I DIRITTI
DELLA PICCOLA A.D. SONO STATI RISPETTATI?
Riportiamo
integralmente (1) la lettera inviata in data 1° giugno 1994
dalla Presidente dell'Associazione Progetto Accoglienza (Via Andrione n. 38,
95124 Catania, tel. 095/31.26.91) ai Presidenti e ai Procuratori della
Repubblica dei Tribunali per i minorenni di Caltanissetta e di Catania, al
Pretore di Troina, al Servizio sociale del Comune di Catania, al Servizio
materno-infantile dell'USL 36 e, per conoscenza, all'USL 18 e all'Istituto Oasi
Maria Santissima di Troina, alla sede centrale e alla Sezione di Catania
dell'Associazione Bambini Down, all'Associazione Telefonica Assistenza, al
Coordinamento nazionale per la difesa e piena attuazione della legge 184/83,
all'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, alla Comunità papa
Giovanni XXIII (sede centrale e zona Sicilia) e all'Associazione italiana
Avvocati per la famiglia.
Già in data 21.6.1993 la nostra associazione
segnalava ai Tribunali per i minorenni di Caltanissetta e Catania, al Servizio
sociale del Comune di Catania, alla USL 36 di Catania e, per conoscenza, alla
USL 18 di Troina, all'Istituto Oasi Maria Santissima di Troina,
all'Associazione Bambini Down - sezione di Catania e all'Associazione di
assistenza telefonica all'infanzia "Telefono del Sole" di Catania,
la situazione della piccola A.D., ora di anni 5 e mezzo, ricoverata fin da
piccolissima presso l'istituto Oasi Maria Santissima di Troina perché affetta
da sindrome di Down, e i cui genitori risiedono in C., via P.
Poiché non ci risulta che alla data della nostra
segnalazione sia stata modificata la condizione di vita della piccola A.D.,
teniamo a ribadire quanto sottolineato nella nota del 21.6.1993, e
precisamente:
1) in base alla legge 184/83 è preciso diritto del
minore «essere educato nell'ambito della propria famiglia» (art. 1), e nel
nostro ordinamento un diritto soggettivo non può essere misconosciuto, ma va
esigito e tutelato;
2) in nessun articolo la legge 184/83 affievolisce
il diritto del minore a vivere nella
propria famiglia nel caso della presenza di un handicap.
Per quanto, poi, in particolare, attiene allo
specifico handicap di A.D. (sindrome di Down associata, sembra, a malattia
celiaca ed a cardiopatia congenita per la quale, peraltro, è stata operata con
ottimi risultati) è tassativamente da
escludersi che esso richieda la permanenza in istituto specializzato. Anzi, è
ormai universalmente noto che il pieno inserimento affettivo e relazionale
nella vita familiare e sociale sia lo stimolo veramente efficace per
l'acquisizione delle abilità perseguibili dalle persone Down.
La stragrande maggioranza delle persone Down, infatti
(e cioè tutte quelle che non hanno subito la non accettazione, il rifiuto e,
quindi, l'abbandono più o meno conclamato della famiglia di sangue), vivono
una vita assolutamente normale nella propria famiglia (e cioè la famiglia degli
affetti, che sia quella di sangue, o adottiva, o affidataria), frequentando le
scuole pubbliche e tutti i luoghi di socializzazione previsti per i loro
coetanei, e sono in grado di inserirsi lavorativamente in molti settori della
vita produttiva. Certo, tutti vengono aiutati nel loro sviluppo psico-fisico
da programmi di fisioterapia, logopedia, psicomotricità, musicoterapia,
ippoterapia, ecc., ma sempre
ambulatorialmente o presso strutture sanitarie o ricreative aperte al pubblico
(studi professionali, palestre, piscine, impianti sportivi, ecc.); né ciò
costituisce un oneroso aggravio di fatica per i genitori, in quanto è noto
come la maggior parte dei bambini frequenti oggi, oltre la scuola, strutture
ricreazionali di tipo sportivo o di animazione;
3) la legge 184/83 all'art. 8 consente il ricovero in istituto di un minore solo se esso è
dovuto a «forza maggiore di carattere transitorio».
La sindrome di Down non ha carattere transitorio:
chi nasce Down, tale rimane per tutta la vita, e spetta ai genitori prenderne
atto.
La sindrome di Down non è «forza maggiore» che
imponga l'allontanamento del minore dalla famiglia: essa non richiede la
degenza in istituto, come già ampiamente sottolineato al punto precedente, e
quindi non giustifica la permanenza di A.D. presso l'Oasi Maria Santissima di
Troina;
4) ci risulta che A.D. presenti quegli atteggiamenti
di ricerca del contatto fisico, di autolesionismo, di aggressività, di
movimenti stereotipi, di mancanza di allegria, che ben conoscono coloro che
hanno accolto nelle loro famiglie dei minori precocemente istituzionalizzati o
comunque carenti dal punto di vista affettivo.
Molti sono gli studi (Spitz, Bowlby, ecc.) che
sottolineano come la precoce carenza affettiva (e cioè non la mancanza di un
generico affettuoso accudimento, bensì la mancanza di stabili figure
significative che scelgano per sempre il bambino e gli dedichino giorno dopo
giorno il loro cuore, la loro mente, la loro vita) provochi gravi disturbi
nella personalità e nello sviluppo anche fisico. Nessun bambino impara a
parlare perché riceve un adeguato trattamento di logopedia, neanche i bambini
Down. II bambino impara a parlare perché vuole comunicare con la madre che ama
e da cui è riamato. E ciò vale anche per il bambino Down, anche se nel suo caso
è opportuno integrare il normale stimolo familiare con un programma di
trattamento logopedico ambulatoriale.
Quali che siano gli interventi riabilitativi cui A.D.
è stata sottoposta presso l'istituto che la ospita, quindi, ci sembra di poter
ragionevolmente dubitare che la prolungata istituzionalizzazione le abbia
arrecato giovamento nello sviluppo psico-fisico. Peraltro, anche da fonte giuridica,
è sottolineato il danno che il minore subisce dalla istituzionalizzazione e lo
stretto collegamento tra prolungato ricovero e stato di abbandono: «La
prolungata istituzionalizzazione, dimostrando un sostanziale disinteresse della
madre per i minori e privando costoro dell'ambiente familiare e, comunque,
delle cure materiali e morali che i genitori prestano normalmente ai figli, è
indice di per sé di uno stato di abbandono, confermato nella specie dai danni
psicologici, subiti dai minori stessi» (Appello Sezione Minorenni Roma, 20
gennaio 1982, in Giurisprudenza di merito, 1984, 26);
5) ci risulta che, a tutt'oggi, nonostante l'intervento
da noi sollecitato del Servizio sociale di Catania, siano risultati infruttuosi
gli insistenti tentativi di inserire A.D. presso la propria famiglia di
sangue, di farle conoscere la gioia di essere amata, coccolata, vezzeggiata
dai propri familiari in modo continuativo, duraturo e, vorremmo aggiungere,
gioioso.
Da quanto è a nostra conoscenza, il punto nodale che
ha determinato l'istituzionalizzazione di A.D. non è tanto la convinzione che
questa sia la migliore soluzione per lei, quanto la sostanziale non
accettazione del suo handicap da parte dei genitori, che peraltro pare non
abbiano recentemente mutato il loro atteggiamento nonostante i mesi di
continua sollecitazione del Servizio sociale e la disponibilità al confronto
offerta da famiglie che vivono felicemente con i loro figli Down.
Se i genitori non accettano A.D., se non intendono
riprenderla con sé come veri e amorosi "papà e mamma", se già quasi
un anno è trascorso dalla presa in carico della situazione da parte dei
servizi senza che alcunché si sia modificato nella vita della piccola, non ci
sembra che si possa fare altro che prendere atto, tenuto conto anche di quanto
finora esposto, del presumibile stato di abbandono di A.D. da parte della sua
famiglia.
Ciò prescinde peraltro da ogni giudizio o valutazione
nei confronti dei genitori della bambina, cui va la nostra comprensione per il
travaglio interiore che indubbiamente vivono. Ma questa umana comprensione non
toglie nulla all'oggettività della situazione di abbandono e alla perentorietà
dell'esigenza di non calpestare i diritti di A.D. La sua famiglia di sangue, infatti,
sia pure per incolpevole incapacità, pare che non sia mai stata né che intenda
essere in futuro il sano ed affettuoso ambiente di crescita cui la bambina ha
diritto;
6) se questa è la situazione, chiediamo che essa
venga valutata sulla base dell'art. 8 della legge 184/83 e dell'interpretazione
che di esso dà la giurisprudenza: «... non avendo la dichiarazione di
adottabilità carattere sanzionatorio per i genitori, ma tutelando unicamente
l'interesse dei minore, l'art. 8 della legge 184/83 ... deve essere
interpretato nel senso dell'assoluta prevalenza della prioritaria esigenza del
minore di svilupparsi in un ambiente sano e affettuoso,senza trascurare,
peraltro, che il miglior ambiente di crescita per il minore resta pur sempre,
almeno tendenzialmente, quello della famiglia di sangue» (Cassazione, 13
gennaio 1988, n. 180, in Massimario Foro Italiano, 1988; Cassazione, 2 aprile
1986, n. 2234, in Massimario Foro Italiano, 1986).
Né, peraltro, la solerzia nel provvedere economicamente
alle esigenze materiali del figlio o le sporadiche visite in istituto possono
ritenere assolto da parte dei genitori il dovere di «assistenza materiale e
morale» che la vigente normativa loro impone (legge 184/83, art. 8, c. 2), e da
cui non sono esonerati neanche nel caso della presenza di un handicap del
minore. Infatti: «... l'assistenza dovuta dai genitori non può essere intesa
come semplice somma di prestazioni, bensì come attività globale di adeguata
formazione dello sviluppo della personalità del minore in rapporto ai doveri
dei genitori di cui agli artt. 147, 316, 330 del Codice civile» (Cassazione, 5
dicembre 1987, n. 9054, in Massimario Foro Italiano, 1987).
Nell'esclusivo interesse di A.D., quindi, che se
risultassero confermate le nostre informazioni verrebbe dall'attuale situazione
gravemente lesa nei propri fondamentali diritti, in quanto già nei suoi primi
anni di vita (i più importanti, teniamo a sottolinearlo, perché formano
l'individuo, sia o meno affetto da sindrome di Down) arbitrariamente privata
del diritto a vivere in famiglia, chiediamo quindi vigorosamente che le venga riconosciuto lo stato di adottabilità.
Qualora il Tribunale per i minorenni competente per
giurisdizione non ritenesse opportuna, per ragioni a lui note, tale decisione,
chiediamo almeno, e con forza, che
venga posta in affidamento familiare, applicando quanto impone l'art. 2 della
legge 184/83: «II minore che sia temporaneamente privo di un ambiente
familiare idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia, possibilmente con
figli minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo familiare, al
fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione. Ove non sia
possibile un conveniente affidamento familiare, è consentito il ricovero del
minore in un istituto di assistenza pubblico o privato, da realizzarsi di
preferenza nell'ambito regione di residenza del minore stesso».
Che A.D. sia solo “temporaneamente” priva di adeguato
ambiente familiare ci sembra, come già rilevato, opinabile: ma si tratta di una
valutazione che spetta al Tribunale per i minorenni di Caltanissetta.
Ma che A.D. sia di
fatto "priva" di adeguato ambiente familiare ci sembra cosa
evidente: l'istituto non è una famiglia (né di sangue, né adottiva, né
affidataria), non è una persona che accoglie nella propria casa, non è una
comunità di tipo familiare. L'istituto è quella ultima, residuale soluzione
che la legge "consente" solo quando si sia tentato senza successo, di
provvedere ad un «conveniente affidamento familiare» secondo le priorità
previste dall'art. 2. Ma per A.D. l'istituto è stato individuato come
"la" soluzione, contrariamente a quanto imposto dal dettato dell'art.
2.
Ribadiamo quindi la nostra richiesta che, ove il
Tribunale per i minorenni di Caltanissetta non ritenga di dichiarare lo stato
di abbandono della minore, provveda almeno ad applicare la normativa vigente
disponendo un conveniente affido familiare della piccola presso una famiglia
disposta non solo a garantirle tutta l'assistenza necessaria, ma soprattutto
ad amarla teneramente;
7) qualora il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta
nutrisse dei dubbi sulla possibilità di trovare una famiglia adottiva o
affidataria che possa costituire per A.D. una collocazione più
idonea
non solo alle disposizioni legislative, ma soprattutto alle sue esigenze
affettive, relazionali e psicologiche rispetto all'attuale ricovero presso
l'Oasi Maria Santissima di Troina, sottolineiamo come siano ormai tanti i
minori con handicap, anche gravissimi, felicemente accolti in caldi e gioiosi
ambienti familiari che hanno consentito un insperato recupero delle loro
capacità. Ci impegnamo peraltro a collaborare, se necessario, per la ricerca
di una famiglia anche per A.D., e anche in tal senso sollecitiamo l'intervento
sul caso in oggetto da parte delle associazioni di volontariato in indirizzo.
Ci sembra peraltro inutile sottolineare che A.D. ha
diritto ad una vera famiglia, che modifichi sostanzialmente
la sua vita affettiva e relazionale: riteniamo quindi del tutto priva di fondamento
logico l'ipotesi, che pare venga avanzata dalla sua famiglia di sangue, anche
solo di pensare ad un eventuale affidamento all'educatrice che con lei divide
la stanza in istituto. Quali che siano i rapporti di consuetudine che
attualmente intercorrono tra questa e la minore, infatti, provvedere ad un
affido in tal senso non solo non apporterebbe sostanziali modifiche all'attuale
condizione di vita di A.D. ma, cosa assai più grave, legittimerebbe
giuridicamente la situazione di palese ingiustizia che la piccola ha finora subito
e la priverebbe, ancora una volta, del diritto ad avere una famiglia completa con papà, mamma, fratelli,
nonni, ecc., che la scelga pienamente e senza condizioni.
Certo, cambiare situazione di vita porrà ad A.D.,
almeno all'inizio, problemi di adattamento. Ma così come, pur sapendo che le
prime esperienze di nutrizione pongono tanti problemi a chi per troppo tempo è
stato costretto al digiuno, non ci esimiamo dal nutrire coloro che muoiono di
fame, allo stesso modo riteniamo che non ci si debba sottrarre all'obbligo di
dare ad A.D, il nutrimento affettivo di cui ha bisogno, certi che, passata la
prima fase di transizione, non potrà non integrarsi pienamente in una
situazione di vita più consona alle sue esigenze affettive e relazionali, come
peraltro avviene per tutti i minori che vanno in adozione o in affido;
8) ci preme formulare una ulteriore, ultima
considerazione. L'art. 9, c. 3, della legge 184/83 attribuisce agli istituti di
assistenza pubblici o privati l'obbligo di trasmettere semestralmente l'elenco
dei minori ricoverati al Giudice tutelare, e a quest'ultimo l'obbligo di
individuare le possibili situazioni di abbandono da riferire al Tribunale per
i minorenni.
Ci chiediamo se in questi 5 anni e mezzo di vita di
A.D. sia mai stata rilevata la sua situazione di sostanziale abbandono, o se
invece il suo prolungato ricovero, privo di concrete prospettive di rientro in
famiglia, sia sembrato, in aperto contrasto con la normativa vigente, idoneo a
tutelare i suoi interessi.
Conseguentemente, non possiamo non chiederci quanti
minori come A.D. attendono che chi di dovere faccia valere il diritto alla
famiglia che la legge ha loro attribuito con tanta chiarezza.
II ruolo del Giudice tutelare prevede che la rilevazione
delle possibili situazioni di abbandono da segnalare al Tribunale per i
minorenni per una ulteriore valutazione tenga conto non tanto delle personali
opinioni o dei convincimenti dei singoli giudici, quanto delle chiare
indicazioni date dal nostro ordinamento giuridico attraverso la legge 184/83, e
in questa sede già ampiamente trattate.
II ruolo degli istituti, poi, specialmente se religiosi,
ci sembra particolarmente delicato. Noi ci auguriamo che gli istituti cerchino
di evitare il ricovero dei minori, soprattutto se handicappati, favorendo
invece una loro felice e pienamente integrata permanenza presso la famiglia di
sangue.
Ci auguriamo peraltro che, per quei minori che sono
costretti ad accogliere, gli istituti segnalino prontamente le situazioni in cui la difficoltà che ha causato il
ricovero non si presenti come realmente transitoria e dovuta a cause di forza
maggiore.
Ci auguriamo, infine, che gli istituti siano consapevoli
di non essere mai, neanche per un solo
giorno, una soluzione idonea alla crescita psicofisica dei minori, e si
adoperino non solo per una positiva permanenza dei bambini presso le famiglie
di sangue, ma anche per la diffusione di
una
cultura dell'accoglienza e della solidarietà che consenta di ricorrere
all'affidamento familiare in alternativa all'istituzionalizzazione.
Per quanto riguarda in particolare gli istituti
specializzati per l'accoglienza di minori portatori di handicap, specialmente
se religiosi, ci auguriamo che essi sviluppino la loro attività di ricerca e
di servizio proponendosi come luoghi non
di ricovero ma di consulenza specialistica e trattamenti ambulatoriali, con
la eventuale possibilità, quando necessario, di brevissime permanenze di
minori accompagnati da un familiare
per cicli di particolari terapie intensive o check-up periodici. Nei casi di minori handicappati non pienamente
accettati dai propri genitori, ci auguriamo che questi istituti, invece di
offrire una alternativa di tipo residenziale, non solo segnalino tali
situazioni "a rischio" agli organi competenti, ma si battano senza tregua perché anche a
questi minori, per quanto grave possa essere il loro handicap, venga trovata
una famiglia, adottiva o affidataria, che garantisca loro quel pieno
inserimento familiare e sociale cui hanno diritto non solo sul piano giuridico
ma, soprattutto, su quello della dignità umana.
Certi che le autorità competenti provvederanno
prontamente a rendere giustizia alla piccola A.D. inserendola presso una
famiglia adottiva o affidataria, chiediamo alle Associazioni di volontariato
in indirizzo di attivarsi per portare il loro contributo di esperienza e
competenza sulle problematiche affrontate in questa nota.
La presidente
Remigia D'Agata La Terza
(1) Mentre concordiamo pienamente con
quanto scritto dalla Presidente dell'Associazione Progetto Accoglienza di
Catania, a cui va il nostro plauso per la coraggiosa iniziativa, non riteniamo
che la permanenza in famiglia (che anche a nostro avviso deve essere
perseguita come obiettivo assolutamente prioritario) determini sempre ed ipso facto per le persone Down
«una vita assolutamente normale nella propria famiglia" e la capacità «di
inserirsi lavorativamente in molti settori della vita produttiva». Come
abbiamo documentato nei volumi di G. Basano, "Storia di Nicola"; di
P. Rollero e M. Faloppa, "Handicap grave e scuola"; di A. Borghi,
"Imparo come gli altri"; di M.G. Breda e M. Rago, "Formare per
l'autonomia" e di E. De Rienzo, C. Saccoccio e M.G. Breda, "Il lavoro
conquistato" (Collana "Quaderni di Promozione sociale, edita da
Rosenberg & Sellier) sono estremamente importanti gli interventi sanitari,
scolastici, abitativi, culturali, ricreativi, ecc. per un effettivo supporto
all'integrazione familiare e sociale.
www.fondazionepromozionesociale.it