IL
PROCESSO DI VALUTAZIONE DELLE COMUNITÀ PER MINORI: UNA RICERCA
DELL'ASSOCIAZIONE LILA
FRANCESCO BARBON (*) - LOREDANA GAMBUZZI (**)
Serve una comunità? Quanto serve? Come misurare in
termini di efficacia il lavoro degli operatori che si occupano di un minore?
Come possono gli educatori di una comunità e quelli dei servizi che con essa
collaborano, trovare parametri comuni per valutare l'andamento degli interventi
messi in atto?
A qualcuno questi interrogativi potranno apparire
più consoni a persone che si occupano di processi produttivi piuttosto che di
servizi sociali: solitamente l'intervento socio-assistenziale si misura nella
quantità di servizi che riesce a produrre.
Questa opinione risente probabilmente del clima che
si respira nell'ambiente: una disperata lotta per ottenere l'indispensabile!
Come si fa a sottilizzare sulla qualità?
I tentativi, e ce ne sono molti, di migliorare la
qualità dei servizi risultano le avanguardie di un esercito malconcio, messi in
mostra per spaventare il nemico e sperare che non si sogni di attaccare!
Dietro questi tentativi esiste spesso un grande numero di realtà (soprattutto
nel privato sociale) che a fatica riesce a confermare la propria esistenza e
ancor più faticosamente riesce ad impegnarsi sulla qualità dei propri interventi.
Non basta. Ed una volta che si è decisi a lavorare
sulla "qualità", quali possono essere gli indicatori, quali gli
strumenti per misurarla?
Nelle produzioni materiali è abbastanza facile
determinare gli standard qualitativi di un prodotto, molto più difficile
appare la valutazione dell'intervento sociale dove l'oggetto è sempre una
persona, e come tale compartecipante alla definizione degli interventi.
Infatti, in questo ambito, si risente di diverse interferenze dovute ad una
molteplicità di committenti e di beneficiari; ad esempio: chi è il cliente di
una comunità alloggio? II minore? La famiglia? II servizio inviante? II
tribunale? La società? E a pro di chi lavora la comunità? Del minore? Della
famiglia? ecc.
Questa "confusione" in realtà rappresenta
l'abituale ambiente entro cui i servizi sociali in genere operano ed ognuno
degli attori potrebbe definire un diverso obiettivo per lo stesso caso. Quale
quello "giusto"?
Con queste domande si corre il rischio di cadere da
un lato in una sorta di delirio d'onnipotenza (facciamo tutti contenti!),
dall'altro di diradare a tal punto l'incisività di un intervento da renderlo
alla fine inutile (tanto non possiamo accontentare tutti!).
Occorre perciò uscire dall'impasse di domande che si avvitano su se stesse, dal rischio di
parlare delle cose già accadute e poco di quelle che ci aspettiamo, attraverso
un processo di confronto volto alla definizione degli obiettivi e sostenuto da
strumenti appositamente creati allo scopo.
Un primo passo è consistito nel creare strumenti che
ci aiutino ad utilizzare la nostra esperienza passata, in vista di ottimizzare
l'intervento futuro.
Queste riflessioni e le questioni poste all'inizio
mettono naturalmente in grosso imbarazzo il "povero" operatore
sociale che, da una parte, si sente nella condizione di dover difendere le poche
o tante risorse costruite in questi anni e dall'altra vorrebbe poter riflettere
sul proprio lavoro in termini di verifica e crescita: guardare ciò che si è
fatto per migliorare.
L'Associazione Lila da oltre dieci anni gestisce
delle comunità educative per minori e, accanto al lavoro quotidiano nelle
strutture, ha intrapreso un cammino di formazione e supervisione: lo scopo di
questo processo è di sottoporre a verifica il proprio operare sia nella dimensione
dei rapporti all'interno delle comunità (tra educatori, famiglie e minori, tra
servizi esterni e comunità), ma anche in una dimensione macroscopica che
comprenda il funzionamento della comunità intesa come servizio del territorio.
Da questa esperienza nasce l'esigenza di "inventare"
un insieme di elementi di valutazione per le proprie strutture di accoglienza:
da un lato riuscire ad offrire all'esterno ed a noi stessi elementi di
verifica del lavoro svolto, dall'altro dotarci di uno strumento di confronto
utile anche sul piano di impostazione degli obiettivi e del processo da
avviare per ogni minore accolto.
Alcune note informative sulla comunità per minori
Per regolamento le nostre comunità accolgono minori (maschi
e femmine) dai 6 ai 18 anni; dalla ricerca emerge che la maggior parte (64%) è
stata inserita tra i dodici e i quindici anni e la tendenza attuale evidenzia
un aumento dell'età media d'immissione.
La storia dei minori prima dell'ingresso in comunità
è spesso complessa; in generale si può parlare di gravi carenze educative della
famiglia che spesso sfociano in episodi di una qualche gravità: abbandono
scolastico o difficoltà nell'inserimento, disturbi psicologici e devianza
sociale. In alcuni casi i ragazzi provengono da lunghi periodi di
istituzionalizzazione, le cui conseguenze negative sono note; per altri si
tratta del fallimento di affidi familiari impropri (cioè disposti senza un
definitivo progetto e senza l'indispensabile appoggio dei servizi) o adozioni
fallite perché non correttamente attuate.
Purtroppo la mancanza di una legge quadro che
promuova e regoli l'attività dei servizi per i minori rende precarie le
condizioni degli interventi di sostegno e aiuto; i segnalatori del disagio si
muovono su soglie molto alte, quando cioè la condizione del minore nella
propria famiglia è già gravemente compromessa; questo rende complesso e lungo
il lavoro di recupero, che spesso vede anche difficoltà di coordinamento da
parte dei diversi organismi competenti (servizi sociali comunali, Usi,
Tribunale, strutture d'accoglienza, centri specialistici). È quasi assente una
cultura di promozione del benessere, tale da consentire non solo l'intervento
sull'emergenza, ma anche specifiche attività di socializzazione nel territorio;
una scuola riformata in questo senso, rappresenterebbe una buona base di
partenza, in quanto tra i suoi banchi passano bene o male tutti i minori.
Il lavoro svolto dalla comunità è innanzitutto teso a
costruire un progetto educativo individuale per ogni minore in collaborazione
con i servizi invianti, le famiglie e il minore stesso. Esso comprende
obiettivi di tipo scolastico, lavorativo, di socializzazione, psicologico;
anche nei casi più gravi la famiglia è considerata (salvo precise disposizioni
del tribunale per i minorenni) come risorsa in quanto riteniamo che qualsiasi
miglioramento per la condizione generale di un minore sia strettamente connesso
all'elaborazione delle relazioni familiari.
11 progetto viene verificato ed eventualmente
aggiornato nel corso del tempo di permanenza in comunità; come già detto sopra,
il coordinamento con gli altri enti preposti risulta a volte difficile per le
carenze organizzative e di personale a cui essi sono sottoposti, accade così che
la comunità diventa l'unico punto di riferimento e debba intervenire per
sollecitare l'intervento delle istituzioni competenti.
L'inserimento
di alcuni ragazzi in età "avanzata" (16 e 17 anni) e con una
situazione familiare
e
personale di non facile soluzione, ha posto alla nostra associazione il
problema di quei giovani che, compiuto il diciottesimo anno d'età, non hanno
alcun riferimento per uscire dalla comunità. Per risolvere questo problema
abbiamo creato una struttura d'accoglienza per giovani; il riferimento del 15%
di ricoveri in istituto (termine corrente, anche se non adatto, usato per le
strutture diverse dalle comunità per minori), presente nelle tabelle allegate
è appunto relativo al passaggio a questa struttura di alcuni dei ragazzi dimessi
dalla comunità.
In che cosa consiste la ricerca
Si tratta di un sistema di questionari per raccogliere
i dati relativi ai minori che sono stati ospiti della comunità. Gli ambiti di
osservazione considerati sono: famiglia, scuola, lavoro, socializzazione,
servizi sociali, comunità. II questionario comprende una sorta di anamnesi al
momento della dimissione e gli obiettivi raggiunti per ogni ambito
considerato. Tali obiettivi sono predefiniti e valutabili attraverso una scala
graduata che consente di valutare la qualità dell'obiettivo raggiunto.
Vediamo i questionari; sono tre: quello centrale,
compilato al momento della dimissione, che fotografa il punto di arrivo, è
preceduto da uno d'ingresso, che definisce gli obiettivi di servizi, minore,
famiglia ed équipe di comunità, e seguito da un altro compilato ad un anno
dalla dimissione per verificare il mantenimento o meno nel tempo della
situazione raggiunta.
I dati di questa valutazione (oggetto di una
pubblicazione richiedibile presso la segreteria dell'Associazione Lila) (1)
nascono dalla sovrapposizione di due immagini: quella riferita agli obiettivi
individuati dall'équipe e dal servizio sociale al momento delle immissioni e/o
durante la permanenza in comunità del ragazzo e quella dell'effettivo livello
di raggiungimento di tali risultati al momento delle dimissioni e dopo un anno
da esse, in ognuno dei sistemi relazionali osservati per ciascun minore.
È dal confronto delle due immagini, peraltro in
continua e progressiva evoluzione, che può risultare possibile monitorare
l'efficacia dell'intervento complessivo dei nostri servizi. Pensiamo inoltre
che questo meccanismo possa parzialmente eliminare l'arbitrarietà insita in
questa sorta di autovalutazione. La definizione di obiettivi precisi permette
anche un confronto in itinere sul processo in atto e di "aggiustare il
tiro" nel caso emergano segnali che alcuni obiettivi sono stati sovra o
sottodimensionati.
I dati raccolti e i risultati
Premettendo che è la prima volta che questo strumento
viene applicato e perciò mancano dati di confronto, ci sembra comunque importante
riferire sinteticamente alcuni dei risultati ottenuti.
Inoltre va ricordato che questo tipo di questionario
non evidenzia il fondamentale lavoro svolto dalla comunità sul piano
psicologico individuale e relazionale nei confronti dei minori: questo
intervento attraversa e dà significato a tutti i diversi ambiti presi in esame
nella ricerca e rappresenta "l'anima" del lavoro delle comunità (per
chi fosse interessato è possibile avere informazioni su questo piano da una
pubblicazione dal titolo: "Il progetto educativo", sempre richiedibile
presso la segreteria dell'Associazione Lila).
Raccogliendo brevemente in una visione d'insieme i
dati della rilevazione, proponiamo alcune considerazioni.
L'alta percentuale di obiettivi raggiunti nell'ambito
della formazione personale del minore pesa a favore dell'intervento svolto,
dimostrando in particolare l'utilità di un lavoro mirato, concentrato nel tempo
più breve possibile e fondato su un uso attento del quotidiano come strumento educativo. Tra parentesi
rileviamo che parte degli insuccessi è dovuta a cause indipendenti
dell'Associazione, legate specie nei primi tempi a difficoltà
amministrativo-burocratiche (ad es. la sospensione della retta per due casi).
Ampliando il quadro, si nota una maggior percentuale
di fallimenti nell'ambito familiare piuttosto che nel contesto sociale
(scuola/lavoro); questo anche se una delle difficoltà più spesso esplicitate al
momento delle immissioni è legata agli studi ed alle compagnie del minore.
È stato appurato in diversi casi che il passaggio
elementari-medie è vissuto in modo traumatico sia dal minore che dalla
famiglia, non solo per le normali difficoltà del cambiamento (minor attenzione
alle relazioni rispetto ai contenuti, pluralità di materie e di professori,
ecc.), ma anche per il nuovo impegno di sostegno culturale extrascolastico che
pare necessario.
Pur non essendo certamente questa la motivazione
principale dell'allontanamento, a volte un sentimento di insufficienza da parte
del genitore di fronte alle nuove esigenze ed espressioni culturali (del
ragazzo e del contesto sociale in continua evoluzione) confermà l'inadeguatezza
nel seguire il minore, spesso esplicitamente affermata.
La comunità, d'altra parte, pone particolare
attenzione alla scelta delle scuole (se possibile) ed al rapporto con gli
insegnanti; la scuola è infatti per il minore il maggior ambito di riferimento
anche temporale dopo la famiglia. Molte volte il fatto che il minore risieda in
una comunità-alloggio lo pone automaticamente in posizione di diversità nella
classe, specie nell'approccio dei docenti; l'atteggiamento può variare da una
rassicurazione sul ragazzo ed una conseguente delega per quanto riguarda la
sua crescita personale e culturale ("il minore è comunque seguito"),
ad una cura particolare verso il ragazzo stesso, con la definizione concordata
di obiettivi scolastici concretamente perseguiti.
A partire da questi brevi cenni, si imporrebbe una
riflessione sull'istituzione scolastica, sul senso delle proposte culturali ed
educative che offre, sulla formazione degli insegnanti da un punto di vista
socio-psicopedagogico oltre che didattico, riflessione che lasciamo a chi, più
esperto di noi, può approfondire l'argomento con maggior cognizione di causa.
Se dunque la comunità, una volta concordati gli
obiettivi con il servizio sociale di base, può ottenere buoni successi riguardo
la maturazione e la socializzazione del minore lavorando autonomamente,
dimostra però l'insufficienza dei proprio solitario intervento nel contesto
familiare, luogo principale del disagio.
È nell'affrontare quest'ambito che dovrebbe
esprimersi il più intenso lavoro di rete fra servizi di vario livello, secondo
le proprie specificità.
Troppe volte l'allontanamento del minore significa
solo uno spostamento del problema: anche quando questo provvedimento esprime
la volontà di "salvare" il minore da un contesto che si ritiene
stabilizzato sul disagio cronico (valutazione del resto estrema) la soluzione
è spesso molto parziale perché comunque il minore continuerà a fare
riferimento a quel nucleo e l'equilibrio personale raggiunto potrebbe rimanere
quindi piuttosto fragile.
Ma anche nel caso di situazioni ritenute recuperabili,
non è pensabile che un intervento solo sul minore porti ad un automatico
miglioramento della situazione in famiglia, che invece generalmente tende ad
esprimere in modo diverso le proprie difficoltà, per esempio attraverso il disagio
individuale della persona più debole del nucleo, magari precedentemente
"protetta" dall'atteggiamento problematico del minore.
Globalmente, dunque, l'esperienza comunitaria pare
positiva nel rispondere a problematiche specifiche, all'interno del proprio
ruolo, ma insufficiente nell'affrontare situazioni compromesse a livello
sociale più ampio, per agire sulle quali si auspica una politica globale
centrata su un generale miglioramento della qualità della vita e, restando
nell'ambito degli interventi mirati, sempre maggiori collegamenti ed
organizzazione fra servizi di primo e secondo livello, oltre che con le agenzie
educative e ricreative territoriali.
Intendiamo protrarre nel tempo tale confronto: lo
strumento elaborato per la valutazione viene qui verificato per la prima volta
(la raccolta dati e l'analisi riguardano le dimissioni effettuate fra il 1982 e
il 1992); dopo gli eventuali aggiustamenti verrà regolarmente applicato nelle
comunità, aggiornandolo alle dimissioni di ogni minore.
Auspichiamo una collaborazione con i servizi sociali
per un uso attivo di questo strumento; potrebbe cioè essere utile continuare
l'osservazione dei dimessi per qualche tempo (com'è finora stato fatto dagli
operatori della comunità, informalmente), riproponendo le domande che nel
questionario si definiscono "ad un anno dalle dimissioni", sia per
un controllo dei casi, a sostegno e conferma dei risultati raggiunti con
eventuali nuovi interventi, sia per un monitoraggio conoscitivo sulla
popolazione giovanile utente dei servizi e sul contesto in cui vive. II
controllo è poi necessario se si vuole evitare che la comunità risulti essere
per il ragazzo una parentesi fine a se stessa, senza possibilità di successive
elaborazioni, che non sempre egli è in grado di promuovere e gestire
autonomamente.
Siamo consapevoli che un lavoro di questo tipo ha
dei limiti derivanti dall'aver ridotto a semplici numeri un contesto
professionale così complesso e particolareggiato; tuttavia consideriamo
estremamente importante l'individuazione di criteri oggettivi di osservazione
del lavoro, utili a favorire uno scambio di esperienze tra realtà operanti nel
nostro stesso ambito, e al contempo dotare il sistema "Lila" di una
costante verifica.
COLLOCAMENTO DOPO LE DIMISSIONI
Tipologia |
Al
momento delle
dimissioni |
Dopo 1
anno dalle
dimissioni |
Attualmente |
|||
|
n° casi |
% |
n° casi |
% |
n° casi |
% |
Famiglia di origine |
19 |
69% |
14 |
65% |
17 |
62% |
Famiglia adottiva o affidataria |
1 |
3% |
1 |
3% |
0 |
- |
Solo |
1 |
3% |
4 |
15% |
1 |
3% |
Istituto |
4 |
15% |
2 |
7% |
3 |
11% |
Costituito famiglia |
1 |
3% |
1 |
3% |
3 |
11% |
Presso parenti |
2 |
7% |
2 |
7% |
2 |
7% |
Carcere |
0 |
- |
0 |
- |
1 |
3% |
Altro |
0 |
- |
0 |
- |
1 |
3% |
TOTALE |
28 |
100% |
28 |
100% |
28 |
100% |
OBIETTIVI FAMIGLIA
Obiettivi |
Obiettivo |
Obiettivo |
Obiettivo |
Obiettivo |
Obiettivo |
|||||
|
non con- |
non con- |
non rag- |
parzial- |
raggiunto |
|||||
|
sidera- |
siderato |
giunto |
mente |
|
|||||
|
bile |
|
|
raggiunto |
|
|||||
|
casi |
% |
casi |
% |
casi |
% |
casi |
% |
casi |
% |
Integrazione |
1 |
3% |
4 |
15% |
12 |
43% |
6 |
21% |
5 |
18% |
Autonomia |
0 |
- |
0 |
- |
7 |
25% |
10 |
36% |
11 |
39% |
Consapevolezza |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
del minore |
2 |
7% |
0 |
- |
7 |
25% |
9 |
32% |
10 |
36% |
Consapevolezza |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
della famiglia |
3 |
12% |
1 |
3% |
14 |
50% |
9 |
32% |
1 |
30% |
Capacità di |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
gestire i con- |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
flitti interni da |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
da parte |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
del sistema |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
familiare |
3 |
12% |
0 |
- |
9 |
32% |
8 |
28% |
8 |
28% |
Livello di rag- |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
giungimento |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
obiettivi |
9 |
6% |
5 |
3% |
49 |
35% |
|
30% |
35 |
26% |
OBIETTIVO SCUOLA-LAVORO
Obiettivi |
Obiettivo |
Obiettivo |
Obiettivo |
|||
|
non |
parzialmente |
raggiunto |
|||
|
raggiunto |
raggiunto |
|
|||
|
n° casi |
% |
n° casi |
% |
n° casi |
% |
Raggiungi- |
|
|
|
|
|
|
mento grado |
|
|
|
|
|
|
scolastico |
|
|
|
|
|
|
prestabilito |
3 |
28% |
2 |
18% |
6 |
54% |
Rapporto non |
|
|
|
|
|
|
conflittuale |
3 |
28% |
4 |
36% |
4 |
33% |
Livello di rag- |
|
|
|
|
|
|
giungimento |
|
|
|
|
|
|
obiettivi |
6 |
27% |
6 |
27% |
10 |
46% |
Obiettivi |
Obiettivo |
Obiettivo |
Obiettivo |
|||
|
non |
parzialmente |
raggiunto |
|||
|
raggiunto |
raggiunto |
|
|||
|
n° casi |
% |
n° casi |
% |
n° casi |
% |
Raggiungi- |
|
|
|
|
|
|
mento grado |
|
|
|
|
|
|
scolastico |
|
|
|
|
|
|
prestabilito |
2 |
12% |
2 |
12% |
12 |
76% |
Inserimento |
|
|
|
|
|
|
lavorativo |
3 |
12% |
1 |
6% |
12 |
76% |
Raggiungimento |
|
|
|
|
|
|
autonomia |
|
|
|
|
|
|
economica |
4 |
25% |
2 |
12% |
10 |
83% |
Rapporto non |
|
|
|
|
|
|
conflittuale |
2 |
12% |
3 |
18% |
11 |
70% |
Livello di rag- |
|
|
|
|
|
|
giungimento |
|
|
|
|
|
|
obiettivi |
11 |
18% |
8 |
12% |
45 |
70% |
TEMPO DI PERMANENZA IN COMUNITA
Permanenza |
n°
casi |
% |
Permanenza |
n°
casi |
% |
da 0 a 3
mesi |
1 |
4% |
da 3 a 4
anni |
3 |
11% |
da 3 a 6mesi |
2 |
7% |
da4a5anni |
3 |
11% |
da 6 a 9
mesi |
0 |
- |
da 5 a 6
anni |
2 |
7% |
da 9 a 12
mesi |
1 |
4% |
oltre 6
anni |
2 |
7% |
da 1 a 2
anni |
6 |
21% |
TOTALE |
28 |
100% |
FONTE DI SOSTENTAMENTO
|
Al
momento |
Dopo 1
anno |
||
|
delle
dimissioni |
dalle
dimissioni |
||
|
n° casi |
% |
n° casi |
% |
Lavoro dipendente/ |
|
|
|
|
autonomo |
13 |
48% |
13 |
48% |
Lavoro occasionale |
|
|
3* (1) |
|
e/o in nero |
4 |
12% |
3 |
21% |
|
|
|
4* (1) |
|
Famiglia |
15 |
53% |
7 |
35% |
Sussidi |
4 |
14% |
4 |
14% |
Altro |
3 |
11% |
2 |
7% |
OBIETTIVI SOCIALIZZAZIONE
Obiettivi |
Obiettivo |
Obiettivo |
Obiettivo |
Obiettivo |
Obiettivo |
|||||
|
non con- |
non con- |
non rag- |
parzial- |
raggiunto |
|||||
|
sidera- |
siderato |
giunto |
mente |
|
|||||
|
bile |
|
|
raggiunto |
|
|||||
|
casi |
% |
casi |
% |
casi |
% |
casi |
% |
casi |
% |
Inserimento in |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
gruppi strut- |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
turati |
3 |
10% |
3 |
10% |
12 |
48% |
7 |
26% |
3 |
10% |
Capacità di |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
relazione con |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
coetanei |
0 |
- |
0 |
- |
8 |
28% |
6 |
22% |
14 |
50% |
Capacità di |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
gestire il |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
rapporto con |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
altro sesso |
3 |
10% |
2 |
7% |
7 |
25% |
12 |
44% |
2 |
24% |
Acquisizione di |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
comportamenti |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
socialmente |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
accettabili |
1 |
3% |
0 |
- |
5 |
18% |
6 |
22% |
16 |
57% |
Livello di |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
raggiungimento |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
obiettivi |
7 |
6% |
5 |
4% |
32 |
29% |
31 |
28% |
|
33% |
MANTENIMENTO OBIETTIVI GENERALI
AD UN ANNO DALLE DIMISSIONI
|
Famiglia |
Scuola-Lavoro |
Socializzazione |
|||
|
n° casi |
% |
n° casi |
% |
n° casi |
% |
Evoluzione positiva |
4 |
15% |
18 |
36% |
5 |
21% |
Mantenimento |
4* (1) 13 |
60% |
4* (1) 8 |
43% |
4* (1) 11 |
54% |
Regressione |
1* (1) 6 |
25% |
1* (1) 5 |
21% |
1* (1) 6 |
25% |
TOTALE |
28 |
100% |
28 |
100% |
28 |
100% |
HA MANTENUTO I CONTATTI CON LA COMUNITÀ
SI 71% |
NO 29% |
RIENTRI IN COMUNITÀ
NO 93% |
SI 7% |
(1)
Riguarda i casi dimessi nel 1991, per i quali non è ancora
trascorso un anno dalle dimissioni.
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