ABBIAMO
ADOTTATO UNA BAMBINA GRAVEMENTE HANDICAPPATA
Mi chiamo Tonia. La mia famiglia è composta da me,
mio marito Pino, da un ragazzo di 20 anni e una bimba di 4 anni. Siamo gente
semplice: io sono casalinga e mio marito è un operaio.
Prima di diventare famiglia adottiva, siamo stati e
ancora siamo famiglia affidataria... Ci siamo, quindi, misurati con nuove
esperienze e con le inevitabili difficoltà che, però, ci hanno resi tutti più
forti e pronti a qualsiasi evenienza.
Abbiamo incontrato nostra figlia Valentina nel '90,
un incontro non semplice e ricco di difficoltà. Quell'anno giunse alla
Presidenza dell'ANFAA di Taranto la segnalazione del ricovero, presso l'Ospedaletto
di Bari, di una bimba di 8 mesi proveniente dall'IPPAI (Istituto provinciale per
la protezione e l'assistenza all'infanzia) di Taranto in gravi condizioni, ma
prossima ad essere dimessa.
I medici ritenevano che il sicuro ritorno in istituto
avrebbe ancor più aggravato il suo precario stato di salute e che solo
l'inserimento in una famiglia poteva, forse, farla "sopravvivere".
Il caso ci fu segnalato, come soci dell'ANFAA. Così,
ancora una volta, la mia famiglia si trovò unita a dire "sì" per
accogliere in casa Valentina.
Il ricovero di urgenza era avvenuto perché la piccola
era sottopeso come conseguenza di una anoressia e perché non rispondeva a stimoli
di alcun genere. Inoltre presentava un handicap genetico (frammento aggiuntivo
al cromosoma II) e aveva difficoltà respiratorie, per cui si può dire che
Valentiva "vegetava", piuttosto
che vivere! Per venirle in aiuto, la si alimentava con un sondino e le si
praticavano cure massicce.
Non fu facile ottenere l'autorizzazione dal Tribunale
per i minorenni di Lecce, sebbene ci fossimo resi disponibili, senza porre
alcuna condizione, a prendere la bambina in affidamento. Solo successivamente,
con l'intervento del Tribunale per i minorenni di Bari e con l'aiuto dei
medici, entrammo in contatto con il Tribunale per i minorenni di Lecce e
riuscimmo a recarci all'IPPAI di Taranto, dove, nel frattempo, la bimba era
ritornata.
Ma, anche in questo caso, la Vicepresidente, con
oscure motivazioni, ci ostacolava e ci suggeriva di rivedere le nostre
decisioni. lo e mio marito non ci lasciammo scoraggiare e portammo via
Valentina. Aveva, allora, già 11 mesi e pesava 5 kg, aveva la testa
ciondoloni, non parlava, non camminava, non muoveva le mani, presentava un
vuoto dietro la testa, forse perché era stata sempre sdraiata nella culla e non
conosceva il calore delle braccia, né baci, né carezze. II suo sguardo era
perso nel vuoto. L'accompagnava una diagnosi disastrosa: Valentina non avrebbe
mai parlato, mai camminato, mai sarebbe stata indipendente. La sua mente,
poi... chi poteva dire se si sarebbe mai risvegliata?
Dopo averla portata a casa, consultammo il pediatra
di fiducia che prescrisse, come se fosse una neonata, vitamine, ferro,
calcio... Noi, in famiglia, da parte nostra, cercavamo di tirarla su in ogni
modo. Ma, dopo due mesi, lo stato di Valentina non migliorò e così, io e mio
marito, decidemmo di riportarla all'Ospedaletto di Bari per sottoporla, senza
ulteriori ricoveri, ad una serie di accertamenti e si scoprì che erano in atto
una polmonite ed una grave infezione alle vie urinarie. Nel contempo,
Valentina rimetteva tutto ciò che ingoiava. Per fortuna dopo due settimane e
con cure adeguate, la bimba si riprese. In tutto quel periodo, non ci furono né
visite, né alcun aiuto dei servizi sociali.
Dal Tribunale per i minorenni apprendemmo che
Valentina non aveva alle spalle alcun parente e, di conseguenza come famiglia
affidataria, cominciammo ad interrogarci sull'avvenire della bimba; il nostro
più grave timore era che, una volta conclusosi il periodo di affidamento, ella
potesse tornare in istituto e ritrovare quelle situazioni di isolamento e di
abbandono proprie della istituzionalizzazione.
Ci consultammo con nostro figlio, che allora aveva 18
anni, e decidemmo, tutti insieme, di fare domanda di adozione, fermamente
convinti che solo quella scelta l'avrebbe salvata dall'emarginazione e dal
rifiuto di vivere.
Con il passare dei giorni, Valentina cominciò a
migliorare non solo fisicamente ma anche moralmente, perché sentiva intorno a
sé il calore di una famiglia e l'amore. Permaneva, però, il problema
dell'alimentazione e, tutt'oggi, Valentina, rifiuta i cibi solidi e mangia solo
alimenti frullati: non tollera neanche un chicco di riso.
I problemi, però, non erano finiti: iniziò la lotta
per il diritto alla terapia riabilitativa. Una terapia che doveva essere
efficiente non solo in termini quantitativi, ma anche adattata ai suoi bisogni
e condotta in modo personalizzato.
Invece ci trovammo di fronte ad una struttura, il
Consorzio provinciale riabilitazione motoria, che offriva un generico
trattamento ogni 15 giorni. lo, come madre, ritenni tutto questo insufficiente
e pretesi un trattamento globale quotidiano. Per ottenere questo diritto, mi
rivolsi al direttore sanitario del centro di riabilitazione che doveva
concedere il nullaosta per usufruire di una struttura esterna convenzionata
(Valentina all'epoca aveva 15 mesi).
In occasione di quel colloquio, che finì in malo
modo, venni a sapere che la bambina era ancora in osservazione: infatti, non
si riusciva a capire se le sue difficoltà erano dovute al suo handicap o al
fatto che era stata per lungo tempo istituzionalizzata. Loro, "gli
esperti" mi consigliavano di attendere... Io, da persona non qualificata,
pensavo che, comunque, si poteva attuare la terapia riabilitativa!
Fu un braccio di ferro. Alle mie rimostranze, il
suddetto direttore sanitario mi buttò fuori dalla stanza, gridando che avrei
potuto fare tutto quello che volevo, ma privatamente, con i soldi miei e che la
richiesta di un trattamento giornaliero era errata e che rischiavo. sulla
pelle della bambina!!! Gli risposi che noi avevamo rischiato tutto nel momento
del suo accoglimento, perché Valentina sarebbe potuta anche morire!
Ci affidammo ad una terapista privata e la bambina
cominciò a progredire. Noi, però, non avevamo possibilità economiche (il trattamento
ci costava 25.000 lire al giorno) e, quando ci trovammo alle strette, ci
rivolgemmo alla persona giusta che, in tre giorni, ci fece ottenere il nullaosta
dalla USL. In Italia, purtroppo, non vince il diritto, ma la raccomandazione! E
fu lo stesso direttore sanitario a concederlo, per una struttura esterna e con
un trattamento giornaliero.
Dal punto di vista motorio, Valentina progredì molto
e dopo un anno riuscì a camminare. Eppure, anche qui non mancarono i contrasti.
Pur trovandoci benissimo con il centro, le diversità di vedute tra un'équipe e
una mamma non mancarono. Io, che accompagnavo sempre la bambina, seguivo il mio
istinto materno che mi suggeriva di tenerla tra le braccia e di coccolarla,
mentre la terapista, molto energica, mi invitava a "spronarla" a
diventare autonoma, per far recuperare più in fretta il tempo perduto.
Al contrario, come madre, ero sempre più convinta che
a Valentina bisognava dare il tempo necessario per il recupero, senza
forzarla, e farle assaporare, finalmente, l'affetto e le premure di una
famiglia. Era giusto, secondo me, che la bimba si nutrisse di ciò che fino a
quel momento le era mancato sul piano affettivo.
I dubbi cominciarono a tormentarci per questa
diversità di vedute e ci rivolgemmo ad un centro di neuropsichiatria infantile;
prendemmo contatti, per nostra fortuna, con il dott. Guido Cattabeni di Milano
che ci disse che Valentina aveva già recuperato molto, che doveva essere
trattata senza fretta, con calma e con affetto e che era giusto che io seguissi
il mio istinto materno. Inoltre, ci consigliò di restare un po' distaccati
dai tecnici, poiché Valentina era ancora bloccata psichicamente e aveva bisogno
dei genitori. Dopo quell'incontro sentii dentro di me tanta tranquillità;
naturalmente, al rientro da Milano, concordai con la terapista e la psicologa,
di lasciarmi fare la madre!
Ormai tranquilla, Valentina si è sbloccata da sola,
sia pure solo in parte: ora dice quando deve fare i suoi bisogni, cammina,
corre, comprende tutto, va all'asilo e le sue relazioni con gli altri sono
migliorate.
Certo, i problemi rimangono e il dott. Cattabeni ce
lo ha confermato: il futuro di Valentina è incerto, perché legato alla sua
volontà di superare i suoi blocchi mentali; non vuole parlare (pur dimostrando
di saperlo fare), non vuole ingoiare nulla e basta poco per ricondurla ad un
passato che la spaventa... Ma noi siamo fiduciosi perché le vogliamo bene.
Adora il fratello ed è commovente vedere come stanno bene insieme! Ogni sua
vittoria ci esalta.
In tanti ci chiedono come abbiamo fatto: non lo so,
non vi sono ricette; Valentina è stata accolta con amore e con affetto, da me,
da mio marito e da mio figlio.
Con tutto questo, non vuol dire che non abbiamo
avuto momenti di sconforto, di paura e di impotenza, ma ci siamo sempre ripresi
pur di aiutare Valentina a vivere e ad essere felice.
Mai abbiamo avuto accanto un operatore; anzi,
quando, con gioia, abbiamo annunciato che la bambina era divenuta a tutti gli
effetti nostra figlia, ci è stato risposto: «Meno male, così ce la togliamo
dalle spalle».
Mi chiedo, da quali spalle? Abbiamo cambiato casa e
nessuno dell'équipe zonale conosce le due abitazioni. Ogni giorno portavo la
bambina a fare terapia, a piedi (poiché non abbiamo la macchina) e nessuno di
loro si è mai offerto di farmi una gentilezza, di darmi una mano.
Agli operatori, ma non voglio giudicare nessuno,
posso dire che noi, ossia la mia famiglia, ci siamo trovati soli. Non è facile
vivere con un bambino con handicap e in particolari condizioni.
La vicinanza, l'aiuto, la presenza di persone
qualificate possono rendere meno amare certe giornate e ridare fiducia nei
momenti di sconforto. Ma voglio sottolineare che non è l'handicap in sé che
crea disagio, quanto l'ambiente esterno, i diritti che non vengono rispettati,
le difficoltà di rapporto con gli enti locali.
Anche la scuola aiuta, ma io sono stata costretta ad
iscrivere Valentina in un asilo privato; solo ora ho inserito la piccola in una
scuola materna pubblica dove mi assicurano che possono seguirla bene.
Lo ripeto, noi abbiamo fiducia e crediamo che
Valentina conquisterà il suo spazio; attualmente cerchiamo di darle serenità.
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