Prospettive assistenziali, n. 107, luglio-settembre 1994

 

 

ABBIAMO ADOTTATO UNA BAMBINA GRAVEMENTE HANDICAPPATA

 

 

Mi chiamo Tonia. La mia famiglia è composta da me, mio marito Pino, da un ragazzo di 20 anni e una bimba di 4 anni. Siamo gente semplice: io sono casalinga e mio marito è un operaio.

Prima di diventare famiglia adottiva, siamo stati e ancora siamo famiglia affidataria... Ci sia­mo, quindi, misurati con nuove esperienze e con le inevitabili difficoltà che, però, ci hanno resi tutti più forti e pronti a qualsiasi evenienza.

Abbiamo incontrato nostra figlia Valentina nel '90, un incontro non semplice e ricco di difficol­tà. Quell'anno giunse alla Presidenza dell'AN­FAA di Taranto la segnalazione del ricovero, presso l'Ospedaletto di Bari, di una bimba di 8 mesi proveniente dall'IPPAI (Istituto provinciale per la protezione e l'assistenza all'infanzia) di Taranto in gravi condizioni, ma prossima ad es­sere dimessa.

I medici ritenevano che il sicuro ritorno in isti­tuto avrebbe ancor più aggravato il suo precario stato di salute e che solo l'inserimento in una fa­miglia poteva, forse, farla "sopravvivere".

Il caso ci fu segnalato, come soci dell'ANFAA. Così, ancora una volta, la mia famiglia si trovò unita a dire "sì" per accogliere in casa Valentina.

Il ricovero di urgenza era avvenuto perché la piccola era sottopeso come conseguenza di una anoressia e perché non rispondeva a sti­moli di alcun genere. Inoltre presentava un han­dicap genetico (frammento aggiuntivo al cromo­soma II) e aveva difficoltà respiratorie, per cui si può dire che Valentiva "vegetava", piuttosto che vivere! Per venirle in aiuto, la si alimentava con un sondino e le si praticavano cure massicce.

Non fu facile ottenere l'autorizzazione dal Tri­bunale per i minorenni di Lecce, sebbene ci fos­simo resi disponibili, senza porre alcuna condi­zione, a prendere la bambina in affidamento. Solo successivamente, con l'intervento del Tri­bunale per i minorenni di Bari e con l'aiuto dei medici, entrammo in contatto con il Tribunale per i minorenni di Lecce e riuscimmo a recarci all'IPPAI di Taranto, dove, nel frattempo, la bimba era ritornata.

Ma, anche in questo caso, la Vicepresidente, con oscure motivazioni, ci ostacolava e ci sug­geriva di rivedere le nostre decisioni. lo e mio marito non ci lasciammo scoraggiare e portam­mo via Valentina. Aveva, allora, già 11 mesi e pe­sava 5 kg, aveva la testa ciondoloni, non parla­va, non camminava, non muoveva le mani, pre­sentava un vuoto dietro la testa, forse perché era stata sempre sdraiata nella culla e non co­nosceva il calore delle braccia, né baci, né carezze. II suo sguardo era perso nel vuoto. L'accompagnava una diagnosi disastrosa: Valentina non avrebbe mai parlato, mai cammi­nato, mai sarebbe stata indipendente. La sua mente, poi... chi poteva dire se si sarebbe mai ri­svegliata?

Dopo averla portata a casa, consultammo il pediatra di fiducia che prescrisse, come se fos­se una neonata, vitamine, ferro, calcio... Noi, in famiglia, da parte nostra, cercavamo di tirarla su in ogni modo. Ma, dopo due mesi, lo stato di Va­lentina non migliorò e così, io e mio marito, deci­demmo di riportarla all'Ospedaletto di Bari per sottoporla, senza ulteriori ricoveri, ad una serie di accertamenti e si scoprì che erano in atto una polmonite ed una grave infezione alle vie urina­rie. Nel contempo, Valentina rimetteva tutto ciò che ingoiava. Per fortuna dopo due settimane e con cure adeguate, la bimba si riprese. In tutto quel periodo, non ci furono né visite, né alcun aiuto dei servizi sociali.

Dal Tribunale per i minorenni apprendemmo che Valentina non aveva alle spalle alcun paren­te e, di conseguenza come famiglia affidataria, cominciammo ad interrogarci sull'avvenire della bimba; il nostro più grave timore era che, una volta conclusosi il periodo di affidamento, ella potesse tornare in istituto e ritrovare quelle si­tuazioni di isolamento e di abbandono proprie della istituzionalizzazione.

Ci consultammo con nostro figlio, che allora aveva 18 anni, e decidemmo, tutti insieme, di fa­re domanda di adozione, fermamente convinti che solo quella scelta l'avrebbe salvata dall'emarginazione e dal rifiuto di vivere.

Con il passare dei giorni, Valentina cominciò a migliorare non solo fisicamente ma anche mo­ralmente, perché sentiva intorno a sé il calore di una famiglia e l'amore. Permaneva, però, il pro­blema dell'alimentazione e, tutt'oggi, Valentina, rifiuta i cibi solidi e mangia solo alimenti frullati: non tollera neanche un chicco di riso.

I problemi, però, non erano finiti: iniziò la lotta per il diritto alla terapia riabilitativa. Una terapia che doveva essere efficiente non solo in termini quantitativi, ma anche adattata ai suoi bisogni e condotta in modo personalizzato.

Invece ci trovammo di fronte ad una struttura, il Consorzio provinciale riabilitazione motoria, che offriva un generico trattamento ogni 15 gior­ni. lo, come madre, ritenni tutto questo insuffi­ciente e pretesi un trattamento globale quotidia­no. Per ottenere questo diritto, mi rivolsi al diret­tore sanitario del centro di riabilitazione che doveva concedere il nullaosta per usufruire di una struttura esterna convenzionata (Valentina al­l'epoca aveva 15 mesi).

In occasione di quel colloquio, che finì in malo modo, venni a sapere che la bambina era anco­ra in osservazione: infatti, non si riusciva a capi­re se le sue difficoltà erano dovute al suo handi­cap o al fatto che era stata per lungo tempo isti­tuzionalizzata. Loro, "gli esperti" mi consigliava­no di attendere... Io, da persona non qualificata, pensavo che, comunque, si poteva attuare la te­rapia riabilitativa!

Fu un braccio di ferro. Alle mie rimostranze, il suddetto direttore sanitario mi buttò fuori dalla stanza, gridando che avrei potuto fare tutto quello che volevo, ma privatamente, con i soldi miei e che la richiesta di un trattamento giorna­liero era errata e che rischiavo. sulla pelle della bambina!!! Gli risposi che noi avevamo rischiato tutto nel momento del suo accoglimento, perché Valentina sarebbe potuta anche morire!

Ci affidammo ad una terapista privata e la bambina cominciò a progredire. Noi, però, non avevamo possibilità economiche (il trattamento ci costava 25.000 lire al giorno) e, quando ci tro­vammo alle strette, ci rivolgemmo alla persona giusta che, in tre giorni, ci fece ottenere il nul­laosta dalla USL. In Italia, purtroppo, non vince il diritto, ma la raccomandazione! E fu lo stesso direttore sanitario a concederlo, per una struttu­ra esterna e con un trattamento giornaliero.

Dal punto di vista motorio, Valentina progredì molto e dopo un anno riuscì a camminare. Eppure, anche qui non mancarono i contrasti. Pur trovandoci benissimo con il centro, le diver­sità di vedute tra un'équipe e una mamma non mancarono. Io, che accompagnavo sempre la bambina, seguivo il mio istinto materno che mi suggeriva di tenerla tra le braccia e di coccolar­la, mentre la terapista, molto energica, mi invita­va a "spronarla" a diventare autonoma, per far recuperare più in fretta il tempo perduto.

Al contrario, come madre, ero sempre più convinta che a Valentina bisognava dare il tem­po necessario per il recupero, senza forzarla, e farle assaporare, finalmente, l'affetto e le premu­re di una famiglia. Era giusto, secondo me, che la bimba si nutrisse di ciò che fino a quel mo­mento le era mancato sul piano affettivo.

I dubbi cominciarono a tormentarci per que­sta diversità di vedute e ci rivolgemmo ad un centro di neuropsichiatria infantile; prendemmo contatti, per nostra fortuna, con il dott. Guido Cattabeni di Milano che ci disse che Valentina aveva già recuperato molto, che doveva essere trattata senza fretta, con calma e con affetto e che era giusto che io seguissi il mio istinto ma­terno. Inoltre, ci consigliò di restare un po' di­staccati dai tecnici, poiché Valentina era ancora bloccata psichicamente e aveva bisogno dei ge­nitori. Dopo quell'incontro sentii dentro di me tanta tranquillità; naturalmente, al rientro da Mi­lano, concordai con la terapista e la psicologa, di lasciarmi fare la madre!

Ormai tranquilla, Valentina si è sbloccata da sola, sia pure solo in parte: ora dice quando de­ve fare i suoi bisogni, cammina, corre, compren­de tutto, va all'asilo e le sue relazioni con gli altri sono migliorate.

Certo, i problemi rimangono e il dott. Cattabe­ni ce lo ha confermato: il futuro di Valentina è in­certo, perché legato alla sua volontà di superare i suoi blocchi mentali; non vuole parlare (pur di­mostrando di saperlo fare), non vuole ingoiare nulla e basta poco per ricondurla ad un passato che la spaventa... Ma noi siamo fiduciosi perché le vogliamo bene. Adora il fratello ed è commo­vente vedere come stanno bene insieme! Ogni sua vittoria ci esalta.

In tanti ci chiedono come abbiamo fatto: non lo so, non vi sono ricette; Valentina è stata ac­colta con amore e con affetto, da me, da mio marito e da mio figlio.

Con tutto questo, non vuol dire che non ab­biamo avuto momenti di sconforto, di paura e di impotenza, ma ci siamo sempre ripresi pur di aiutare Valentina a vivere e ad essere felice.

Mai abbiamo avuto accanto un operatore; an­zi, quando, con gioia, abbiamo annunciato che la bambina era divenuta a tutti gli effetti nostra figlia, ci è stato risposto: «Meno male, così ce la togliamo dalle spalle».

Mi chiedo, da quali spalle? Abbiamo cambiato casa e nessuno dell'équipe zonale conosce le due abitazioni. Ogni giorno portavo la bambina a fare terapia, a piedi (poiché non abbiamo la macchina) e nessuno di loro si è mai offerto di farmi una gentilezza, di darmi una mano.

Agli operatori, ma non voglio giudicare nessu­no, posso dire che noi, ossia la mia famiglia, ci siamo trovati soli. Non è facile vivere con un bam­bino con handicap e in particolari condizioni.

La vicinanza, l'aiuto, la presenza di persone qualificate possono rendere meno amare certe giornate e ridare fiducia nei momenti di sconfor­to. Ma voglio sottolineare che non è l'handicap in sé che crea disagio, quanto l'ambiente ester­no, i diritti che non vengono rispettati, le difficol­tà di rapporto con gli enti locali.

Anche la scuola aiuta, ma io sono stata co­stretta ad iscrivere Valentina in un asilo privato; solo ora ho inserito la piccola in una scuola ma­terna pubblica dove mi assicurano che possono seguirla bene.

Lo ripeto, noi abbiamo fiducia e crediamo che Valentina conquisterà il suo spazio; attualmente cerchiamo di darle serenità.

 

 

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