L'ESPERIENZA
E IL VISSUTO DELLE FAMIGLIE AFFIDATARIE - UNA RICERCA DELL'ANFAA DI BOLOGNA
LA RICERCA E LE SUE
MOTIVAZIONI
La sezione ANFAA di Bologna ha portato avanti dal
1984 una consistente attività, che ha privilegiato soprattutto il tema
dell'affidamento familiare, sul quale c'era e c'è maggiore necessità di
sensibilizzazione.
In questi anni molte persone, rappresentative di
varie mentalità ed ideologie, interessate alla esperienza dell'affido, sono
entrate in contatto con l'ANFAA. Parecchie di queste, famiglie e singoli, si
sono rese disponibili a fare esperienza di affido o a ripeterla, se già
l'avevano sperimentata. L'associazione si è quindi pian piano trovata di
fronte ad un numero sempre più alto di affidamenti attuati e,
contemporaneamente, a richieste di vario genere da parte degli affidatari.
Nello stesso tempo si sono instaurati rapporti reciproci tra l'associazione ed
i servizi pubblici interessati sul territorio provinciale e regionale.
Di fronte alle esperienze attuate si è posta in evidenza
una grande disomogeneità operativa delle USL coinvolte per quanto riguarda la
preparazione, la conduzione ed il sostegno delle esperienze (1). È quindi
parso necessario tentare di dare, attraverso una ricerca, una voce organizzata
al tutto, con una riflessione sia sui dati concreti ed oggettivi delle
esperienze, che sul vissuto delle famiglie.
L'obiettivo è stato quello di riuscire a capire quale
aiuto occorre dare per preparare meglio famiglie e singoli a vivere l'affido e,
soprattutto, quello di far conoscere queste analisi ai servizi del territorio,
a discuterne con loro, in modo che l'esperienza dell'affidamento sia veramente
di aiuto al minore.
In sostanza, come ANFAA, ci premeva tenere memoria e
fare tesoro delle esperienze finora portate avanti da soci e simpatizzanti, per
non disperdere un patrimonio prezioso, che rischiava di finire in mille
rivoli. Contemporaneamente ci interessava aprire un confronto con tutti coloro
che direttamente gestiscono l'istituto dell'affidamento familiare, perché
siamo convinti che in un rapporto chiaro e non strumentale tra pubblico e
privato si riesca ad operare meglio (ciascuno nel proprio ambito),
nell'interesse di chi è in difficoltà, trovando modalità operative sempre più
efficaci e rispondenti al bisogno.
In
quest'ottica ci siamo confrontati con l'Assessorato alla sicurezza sociale
della Provincia di Bologna, con il quale era già iniziata una fattiva
collaborazione ed abbiamo proposto il progetto di questa ricerca che, dopo
essere stato analizzato, ha ricevuto un contributo dall'Assessorato stesso.
Lo scopo della ricerca è stato quello di conoscere
il percorso dell'affidamento familiare compiuto da ogni affidatario, cosa che
comprendeva sia l'esperienza che il vissuto; vissuto che, in quanto personale,
è certamente soggettivo e comprensivo di sentimenti ed emozioni. L'affidamento
è quindi stato visto esclusivamente dalla parte delle famiglie affidatarie.
La ricerca si è svolta nel 1990 ed ha preso in esame
tutti i nuclei (singoli o famiglie), soci o simpatizzanti ANFAA di Bologna e
provincia, che avevano e avevano avuto esperienze di affido.
Lo strumento utilizzato è stato quello del questionario,
preparato dal gruppo promotore della ricerca, che è stato somministrato
attraverso interviste condotte da due ricercatori e registrate su nastro per
cogliere meglio il vissuto dei vari affidatari e la unicità di ogni situazione.
I nuclei affidatari intervistati sono stati 24, di
cui 21 rappresentati da famiglie e 3 da persone singole. I minori affidati (quindi
gli affidi considerati) sono stati 46: molti affidatari hanno infatti attuato
più di un affido. Le famiglie di origine coinvolte sono state 40, poiché 12
minori sono stati dati in affido in coppia, in quanto fratelli o sorelle. Dei
46 affidi, 27 sono stati consensuali e 19 stabiliti dal Tribunale per i
minorenni ed inoltre 25 erano già conclusi e 21 ancora in atto.
I RISULTATI DELLA RICERCA
Caratteristiche delle famiglie affidatarie
I nuclei affidatari - 21 coppie (87,5%) e 3 persone
singole, donne nubili (12,5%) - hanno avuto per il 50% più di una esperienza
di affido. Sono rappresentati in maggioranza da famiglie composte dalla coppia
coniugata e da figli, in numero medio di due.
Le coppie genitoriali hanno un'età media di 40 anni,
un'anzianità di matrimonio oltre i 12 anni, svolgono in gran parte un'attività
lavorativa e sono in possesso di un livello di scolarità, propria e dei figli,
che unito al tipo di attività svolta fa prevalere il ceto medio alto.
Caratteristiche dei minori
I minori affidati sono rappresentati con una leggera
maggioranza da maschi (54%) rispetto alle femmine (46%). In prevalenza sono
riconosciuti alla nascita da entrambi i genitori (69,5%). La presenza di
portatori di handicap è del 6,5%. La fascia di età più rappresentata è quella
prescolare (39,1%), seguita da quella della scuola elementare (34,8%) e dalla
fascia adolescenziale (17,4%).
Caratteristiche delle famiglie d'origine
I dati forniti dagli affidatari su questo aspetto
sono stati abbastanza carenti per mancanza di conoscenza o di desiderio di
conoscere.
Nei confronti del 28% dei genitori d'origine è stato
emesso un decreto di decadenza della potestà.
Meno della metà dei minori (43,5%) hanno genitori
entrambi vivi e reperibili. I padri risultano i meno presenti, con attività
lavorative esclusivamente di carattere manuale e, in alcuni casi, con
difficoltà legate ad etilismo, carcere e droga. Le madri hanno attività
lavorative molto dequalificate, quando le hanno, e presentano in buona parte
problemi di carattere psichico. Dove esistono fratelli del minore (70%), molti
di questi sono stati sistemati fuori famiglia (affido, adozione, istituto,
ecc.).
Conoscenza dello strumento affidamento
Il canale privilegiato attraverso il quale gli intervistati
hanno sentito parlare per la prima volta dell'affido è stato quello casuale del
rapporto personale con qualcuno che, indirettamente o direttamente, ha fatto
questa esperienza. Il 46% ne ha avuto notizia o da amici (29,5%) o da famiglie
affidatarie o adottive (16,5%), che in realtà sono sempre risultate
appartenenti alla sfera degli amici.
Ci sono poi altri canali più organizzati, nel senso
che ad essi le persone si sono avvicinate sapendo che si sarebbe parlato di
affido familiare e quindi spinte già dal desiderio o dalla curiosità di
conoscerne di più. In questo gruppo possiamo comprendere l'ANFAA (21%), la
parrocchia (8%), l'Associazione Papa Giovanni XXIII (4%) e l'USL (4%). Infine,
canale casuale ed indiretto è quello dei mass-media (17%).
Appare evidente come le modalità per far conoscere
l'affido siano varie e vadano tutte utilizzate, anche perché dalla conoscenza
alla eventuale decisione di disponibilità può passare del tempo. Quello che
però appare chiaro (e lo dimostrano i "Corsi di avvicinamento all'affido"
che l'ANFAA ha organizzato in questi ultimi anni) è che il canale che dà
maggiori risultati è quello della conoscenza attraverso l'esperienza diretta di
altri, cosa che avviene più facilmente attraverso il privato associativo.
La fase dell'istruttoria
Quando la famiglia o il singolo, dopo aver preso
conoscenza delle caratteristiche dell'affidamento familiare, decidono di dare
la loro disponibilità a fare questa esperienza, inizia quello che noi
chiamiamo il "percorso affido".
I nuclei interessati, quando hanno offerto la loro
disponibilità di affidatari, si sono rivolti per i 2/3 ai servizi sociali e per
1/3 all'ANFAA.
L'istruttoria risulta essere diventata ormai prassi
abituale, anche se ci sono ancora stati nuclei che non l'hanno mai fatta (13%).
Gli operatori generalmente più coinvolti nella
conduzione sono l'assistente sociale e lo psicologo; la modalità più
utilizzata è quella di incontri con la coppia, dove sono contemporaneamente
presenti i due membri, ai quali incontri spesso si associa la visita
domiciliare.
Abbinamento - inserimento
La conoscenza della situazione di difficoltà del
minore, che il nucleo ha poi avuto in affido, per la metà circa dei casi (52%)
è avvenuta attraverso i servizi sociali preposti, mentre per il 20% è stata fatta
conoscere all'ANFAA, che aveva ricevuto la segnalazione dai servizi, e per il
rimanente 28% da altri canali privati.
Le cause di difficoltà che hanno richiesto l'affidamento
del minore sono state varie e spesso concomitanti; considerando solo le prevalenti,
quelle che incidono maggiormente sono: l'incapacità educativa del o dei
genitori (21,7%), la condizione di malattia del padre o della madre (19,5%), il
rifiuto della famiglia di origine da parte del minore (10,9%) e le difficoltà
educative del/i genitore/i (10,9%).
La modalità prevalente con la quale è stato
inizialmente proposto l'affido è stata quella residenziale, con percentuale
dell'82,6%, che è poi diventata del 93,5% poco dopo l'effettivo inserimento.
Limitatissimi sono quindi stati gli affidi non a tempo pieno.
Tutti gli affidatari hanno ricevuto dai servizi informazioni
sul minore prima dell'inserimento, che riguardavano in maggioranza il suo
vissuto familiare (89%) e meno altri aspetti: situazione scolastica (43%),
storia sanitaria (30%), esperienze di socializzazione (26%). Poco più della
metà degli affidatari si dichiara soddisfatta delle notizie ricevute.
Il luogo di provenienza del minore al momento
dell'affido è risultato per il 45% quello della famiglia d'origine, famiglia
intesa in un senso un po' elastico, cioè il nucleo che costituisce per lui la
famiglia. Le altre provenienze si riferiscono a: istituto, gruppo appartamento,
altri affidi. Prima dell'affido considerato, il 60% dei minori che non
provenivano dalla famiglia d'origine, ha avuto da 2 a 5 esperienze.
La preparazione del minore all'inserimento nel nucleo
affidatario è avvenuta nel 60% dei casi. Le modalità di conoscenza tra minore e
nucleo affidatario prima dell'inizio dell'affido, nel 90% dei casi, sono
risultate assai eterogenee.
Rapporto con la famiglia d'origine
La regolamentazione dei rapporti tra famiglia
affidataria, famiglia d'origine e minore, è stata definita in modo preciso da
parte dei servizi nel 71,7% dei casi: sono stati previsti incontri (con scadenze
e modalità varie) tra i tre soggetti coinvolti o solo tra due di questi, o
addirittura sono stati vietati. Nelle situazioni rimanenti (28,3%) è stata
lasciata libertà di rapporto tra le persone coinvolte.
Le modalità dei rapporti sono molto varie (tempi e
luoghi) e risultano essere rispettate dalla famiglia d'origine nel 79% dei
casi. La valutazione data dalla famiglia affidataria su questi rapporti è in
prevalenza negativa (61%).
Rapporti con i servizi
Prendendo come punto di riferimento l'art. 4 della
legge 184/1989, che elenca i compiti che spettano al servizio locale nella
conduzione dell'affidamento sono emersi i seguenti dati.
Organo che ha stabilito l'affido: per il 59% si è
trattato di affidi consensuali, mentre il 41% è stato decretato dal Tribunale
per i minorenni.
Presa in visione del provvedimento di affido da parte
degli affidatari: è avvenuta per il 67,7%, non è avvenuta per il 26,5% ed il
rimanente 5,8% non ricorda.
Consenso dichiarato per iscritto da parte degli
affidatari: è avvenuto per il 61,8%, non è avvenuto per l'11,8 ed il 26,4% non
ricorda.
Queste
ultime due domande hanno comportato una certa difficoltà da parte degli
intervistati.
Progetto
educativo individualizzato sul minore: il 37% degli affidatari dichiara che i
Servizi hanno definito questo progetto, contro il 56,5% che dichiara che questo
non è stato fatto, mentre il 6,5% non ricorda.
La
durata dell'affido risulta essere stata definita inizialmente nel 71,7% degli
affidi.
I rapporti tra i servizi sociali che seguono l'affido
e gli affidatari sono mantenuti attraverso colloqui (45,7%), telefonate
(41,3%), visite domiciliari (13%).
L'attività periodica di verifica (intesa come
controllo, valutazione e vigilanza) da parte dei servizi sull'andamento
dell'affido è dichiarata dagli affidatari esistente nel 58,7% nei casi ed
assente nel 41% dei casi. Quando viene svolta la sua frequenza è assai varia e
nella stragrande maggioranza (89%) coinvolge solo la famiglia affidataria.
Altra attività, molto importante per gli affidatari,
soprattutto nella fase iniziale dell'affido, è quella di sostegno. La metà
esatta degli intervistati dichiara di ricevere questa attività che viene
svolta per i 2/3 dai servizi territoriali (che molto spesso è quella di
verifica del singolo affido, considerata anche di sostegno), e negli altri
casi dall'ANFAA e da altre realtà private che usano modalità di gruppo.
L'89% dei nuclei intervistati sente la necessità di
incontri periodici con altre famiglie affidatarie ed il 61 % degli affidatari
ha effettuato o sta effettuando esperienze di questo tipo, organizzate nella
quasi totalità dall'ANFAA.
Circa le USL coinvolte nella conduzione dell'affido
si hanno i seguenti dati: non sempre l'USI- di appartenenza del nucleo
affidatario, del minore, della famiglia di origine è la medesima. Il 43,5%
degli affidi considerati vede coinvolte più USL (2 e, anche se in misura
ridotta, 3); il rimanente 56,5% vede coinvolta una sola USL. Questa
situazione di più USL coinvolte, in certi casi geograficamente lontane, a parte
problemi di carattere pratico, viene segnalata dai nuclei affidatari come
situazione nella quale per 114 è attuata qualche forma di collaborazione tra i
vari operatori, mentre per 3/4 dei casi questi si ignorano.
Per quanto concerne l'intervento dei servizi sulla
famiglia di origine del minore, il 78% dei nuclei affidatari dichiara di sapere
se e da chi sono seguiti i nuclei di origine del minore nelle difficoltà; di
queste famiglie d'origine il 14% non riceverebbe aiuto da nessuno.
Rapporti tra famiglia affidataria e
minore
Gli unici aspetti analizzati riguardano i rapporti
dell'affidato con i figli della coppia e/o con gli eventuali conviventi.
Per
113 degli affidi si sono verificate difficoltà di una certa evidenza.
Rientro
Con rientro intendiamo in senso lato la conclusione
dell'affido ed una sistemazione diversa da quella del nucleo affidatario
intervistato.
Il 54,5% degli affidi esaminati si è concluso ed il
45,5% è ancora in atto. Per il 60% degli affidi conclusi ne era stata stabilita
la durata.
Il 15% degli affidi con durata definita ha avuto una
chiusura anticipata, essenzialmente per difficoltà intercorse fra affidatari e
minore o tra affidatari e servizi.
Non tutti gli affidati sono rientrati in famiglia e
non tutti quelli rientrati hanno trovato una situazione migliorata rispetto a
quella precedente l'affido.
Le valutazioni degli affidatari in merito alla nuova
sistemazione è stata positiva solo per la metà dei casi.
Valutazioni generali sull'esperienza
In merito alla fase dell'affido che ogni famiglia
affidataria ha definito più problematica, si possono dare le seguenti
risposte: abbinamento ed inserimento (30%), rapporti con la famiglia d'origine
(20%), rapporti con i servizi (13%), rientro (13%).
Valutazione in relazione ai rapporti con i servizi:
totalmente positivi (31%), positivi ma non pienamente (4%), metà positivi e
metà negativi (nel caso di coinvolgimento di due USL) (24%), non soddisfacenti
(41%).
Valutazione della esperienza di affido: totalmente
positiva (33%), positiva ma faticosa (33%), positiva ma non pienamente (15%),
problematica (15%), negativa (4%).
Disponibilità ad un altro affido: risposte positive
(37,5%), risposte indecise (25%), risposte negative (37,5%).
CONSIDERAZIONI FINALI E
PROPOSTE DELL'ANFAA
Campagne promozionali per il reperimento di famiglie
affidatarie
Ci si trova di fronte ad uno dei nodi da sciogliere.
Dopo l'affermarsi nel nostro paese di una cultura dell'adozione per rispondere
al bisogno di minori definitivamente abbandonati, come favorire la crescita di
una cultura dell'affidamento familiare, quale principale strumento per consentire
a numerosi minori, molti dei quali con handicap, di lasciare gli istituti ed
impedire nuovi ingressi?
Anche nel territorio della nostra provincia sono
state attuate alcune campagne promozionali utilizzando, separatamente o
insieme, strumenti come: manifesti, affissi per le strade, opuscoli nei luoghi
pubblici, dibattiti con "esperti".
I risultati molto deludenti in termini di coinvolgimento
di famiglie a fronte di investimenti di varie decine di milioni, hanno fatto
rapidamente concludere agli operatori del settore che in realtà non ci
sarebbero famiglie disponibili per questo tipo di esperienza.
La riflessione sugli strumenti utilizzati nelle normali
campagne promozionali ci ha portato alla conclusione che non possono essere
solo questi i canali per raggiungere e interpellare in prima persona famiglie
potenzialmente in grado di rispondere al "bisogno di famiglia" di un
bambino/a o ragazzo/a in difficoltà. In realtà, solo mettendo in comunicazione
la ricchezza delle esperienze di famiglie già affidatarie con gli aspetti
positivi e problematici, è possibile "passare" ad altri l'interesse
e la voglia di misurarsi con questa esperienza.
È per questo che l'ANFAA di Bologna, in questi
ultimi anni, ha organizzato dei "Corsi di avvicinamento all'affidamento
familiare" per potenziali famiglie affidatarie mai coinvolte nel discorso
fino a quel momento.
Non serve, quindi, una generica richiesta di disponibilità,
ma l'offerta di una occasione di formazione che dia la possibilità (dopo una
prima autoselezione) di potersi presentare ai servizi sociali per
l'istruttoria che stabilisce l'idoneità:
-
avendo già sgombrato il campo dagli equivoci più grossi;
-
conoscendo la legge che regola l'affidamento;
- avendo, almeno in parte, capito che tipo di
disponibilità psicologica e affettiva viene richiesta ad una famiglia quando
si rende disponibile;
- sapendo come si imposta un rapporto chiaro e
costruttivo con i servizi sociali durante tutte le tappe del percorso di un
affidamento.
Dall'esperienza è risultato che l'informazione sugli
aspetti giuridici, psicologici e procedurali di un affidamento si può
trasformare in effettiva "formazione" solo se accompagnata e filtrata
dall'esperienza concreta di altre famiglie, dal loro modo di porsi, dalle loro
riflessioni sulle proprie motivazioni, dal loro racconto delle fatiche e delle
soddisfazioni vissute.
Durante il corso, le famiglie sono passate da una
generico interesse, al coinvolgimento emotivo, alla conoscenza della
problematica, all'idea di un possibile impegno diretto.
Una grossa partecipazione, un rapporto interattivo
tra relatori, famiglie che portavano la propria esperienza e coppie
partecipanti hanno segnato in modo molto significativo tutto il percorso
formativo.
È stata offerta, per chi era interessato, la possibilità
di approfondire la riflessione in piccoli gruppi. Ognuno di questi gruppi,
composto da 4-6 famiglie, era condotto da una diversa coppia di psicologhe, che
hanno offerto all'ANFAA la loro preziosa collaborazione volontaria. Incontrandosi
per cinque volte, con scadenza quindicinale, i gruppi hanno lavorato sulle
motivazioni personali di ogni coppia, sulle aspettative nei riguardi del
bambino, sull'analisi delle dinamiche familiari e della comunicazione
interpersonale.
Mentre alcuni hanno capito di non essere in grado di
affrontare l'esperienza ed altri ci stanno ancora pensando, alcune coppie
subito dopo i corsi ed altre alla conclusione dei gruppi si sono presentate ai
servizi per rendersi disponibili ed iniziare l'istruttoria per l'idoneità.
L'ANFAA crede proprio che una fase di informazione-formazione
di gruppo debba precedere la fase dell'istruttoria della singola coppia.
L'esperienza concreta che l'ANFAA ha direttamente
gestito potrebbe essere la base di partenza per ulteriori progetti che vedano
una più stretta collaborazione e una maggior coordinamento con il servizio
pubblico.
Sarebbe opportuno programmare più volte l'anno questi
cicli di formazione organizzandoli in zone differenziate della provincia.
Istruttorie
II primo problema da affrontare è una maggior
omogeneizzazione tra i vari servizi del territorio per quanto riguarda gli
aspetti tecnici che caratterizzano l'istruttoria (numero minimo di incontri,
quali persone coinvolgere, visite domiciliari, ecc.). Il secondo problema è
quello di meglio valutare quali sono gli elementi da approfondire durante una
istruttoria.
Possiamo elencare quelli che, dalla nostra esperienza
di famiglie affidatarie, ci paiono fondamentali: aspetti psicologici
individuali, dinamiche familiari, aspettative, motivazioni, relazioni sociali
più o meno ricche, caratteristiche ed età dei figli già presenti, rigidità o
disponibilità al cambiamento, tenuta di fronte alle frustrazioni, benessere
psicologico della coppia a prescindere dall'arrivo o meno di un bambino,
disponibilità a lasciarsi mettere in discussione, disponibilità a
relazionarsi con la famiglia d'origine del bambino senza assumere un
atteggiamento giudicante, un po' di senso dell'umorismo.
Il percorso dell'istruttoria individuale, che come
già detto dovrebbe iniziare dopo un percorso di informazione-formazione
specifica, dovrebbe così diventare un momento in cui la coppia riflette su se
stessa, e matura con più consapevolezza la sua disponibilità.
Al termine dell'istruttoria, alla coppia va esplicitato,
con delicatezza, ma anche con chiarezza, il tipo di valutazione cui gli
operatori sono giunti e questo soprattutto quando si verifica il caso di una
chiara non idoneità.
Non si tratta, comunque, di definire una teorica
idoneità, o meno, all'affido (come avviene per l'idoneità all'adozione), ma di
prevedere per quale tipo di affido è adatta una famiglia.
Abbinamenti
Le valutazioni sulla coppia vanno successivamente
tenute in considerazione quando si tratta di effettuare l'abbinamento: non è
possibile ipotizzare, ad esempio, l'idoneità per una fascia di minori di età
0-8 anni e poi, di fronte alla prima emergenza, proporre un adolescente che non
si sa dove collocare, anche perché alcune famiglie si trovano in grosse
difficoltà a rispondere con un rifiuto e può succedere che accettino la proposta,
per poi crollare dopo pochi mesi.
In particolare, per quanto riguarda gli adolescenti,
la nostra esperienza ci porta a concludere che è da evitare l'inserimento in
una famiglia che non abbia già vissuto con i propri figli la fase
dell'adolescenza. Le problematiche dell'adolescenza, esasperate dalle
esperienze dolorose di cui questi ragazzi sono portatori, richiedono infatti
spalle robuste e già collaudate.
L'esperienza ha anche mostrato che possono
presentarsi situazioni in cui i minori, inizialmente affidati ad una famiglia,
diventino in seguito adottabili e che questa, nella maggior parte dei casi,
fosse una evoluzione prevedibile fin dall'inizio.
È chiaro che, se in fase di abbinamento non si presta
la dovuta attenzione alle caratteristiche della famiglia (sua eventuale
disponibilità per l'adozione, ecc.) e non si mettono in atto tutte quelle
tutele necessarie per mantenere il suo anominato, il bambino corre il rischio,
quando si verifica la sua condizione di adottabilità, di un ulteriore
sradicamento con gravissime ripercussioni psicologiche. Diventa per questo
fondamentale concordare una linea operativa unitaria tra servizi e Tribunale
per i minorenni.
Altro aspetto, che ci preme evidenziare, è la
situazione di minori con handicap, il cui affido è ancora numericamente basso.
È necessario, nel proporre un abbinamento di questo genere, che i servizi siano
molto chiari con le famiglie affidatarie sulle reali condizioni del minore e
su quello che l'handicap in questione, per quanto è prevedibile, comporta e
richiede nell'intervento e nell'impegno educativo. L'affido di minori con
handicap di varia natura e varia gravità è certamente un obiettivo da
perseguire, sul quale però occorre lavorare di più nella attività promozionale
ed a livello di politica dei servizi.
Banche dati dei minori e delle famiglie disponibili
L'ANFAA di Bologna si è trovata varie volte di fronte
alla situazione di famiglie che erano state sensibilizzate, avevano
successivamente fatto l'istruttoria con una valutazione positiva e si erano
alla fine sentite dire che non c'erano bambini. E questo mentre, magari, nel
consultorio vicino gli operatori erano alla disperata ricerca di una soluzione
per bambini in difficoltà.
Il problema dell'incontro del bisogno con le risorse
disponibili non potrà essere risolto finché si rimarrà nella dimensione della
singola USL e non si allargherà invece il bacino ad un livello provinciale.
Un'unica banca dati delle famiglie che hanno già fatto l'istruttoria ed
un'altra parallela dei minori che hanno bisogno di un affido, diventano gli
strumenti necessari per favorire l'incontro, superando la tendenza degli
operatori a tenersi strette le proprie coppie, lasciandole in una attesa
snervante e demotivante con il rischio poi di perdere preziose disponibilità.
È chiaro che questo comporta la necessità di lavorare
in collaborazione tra le diverse équipes coinvolte, chiarendo le procedure, le
responsabilità ed i compiti di ognuno, per quanto riguarda in particolare il
sostegno dell'esperienza.
Doveri - diritti degli affidatari
Molti affidatari intervistati hanno lamentato di non
aver sempre trovato, da parte dei servizi, risposte esaurienti in merito alla
loro esigenza di conoscere più chiaramente come comportarsi di fronte ad
aspetti di vita quotidiana posti dall'inserimento in famiglia dell'affidato.
I
tipi di problemi per i quali le famiglie affidatarie richiedono risposte
riguardano:
- aspetti legislativi (assegni familiari, detrazioni
fiscali, diritti di astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro,
rappresentanza negli organi scolastici);
- aspetti di natura burocratica (cambio di residenza
del minore, inserimento del minore nel proprio stato di famiglia, possibilità
di cambiare il medico di base, richiesta di passaporto);
- aspetti che comportano decisioni per situazioni
straordinarie (autorizzazione ad interventi chirurgici, scelta di un indirizzo
scolastico); e così via, tenendo contemporaneamente conto dei doveri che
competono alla famiglia d'origine del minore.
Ci pare fondamentale fornire queste conoscenze a
tutte le famiglie affidatarie e non solo quando singoli affidatari lo
richiedono, per cui, a nostro parere, sarebbe necessario ed utile preparare un
opuscolo informativo su tutti questi aspetti ricorrenti in ogni affido, da
consegnare ad ogni affidatario.
Provvedimenti di affidamento e progetto
individualizzato
Il provvedimento di affidamento, così definito dalla
legge, è un documento ed uno strumento importantissimo. Lo si può definire un
contratto in quanto in esso devono essere indicati, per ogni singolo affido,
quali sono i soggetti coinvolti, le difficoltà riscontrate sulle quali occorre
lavorare, gli obiettivi da perseguire da parte di ognuno, i tempi che questo
lavoro richiede, il servizio cui compete vigilare e rendere conto alle
autorità giudiziarie dell'andamento dell'intero processo.
Ogni provvedimento di affido deve quindi essere il
punto di arrivo, da parte dei servizi, di un accurato lavoro di analisi e
valutazione della situazione di ogni singolo minore e della sua famiglia
d'origine per arrivare a definire i problemi, le risorse e le modalità da
utilizzare per rimuovere questi problemi; altrettanto i compiti della famiglia
affidataria, che deve compiere con il minore un certo cammino. Deve quindi
basarsi su un progetto, individuato per ogni singolo affidamento e,
naturalmente, conosciuto dai soggetti coinvolti, che debbono collaborare,
ognuno per la propria parte, a raggiungere l'obiettivo finale, attraverso vari
obiettivi intermedi. Progetto che quindi non è un fine, ma un mezzo e che il
contratto rende chiaro ed esplicito.
Le attività valutativa e progettuale, da parte dei
servizi, sono dunque nettamente legate ed a queste va unita quella di verifica
per esaminare il cammino percorso e le eventuali modifiche da apportare al
progetto.
I nuclei affidatari intervistati hanno dichiarato
mancante, in una altissima percentuale, un progetto individualizzato sul
minore, così come l'assenza o la non conoscenza di elementi che devono essere
contenuti nel provvedimento di affido (come la durata).
Da tutto questo emerge come la carenza di progettualità
sia sicuramente uno degli aspetti sui quali i servizi debbono impegnarsi
maggiormente. Attraverso il progetto ed il contratto i soggetti interessati
sanno a che cosa sono chiamati ed esprimono il loro accordo; sanno di essere
seguiti attraverso le verifiche e non si sentono isolati, si rendono conto di
essere la parte di un tutto e che quindi è importante collaborare. Anche i
compiti degli operatori sono più chiari, così come quelli affidati alla
famiglia d'origine, che ha meno possibilità di manipolazione.
In questo modo si incentiva la collaborazione e
l'autonomia delle persone. In sostanza si sa per che cosa si sta lavorando ed
il lavoro di uno è collegato a quello degli altri; inoltre con le verifiche si
può valutare quanto si è già compiuto.
II progetto è, quindi, lo strumento fondamentale per
superare quel senso di inadeguatezza e di impotenza che la maggior parte delle
famiglie affidatarie ha manifestato verso i servizi e che si verifica quasi
subito con l'inserimento del minore. I rapporti degli affidatari con i servizi
potrebbero essere molto più chiari e corretti e la stessa attività di
verifica avrebbe risultati molto più costruttivi.
Problematiche relative alla gestione dell'affidamento
Prendiamo qui in considerazione gli aspetti che nella
ricerca hanno fatto discutere maggiormente gli affidatari e che si riferiscono
alla fase dell'affidamento vero e proprio, cioè a quella in cui il minore è
concretamente inserito nella nuova famiglia.
I gruppi di sostegno delle famiglie
affidatarie
Quando il minore viene inserito nella famiglia
affidataria è chiaro che i servizi debbono mettere in atto una serie di
interventi di sostegno, di natura sia psicologica che sociale, con lo scopo di
aiutare le varie componenti interessate all'operazione (minore, famiglia di
origine, famiglia affidataria) a superare le inevitabili difficoltà che il
cambiamento comporta.
Noi qui vogliamo puntare l'attenzione sui gruppi di
sostegno per le famiglie affidatarie, analizzando quanto abbiamo attuato come
associazione.
La nostra esperienza diretta ci dice che il momento
dell'inserimento del minore è sempre un momento problematico per la famiglia
affidataria. Prima si sentiva adeguata e capace, alleata con i servizi, ma
quando il minore, che è sempre diverso da come lo si aspettava, è inserito, la
famiglia entra in difficoltà. Si sente messa spesso in questione dagli stessi
servizi ed anche dalla famiglia d'origine.
È a questo punto che un gruppo di sostegno con altre
famiglie affidatarie diventa fondamentale. È il gruppo stesso che dà sostegno
ai partecipanti, li aiuta a superare il loro senso di inadeguatezza. È
attraverso il confronto delle varie esperienze che si cresce, che si possono
trovare risposte analogiche e non, ai propri problemi; quindi si tratta di
strumenti che devono poi essere giocati nella relazione con il minore.
Obiettivo del gruppo è quello di sostenere l'affido
del minore, e non la famiglia affidataria come portatrice di patologia; quindi
occorre lavorare sulle capacità educative e relazionali dei partecipanti, che
imparano dai propri errori e sono aiutati a fare continui esami di realtà.
Tutto questo però deve avvenire in una situazione in cui le persone si sentano
capite ed accettate; per questo è più facile che le famiglie cerchino questa
risposta presso associazioni specifiche.
Diverse coppie affidatarie si sono rivolte all'ANFAA,
dalla quale si erano sentite sostenute nella iniziale disponibilità all'affido,
per ricevere, ad affido iniziato, il sostegno di cui sentivano bisogno; pertanto
l'associazione ha organizzato gruppi di sostegno guidati da una neuropsichiatra
infantile.
Dalla nostra esperienza possiamo affermare che è bene
che i gruppi vengano formati da famiglie con affido in atto (possibilmente nel
periodo iniziale dell'affido), che gli incontri non siano a frequenza troppo
distanziata (15-20 giorni) e siano in numero prestabilito (5-6). Questo dà
sicurezza alla famiglia affidataria ed evita la dipendenza dal gruppo. È
chiaro che se una famiglia ha problemi particolari chiederà al conduttore un
incontro individuale.
Ci auguriamo che questo strumento di lavoro diventi
una normale modalità, proposta ed utilizzata per tutti gli affidi dai servizi;
a questo proposito ci sembra importante mettere in evidenza che sarebbe bene
che gli operatori che guidano il gruppo non siano i medesimi che seguono gli
affidi dei nuclei coinvolti. Dalla nostra esperienza è, infatti, risultato che
la famiglia affidataria spesso non se la sente di andare ad esprimere la
propria difficoltà e, a volte, la propria apprensione, agli operatori dei
servizi con i quali ha avuto a che fare fino a quel momento, sentendosi
riconosciuta per il compito che avrebbe già dovuto svolgere.
È inoltre importante che gli incontri di gruppo
avvengano in orari compatibili con le necessità delle famiglie coinvolte, dando
la possibilità alle coppie che lo desiderano di parteciparvi insieme.
Intervento sulla famiglia d'origine
Per sua natura l'affidamento deve avere una durata
temporale tale da permettere una azione sul minore, ma contemporaneamente sulla
famiglia d'origine per aiutarla, attraverso interventi opportuni, a superare
in tutto od in parte le difficoltà che hanno determinato l'affido.
Anche se le famiglie affidatarie intervistate tendono
a tenere abbastanza in secondo piano le famiglie di origine, hanno però
espresso spesso la loro sensazione-convinzione che nei confronti di questa non
si stesse attuando un efficace intervento.
Riconoscendo tutte le reali difficoltà ad operare
con persone e situazioni a volte molto problematiche, ci pare importante
ribadire che gli interventi nei confronti della famiglia di origine sono di
competenza dell'ente pubblico e che non è nello spirito della legge e nemmeno
nelle normali capacità richieste alla famiglia affidataria, che quest'ultima
debba farsi carico di tali interventi.
È inoltre necessario, quando minore, famiglia
affidataria e famiglia d'origine sono seguiti da operatori diversi, che si
attui una strettissima collaborazione.
Coinvolgimento di più USL
Il 40% degli affidi considerati dalla ricerca riguardano
situazioni in cui sono coinvolte due USL. Gli affidatari hanno lamentato in
questi casi sensi di solitudine, di abbandono, di incertezza, affermando in
maggioranza che le due USL si ignoravano.
Poiché queste situazioni di coinvolgimento di più USL
nel tempo continueranno a verificarsi, una soluzione a questo problema potrebbe
essere affidata al giudice che, svolgendo la funzione di "primus inter pares", sul provvedimento di affido
dovrebbe indicare chiaramente quali sono le competenze dei due servizi
coinvolti, lasciando naturalmente agli stessi il compito di definire le
modalità operative concrete per realizzare il coordinamento.
Preparazione al rientro
II rientro, inteso come ritorno del minore nella sua
famiglia di origine, in condizioni migliorate rispetto all'inizio dell'affido
o, più generalmente come termine dell'affidamento, dovrebbe essere l'obiettivo
che fa da sfondo a tutto l'affido.
Se esistono progetto e contratto e sì attuano le
verifiche, il rientro non dovrebbe avvenire all'improvviso, ma far parte di una
fase definita, programmata e guidata.
Gli intervistati lamentano, invece, una scarsa
preparazione al rientro, certamente assai inferiore a quella dell'inserimento,
anche se si tratta di un momento altrettanto delicato.
Ci sembra che in questa fase si possa attuare una
suddivisione dei compiti: la famiglia d'origine dovrebbe essere preparata
dagli operatori a riaccogliere il minore ed a creare le condizioni migliori per
il rientro; la famiglia affidataria, a sua volta, dovrebbe preparare il minore
incoraggiandolo e trasmettendogli quei messaggi dei quali ha bisogno in questa
fase e cioè rassicuranti circa l'affetto che essa continuerà a nutrire per lui,
anche dopo il distacco, e positivi sulla realtà familiare che lo attende.
Anche la famiglia affidataria in questo momento ha
bisogno di aiuto in quanto deve elaborare il distacco dal minore ed adattarsi
ad un nuovo cambiamento; non deve essere lasciata sola di fronte a questo
evento che non sempre valuta positivo per il minore; questo aiuto deve essere
dato anche nei casi in cui il rientro debba essere anticipato a causa di
difficoltà della famiglia affidataria.
Un problema particolare che si pone a questo punto è
la "conclusione" di affidamenti per la raggiunta maggiore età da
parte del ragazzo/a, senza che sia possibile un suo reinserimento nella
famiglia di origine. Molto spesso si tratta di ragazzi con personalità fragile
e più immatura di quella dei loro coetanei, che hanno ancora bisogno di essere
seguiti in modo sistematico e che anche sul piano della quotidiana gestione di
vita incontrano grosse difficoltà (per poter ottenere un appartamento,
arredarlo, essere in grado di mantenersi anche nei casi più fortunati quando
svolgono un lavoro, ecc.).
Il processo di affido, se tende ad aiutare il minore
a crescere nel miglior modo possibile favorendo lo sviluppo delle sue
potenzialità ed a diventare adulto e responsabile di se stesso, non può
considerarsi sempre concluso al raggiungimento dei 18 anni. II progetto
individualizzato definito per ogni minore deve tener conto anche di questo, a
maggior ragione per i ragazzi con handicap.
È pertanto necessario che gli enti locali (Comuni /
USL) assumano deliberazioni per consentire l'autonomo inserimento sociale
degli affidati e permettere, quando necessario, la prosecuzione
dell'affidamento dopo il compimento del 18° anno di età. Significativa al
riguardo la delibera del Comune di Torino del 6 marzo 1990 (cfr., Prospettive assistenziali, n. 92,
ottobre-dicembre 1990).
Conclusioni
È probabile che in queste considerazioni finali
appaiano prevalenti aspetti di critica nei confronti dei servizi, che hanno
attuato e seguito gli affidamenti presi in esame. Questo è inevitabile quando
si vogliono sottolineare nodi problematici o difficoltà ancora irrisolte, ma
non significa che nelle intenzioni dell'ANFAA ci sia la volontà di
colpevolizzare i servizi per quello che ancora occorre migliorare.
Siamo pienamente convinti che l'affido è una operazione
complessa che investe una pluralità di rapporti che appartengono a contesti
culturali diversi, chiamati però a collaborare ad un obiettivo unico e
globale, dove il coinvolgimento forte avviene soprattutto a livello relazionale
e di rapporti personali.
Attuare l'affido è complesso perché complessa è la
vita ed in questo caso non è semplice valutare con sicurezza, nel senso di
certezza assoluta, se attraverso questa esperienza e con quella famiglia
affidataria si riuscirà non solo ad aiutare il minore a crescere, ma anche la
sua famiglia a riassestarsi in qualche modo per poterlo riaccogliere al suo
interno.
Come associazione che ha a cuore la tutela dei minori
in difficoltà, siamo perciò molto grati a tutti gli operatori che finora con
molta fatica, spesso abbastanza in solitudine, hanno cercato di mettere in atto
e portare avanti affidamenti familiari, nonostante la tendenza al ricorso alla
"struttura" (che oggi potrebbe chiamarsi gruppo appartamento) sia
sempre forte.
Con questi operatori siamo sicuri ci si possa
confrontare in modo costruttivo anche per dare, attraverso l'affidamento, piena
realizzazione al dovere di solidarietà sociale cui, come cittadini, siamo
chiamati dalla stessa carta costituzionale.
(1) Nella ricerca non è stato affrontato
il problema dei livelli istituzionali (Regione, Comuni, Province, USL) competenti
in materia di affidamento.
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