Prospettive assistenziali, n. 107, luglio-settembre 1994

 

 

QUALI RIMEDI CONTRO I FALSI INVALIDI

GRUPPO NAZIONALE "HANDICAPPATI E SOCIETÀ"

 

 

Premessa

Il Gruppo nazionale "Handicappati e socie­tà" (1) presenta con questo documento una ri­flessione che ha lo scopo di collocare in una giusta ottica il fenomeno dei "falsi invalidi" al fi­ne di evitare di fare di tutta un'erba un fascio, penalizzando quanti ne hanno realmente diritto.

Anche in occasione della discussione sull'ulti­ma legge finanziaria si è riproposta la ormai consueta campagna di stampa contro i "falsi in­validi". II disegno di legge proposto dal Governo contenente "Interventi correttivi di finanza pub­blica" prevedeva accertamenti, autocertificazio­ni, blocco delle domande, rimborso delle som­me indebitamente percepite in un periodo di tempo esteso fino a 10 anni, visite "senza preav­viso" e un complesso di interventi che si confi­guravano come una "presunzione di colpevolez­za" nei confronti di tutti gli handicappati, secon­do una logica che ricordava le leggi contro l'ac­cattonaggio.

II testo è stato emendato e migliorato in sede di approvazione, ma la psicosi dei falsi invalidi, come problema di bilancio, come tema ricorren­te della pubblicistica, resta consolidato nell'im­maginario collettivo e nell'opinione della mag­gioranza dei cittadini.

È dal 1989 che, costante fissa di ogni Gover­no, è la proposta di tagli alle pensioni di invalidi­tà, perché è da quel periodo che è cominciata la progressione delle spese dello Stato per pen­sioni e indennità, che ha registrato i seguenti in­crementi (2):

-   1988:   8 mila miliardi

-   1989:   10 mila e 600 miliardi

-   1990:   12 mila e 500 miliardi

-   1991:   11 mila e 200 miliardi

La diminuzione del 1991 è dovuta al blocco degli accertamenti conseguenti alla "Legge Amato", che ha istituito le commissioni militari (90 per tutta Italia). Fallita, come era facilmente prevedibile, la nuova organizzazione, diciotto mesi dopo sono state ricostituite le commissioni USL e l'aumento della spesa ha ripreso i prece­denti indici di incremento.

Con questa manovra il Ministro Amato aveva affermato di voler eliminare la piaga dei falsi in­validi, ma in verità ha escogitato un sistema do­ve il risparmio è solo frutto del ritardo della cor­responsione di pensioni e di indennità, il cui im­porto è misero, ma indispensabile per sopravvi­vere per molte delle persone interessate.

Non si può pertanto accondiscendere all'in­tenzione di ridurre genericamente le spese assi­stenziali mediante assurde procedure di ricono­scimento delle condizioni medico-legali, perché, come ha dimostrato pesantemente il Governo Amato, non si sono colpiti i "falsi invalidi", ma quanti si trovano in situazione di gravità.

Interpretiamo le cifre

Tra l'altro si può osservare che nel nostro Paese la percentuale di handicappati che hanno diritto alle diverse forme di assistenza economi­ca (assegni, pensioni e indennità) non è supe­riore a quella degli altri Paesi europei: circa il 3% della popolazione residente, sia pure con ri­levanti disparità tra regioni sottosviluppate e re­gioni industrializzate.

II bilancio 1994 prevede i seguenti finanzia­menti:

- invalidi civili (sono circa 1.200.000) 14 mila miliardi;

- ciechi civili (circa 116 mila) 1.500 miliardi;

- sordomuti (circa 37.000) 224 miliardi.

II totale è di circa 16 mila miliardi, una spesa rilevante che tuttavia deve essere interpretata in senso generale e specifico.

Non c'è dubbio che in Italia vi sono molti inva­lidi riconosciuti tali non sulla base di obiettive valutazioni sanitarie, ma per motivi socio-econo­mici (povertà, disoccupazione, trasformazioni tecnologiche, situazione del mezzogiorno).

Questi "falsi invalidi" sono l'effetto di disfun­zioni e di carenze nell'ambito dello sviluppo economico e della costruzione del welfare state, soprattutto durante gli anni '70 quando la prati­ca dell'assistenzialismo (intesa come strumento di clientelismo e di consenso politico) ha registrato una espansione generale; negli anni suc­cessivi anziché risolvere i problemi strutturali dello sviluppo e cercare un diverso equilibrio fra Stato e mercato, non si è fatto altro che proce­dere sulla stessa strada per evitare le tensioni sociali e per mantenere il potere politico.

Possiamo a questo punto individuare i "falsi invalidi" fra quanti hanno ottenuto "falsi ricono­scimenti di invalidità" o per ottenere posti di la­voro tramite il collocamento obbligatorio (L. 482/1968) o per ottenere almeno il 74% di invalidità necessaria per percepire l'assegno mensile di assistenza (circa 327.000 lire nel 1994).

Una quota consistente poi dei finanziamenti di cui sopra (circa il 70%) è destinata a coprire l'in­dennità di accompagnamento erogata a tutte le persone ultrasessantacinquenni, non autosuffi­cienti a causa della presenza di malattie croni­che invalidanti, che, come vedremo più detta­gliatamente più avanti, non riguardano certa­mente la questione dei "falsi invalidi", in quanto la loro condizione di bisogno è non solo eviden­te, ma incontestabile.

 

Funzione sociale dell'indennità di accompagnamento

Un discorso a parte merita l'indennità di ac­compagnamento. L'art. 1 della legge 11 febbraio 1980 n. 18 dà diritto all'indennità di accompa­gnamento alle persone «che si trovano nella im­possibilità di deambulare senza l'aiuto perma­nente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un'assistenza continua». Tale prestazione, nata allo scopo di fornire uno stru­mento per l'autonomia e l'integrazione delle per­sone handicappate, è stata progressivamente estesa, come abbiamo detto prima, anche ad al­tre fasce di cittadini, in particolare agli ultrases­santacinquenni anziani malati cronici non auto­sufficienti.

In pratica, delle 720 mila indennità erogate nel 1992, 470 mila sono state concesse a questi ul­timi. Si tratta di una quota di finanziamenti con­sistente, più volte oggetto di critiche e minaccia­ta di pesanti tagli, quale quello già ricordato ad opera del Governo Amato nel 1988.

Sovente si ritorna anche a proporre di legare l'erogazione di tale indennità al reddito della persona, dimenticando che l'indennità di ac­compagnamento, apparentemente elevata (at­tualmente è di circa 700 mila lire, 1994) è in realtà una cifra irrisoria e inadeguata a soddi­sfare le esigenze minime che le persone aventi diritto manifestano.

Si tratta, infatti, di soggetti in condizioni di au­tonomia fortemente ridotta, se non nulla, per le quali l'indennità dovrebbe permettere il paga­mento di una persona che possa loro assicura­re l'assistenza necessaria per potersi muovere o per svolgere atti indispensabili per la vita di tutti i giorni.

È quindi evidente, proprio in questo caso, l'assenza di uno Stato consapevole e capace dì tutelare il cittadino più indifeso; uno Stato che anziché intervenire rapidamente per ridurre al minimo i disagi di questi cittadini, permette lun­gaggini burocratiche all'infinito; uno Stato che non ha ancora compreso che l'indennità di ac­compagnamento non rappresenta un costo, ma un investimento perché favorisce l'inserimento sociale della persona handicappata e ne allon­tana nel tempo o elimina del tutto le richieste di ricovero in istituto, permettendo la permanenza il più a lungo possibile in famiglia, con notevoli vantaggi per il benessere della persona e un ri­levante risparmio economico per lo Stato.

Per tali ragioni e considerato che tanto gli an­ziani malati non autosufficienti, quanto gli handi­cappati che diventeranno anziani, aumenteranno in futuro, vanno previste per questo settore ade­guate risorse per assicurare le provvidenze a cui hanno diritto questi cittadini per potere assicura­re il soddisfacimento minimo dei loro bisogni.

Gli strumenti politici e amministrativi non man­cano per recuperare i finanziamenti che lo Stato ha il dovere di assicurare a questi cittadini ina­bili; ne ricordiamo solo alcuni: una legge (attesa da oltre vent'anni) sulle politiche sociali e assi­stenziali; la lotta seria all'evasione fiscale (circa 200 mila miliardi di imposte evase ogni anno); il rispetto del vincolo di destinazione ad attività assistenziali del patrimonio delle IPAB (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza), che è stato stimato in 30-50 mila miliardi, vincolo oggi seriamente in pericolo a causa della sentenza n. 396 del 24 marzo 1988 della Corte costituziona­le e della mancanza di una seria regolamenta­zione delle privatizzazioni (3).

 

I rimedi contro i falsi invalidi

È nostro interesse assicurare che gli interven­ti assistenziali, le indennità e le pensioni di inva­lidità siano concessi effettivamente solo a chi ne ha diritto.

Però è inaccettabile che si colpisca a caso: lo Stato deve essere garante dei diritti dei suoi cit­tadini che vivono in condizione di limitata o nulla autonomia.

Se è vero che esistono i falsi invalidi, ciò è possibile perché precise condizioni (politiche, legislative, sociali) hanno voluto tale fenomeno e ne hanno permesso lo sviluppo e l'estensione.

Per tali ragioni, poi, gli importi delle pensioni di invalidità sono estremamente bassi. Essi sono ingiustificati per chi non ne ha diritto, ma asso­lutamente inadeguati per soddisfare, anche solo minimamente, i bisogni che hanno invece i veri invalidi.

Se si vogliono colpire i falsi invalidi è suffi­ciente incaricare una commissione medica, an­che solo una per Provincia, preposta alla revi­sione delle pratiche. Esistono precise tabelle che i medici delle USL, incaricati di accertare l'invalidità, devono rispettare.

Occorre attivare un processo di revisione del­le indennità concesse. Ovviamente le pratiche vanno riviste e le persone rivisitate, assumendo come termine di riferimento la percentuale che dava diritto alla pensione al momento in cui l'ac­certamento era stato effettuato.

Per esempio, se una persona è stata giudicata invalida al 70% quando era sufficiente ottenere il riconoscimento del diritto alla pensione con il 67% di invalidità, è ovvio che non si può, oggi, penalizzarla privandola della pensione dato che la percentuale è stata elevata al 74%.

Ma, salvaguardato il periodo di riferimento, il soggetto deve avere minorazioni di gravità tali da giustificare il diritto alla pensione di invalidità. Viceversa, se risulta un "falso invalido" (e cioè non viene affatto riscontrata la menomazione che allora dava diritto al 70% di invalidità) la pensione va immediatamente soppressa.

In ogni caso ci chiediamo perché negli anni scorsi non si è provveduto a colpire i falsi invali­di. Dal mondo dell'associazionismo dell'handi­cap e del volontariato non sono mancate né le contestazioni al lassismo, né le proposte alter­native. Oggi, più di ieri, l'obiettivo da porsi è pro­prio questo: passare dall'assistenza-beneficen­za (che produce i falsi invalidi) alla affermazione e alla rivendicazione dei diritti di cittadinanza da soddisfare con l'erogazione di prestazioni diffe­renziate a seconda delle diverse autonomie che la persona handicappata esprime.

 

Un altro rimedio: valutare la capacità lavorativa e l'autonomia della persona

Come è già stato enunciato nei documenti precedenti del Gruppo nazionale "Handicappati e società" (4) è inderogabile procedere ad un nuovo criterio per l'accertamento dell'invalidità affinché siano apportate quelle modifiche so­stanziali necessarie per correggere la prassi at­tuale, che favorisce di per sé la possibilità di ri­conoscimenti fasulli. Ricordiamo - a titolo esemplificativo - che l'istruttoria preliminare e la raccolta della documentazione dovrebbero fon­darsi sulla identificazione dell'identità del richie­dente (oggi non richiesta) per cui gli esami clini­ci, come le radiologie, possono riguardare sog­getti diversi dall'interessato.

In secondo luogo l'attuale criterio per il rico­noscimento dell'invalidità non considera che, in­dipendentemente dalla percentuale di invalidità ottenuta, la persona handicappata può esprime­re diversi gradi di capacità lavorativa.

Oggi la pensione di invalidità viene erogata a tutti coloro che hanno assegnata una percen­tuale di invalidità del 74%, intendendo con ciò che tali soggetti presentano una riduzione della loro capacità lavorativa di circa i due terzi ri­spetto ad un cittadino normalmente dotato.

Niente di più falso, perché, come dimostrano i soggetti impegnati in attività lavorative, se la persona handicappata è collocata in modo mi­rato, anche in presenza di elevate percentuali di invalidità, può raggiungere una resa produttiva piena.

Purtroppo questa impostazione di valutazione costituisce una grave distorsione culturale, per­ché concentra il massimo impegno sull'inden­nizzo monetario (le pensioni, per l'appunto, ero­gate anche a chi può andare a lavorare) piutto­sto che sui processi dell'integrazione (riabilita­zione, scuola, formazione e lavoro).

La valutazione della capacità (e non solo del­la percentuale di invalidità) permetterebbe fi­nalmente di assicurare a chi realmente ha il di­ritto di essere aiutato il collocamento obbligato­rio al lavoro, con l'ovvia esclusione dei falsi in­validi.

Maggiore rigore nelle pratiche di accertamen­to dell'invalidità e valutazione della capacità del­la persona handicappata che vuole lavorare so­no il primo anello sul quale impostare una seria battaglia contro i falsi invalidi e a favore dei veri handicappati.

Così facendo sì potrebbero liberare nuove ri­sorse per assicurare interventi economici ade­guati (sfidiamo chiunque a vivere con le 327 mi­la lire al mese delle attuali pensioni di invalidità) a chi effettivamente, non essendo in grado di mantenersi con i propri mezzi (inabile al lavoro, art. 38 della Costituzione), deve aver diritto a prestazioni di sostegno.

In tal senso va rigettata la scelta politica che finora ha privilegiato e privilegia l'assistenziali­smo, piuttosto che l'occupazione degli handi­cappati. A volte, bisogna riconoscerlo, tale com­portamento è stato avvalorato anche da alcune associazioni, in particolare quelle storiche, che hanno contribuito a costruire attorno alla figura dell'invalido una mentalità pietistica.

 

Garantire pari opportunità a parità di condizioni di autonomia

La superata suddivisione degli invalidi per categorie giuridiche e la corrispondente costi­tuzione di enti specifici di tutela hanno raffor­zato soprattutto gli interventi assistenzialistici determinando ancora oggi gravi sperequazioni fra i diversi gruppi: un invalido totale per cau­se di guerra o di servizio percepisce circa 5 mi­lioni mensili e ha diritto a tre accompagnatori e può essere in grado di svolgere una proficua attività lavorativa; un invalido per cause civili ot­tiene complessivamente un milione al mese e nient'altro, anche quando abbia bisogno di assi­stenza continua e non possa svolgere nessun lavoro.

Si osserva che le associazioni che oggi rap­presentano gli handicappati hanno assunto il monopolio della loro tutela con norme di dubbia legittimità costituzionale. Ciò nonostante, esse godono di privilegi, di ingenti e incontrollati con­tributi dello Stato, della facoltà di trattenere le quote associative direttamente sulle pensioni, di conoscere gli esiti di tutti gli accertamenti sani­tari (e quindi di contattare a fini di proselitismo gli interessati), di nominare rappresentanti nelle commissioni per il collocamento, ecc.

Anche per questo è necessario oggi proporre una forma associativa diversa, che dia maggior rappresentatività alle diverse associazioni di handicappati e sia finalizzata all'affermazione dei diritti di tutti gli handicappati con particolare attenzione a quanti per la gravità delle loro con­dizioni, non sono in grado di tutelarsi autonoma­mente.

Numerose sono le situazioni di disparità di trattamento nei confronti di cittadini che hanno uguali bisogni; è comunque certo che gli atteg­giamenti sociali, negativi, gli stereotipi sui falsi invalidi derivano anche da questa realtà. Con­clusivamente si deve affermare che ogni privile­gio o intervento risarcitivo, o strettamente assi­stenzialistico, induce da una parte alla passività e alla chiusura nell'invalidismo e dall'altra ad una percezione dei disabili come inferiori e in­capaci in contrasto con la prospettiva della di­gnità e della responsabilità.

La libertà dal bisogno e i diritti di cittadinanza sociale devono derivare dall'applicazione dei principi costituzionali e in particolare dal criterio che ad uguali- bisogni devono corrispondere uguali prestazioni.

Oggi è necessario altresì ribadire che non sempre il bisogno può essere soddisfatto solo con il denaro: se un handicappato può lavorare, la risposta giusta sul piano umano e sociale non è certo la pensione di invalidità, mentre è valido un intervento economico per compensare le maggiori spese sostenute da un handicappato rispetto ai cittadini non colpiti da menomazioni.

Ma è anche vero che il bisogno degli handi­cappati non in grado di svolgere alcuna attività lavorativa deve essere soddisfatto, oltre che con l'erogazione di servizi territoriali quantitativa­mente e qualitativamente efficaci, anche con precisi e puntuali interventi economici. Inoltre va sottolineato che l'indennità di accompagnamen­to erogata a tutti gli aventi diritto (indipendente­mente dal reddito) è un esempio di come si pos­sa e si debba intervenire anche economicamen­te per favorire l'inserimento e l'autonomia della persona handicappata.

Ma un cieco assoluto di guerra non può avere diritti economici più di un cieco assoluto alla na­scita o di un handicappato intellettivo cerebrole­so, che, tra l'altro, a differenza di entrambi non potrà mai lavorare.

Auspichiamo una soluzione politica che stabi­lisca il principio dell'uguaglianza delle opportu­nità. Oggi, come abbiamo visto, esistono gravi disparità di trattamento, anche a parità di con­dizione di handicap; questo non deve più acca­dere.

 

Luglio 1994

 

 

 

 

(1) II Gruppo “Handicappati e società” è nato nel gen­naio 1989 e si incontra regolarmente presso l'Associazio­ne Bambini Down, viale delle Milizie 106, Roma.

I rappresentanti del gruppo nazionale sono disponibili per contatti ulteriori e informazioni:

- Maria Grazia Breda, CSA, via Artisti 36, 10124 Torino, tel. 011-812.23.27-812.44.69, fax 011-812.25.95 (per ri­chiesta anche di documenti precedenti);

- Anna Contardi, Associazione Bambini Down, Viale delle Milizie 106, 00192 Roma, tel. 06/37.51.68.08 (anche fax) ;

- Giacomo Panizza, Comunità Progetto Sud, via Confor­ti, 77046 Lamezia Terme, tel. 0968-23297.

(2) Cfr. G. Ferraro (a cura di), Compendio informativo statistico 1991, Provvidenze legislative a favore dei mutilati ed invalidi civili, ciechi civili e sordomuti - Tutela economica, Ministero dell'interno - Direzione generale dei servizi civili, 1992, Via Sforza 14, 00184 Roma.

 (3) Si tratta di una privatizzazione particolare, in quanto i beni sono regalati ai privati. Occorrerebbe una legge che riducesse al minimo le privatizzazioni e stabilisse il vincolo ad attività assistenziali dei patrimoni regalati e dei relativi redditi.

(4) I documenti precedentemente elaborati dal Gruppo sono i seguenti:

- Handicappati e società: Quali valori, quali diritti, quali doveri (1989);

- Handicappati e società: Quali strategie per il lavoro (1991);

- Handicappati e società: I diritti irrinunciabili e le con­dizioni per renderli esigibili (1992);

- Handicappati e società: Proposte per la riforma del col­locamento al lavoro (1993);

- Handicappati e società: Documento preparatorio al convegno "II posto di lavoro: un diritto, un dovere" (1993);

- Handicappati e società: Linee guida per il nuovo Par­lamento (1994).

I documenti sono pubblicati su Prospettive assistenziali, nn. 88, 93, 98, 100, 106.

 

 

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