QUALI RIMEDI CONTRO I FALSI INVALIDI
GRUPPO NAZIONALE "HANDICAPPATI E SOCIETÀ"
Premessa
Il Gruppo nazionale "Handicappati e società"
(1) presenta con questo documento una riflessione che ha lo scopo di collocare
in una giusta ottica il fenomeno dei "falsi invalidi" al fine di
evitare di fare di tutta un'erba un fascio, penalizzando quanti ne hanno
realmente diritto.
Anche in occasione della discussione sull'ultima
legge finanziaria si è riproposta la ormai consueta campagna di stampa contro i
"falsi invalidi". II disegno di legge proposto dal Governo
contenente "Interventi correttivi di finanza pubblica" prevedeva
accertamenti, autocertificazioni, blocco delle domande, rimborso delle somme
indebitamente percepite in un periodo di tempo esteso fino a 10 anni, visite
"senza preavviso" e un complesso di interventi che si configuravano
come una "presunzione di colpevolezza" nei confronti di tutti gli
handicappati, secondo una logica che ricordava le leggi contro l'accattonaggio.
II testo è stato emendato e migliorato in sede di
approvazione, ma la psicosi dei falsi invalidi, come problema di bilancio, come
tema ricorrente della pubblicistica, resta consolidato nell'immaginario
collettivo e nell'opinione della maggioranza dei cittadini.
È dal 1989 che, costante fissa di ogni Governo, è la
proposta di tagli alle pensioni di invalidità, perché è da quel periodo che è
cominciata la progressione delle spese dello Stato per pensioni e indennità,
che ha registrato i seguenti incrementi (2):
- 1988: 8 mila miliardi
- 1989: 10 mila e 600 miliardi
- 1990: 12 mila e 500 miliardi
- 1991: 11 mila e 200 miliardi
La diminuzione del 1991 è dovuta al blocco degli
accertamenti conseguenti alla "Legge Amato", che ha istituito le
commissioni militari (90 per tutta Italia). Fallita, come era facilmente
prevedibile, la nuova organizzazione, diciotto mesi dopo sono state
ricostituite le commissioni USL e l'aumento della spesa ha ripreso i precedenti
indici di incremento.
Con questa manovra il Ministro Amato aveva affermato
di voler eliminare la piaga dei falsi invalidi, ma in verità ha escogitato un
sistema dove il risparmio è solo frutto del ritardo della corresponsione di
pensioni e di indennità, il cui importo è misero, ma indispensabile per
sopravvivere per molte delle persone interessate.
Non si può pertanto accondiscendere all'intenzione
di ridurre genericamente le spese assistenziali mediante assurde procedure di
riconoscimento delle condizioni medico-legali, perché, come ha dimostrato
pesantemente il Governo Amato, non si sono colpiti i "falsi
invalidi", ma quanti si trovano in situazione di gravità.
Interpretiamo le cifre
Tra l'altro si può osservare che nel nostro Paese la
percentuale di handicappati che hanno diritto alle diverse forme di assistenza
economica (assegni, pensioni e indennità) non è superiore a quella degli
altri Paesi europei: circa il 3% della popolazione residente, sia pure con rilevanti
disparità tra regioni sottosviluppate e regioni industrializzate.
II
bilancio 1994 prevede i seguenti finanziamenti:
-
invalidi civili (sono circa 1.200.000) 14 mila miliardi;
-
ciechi civili (circa 116 mila) 1.500 miliardi;
-
sordomuti (circa 37.000) 224 miliardi.
II totale è di circa 16 mila miliardi, una spesa
rilevante che tuttavia deve essere interpretata in senso generale e specifico.
Non c'è dubbio che in Italia vi sono molti invalidi
riconosciuti tali non sulla base di obiettive valutazioni sanitarie, ma per
motivi socio-economici (povertà, disoccupazione, trasformazioni tecnologiche,
situazione del mezzogiorno).
Questi "falsi invalidi" sono l'effetto di
disfunzioni e di carenze nell'ambito dello sviluppo economico e della
costruzione del welfare state, soprattutto
durante gli anni '70 quando la pratica dell'assistenzialismo (intesa come strumento
di clientelismo e di consenso politico) ha registrato una espansione generale;
negli anni successivi anziché risolvere i problemi strutturali dello sviluppo
e cercare un diverso equilibrio fra Stato e mercato, non si è fatto altro che
procedere sulla stessa strada per evitare le tensioni sociali e per mantenere
il potere politico.
Possiamo a questo punto individuare i "falsi
invalidi" fra quanti hanno ottenuto "falsi riconoscimenti di
invalidità" o per ottenere posti di lavoro tramite il collocamento
obbligatorio (L. 482/1968) o per ottenere almeno il 74% di invalidità
necessaria per percepire l'assegno mensile di assistenza (circa 327.000 lire
nel 1994).
Una quota consistente poi dei finanziamenti di cui
sopra (circa il 70%) è destinata a coprire l'indennità di accompagnamento
erogata a tutte le persone ultrasessantacinquenni, non autosufficienti a causa
della presenza di malattie croniche invalidanti, che, come vedremo più dettagliatamente
più avanti, non riguardano certamente la questione dei "falsi
invalidi", in quanto la loro condizione di bisogno è non solo evidente,
ma incontestabile.
Funzione sociale dell'indennità di accompagnamento
Un discorso a parte merita l'indennità di accompagnamento.
L'art. 1 della legge 11 febbraio 1980 n. 18 dà diritto all'indennità di accompagnamento
alle persone «che si trovano nella impossibilità di deambulare senza l'aiuto
permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti
quotidiani della vita, abbisognano di un'assistenza continua». Tale
prestazione, nata allo scopo di fornire uno strumento per l'autonomia e
l'integrazione delle persone handicappate, è stata progressivamente estesa,
come abbiamo detto prima, anche ad altre fasce di cittadini, in particolare
agli ultrasessantacinquenni anziani malati cronici non autosufficienti.
In pratica, delle 720 mila indennità erogate nel
1992, 470 mila sono state concesse a questi ultimi. Si tratta di una quota di
finanziamenti consistente, più volte oggetto di critiche e minacciata di
pesanti tagli, quale quello già ricordato ad opera del Governo Amato nel 1988.
Sovente si ritorna anche a proporre di legare
l'erogazione di tale indennità al reddito della persona, dimenticando che
l'indennità di accompagnamento, apparentemente elevata (attualmente è di
circa 700 mila lire, 1994) è in realtà una cifra irrisoria e inadeguata a soddisfare
le esigenze minime che le persone aventi diritto manifestano.
Si tratta, infatti, di soggetti in condizioni di autonomia
fortemente ridotta, se non nulla, per le quali l'indennità dovrebbe permettere
il pagamento di una persona che possa loro assicurare l'assistenza necessaria
per potersi muovere o per svolgere atti indispensabili per la vita di tutti i
giorni.
È quindi evidente, proprio in questo caso, l'assenza
di uno Stato consapevole e capace dì tutelare il cittadino più indifeso; uno
Stato che anziché intervenire rapidamente per ridurre al minimo i disagi di
questi cittadini, permette lungaggini burocratiche all'infinito; uno Stato che
non ha ancora compreso che l'indennità di accompagnamento non rappresenta un
costo, ma un investimento perché favorisce l'inserimento sociale della persona
handicappata e ne allontana nel tempo o elimina del tutto le richieste di
ricovero in istituto, permettendo la permanenza il più a lungo possibile in
famiglia, con notevoli vantaggi per il benessere della persona e un rilevante
risparmio economico per lo Stato.
Per tali ragioni e considerato che tanto gli anziani
malati non autosufficienti, quanto gli handicappati che diventeranno anziani,
aumenteranno in futuro, vanno previste per questo settore adeguate risorse per
assicurare le provvidenze a cui hanno diritto questi cittadini per potere
assicurare il soddisfacimento minimo dei loro bisogni.
Gli strumenti politici e amministrativi non mancano
per recuperare i finanziamenti che lo Stato ha il dovere di assicurare a questi
cittadini inabili; ne ricordiamo solo alcuni: una legge (attesa da oltre
vent'anni) sulle politiche sociali e assistenziali; la lotta seria
all'evasione fiscale (circa 200 mila miliardi di imposte evase ogni anno); il
rispetto del vincolo di destinazione ad attività assistenziali del patrimonio
delle IPAB (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza), che è stato
stimato in 30-50 mila miliardi, vincolo oggi seriamente in pericolo a causa
della sentenza n. 396 del 24 marzo 1988 della Corte costituzionale e della
mancanza di una seria regolamentazione delle privatizzazioni (3).
I rimedi contro i falsi invalidi
È nostro interesse assicurare che gli interventi
assistenziali, le indennità e le pensioni di invalidità siano concessi
effettivamente solo a chi ne ha diritto.
Però è inaccettabile che si colpisca a caso: lo Stato
deve essere garante dei diritti dei suoi cittadini che vivono in condizione di
limitata o nulla autonomia.
Se è vero che esistono i falsi invalidi, ciò è
possibile perché precise condizioni (politiche, legislative, sociali) hanno
voluto tale fenomeno e ne hanno permesso lo sviluppo e l'estensione.
Per tali ragioni, poi, gli importi delle pensioni di
invalidità sono estremamente bassi. Essi sono ingiustificati per chi non ne ha
diritto, ma assolutamente inadeguati per soddisfare, anche solo minimamente, i
bisogni che hanno invece i veri invalidi.
Se si vogliono colpire i falsi invalidi è sufficiente
incaricare una commissione medica, anche solo una per Provincia, preposta alla
revisione delle pratiche. Esistono precise tabelle che i medici delle USL,
incaricati di accertare l'invalidità, devono rispettare.
Occorre attivare un processo di revisione delle
indennità concesse. Ovviamente le pratiche vanno riviste e le persone
rivisitate, assumendo come termine di riferimento la percentuale che dava
diritto alla pensione al momento in cui l'accertamento era stato effettuato.
Per esempio, se una persona è stata giudicata
invalida al 70% quando era sufficiente ottenere il riconoscimento del diritto
alla pensione con il 67% di invalidità, è ovvio che non si può, oggi,
penalizzarla privandola della pensione dato che la percentuale è stata elevata
al 74%.
Ma, salvaguardato il periodo di riferimento, il
soggetto deve avere minorazioni di gravità tali da giustificare il diritto alla
pensione di invalidità. Viceversa, se risulta un "falso invalido" (e
cioè non viene affatto riscontrata la menomazione che allora dava diritto al
70% di invalidità) la pensione va immediatamente soppressa.
In ogni caso ci chiediamo perché negli anni scorsi
non si è provveduto a colpire i falsi invalidi. Dal mondo dell'associazionismo
dell'handicap e del volontariato non sono mancate né le contestazioni al
lassismo, né le proposte alternative. Oggi, più di ieri, l'obiettivo da porsi
è proprio questo: passare dall'assistenza-beneficenza (che produce i falsi
invalidi) alla affermazione e alla rivendicazione dei diritti di cittadinanza
da soddisfare con l'erogazione di prestazioni differenziate a seconda delle
diverse autonomie che la persona handicappata esprime.
Un altro rimedio: valutare la capacità lavorativa e
l'autonomia della persona
Come è già stato enunciato nei documenti precedenti
del Gruppo nazionale "Handicappati e società" (4) è inderogabile
procedere ad un nuovo criterio per l'accertamento dell'invalidità affinché
siano apportate quelle modifiche sostanziali necessarie per correggere la
prassi attuale, che favorisce di per sé la possibilità di riconoscimenti
fasulli. Ricordiamo - a titolo esemplificativo - che l'istruttoria preliminare
e la raccolta della documentazione dovrebbero fondarsi sulla identificazione
dell'identità del richiedente (oggi non richiesta) per cui gli esami clinici,
come le radiologie, possono riguardare soggetti diversi dall'interessato.
In secondo luogo l'attuale criterio per il riconoscimento
dell'invalidità non considera che, indipendentemente dalla percentuale di
invalidità ottenuta, la persona handicappata può esprimere diversi gradi di
capacità lavorativa.
Oggi la pensione di invalidità viene erogata a tutti
coloro che hanno assegnata una percentuale di invalidità del 74%, intendendo
con ciò che tali soggetti presentano una riduzione della loro capacità
lavorativa di circa i due terzi rispetto ad un cittadino normalmente dotato.
Niente di più falso, perché, come dimostrano i
soggetti impegnati in attività lavorative, se la persona handicappata è
collocata in modo mirato, anche in presenza di elevate percentuali di
invalidità, può raggiungere una resa produttiva piena.
Purtroppo questa impostazione di valutazione
costituisce una grave distorsione culturale, perché concentra il massimo impegno
sull'indennizzo monetario (le pensioni, per l'appunto, erogate anche a chi può
andare a lavorare) piuttosto che sui processi dell'integrazione (riabilitazione,
scuola, formazione e lavoro).
La valutazione della capacità (e non solo della
percentuale di invalidità) permetterebbe finalmente di assicurare a chi
realmente ha il diritto di essere aiutato il collocamento obbligatorio al
lavoro, con l'ovvia esclusione dei falsi invalidi.
Maggiore rigore nelle pratiche di accertamento
dell'invalidità e valutazione della capacità della persona handicappata che
vuole lavorare sono il primo anello sul quale impostare una seria battaglia
contro i falsi invalidi e a favore dei veri handicappati.
Così facendo sì potrebbero liberare nuove risorse
per assicurare interventi economici adeguati (sfidiamo chiunque a vivere con
le 327 mila lire al mese delle attuali pensioni di invalidità) a chi
effettivamente, non essendo in grado di mantenersi con i propri mezzi (inabile
al lavoro, art. 38 della Costituzione), deve aver diritto a prestazioni di
sostegno.
In tal senso va rigettata la scelta politica che
finora ha privilegiato e privilegia l'assistenzialismo, piuttosto che
l'occupazione degli handicappati. A volte, bisogna riconoscerlo, tale comportamento
è stato avvalorato anche da alcune associazioni, in particolare quelle
storiche, che hanno contribuito a costruire attorno alla figura dell'invalido
una mentalità pietistica.
Garantire pari opportunità a parità di condizioni di
autonomia
La superata suddivisione degli invalidi per categorie
giuridiche e la corrispondente costituzione di enti specifici di tutela hanno
rafforzato soprattutto gli interventi assistenzialistici determinando ancora
oggi gravi sperequazioni fra i diversi gruppi: un invalido totale per cause di
guerra o di servizio percepisce circa 5 milioni mensili e ha diritto a tre
accompagnatori e può essere in grado di svolgere una proficua attività
lavorativa; un invalido per cause civili ottiene complessivamente un milione
al mese e nient'altro, anche quando abbia bisogno di assistenza continua e non
possa svolgere nessun lavoro.
Si osserva che le associazioni che oggi rappresentano
gli handicappati hanno assunto il monopolio della loro tutela con norme di
dubbia legittimità costituzionale. Ciò nonostante, esse godono di privilegi, di
ingenti e incontrollati contributi dello Stato, della facoltà di trattenere le
quote associative direttamente sulle pensioni, di conoscere gli esiti di tutti
gli accertamenti sanitari (e quindi di contattare a fini di proselitismo gli
interessati), di nominare rappresentanti nelle commissioni per il collocamento,
ecc.
Anche per questo è necessario oggi proporre una forma
associativa diversa, che dia maggior rappresentatività alle diverse
associazioni di handicappati e sia finalizzata all'affermazione dei diritti di
tutti gli handicappati con particolare attenzione a quanti per la gravità delle
loro condizioni, non sono in grado di tutelarsi autonomamente.
Numerose sono le situazioni di disparità di trattamento
nei confronti di cittadini che hanno uguali bisogni; è comunque certo che gli
atteggiamenti sociali, negativi, gli stereotipi sui falsi invalidi derivano
anche da questa realtà. Conclusivamente si deve affermare che ogni privilegio
o intervento risarcitivo, o strettamente assistenzialistico, induce da una
parte alla passività e alla chiusura nell'invalidismo e dall'altra ad una
percezione dei disabili come inferiori e incapaci in contrasto con la
prospettiva della dignità e della responsabilità.
La libertà dal bisogno e i diritti di cittadinanza
sociale devono derivare dall'applicazione dei principi costituzionali e in
particolare dal criterio che ad uguali- bisogni devono corrispondere uguali
prestazioni.
Oggi è necessario altresì ribadire che non sempre il
bisogno può essere soddisfatto solo con il denaro: se un handicappato può
lavorare, la risposta giusta sul piano umano e sociale non è certo la pensione
di invalidità, mentre è valido un intervento economico per compensare le
maggiori spese sostenute da un handicappato rispetto ai cittadini non colpiti
da menomazioni.
Ma è anche vero che il bisogno degli handicappati
non in grado di svolgere alcuna attività lavorativa deve essere soddisfatto,
oltre che con l'erogazione di servizi territoriali quantitativamente e
qualitativamente efficaci, anche con precisi e puntuali interventi economici.
Inoltre va sottolineato che l'indennità di accompagnamento erogata a tutti gli
aventi diritto (indipendentemente dal reddito) è un esempio di come si possa e
si debba intervenire anche economicamente per favorire l'inserimento e
l'autonomia della persona handicappata.
Ma un cieco assoluto di guerra non può avere diritti
economici più di un cieco assoluto alla nascita o di un handicappato
intellettivo cerebroleso, che, tra l'altro, a differenza di entrambi non potrà
mai lavorare.
Auspichiamo una soluzione politica che stabilisca il
principio dell'uguaglianza delle opportunità. Oggi, come abbiamo visto,
esistono gravi disparità di trattamento, anche a parità di condizione di
handicap; questo non deve più accadere.
Luglio 1994
(1) II Gruppo “Handicappati e
società” è nato nel gennaio 1989 e si incontra regolarmente presso
l'Associazione Bambini Down, viale delle Milizie 106, Roma.
I rappresentanti del gruppo nazionale sono disponibili per
contatti ulteriori e informazioni:
- Maria Grazia Breda, CSA, via
Artisti 36, 10124 Torino, tel. 011-812.23.27-812.44.69, fax 011-812.25.95 (per
richiesta anche di documenti precedenti);
- Anna Contardi, Associazione Bambini
Down, Viale delle Milizie 106, 00192 Roma, tel. 06/37.51.68.08 (anche fax) ;
- Giacomo Panizza, Comunità Progetto Sud, via Conforti,
77046 Lamezia Terme, tel. 0968-23297.
(2) Cfr. G. Ferraro (a cura di),
Compendio informativo statistico 1991, Provvidenze
legislative a favore dei mutilati ed invalidi civili, ciechi civili e sordomuti
- Tutela economica, Ministero dell'interno - Direzione generale dei servizi
civili, 1992, Via Sforza 14, 00184 Roma.
(3) Si tratta di una privatizzazione particolare, in quanto i beni
sono regalati ai privati. Occorrerebbe una legge che riducesse al minimo le
privatizzazioni e stabilisse il vincolo ad attività assistenziali dei patrimoni
regalati e dei relativi redditi.
(4) I documenti precedentemente elaborati dal Gruppo sono i
seguenti:
- Handicappati e società: Quali valori, quali diritti, quali
doveri (1989);
- Handicappati e società: Quali strategie per il lavoro
(1991);
- Handicappati e società: I diritti irrinunciabili e le condizioni
per renderli esigibili (1992);
- Handicappati e società: Proposte per la riforma del collocamento
al lavoro (1993);
- Handicappati e società: Documento
preparatorio al convegno "II posto di lavoro: un diritto, un dovere"
(1993);
- Handicappati e società: Linee guida per il nuovo Parlamento
(1994).
I documenti sono pubblicati su Prospettive assistenziali, nn. 88, 93, 98, 100, 106.
www.fondazionepromozionesociale.it