Specchio nero
UNEBA, ANASTE, CGIL, CISL,
UIL CONTRO L'INSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI HANDICAPPATI
Riportiamo
integralmente l'accordo intervenuto tra UNEBA, ANASTE, CGIL, CISL, UIL per
vietare agli handicappati l'assunzione "obbligatoria" al lavoro,
divieto consentito (non imposto!) dall'art. 25 della legge 223/1993, il quale
precisa che può essere escluso dal rispetto delle norme della legge 482/1968 il
«personale appartenente alle qualifiche appositamente individuate nei contratti
collettivi di categoria».
Le
qualifiche individuate dall'UNEBA e dalI'ANASTE, che raggruppano gli enti
pubblici (IPAB, ecc.) e privati di assistenza e di ricovero, e le case di cura
private, e da CGIL, CISL, UIL riguardano gli operatori socio-assistenziali, i
terapisti della riabilitazione, gli infermieri professionali e gli educatori,
e cioè praticamente tutto il personale addetto delle strutture e servizi sopra
citati. Da rilevare che nell'accordo non si fa riferimento agli
"educatori professionali", ma semplicemente agli
"educatori" e quindi anche a personale privo di una specifica
preparazione.
Infine
occorre sottolineare che sono esclusi da ogni possibilità di inserimento
lavorativo tutti gli handicappati, e quindi anche quelli che hanno una resa
produttiva uguale ai lavoratori non colpiti da handicap.
Pensiamo, ad
esempio, agli handicappati fisici motori lievi, che sono in grado sia di
conseguire i titoli professionali richiesti, sia di svolgere proficuamente le
relative mansioni.
Accordo per la determinazione delle categorie da
escludere dalle assunzioni obbligatorie
«II giorno 20 gennaio 1994, alle ore 10, presso la
sede della UILTCS UIL si sono incontrati i Signori:
per
l'UNEBA, Luciano Conforti - Giuseppe Restelli;
per
l'ANASTE, Piero Calandriello - Gennaro Piccirillo;
per la FISASCAT-CISL, Luciana Cirillo;
per la FILSCAMS-CGIL, Claudio Bazzichetto - Luigi
Coppini;
per
la UILTuCS-UIL, Paolo Poma
i quali
Visto l'art. 25 della legge 223/91 che rinvia ai
contratti collettivi nazionali di categoria (CCNL), ai fini della
determinazione delle qualifiche professionali non rientranti nell'obbligo di
quanto disposto dal primo comma dell'articolo stesso;
Visto il CCNL per i dipendenti di Istituzioni e
servizi socio-assistenziali firmato in Roma tra le parti il 20 settembre 1991
presso il Ministero del lavoro scadente in data 31 dicembre 1994;
Vista la necessità di provvedere ad individuare
quali categorie escludere dall'obbligo della riserva di cui all'art. 25, della
legge 223/91, 1° comma, in considerazione della peculiarità dell'attività
lavorativa svolta nel settore socioassistenziale;
Vista la comune volontà, dato il limitato periodo di
vigenza contrattuale, e cioè 31 dicembre 1994, di ridefinire con più ampia
discussione all'atto del rinnovo del CNL le categorie stesse di cui all'art. 25
della legge 223/91;
concordano
di
integrare l'art. 5 del CCNL con la seguente norma:
"in considerazione della specificità
dell'attività svolta, sono escluse dalla riserva di cui all'art. 25 della legge
223/91 le assunzioni dei lavoratori appartenenti alle seguenti qualifiche
professionali:
1) operatore
socio-assistenziale;
2) terapista della
riabilitazione;
3) infermiere professionale;
4) educatore».
UNA SCONCERTANTE MOZIONE
PRESENTATA AL SENATO
Estremamente preoccupante è la prima mozione
presentata al Senato in data 21 aprile 1994 dai Senatori Corsi, Zeffirelli,
Squitieri, Moltisanti, Battaglia, Germanà, Patricca, Cormegna, Misserville,
Maceratini, Ragno, Turini e Magliocchetti, appartenenti a Forza Italia,
Alleanza Nazionale e Lega.
Premesso che bisogna assistere la futura madre «nel compiere il miracolo della creazione di
una nuova vita» i parlamentari sostengono quanto segue: «Se poi la madre si troverà nelle condizioni
di non poter accudire e appropriarsi, come è suo diritto, del figlio, lo Stato
e la società dovranno soccorrerla anche in questa fase del suo "essere
madre"; essi dovranno incaricarsi del neonato, almeno per i primi 18 mesi
della sua vita e sarà a questa scadenza che la madre dovrà decidere, dopo tutte
le occasioni di riflessione che le sono state accordate, se vorrà tenere il figlio
oppure no. Nel primo caso, lo Stato, con l'aiuto delle strutture sociali
private e del volontariato, dovrà continuare ad assisterla e proteggerla; nel
secondo caso, si assumerà invece la piena e definitiva responsabilità della
nuova creatura, percorrendo anche le vie delle adozioni che dovranno essere in
ogni caso altrimenti regolate, affinché non creino per í cittadini, come
succede oggi, inutili e spesso ingiustificate sofferenze».
Dunque, il bambino fino all'età di 18 mesi è un
essere che non soffre a causa della carenza di cure familiari (come da 50 anni
sostengono, invece, tutti gli esperti italiani e stranieri). Superato l'anno
e mezzo, la "madre", anche se non ha fatto assolutamente nulla per il
neonato e non l'ha nemmeno visto, dovrebbe avere il diritto di decidere! E,
ovviamente, il bambino, se in affidamento familiare, sarà felicissimo di
rompere i rapporti con le persone che lo hanno amato e pronto a legarsi con chi
per ben 18 mesi non lo ha degnato di uno sguardo.
La netta propensione per il ricovero si manifesta
anche in un'altra parte della mozione. Infatti, nei casi di genitori in
difficoltà «particolare rilevanza assume
la revisione delle funzioni e dei compiti che dovrebbero essere anche ampliati,
delle scuole dell'infanzia, statali o private, affinché, ad esempio, al
termine dell'anno scolastico, i bambini non ritornino nelle famiglie indigenti,
disperate o inadatte ad accudirli. Le scuole dell'infanzia devono essere
messe in grado di continuare ininterrottamente ad assistere la formazione dei
fanciulli anche nei mesi estivi attraverso la creazione, ove già non esistano,
di scuole estive che garantiscano ai fanciulli salute, serenità, e continuità
sociale a contatto con la natura, il mare, in montagna ed in altre sedi adatte
allo scopo».
I firmatari della mozione calpestano il diritto del
minore alla famiglia (propria, adottiva o affidataria a seconda delle
situazioni) e vogliono il ritorno alle deleterie strutture di ricovero
(istituti di assistenza, collegi, colonie, scuole estive o altre denominazioni
di comodo).
Per quanto riguarda le persone colpite da handicap, i
Senatori sostengono che occorre «riorganizzare
l'azione dello Stato e dell'associazionismo privato verso quei cittadini
infelici e minorati che la natura ha creato diversi e dipendenti dagli altri
( ..) il cui recupero è oggi affidato in prevalenza ad uomini e donne di buona
volontà che purtroppo devono condurre lotte inutili e frustranti per poter
svolgere la loro missione».
Infine, per quanto riguarda gli anziani «molto spesso
abbandonati a loro stessi» i parlamentari affermano che «una particolare rilevanza assumono quelle iniziative tese a stabilire
rapporti naturali di assistenza e di attenzione fra gli anziani e i bambini».
Che cosa ne pensa Antonio Guidi, Ministro degli
affari sociali e della famiglia della mozione presentata dai suoi sostenitori?
LE
IDEE CONFUSE DI TELEFONO AZZURRO
Quasi mai Telefono azzurro si è occupato delle
gravissime sofferenze patite dalle migliaia di minori ricoverati, spesso da
anni, in istituti di assistenza/beneficenza, nonostante che dal 1950 siano
note le nefaste conseguenze della carenza di cure familiari.
Evidentemente, il Prof. Caffo e la sua organizzazione
non vogliono entrare in conflitto con le istituzioni (Governo, Parlamento,
Regioni, Comuni, Province, USL) responsabili dell'esclusione sociale dei 50
mila minori ancora rinchiusi in istituzioni totali (1).
Dopo anni di silenzio, Telefono azzurro, nel numero
di aprile 1994 del suo mensile affronta l'argomento e sbaglia clamorosamente la
lettura della realtà.
Infatti, afferma (Cfr. "In dieci anni 27.000 abbandoni")
che negli istituti vi sono «35.833 minorenni
adottabili» quando è noto che l'adozione è consentita dalla legge vigente,
la n. 184 del 1983, esclusivamente nei confronti dei minori «In situazione di abbandono perché privi di
assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a
provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore
di carattere transitorio».
Per una organizzazione che pretende di conoscere a
fondo i problemi dell'infanzia e le giuste soluzioni, le idee confuse di
Telefono azzurro e la decisione di creare un ghetto a Monza (2) dovrebbero
essere motivi di seria riflessione da parte di tutti coloro che veramente sono
"dalla parte dei bambini".
(1) Cfr. gli articoli apparsi su Prospettive assistenziali: 'Telefono azzurro: come banalizzare la
complessità dei problemi sociali", n. 80, ottobre-dicembre 1987;
"Telefono azzurro: distorsioni del giornale Avvenire» e "Telefono azzurro:
precisazioni e proposte", n. 82, aprile-giugno 1988.
(2) Cfr. "No al ghetto di
Telefono azzurro" in Prospettive
assistenziali, n. 104, ottobre-dicembre 1994.
www.fondazionepromozionesociale.it