Prospettive assistenziali, n. 109, gennaio-marzo
1995
IL FIGLIO
DEL DESIDERIO
Recentemente è uscito un volume (1) che raccoglie le
riflessioni condotte dalle Autrici, psicoterapeute impegnate professionalmente
nel settore delle adozioni.
Consapevoli delle difficoltà unite nel "mestiere"
dì genitore, e in particolare di genitore adottivo, M. Farri Monaco e P. Peila
Castellani forniscono indicazioni chiare sui criteri da assumere per
individuare genitori capaci di costruire positivi rapporti educativo-affettivi
con i figli e nelle relazioni con i figli biologici e adottivi. «Accogliere un bambino, qualunque sia la
sua provenienza, implica un impegno di autoriflessione teso a generare amore,
infondere speranza, contenere la sofferenza e pensare all'interno di un
contesto sociale e relazionale non appropriativo, ma che consideri l'altro come
individuo distinto e separato, avente potenzialità, inclinazioni, esigenze
proprie da rispettare».
L'intervento dei servizi è giustamente presentato
come uno spazio nel quale le motivazioni della scelta adottiva e le prospettive
nei confronti del bambino che verrà accolto possono essere verificate e
approfondite dagli stessi futuri genitori adottivi.
La funzione degli operatori come sostegno nel cammino
adottivo emerge anche nei casi in cui, nel corso dell'affidamento preadottivo o
ad adozione avvenuta, si rende necessario un intervento psicologico per il
bambino, la coppia o per entrambi.
Mentre i contenuti del volume sono in linea generale
condivisibili (anche se le Autrici hanno preso solo marginalmente in considerazione
le adozioni da parte di coniugi con figli biologici), sconcertanti sono le tesi
sostenute nella prefazione dalla psicoterapeuta Tilde Giani Gallino secondo
cui gli adottati adulti dovrebbero, se lo desiderano, essere informati «dei reali dati d'origine» ritenendo
che «nell'ottica psicologica il fatto di
non possedere alcuna radice biologica/territoriale può provocare una
situazione grave, capace di impedire il processo di identificazione e
individuazione del Sé e dell'intera personalità».
AI riguardo sorge l'interrogativo: «II processo di
identificazione si avvia solo dopo che l'adottato ha superato il 18° anno di
età, visto che la Gallino ritiene che solo al raggiungimento della maggiore età
l'adottato abbia il diritto di essere informato in merito ai dati reali di
origine»?
Ma il processo di identificazione non si realizza a
partire dalla più tenera età? La posizione della Gallino è scientificamente
sostenibile o non è ancora legata al mito del vincolo del sangue? Come mai -
aggiungiamo - decine di migliaia di adottati in Italia e all'estero hanno una
buona strutturazione della loro personalità, nonostante che non abbiano mai
conosciuto le "loro radici"? (2) Ma le radici vere sono quelle
dell'ereditarietà biologica o quelle del rapporto affettivo fra adottanti e
adottati, rapporto che è anche, reciprocamente, formativo? In materia
concordiamo con quanto ha scritto Alfredo Carlo Moro nell'articolo "II
desiderio di conoscere le proprie origini: un nuovo diritto?" (3).
In secondo luogo non pensiamo assolutamente, come
ritiene la Gallino, che sia un pregiudizio di «chi concede o decide le
adozioni» l'effettuazione di indagini (a nostro avviso dovrebbero essere ancor
più rigorose) per individuare le reali motivazioni degli aspiranti adottanti.
Infatti sarebbe immorale, disumano e antisociale affidare bambini a persone
senza effettuare alcuna valutazione della loro disponibilità.
Se si rifiutano gli accertamenti sull'idoneità degli
aspiranti adottanti, si capovolgono i termini del problema: non è più il
bambino che ha diritto a una famiglia (che ovviamente deve essere idonea), ma
si riconoscerebbe agli adulti, anche incapaci, la potestà di disporre dei
minori.
(1) Marina Farri Monaco - Pierangela
Peila Castellani, Il figlio del desiderio
- Quale genitore per l'adozione?, Bollati Boringhieri, Torino 1994, pp.
246, L. 28.000.
(2) Di certo è doveroso che i
genitori adottivi informino tempestivamente e correttamente il bambino della
sua situazione di figlio adottivo.
(3) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 103, luglio-settembre 1993.
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