Prospettive assistenziali, n. 108, ottobre-dicembre 1994

 

 

Notiziario del Centro italiano per l'adozione internazionale

 

 

I MINORI RIFUGIATI POLITICI E L'ADOZIONE

 

Una breve panoramica degli strumenti inter­nazionali che tutelano questa categoria di minori è opportuna per inquadrare il lavoro svolto dalla Commissione speciale riunitasi all'Aja dal 17 al 21 ottobre 1994, che, oltre ad una revisione e ad un aggiornamento della Convenzione sulla pro­tezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, si proponeva di ela­borare un documento aggiuntivo alla Conven­zione stessa, con specifico riferimento ai minori che, per motivi politici o per catastrofi naturali devono abbandonare il loro Paese d'origine ed essere accolti, senza accompagnamento di un adulto che ne abbia la tutela, in un altro Paese.

È doveroso sottolineare l'importanza dei trat­tati internazionali, che, quando ratificati da più Governi, stabiliscono standards ai quali gli Stati firmatari promettono di aderire e che diventano universali e vincolanti per la comunità interna­zionale.

La Convenzione del 1951 sui rifugiati politici e il Protocollo del 1967 hanno stabilito standards applicabili sia agli adulti che ai minori, e princi­palmente hanno convenuto che:

1. un bambino per il quale esistano seri timori di persecuzione nel suo Paese, è da considerar­si rifugiato politico;

2. un bambino nella condizione di rifugiato non può essere costretto a ritornare nel suo Paese d'origine;

3. nessuna distinzione può essere fatta tra bambino ed adulto quando si tratta del suo be­nessere e dei suoi diritti legali.

II trattato che, però, più si è occupato di questi minori è senza dubbio la Convenzione sui diritti del bambino del 1989, che ha assunto notevole importanza a seguito della massiccia ratifica di tale strumento (155 Stati vi hanno aderito al marzo 1994).

La maggior innovazione introdotta da questa Convenzione è stata quella di aver stabilito che i bambini hanno diritti legali e non solo bisogni, come la cultura della maggior parte dei Paesi del mondo ci ha frequentemente indotto a cre­dere.

Sebbene la Convenzione sui diritti del bambi­no copra ogni aspetto della vita dello stesso, so­no stati individuati tre diritti fondamentali, estre­mamente importanti e correlati tra loro, tanto da costituire una specie di "triangolo dei diritti» che si rinforzano l'un l'altro per raggiungere l'obietti­vo della "sopravvivenza e sviluppo" dei bambini.

Il primo di questi tre diritti è la considerazione del "miglior interesse del bambino", che non sempre necessariamente coincide con l'interes­se dell'adulto, anzi, spesso è con esso in situa­zione di conflitto; è dovere degli Stati e dei loro Governi valutare attentamente questi conflitti e dare all'interesse del minore primaria conside­razione nell'elaborazione delle leggi e nelle spe­cifiche politiche sociali.

Il secondo diritto è quello concernente la non discriminazione, per cui ogni bambino sotto la giurisdizione di qualunque Stato, indipendente­mente dalla sua cittadinanza, etnia o origine, de­ve usufruire della stessa tutela riservata ai mino­ri cittadini di quello Stato.

Il terzo diritto riguarda la partecipazione del minore, quando costui abbia raggiunto un suffi­ciente grado di comprensione e maturità, alle decisioni inerenti il suo futuro.

Era estremamente necessario, a questo pun­to, rafforzare la tutela di questa categoria di mi­nori anche in materia di adozione internazionale, dando particolare rilievo alla situazione di estre­ma vulnerabilità fisica e psicologica in cui essi si trovano.

Il testo della Raccomandazione elaborata dai delegati della Conferenza dell'Aja è il seguente:

A seguito della decisione della diciassettesi­ma sessione della Conferenza dell'Aja sul diritto privato internazionale, tenutasi all'Aja dal 10 al 29 maggio 1993, di convocare una Commissio­ne speciale per studiare la specifica questione dell'applicazione ai bambini rifugiati politici e ad altri bambini deportati per motivi politici della Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993 sulla protezione dei minori e la cooperazione in mate­ria di adozione internazionale, la Commissione speciale riunita all'Aja dal 17 al 21 ottobre 1994, in consultazione con l'Ufficio dell'Alto Commis­sariato delle Nazioni unite per i rifugiati politici adotta la seguente

Raccomandazione

 

Poiché la Convenzione dell'Aja sulla protezio­ne dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale si è conclusa all'Aja il 29 maggio 1993,

In considerazione del fatto che nell'applica­zione della Convenzione ai bambini rifugiati poli­tici e ai bambini che, a seguito di disordini nei propri paesi, vengono deportati, si deve tener conto della loro situazione particolarmente vul­nerabile,

Ricordando che, come dice il preambolo della Convenzione, ogni Stato deve prioritariamente prendere tutti gli opportuni provvedimenti per­ché il bambino possa rimanere con la sua fami­glia d'origine, e che l'adozione internazionale può offrire il vantaggio di una famiglia perma­nente ad un bambino per il quale non è stato possibile trovare una famiglia adatta nel suo Paese d'origine,

La Conferenza dell'Aja sul diritto privato inter­nazionale raccomanda agli Stati che sono o di­venteranno firmatari della Convenzione di pren­dere in considerazione i seguenti principi nell'applicare la Convenzione a bambini rifugiati politici e a bambini che, a causa di disordini nei propri Paesi sono stati deportati:

1. Per l'applicazione dell'art. 2, paragrafo 1 della Convenzione, uno Stato non compirà alcu­na discriminazione nei confronti di questi bam­bini nel determinare se essi sono abitualmente residenti in quello Stato. Quando ci si riferisce a questi bambini, lo Stato d'origine a cui si riferi­sce l'art. 2, paragrafo 1, della Convenzione, è lo Stato dove il bambino risiede dopo essere stato deportato;

2. le autorità competenti dello Stato nel quale il bambino è stato deportato si assicureranno con particolare attenzione che:

a) prima che qualunque procedura finalizzata all'adozione internazionale inizi:

- tutti gli opportuni provvedimenti siano stati presi per rintracciare e riunire il bambino con i suoi genitori o con membri della sua famiglia nel caso in cui il bambino sia stato separato da loro;

- il rimpatrio del bambino nel suo Paese, con lo scopo di tale riunione, non sia opportuno 0 desiderabile, poiché il bambino non può riceve­re appropriate cure, o non può godere di soddi­sfacente protezione, in quel Paese;

b) un'adozione internazionale può avvenire solo se:

- i consensi a cui si riferisce l'art. 4 della Con­venzione sono stati ottenuti;

- tutte le informazioni relative alla sua identità, sua adottabilità, suo passato, ambiente sociale, storia familiare, anamnesi medica, compresa quella della sua famiglia, il modo in cui è stato cresciuto, le sue origini etniche, religiose e cul­turali e qualunque speciale necessità del bam­bino, siano state raccolte per quanto è possibile date le circostanze.

Nello svolgere le funzioni richieste dai sotto paragrafi a) e b), queste autorità si avvarranno, nella raccolta delle informazioni, della collabo­razione di organismi internazionali e nazionali, in particolare dell'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati politici;

3. le competenti autorità presteranno partico­lare attenzione a non danneggiare persone che ancora vivono nel Paese d'origine del bambino, specialmente membri della sua famiglia, nell'ot­tenere e conservare le informazioni raccolte se­condo quanto richiesto dal paragrafo 2 e prov­vederanno a preservare la riservatezza di tali in­formazioni come richiesto dalla Convenzione;

4. gli Stati faciliteranno l'adempimento, in me­rito ai bambini a cui ci si riferisce in questa Rac­comandazione, del mandato di protezione dell'Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati politici.

La Conferenza dell'Aja raccomanda anche che ogni Stato consideri questi principi e quelli della Convenzione per le adozioni che creano un rapporto permanente genitore-figlio tra, da una parte coniugi o persona abitualmente resi­denti in quello Stato e, dall'altra parte un bambi­no rifugiato politico o deportato nello stesso Stato.

A completamento dei lavori della Commissio­ne speciale, si è tenuta dal 23 al 26 ottobre 1994, sempre all'Aja, una Conferenza, organiz­zata in occasione dell'Anno internazionale della famiglia, avente come tema: "Bambini migranti: come garantire loro il diritto ad una vita familia­re".

Uno dei temi portanti della Conferenza, alla quale hanno partecipato esperti e addetti ai la­vori provenienti da tutto il mondo, riguardava proprio i bambini rifugiati e le azioni da intra­prendere per concretizzare il loro tanto dichia­rato diritto ad una famiglia.

Le priorità individuate dai gruppi di lavoro sull'argomento sono state le seguenti:

1. la necessità di una revisione ed un aggior­namento della Convenzione del 1951, nell'ottica di una maggiore attenzione al bambino, come soggetto, e di un maggior collegamento con la Convenzione dei diritti del bambino;

2. la costituzione negli Stati firmatari della Convenzione di un'Autorità centrale, che abbia, nello Stato di accoglienza, giurisdizione sul bambino, e che possa, tramite un collegamento con le altre Autorità centrali, operare in collabo­razione nel miglior interesse del minore;

3. la riaffermazione che il miglior interesse del bambino è quello di essere riunito alla famiglia d'origine, e, qualora ciò sia impossibile nell'im­mediato presente, la necessità di studiare forme alternative di collocamento familiare, tramite af­fido presso famiglie temporanee o inserimento in comunità di rifugiati provenienti dallo stesso Paese. Si auspica che le Autorità competenti prendano gli opportuni provvedimenti affinché i minori rifugiati non siano totalmente sradicati dalla loro cultura e affinché si privilegi per esempio l'accoglienza in Paesi confinanti dove, con adeguato supporto economico, famiglie di cultura simile a quella del minore, siano messe in condizione di accoglierlo fino al momento del rimpatrio;

4. la constatazione che un lavoro di preven­zione e di intervento immediato, nei Paesi in cui si manifestino circostanze che conducono all'esodo dei minori, può arginare il fenomeno e renderlo meno drammatico. L'informazione alle famiglie sulle possibili conseguenze dell'espa­trio dei loro figli senza accompagnamento, il supporto alle comunità e la registrazione dei bambini che diventano rifugiati, sono solo alcu­ne delle azioni preventive che possono essere intraprese dalle varie autorità. È importante evi­denziare che più lontano è il Paese in cui il bam­bino rifugiato viene accolto e più difficile diventa rintracciare la famiglia d'origine in vista di una riunione, e che la soluzione dei l'istituzionalizza­zione è in assoluto la meno auspicabile per bambini già profondamente traumatizzati e sra­dicati dal loro ambiente.

 

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Nell'ottica di queste valutazioni, chiediamoci se azioni come il trasporto in Italia dei bambini vittime della guerra in Rwanda, sono veramente nell'interesse del bambino. Chiediamoci se l'ac­coglienza in un istituto dei bambini vittime della guerra in Bosnia sia veramente nell'interesse del bambino. Abbiamo voluto salvare loro la vita, diritto primario dell'essere umano, adesso ab­biamo il dovere di dare una qualità alla loro vita e questo lo potremo fare ricreando intorno a to­ro il clima affettivo che solo la famiglia può dare, e il senso di appartenenza che solo all'interno della propria comunità si rafforza e cresce. Non è certo relegando questi bambini in un istituto, per quanto assistiti ed accuditi possano essere, che si esaurisce il nostro mandato di protezione e solidarietà.

 

 

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