Prospettive assistenziali, n. 108, ottobre-dicembre
1994
L'ADOZIONE
"FAI DA TE" SECONDO LO PSICHIATRA ANDREOLI
PIERGIORGIO GOSSO
Alle ore 7,50 del 9 marzo 1989, subito prima del
telegiornale di Rai Uno, Piero Badaloni intervistava nella rubrica "Uno
Mattina" il noto psichiatra Vittorino Andreoli sul caso Serena Cruz. Da
oltre un anno, e precisamente dal 22 gennaio 1988 (e cioè ad una sola settimana
dal suo arrivo a Racconigi), la vicenda della piccola filippina, introdotta
clandestinamente in Italia a scopo di adozione, era all'esame dei giudici
minorili torinesi che, dopo aver scoperto il falso riconoscimento di
paternità di Francesco Giubergia, avevano disposto l'allontanamento provvisorio
della bambina dalla famiglia in cui si trovava, allo scopo dì affidarla al più
presto ad un nucleo familiare ritenuto idoneo alla sua adozione.
Interrogato dal giornalista, lo studioso aveva
criticato i giudici, sostenendo che strappare Serena ai coniugi Giubergia
sarebbe stato un grave errore, perché avrebbe comportato il rischio di una
vera e propria morte psichica della minore. II giorno successivo, il professor
Andreoli veniva nominato consulente di parte dai Giubergia, e tre giorni dopo
consegnava loro una sua relazione clinica in cui si illustravano dettagliatamente
le ragioni per le quali ogni mutamento di collocazione della piccola era da
considerarsi gravemente pregiudizievole per il suo futuro sviluppo psichico.
II 15 marzo Serena veniva presa in consegna dai
servizi sociali in vista del suo prossimo inserimento in una famiglia
adottiva, ma il 24 marzo i nuovi avvocati dei Giubergia chiedevano la revoca
dell'ultimo provvedimento del Tribunale, adducendo come fatto nuovo il pericolo
di trauma psichico descritto dal professor Andreoli: il processo riprendeva
così il suo corso, e l'illustre clinico era sentito in camera di consiglio dal
Tribunale, che successivamente dava incarico ad altri specialisti di visitare
Serena nella comunità dov'era provvisoriamente collocata.
II 31 marzo 1989 i giudici, sulla base degli accertamenti
effettuati, respingevano la richiesta di revoca della loro precedente decisione
e, dopo l'ennesimo reclamo dei coniugi Giubergia, la Sezione minori della
Corte d'appello metteva la parola "fine" all'odissea con un suo
decreto del 18.4.1983.
Sono note le ripercussioni che il caso aveva via via
suscitato nella pubblica opinione (costituzione del "Comitato Serena
Cruz"; intervento del Presidente della Repubblica e del Presidente della
Camera; interrogazioni parlamentari; interventi del Ministro di grazia e
giustizia; dibattito al Consiglio Superiore della Magistratura, ecc.), ed in
ordine alle quali anche questa rivista ha preso più volte posizione.
Agli inizi del 1990, il discorso era ripreso dalla
nota scrittrice Natalia Ginzburg, che - dopo essere intervenuta sull'argomento
con vari articoli di giornale - dava alle stampe presso la casa editrice
Einaudi il suo breve saggio intitolato "Serena Cruz o la vera
giustizia", facendosi in seguito intervistare da alcuni periodici a
tiratura nazionale.
Invitato a partecipare ad uno degli innumerevoli
dibattiti in materia che ne erano derivati, il professor Andreoli aveva
espresso il suo netto rifiuto, facendo conoscere che, in seguito alla nuova
sistemazione familiare della piccola Serena, il caso doveva considerarsi
chiuso, e di conseguenza i riflettori dovevano essere spenti una volta per
tutte.
È lo stesso Autore a descrivere questi antefatti
nella parte iniziale del suo pamphlet che esce ora nella collana
"Psichiatria e crimine" degli Editori Riuniti, sotto il titolo
"II caso Serena. Un'adozione interrotta"; nelle prime pagine del
volumetto e nel risvolto di copertina, per dar conto delle ragioni che lo hanno
indotto ad uscire allo scoperto ed a rinunciare a quei suoi saggi propositi
di riserbo che a tutti noi erano sembrati definitivi, il professor Andreoli ci
spiega che, dato il tempo trascorso, non vi sono più controindicazioni a
ricostruire quella vicenda in termini pacati e con documenti inediti, traendone
così l'occasione per impostare un discorso di più ampia portata su alcune
tematiche di importanza generale e di permanente attualità, quali: 1) il
rapporto tra magistratura e cittadini, sotto il punto di vista del ruolo svolto
dalla psichiatria nel processo; 2) l'influenza dei grandi mezzi di
informazione (i c.d. "mass-media") sulle opinioni della gente e sulle
decisioni dei giudici; 3) il "grande problema" delle adozioni, con
particolare riferimento alla dimensione sociale del procedimento giudiziario
che le rende possibili ed ai conflitti tra la logica della "ragione"
e la logica del "sentimento" che sovente ne derivano.
Vedremo fra poco in che modo il noto clinico abbia
ritenuto di affrontare e dare risposta a degli argomenti così impegnativi, ma
preme subito rilevare che, forse nella fretta di far uscire il suo testo, I'Andreoli
si è dimenticato di rendere noti gli annunciati "documenti inediti"
sul caso Serena Cruz. Infatti l'esposizione degli avvenimenti in cui è stata
coinvolta la piccola filippina non è altro che un breve concentrato - non
sempre riportato in maniera fedele - di atti giudiziari ben noti a tutti gli
studiosi, per essere stati a suo tempo riprodotti ripetutamente e diffusamente
su tutte le riviste specializzate.
Unico documento a non essere stato finora pubblicato
completamente era, se non andiamo errati, la "valutazione
clinico-psicologica su Serena Cruz di anni 3, eseguita dal prof. dott. Vittorino
Andreoli e da lui consegnata il 13 marzo 1989" che, con una punta di
compiacimento narcisistico (ma tutto il libretto ha, per la verità, un sapore
vagamente auto-agiografico), l'Autore cita per esteso, corredandola dei disegni
tracciati dalla minore durante la sua osservazione e raffrontandola con la
relazione psicologica effettuata dalla dott.ssa Linuccia Canova, nella sua
qualità di perito del Tribunale per i minorenni di Torino.
Nell'affrontare il suo ambizioso progetto, I'Andreoli
si preoccupa innanzi tutto di rispondere a due diverse riserve che potrebbero
muoversi pregiudizialmente alla legittimità del suo intervento, e, cioè, da un
lato all'eventuale rimprovero di porsi in contrasto con il divieto di cui
all'articolo 74 della legge 4 maggio 1983 n. 84 (che proibisce ad ogni
pubblico ufficiale di dare notizie in grado di far rintracciare un minore in
stato di adozione o di far comunque conoscere tale suo stato), e dall'altro ad
un possibile addebito di scarsa correttezza deontologica.
Con questa pubblicazione - osserva l'Autore - non
viene infranto alcun divieto di legge, poiché non si facilita certamente il
rintraccio di Serena da parte dei suoi genitori naturali (che sono
"sconosciuti e filippini") né si disvela indebitamente il suo stato
di adozione (che è ben noto al pubblico, così come lo è alla diretta interessata,
se non altro per i suoi particolari caratteri somatici). Inoltre non viene
violata alcuna regola di riservatezza professionale, poiché nel commentare le
tappe della sua adozione non si danneggia certamente l'immagine che la società
ha di Serena, né le si arreca alcun turbamento; anzi, quando sarà grande e
leggerà il libro, lei stessa si renderà conto - sembra di capire - che quelle
pagine vennero ispirate proprio dall'enorme rispetto nutrito dall'Autore verso
tutti i bambini e verso di lei in particolare.
Sul punto, pare a chi scrive che le risposte
preventive dell'Andreoli - sebbene un po' sbrigative - non possono per il
momento essere sostanzialmente contestate. Certamente non sembra che si possa
dire che con questo opuscolo ci si proponga o si rischi in qualche modo di interferire,
a cose fatte, sull'esperienza di vita che Serena sta adesso attraversando
all'interno del suo nucleo familiare; né si potrebbe gratuitamente accusare il
professor Andreoli di avere un po' troppo disinvoltamente approfittato del suo
trascorso ruolo di consulente psichiatrico di parte per dare alle stampe
un'opera che in qualche modo reclamizza od esalta la portata dell'intervento
professionale da lui svolto nel caso di specie, o per diffondere comunque le
sue idee sull'adozione e sui giudici.
Certo si è che, a prescindere dall'opinione che sarà
espressa più avanti circa l'utilità complessiva dell'operazione culturale, non
si può fare a meno di esprimere in queste colonne l'impalpabile senso di
disagio che si prova man mano che ci si inoltra nella lettura del testo: la
sensazione, per così dire, che anche questa iniziativa editoriale speculi,
come tante altre, sullo scalpore di un fatto che - come dice lo stesso Autore -
è stato troppo spesso messo alla ribalta con le luci del sensazionalismo e le
approssimazioni dell'emotività, anziché essere vissuto nei suoi veri risvolti
umani ed esistenziali.
Ma, soprattutto, vi è la sensazione che nella
circostanza lo psichiatra famoso non abbia comunque saputo sottrarsi alle
lusinghe della propria notorietà e della propria autorevolezza e che, senza
aver conquistato il dovuto distacco dall'esperienza del caso singolo, si sia
lasciato trasportare in una sorta di filippica di parte, anziché battere la
strada della trattazione spassionata ed imparziale di tutti gli argomenti
venuti in evidenza sul tappeto.
Illuminanti, al riguardo, suonano parecchie
espressioni che freudianamente affiorano qua e là nel testo: così ad esempio,
nel Tribunale per i minorenni di Torino «si parlava attraverso i mass-media»
(pag. X dell'introduzione); «nell'aula del Tribunale il 31 marzo (1989)
dominava l'ombra di Bobbio, lo vedevo sulle pupille dei giudici» (pag. 54); «i
giudici minorili hanno agito come se Serena fosse un ferro da stiro: l'hanno
staccato dalla presa di corrente di casa Giubergia per riattaccarlo ad un'altra
presa, in un'altra casa» (pag. 61); essi hanno operato «con la stessa ebrezza
con cui i medici a Dachau sezionavano arti ebrei e tentavano di riattaccarli»
(pag. 64); per decidere, gli «é bastato il parere di quella psicologa amica»
(pag. 65); le loro decisioni non sono altro che «la materializzazione di un
cavillo» (ivi); essi «nel caso di Serena, hanno agito come computer imperfetti»
(pag. 93), ecc. Sotto questo profilo non è neppure tanto azzardato affermare,
dunque, che, in buona sostanza, il libricino in questione sembra presentarsi,
né più né meno, come un puro e semplice remake
del citato saggio di Natalia Ginzburg, dal quale si differenzia sotto un
unico aspetto, e cioè per il dichiarato proposito di assicurare alle ragioni
del "cuore" perorate dalla scrittrice torinese il conforto della
scienza.
Ma anche sotto questo versante - e qui si entra
veramente nel vivo della materia - le cose sono tutte da discutere. Sebbene sia
infarcito dalle più disparate citazioni, letterarie e non (le quali spaziano da
Sofocle ad Euripide fino a Platone, Leonardo da Vinci e Cartesio, per poi passare
da Pascal e Kant a Feuerbach e Lévy-Bruhl, senza tralasciare Tolstoj,
Dostoevskij, Victor Hugo, De Amicis, Mantegazza, Freud, Valéry e Mallarmé),
l'argomento dell'Andreoli, dopo alcune inconferenti digressioni sui bei tempi
andati in cui non c'era la televisione e le donne facevano a gara tra di loro
per metter al mondo il maggior numero possibile di figli, delude francamente
le aspettative, assumendo ben presto un periodare assiomatico in cui non sembra
esserci spazio alcuno né per il confronto dialettico delle opinioni né per
l'approfondimento delle fonti. E valga il vero.
Uno dei quattro punti nodali posti dall'Andreoli a
fondamento del suo ragionare, e cioè il "terrorismo" dei mass-media di fronte alla emotività
della gente, si risolve tutto sommato nello sfondare una porta aperta,
limitato com'è ad un generico "j'accuse"
di stampo vagamente sociologico contro le malefatte arrecate dal sensazionalismo
giornalistico con il quale la vicenda di Serena Cruz è stata prevalentemente
trattata dagli organi di informazione: una doglianza, insomma, su cui
qualsiasi persona di buon senso non può che concordare.
Ma è nell'affrontare il secondo punto di discussione,
e cioè quello relativo ai rapporti tra giustizia e cittadini, che il discorso
dell'Andreoli mostra la corda, esaurendosi in una serie di affermazioni
apodittiche, che, se per certi versi possono anche essere apprezzate come una
forma di ricorso (sempre stimolante in quanto tale) alla provocazione, appaiono
peraltro permeate da una totale sfiducia verso la magistratura di cui ci si
guarda bene dal fornire adeguate giustificazioni dimostrative, e la cui
enunciazione non può per ciò stesso che risultare quanto meno arbitrario.
Non basta, infatti, abbinare alla definizione dei
compiti della psichiatria infantile (in quanto scienza che si occupa di
patologia mentale, con riferimento alle interrelazioni del minore con
l'ambiente) il fatto che i giudici di Torino non abbiano ritenuto determinanti
i rilievi specialistici da lui svolti sui rischi connessi al distacco di Serena
dalla casa dei Giubergia per autorizzare il pur esimio professor Andreoli a
condannare in blocco la giustizia che «fa violenza ogni giorno» (pag. 73) e che
«arzigogola sui legami d'amore e sui rapporti con i figli», e con lei la legge
che, per il fatto stesso di attribuirle tali poteri, è da considerare come
«sempre più lontana dalla cultura e dalla prassi dell'esistenza» (pagg. 74-75).
Libero, I'Andreoli, di ritenere che «per me e per la
gente è come se la giustizia non ci fosse», e di fare con eleganza - entrando
in Tribunale - quegli scongiuri «che guidano la mia mano sinistra in liturgie
più lontane dalla fronte e dal cuore» (pagg. 72-73), ma forse è bene
considerare che nella realtà delle cose il discorso è un tantino più complesso
e non può essere liquidato a colpi di aforismi e di invettive, sol perché una
propria consulenza di parte non ha sortito l'effetto sperato ed egli si è
sentito incompreso e forse deriso dai giudici (pag. 64).
Non soltanto, poi, appare inaccettabile il salto
logico con il quale I'Andreoli ritiene di passare dal caso particolare al piano
delle considerazioni generali, senza il supporto di un serio rigore
argomentativo. Anche sul caso specifico (il caso Serena, appunto), infatti, ci
sembra di poter dire, pur con tutto il dovuto rispetto per l'Autore, che i
passaggi attraverso i quali si dipanano le sue conclusioni si manifestano come
gravemente carenti di adeguati appoggi.
Prima di accusare i giudici di aver agito come dei
«computer imperfetti» nel separare Serena dal suo primo focolare italiano,
nessun accenno viene effettuato agli scopi ai quali è preordinata la legge
sull'adozione dei minori in Italia, per verificare se la magistratura ne abbia
fatta corretta applicazione, e quei pochi riferimenti che vi si fanno di
sfuggita sono sbagliati, come ad esempio là dove si espone (pag. 5) che per
diventare genitori adottivi bisogna avere un'età compresa tra i 18 e i 40 anni,
quando invece tale prescrizione ha riguardo alla differenza di età che deve
intercorrere tra gli adottanti e l'adottando. Questo tipo di approccio al tema
non può che squalificare ab imis
fundamentis la sostanza delle critiche che il libro rivolge ai giudici,
poiché vi traspare, da parte di persona "addetta ai lavori", un
inquietante disinteresse verso il dettato e lo spirito di una legge assai
articolata, che (caso rarissimo nel nostro paese) venne promulgata con
l'apporto dei più reputati studiosi del settore e che a suo tempo fu salutata
come una delle leggi migliori possibili per la salvaguardia dei minori in
stato di abbandono; così come analogo disinteresse si percepisce in capo
all'Andreoli per quanto riguarda la reale portata degli interventi giudiziari
da lui criticati: interventi che - non lo si ripeterà mai abbastanza - ben
lungi dal voler punire chicchessia, ebbero come loro unica preoccupazione, pur
con tutte le imperfezioni ed i ritardi del caso, quella di tutelare in via
esclusiva il benessere personale e familiare della minore, nei cui confronti
ci si sforzò di individuare una sistemazione familiare che l'inaccettabile
comportamento dei coniugi Giubergia (e dei loro troppi e troppo improvvisati
consiglieri) non le avrebbe mai potuto consentire, essendo stato fatto ricorso
nella specie ad una falsa indicazione di paternità che, una volta smascherata,
avrebbe per sempre impedito l'inserimento anagrafico di Serena in quella
famiglia.
Orbene, nemmeno una frase di quei motivatissimi
provvedimenti viene citata nel libro dell'Andreoli, e tanto meno è fatta
menzione di quei numerosi ed accorati passaggi in cui si sottolineava a più
riprese che Serena si trovava a soffrire per gli errori dei grandi (cfr. Corte
d'Appello di Torino - Sezione minori, decreto del 14.3.1989) e si ricordava
che, se si aveva a cuore il suo benessere, era indispensabile rispettarla
nella sua nuova dimensione di vita (cfr. Corte d'Appello di Torino - Sezione
minori, decreto del 18.4.1989).
Nell'accennare poi agli interrogativi che «ogni
italiano si era posto sul caso Serena fino a varcare i confini nazionali e ad
approdare al Parlamento europeo» (pag. 19), I'Andreoli non informa i lettori
che proprio la Commissione europea dei Diritti dell'Uomo - officiata sul punto
- con sua decisione del 5 marzo 1990, elogiò solennemente le pronunce assunte
dai giudici italiani (1).
Quei giudici non agirono «sulla scia di una legge che
salva un principio e forse scarabocchia il futuro di una bambina» (pag. 64),
ma con il solo intento di procurare a Serena un nucleo educativo stabile, e
nella lucida consapevolezza che una diversa decisione avrebbe potentemente
incentivato quel ricorso alla giustizia privata che I'Andreoli (pagg. 73-75)
non disdegna di apprezzare nel suo libello.
Da quanto si è osservato finora, si ricava in termini
di tutta evidenza che il terzo argomento annunciato nel risvolto di copertina
del libro, e cioè quello relativo al "problema delle adozioni", non è
neppure sfiorato dall'Autore.
Quanto al conflitto tra «la legge dei codici» e la
«legge del cuore», che tante volte è stato evocato nell'eco delle polemiche
sollevate dalla lettura delle vicende del caso Serena, nelle pagine finali del
libro si legge che compito della scienza è quello di far si che, nel raccontare
ogni storia umana, si riesca sempre meglio a coniugare la logica della ragione
con quella del sentimento.
È, questo, un messaggio di speranza e di intelligenza
che non può non essere accolto, ed è su questo terreno che molte cose restano
da fare e che tutti gli specialisti minorili possono confrontarsi con umiltà
e competenza, offrendo alla società un contributo sempre più qualificato: e ciò
vale in particolar modo per il mondo delle adozioni e dell'infanzia in
difficoltà. Sotto questo aspetto anche il volumetto che qui abbiamo avuto la
presunzione di criticare, nell'aprire un solco suscettibile di fertili
risultati, può offrire un interessante spunto di discussione.
(1)
Cfr.
"Decisione della Commissione europea dei Diritti dell'Uomo sulla vicenda
di Serena Cruz", Prospettive assistenziali,
n. 90, aprile-giugno 1990.
www.fondazionepromozionesociale.it