi teorica sullo sviluppo delle persone con handicap mentale e sulle loro capacità di porsi in relazione con il mondo, a partire dalle teorie psicologiche di W. Bion.

Vi è però poca chiarezza sulla individuazione dei soggetti: non si capisce se si tratta di persone con handicap intellettivo o con disturbi mentali. Ne deriva che il lettore non comprende appieno gli esempi citati e non può farne tesoro per la propria esperienza di genitore, insegnante, operatore.

I comportamenti suggeriti dagli Autori deter­minano risultati molto diversi a seconda che ri­guardino un giovane o un adulto con ritardo mentale o un soggetto che ha, invece, problemi di natura psichiatrica.

A volte, gli esempi citati fanno pensare alla prima tipologia, altre volte alla seconda, creando incertezza e confusione ai fini pratici.

Resta positivo e valido il messaggio che punta inequivocabilmente allo sviluppo delle potenzia­lità delle persone con handicap "psichico" e al loro pieno inserimento nella società, attraverso il lavoro ogni volta che ciò è realizzabile: «Non c'è speranza di una identità reale per il giovane han­dicappato senza l'assegnazione di un ruolo so­ciale attivo nel mondo degli adulti» (p. 68).

Altrettanto valida è l'analisi sul rapporto fra genitori e figli handicappati, sulle aspettative, le ansie, i desideri inconsci, il confronto continuo tra l'immaginario e il reale, che producono la na­scita di "un falso sé" nel figlio handicappato, in relazione alle attese della famiglia che sono quasi sempre molto al di sopra (sostengono gli Autori con i loro esempi) delle potenzialità effet­tive del figlio handicappato.

Per evitare di incorrere in questo rischio, essi ritengono che la società debba «offrire alla fami­glia dei servizi di appoggio perché essa a sua volta sappia garantire al bambino handicappato quella normalità, prima affettiva, e poi educativa, di cui ha assolutamente bisogno» (pag. 67).

 

 

PETER LASLETT, Una nuova mappa della vita - L'emergere della terza età, II Mulino, Bologna, 1992, pp. 313, L. 30.000

 

L'Autore è molto critico circa le stime di alcuni per cui «l'accresciuta longevità comporterà una più forte proporzione di malati cronici e di invali­di», poiché sono migliorate le condizioni di in­vecchiamento della popolazione.

È tuttavia vero - afferma Laslett - che, tra tutti i problemi, sia necessario concentrare l'atten­zione su quelli legati alla previdenza e alla sani­tà.

Quest'ultima presenta, oltre agli aspetti eco­nomici, anche risvolti etici e sociali, che potreb­bero rivelarsi, specialmente nel lungo periodo, molto importanti.

«Una prima serie di questioni riguarda le impli­cazioni che l'aumento della durata della vita ha per l'individuo e i diritti che si devono riconosce­re all'anziano riguardo agli interventi medici da cui tale aumento può in gran parte dipendere».

Per tali ragioni, l'Autore esamina i diversi aspetti dell'invecchiamento e le molte angolatu­re da cui si pub osservare (a popolazione anziana in relazione ai mutamenti sociali e al nuovo ruolo della famiglia, la quale non può più fornire le garanzie di un tempo (ad esempio nel caso di ritiro dal lavoro).

Il testo, che si legge facilmente, è ricco di rife­rimenti storici e di dati informativi; affronta tra passato e presente l'evoluzione della condizione dell'anziano, non trascurando neppure le de­scrizioni ostili e degradanti proprie della cultura degli ultimi anni punitiva verso l'anziano e l'invecchiamento in generale.

L'Autore sostiene e dimostra che, all'aumento della popolazione anziana, non corrisponde sempre un analogo incremento della dipenden­za da altri, della perdita delle capacità intelletti­ve, dell'estromissione dalla vita familiare e so­ciale. Il problema si porrà piuttosto per una par­te dei casi che rientrano nella quarta età.

Qual è il giusto limite delle risorse che devono essere rivolte alla cura e al mantenimento di co­loro che sono completamente inabili? Come si pub stabilire un rapporto di equità tra la gene­razione attuale e quelle future?

Le normative che regolano le istituzioni sociali non potranno non tener conto di scelte che devono considerare aspetti di giustizia e di solidarietà tra le generazioni.

 

 

AA.VV., L'uomo spinale - Approccio psicologico e sanitario alla medullolesione, Ospedale Ni­guarda Ca' Grande e Associazione lombarda per la realizzazione delle Unità spinali, Milano, 1993, pp.144, senza indicazione di prezzo.

 

L'interessante volume descrive le iniziative assunte per la realizzazione delle Unità spinali in Lombardia. A seguito del DM 13 settembre 1988, che al punto B6 definisce gli standard del personale per le Unità spinali, viene costituito un gruppo di lavoro a cui partecipano alcuni or­ganismi di base (Medicina democratica, Associazione lombarda paraplegici, Associazione bergamasca disabili), utenti e operatori della riabilitazione.

Il Coordinamento si pone alcuni obiettivi:

- confrontarsi e discutere con gli utenti, gli operatori e le realtà che operano in termini riabi­litativi sui mielolesi nella Regione Lombardia;

- definire un'ipotesi di Unità spinali con le caratteristiche fondamentali, utilizzando l'espe­rienza dei modelli Unipolari europei;

- produrre un documento per il confronto con il Consiglio regionale.

In seguito, il Coordinamento individua in una proposta di una legge regionale lo strumento più efficace per riuscire ad attuare in concreto i contenuti del citato decreto ministeriale, propo­sta che viene approvata.

 

 

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