HANDICAPPATI INTELLETTIVI: RUOLO DELLA FAMIGLIA E
DELLA SOCIETÀ - ASPETTI ETICI
GIANNINO PIANA (*)
Le riflessioni che proporrò hanno un carattere molto
generale: mi limiterò cioè ad offrire soltanto dei parametri etici che ci
consentono di affrontare correttamente il problema dell'handicap nella società
di oggi, facendo riferimento in particolare alla situazione degli handicappati
psichici maggiorenni perché di essi soprattutto si tratta in questo incontro.
Cercherò di articolare i punti di riflessioni che
proporrò e che dovranno essere confrontati nel dibattito, in due momenti.
Il primo sarà anzitutto dedicato a mettere a fuoco le
contraddizioni, le ambiguità, i paradossi della società e della cultura odierna
nei confronti del problema in esame. Credo sia importante prendere
consapevolezza di quanto alcuni processi di trasformazione sociale e culturale
incidano sul modo con cui ci si accosta al problema dell'handicap. Passerò
successivamente a ipotizzare una prospettiva che tenda a comporre in modo
equilibrato il coinvolgimento responsabile delle famiglie e quello dell'intera
società.
Il problema dell'handicap non può essere infatti
delegato esclusivamente alle famiglie: reclama l'assunzione di precise
responsabilità sociali, soprattutto da parte di chi all'interno della società
è deputato alla prestazione dei servizi socio-assistenziali.
Le contraddizioni socio-culturali
Una prima forma di ambiguità che caratterizza la
società di oggi è data dalla contrapposizione esistente tra il riconoscimento
astratto dei diritti dell'handicappato (riconoscimento che si è fatto strada in
modo sempre più accentuato in questi ultimi anni soprattutto sul terreno
legislativo) e il prevalere di fatto di un atteggiamento di emarginazione nei
confronti dell'handicappato stesso.
Intendo con questo sottolineare come, a fronte di un
forte avanzamento della cultura dei diritti verso le varie forme di diversità,
frutto di una attenzione sempre maggiore nei confronti della persona e della
sua dignità, è tuttavia ancora dominante una visione utilitaristica della
realtà che dà vita ad una mentalità e ad un costume gravemente penalizzante
alcuni soggetti già di loro natura marginalizzati.
Alludo al prevalere di logiche produttivistiche e
consumistiche, che finiscono per provocare, consciamente o inconsciamente, una
tendenza alla discriminazione tra vita e vita, tra una vita che è degna di
essere vissuta e deve perciò essere tutelata in tutti i modi e un'altra vita
che è invece considerata inutile e improduttiva, e viene dunque marginalizzata
dalla società.
Questa mentalità è profondamente diffusa. La nostra
società è dominata da scelte di tipo utilitaristico che finiscono per
marginalizzare i soggetti considerati inutili dal punto di vista economico-produttivo.
II problema dell'inserimento dell'handicappato nella
società non è pertanto un semplice problema strutturale; è, prima ancora, un
problema culturale, cioè di mentalità e di costume. È il problema del consenso
sociale alla accoglienza di ogni vita umana, e soprattutto della capacità di
promuovere ogni vita umana per ciò che essa significa.
Un secondo elemento di ambiguità su cui vorrei
richiamare l'attenzione è costituito dal fatto che, mentre si afferma sempre
più da un lato nella nostra società il valore della solidarietà come valore
comunemente accettato, emergono dall'altro, in modo sempre più intenso, spinte
individualistiche e corporative. Si direbbe che quanto più cresce
l'interdipendenza a livello strutturale, e si avverte quindi la necessità di
forme di collaborazione e di solidarietà, tanto più emergono a livello
culturale tendenze di tipo individualistico e privatistico.
Il termine solidarietà suscitava immediatamente in
passato reazioni di rigetto o quanto meno reazioni critiche, sia nella cultura
laica che marxista. Nel primo caso la solidarietà veniva vista come
l'intrusione di un fattore esterno e disturbante nel quadro del processo
economico, che deve essere guidato, secondo la logica capitalista, dalle sole
dinamiche del mercato.
Nel secondo caso la solidarietà era percepita come un
tentativo di moralizzazione del sistema che doveva invece essere considerato di
per se stesso ingiusto, e perciò da ribaltare.
Oggi, questi pregiudizi sono caduti; e vi è di
conseguenza l'acquisizione del valore della solidarietà in senso sempre più
diffuso a livello teorico; e tuttavia proprio nel momento in cui si parla
tanto di solidarietà, essa è molto poco vissuta sul terreno della prassi, dei
comportamenti, della vita quotidiana.
L'affermarsi di forme di chiusura degli individui o
dei diversi soggetti sociali, che tendono a tutelare i loro diritti a scapito
dei diritti degli altri, determina una lotta tra corporazioni con il prevalere
delle corporazioni forti su quelle deboli.
Sta qui la spiegazione dei processi di marginalizzazione
di alcuni soggetti, in primo luogo degli handicappati.
Infine deve essere rilevato un terzo aspetto di
ambiguità del contesto socio-culturale in cui viviamo: esso è rappresentato
dal conflitto persistente tra pubblico e privato: conflitto che ha connotati
sia di ordine culturale che strutturale.
Anche nel nostro paese è venuta sviluppandosi una
cultura del pubblico che tendeva a ridurre il pubblico a ciò che è
direttamente governato dallo Stato e, in contrapposizione ad essa, una cultura
del privato tendente a escludere l'esigenza di un intervento delle istituzioni
pubbliche. È proprio questa dialettica che spiega certi processi a cui abbiamo
assistito in questi ultimi decenni.
Pensate come, da un lato sta ritornando la concezione
di uno Stato che tutela semplicemente i diritti di libertà, e come,
dall'altra, sia tuttavia presente una visione dello Stato sociale come Stato
assistenziale, che presenta limiti consistenti in termini di burocratizzazione,
di clientelismo e di assistenzialismo.
La tentazione è oggi, in presenza di una cultura del
privato e di una visione sempre più individualistica della vita, che si butti
via con l'acqua anche il bambino; che cioè non venga soltanto messa sotto
processo una certa forma di Stato sociale, quella assistenzialistica, ma si
giunga alla negazione della necessità stessa dello Stato sociale.
La riforma dello Stato sociale non implica un ritorno
indietro, bensì un balzo in avanti verso prestazioni nuove e più avanzate, con
una maggiore attenzione a misurarsi in termini concreti con la dialettica tra
privato e pubblico già richiamata.
Ciò che occorre oggi ripensare è il rapporto tra
soggetti sociali, che dal basso costruiscono processi di cambiamento, e
istituzioni pubbliche. In un certo senso, questo ci costringe a riprendere
coscienza dell'importanza che hanno i due grandi principi su cui è venuta
costruendosi la dottrina sociale della Chiesa: il principio di sussidiarietà
che sottolinea come la società deve potersi esprimere attraverso i soggetti
che la compongono, e il principio di solidarietà che impone allo Stato di
intervenire per offrire servizi è possibilità di realizzazione soprattutto a
chi, inevitabilmente in una dinamica di libero mercato, finirebbe per essere
emarginato.
Sono questi alcuni dati di riflessione sulla situazione
attuale che spiegano perché diventa difficile affrontare correttamente il
problema dell'handicap, e in senso più allargato di tutti i soggetti deboli
presenti nella nostra società.
Le prospettive di cambiamento
Che fare allora di fronte a questo? Quali sono le
strade da percorrere se si vuole dare soluzione al problema degli handicappati
psichici maggiorenni?
II primo dato positivo, presente all'interno della
nostra società, è il recupero della centralità della famiglia come soggetto
primario nell'azione a favore dell'handicappato.
Da questo punto di vista è cresciuta in questi anni
una sensibilità delle coscienze che rappresenta un segno dei tempi e che ha
prodotto come conseguenza la progressiva limitazione della
istituzionalizzazione attraverso il ricovero.
È evidente che l'inserimento dell'handicappato in
famiglia ha a suo vantaggio una serie di elementi che non meritano neppure di
essere ricordati, tanto sono evidenti. Nel contesto familiare è, infatti,
possibile lo sviluppo di relazioni personali, con il superamento del senso di
abbandono vissuto spesso in termini drammatici.
E ancora, all'interno della famiglia si supera quello
stato di sradicamento dell'handicappato dal contesto territoriale, che lo
penalizza gravemente: il territorio rappresenta un humus vitale per la
persona. D'altra parte, questa sensibilità maggiore delle famiglie non deve
farci dimenticare le grosse difficoltà che esse incontrano. Ne segnalo qui
alcune. L'handicappato intellettivo comporta una notevole limitazione della
possibilità di espressione dei soggetti che compongono la famiglia, in
particolare, dei genitori: limitazioni di ogni genere, ma soprattutto legate
al coinvolgimento psicologico con ricadute negative sui rapporti interni.
La nascita di un handicappato genera sensi di
frustrazione, qualche volta addirittura di colpa, determinando l'oscillazione
della coscienza fra il bisogno di accettazione e la tentazione del rifiuto.
Questi sentimenti continuano a permanere perché la
situazione familiare, per quanto controllata, è pur sempre una situazione di
famiglia a rischio. La famiglia dell'handicappato diventa, in qualche misura,
famiglia handicappata, soggetta cioè ad un insieme di processi che rendono particolarmente
difficoltoso l'intrecciarsi delle relazioni: è la stessa vita di coppia che
deve in questi casi ristrutturarsi, mentre le relazioni con l'esterno diventano
difficili anche semplicemente per difficoltà di tempo.
L'accentramento di interesse sul figlio handicappato,
che ha bisogno di particolari forme di assistenza, di solidarietà e di aiuto,
impegna in modo assai ampio le risorse della famiglia soprattutto dal punto di
vista psicologico. Per questo è essenziale il coinvolgimento sociale.
È giusto che la famiglia ridiventi il perno, il luogo
da cui partire senza per questo penalizzare quelle famiglie che non sono in
grado di sopportare il peso di tali situazioni; ma si tratta di non
abbandonarla, di non lasciarla sola, si tratta cioè di creare attorno alla
famiglia una ampia solidarietà sociale, di dar vita ad una cultura dell'integrazione
sociale dell'handicappato, per la quale egli viene percepito come un soggetto
di cui deve prendersi cura l'intera società.
La socializzazione del problema implica l'attivarsi
di una serie di forme di solidarietà praticate dalla società, ma è soprattutto
necessario l'intervento delle istituzioni pubbliche.
Dire che è la società che deve farsi carico
dell'handicappato, non significa certo demandare tutto alle istituzioni
pubbliche: importante è sotto questo profilo l'azione del volontariato, laddove
si crea una interazione tra soggetti sociali e istituzioni pubbliche e
ciascuna di queste realtà si assume la propria parte di responsabilità.
Le istituzioni pubbliche devono fornire i fondamentali
servizi, che supportino la famiglia nel gravoso compito di sostenere soggetti
che vivono in condizioni di disagio. In questo contesto va collocata
l'iniziativa di oggi che tende a sottolineare l'importanza dei centri diurni
come sostegno alle famiglie e come alternative al ricovero.
La drammaticità della situazione dell'handicappato
intellettivo maggiorenne è sotto questo profilo particolarmente rilevante. I
problemi dell'inserimento sociale sono maggiori dopo l'età scolare. C'è stata,
infatti, in questi anni, a livello istituzionale, una politica che si è
impegnata a fornire una serie di servizi nei confronti degli handicappati
minorenni. Si pensi, ad esempio, all'inserimento scolastico.
Lo spazio dell'handicappato maggiorenne è invece del
tutto vuoto: mentre è cresciuta l'attenzione sul piano istituzionale nei
confronti dell'handicappato minorenne, non altrettanto questo è avvenuto a
proposito dell'handicappato maggiorenne. Qui dunque i problemi familiari sono
più gravi anche per l'invecchiamento dei genitori, e per il diverso modo di
vivere la propria esperienza da parte dell'handicappato.
La scelta di potenziare i centri diurni è quindi la
strada da percorrere se si vuole ovviare alle difficoltà ricordate, poiché
questi centri si rapportano strettamente alle famiglie e creano le condizioni
per una alternanza sia pure temporaneamente ridotta.
Non va inoltre sottovalutato il fatto che l'handicappato,
che vive permanentemente all'interno delle famiglie, ha delle possibilità di
socializzazioni limitate le quali vengono invece ad allargarsi grazie alla
presenza di operatori sociali specializzati.
I centri diurni perciò, oltre ad essere un supporto
alla famiglia, sono anche un elemento di crescita educativa. Di qui l'esigenza
della loro diffusione come offerta di prestazioni che non può che essere del
tutto gratuita; anche perché, i costi del ricovero sono molto maggiori dei
costi di tali centri.
Spero di avere offerto qualche stimolo, che ci aiuti
a cogliere nella sua globalità il problema. Vorrei chiudere ricordando che la
soluzione può venire solo dalla correlazione che si istituisce tra il
rinnovamento di mentalità, cioè la trasformazione del modo di pensare e di
sentire di tutti, e una politica che a livello istituzionale diventi sempre più
capace di interpretare le esigenze dei soggetti handicappati. Se vogliamo
davvero uscire fuori dalla condizione di difficoltà in cui versiamo, dobbiamo
far leva su una profonda trasformazione culturale, ma dobbiamo anche impegnarci
in una azione politica che mobiliti sempre nuove energie perché i diritti
dell'handicappato non siano soltanto astrattamente riconosciuti, ma si giunga
alla creazione di servizi che mettano in grado I'handicappato di sviluppare la
propria piena identità.
(*) Docente di Teologia alla Facoltà
di Urbino. Relazione tenuta all'incontro/dibattito "Perché non devono
essere versati contributi dai parenti di handicappati intellettivi maggiorenni
ricoverati o assistiti da enti pubblici: aspetti etici e giuridici"
(Torino, 16.10.1993) organizzato da UTIM - Unione per la tutela degli
insufficienti mentali, CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli
assistiti con l'adesione di CO.GE.HA. - Collettivo genitori di handicappati
USSL 28, G.R.H. - Genitori ragazzi handicappati USSL 26, La Scintilla -
Associazione genitori di handicappati USSL 24.
www.fondazionepromozionesociale.it