Prospettive assistenziali, n. 109, gennaio-marzo 1995

 

 

Editoriale

 

Il volontariato: solidarietà e diritti (*)

 

Schematizzando si può dire che vi sono due forme di volontariato, che perseguono finalità nettamente diverse, a volte anche opposte.

Ci sono, infatti, gruppi di volontariato che limi­tano «il proprio intervento ad alleviare la soffe­renza» (1). Come è stato precisato dal seminario di ricerca organizzato dalla Fondazione Zancan, in collaborazione con la Caritas italiana e la Fondazione italiana per il volontariato, «limitarsi ad un'azione di riparazione sociale di fatto signi­fica, anche se involontariamente, conservare le cause e le condizioni di esistenza dei problemi» (2). Vi sono, inoltre, gruppi di volontariato, molto pochi in verità, che coniugano gli interventi di aiuto alle persone e ai nuclei familiari con le ini­ziative dirette alla riduzione e, se possibile alla eliminazione, delle cause che provocano disa­gio, emarginazione e, spesso, esclusione so­ciale.

Si può affermare che la prima forma di volon­tariato ha scopi meramente consolatori nei con­fronti delle persone e dei nuclei familiari in diffi­coltà. Per questo motivo, è un volontariato molto apprezzato dalle istituzioni e dalle forze politi­che, economiche e sociali. Infatti, gli interventi non mettono in discussione i motivi in base alle quali centinaia di migliaia di persone (bambini, adolescenti, adulti e soprattutto anziani) vivono in condizioni subumane.

L'apprezzamento del volontariato consolatorio viene manifestato con l'erogazione di contributi economici anche cospicui, con la concessione delle sedi a titolo gratuito o a condizioni di favo­re, con il pagamento da parte di Regioni, Comu­ni, Province e USL di materiale apparentemente informativo, ma quasi sempre propagandistico a favore del gruppo di volontariato e delle istitu­zioni.

Occorre, altresì, rilevare che í gruppi di volon­tariato consolatorio non segnalano mai all'opi­nione pubblica e all'Autorità giudiziaria violazioni anche gravi di diritti fondamentali (3).

Purtroppo era facile prevedere che una parte rilevante del volontariato assumesse posizioni a sostegno delle istituzioni. AI riguardo ricordiamo che l'art. 1 della legge quadro 266/1991 stabili­sce che il volontariato viene riconosciuto, pro­mosso e favorito dalle istituzioni stesse per il «conseguimento delle finalità a carattere sociale, civile, culturale individuate dallo Stato, dalle Re­gioni, dalle Province autonome di Trento e Bolza­no e dagli Enti locali». AI riguardo il noto giurista Pietro Rescigno ha rilevato che la norma sud­detta «è indice preoccupante di una concezione del pluralismo che da una fonte esterna all'auto­nomia dei gruppi riceve volta a volta il riconosci­mento o negligenza, privilegi o limitazioni, discri­minazioni favorevoli o negative» (4).

A sua volta il magistrato A. Sansa, attuate Sin­daco di Genova, dopo aver sostenuto che la di­sposizione di cui sopra «è infelice e insidiosa e va modificata al più presto» aggiunge: «Non var­remmo che le associazioni che esercitano fun­zioni di stimolo, anche critico, e di promozione dei diritti, fossero discriminate: si pensi al settore degli anziani e a molte situazioni della sanità». Conclude quindi, con il seguente auspicio: «Non dovrà essere compensato il volontariato condi­scendente, o financo interessato, che pure talvol­ta esiste, a scapito di quello scomodo per le isti­tuzioni lottizzate» (5).

 

II volontariato del "caso per caso"

È la modalità di intervento più frequente del volontariato consolatorio ed anche la più peri­colosa.

C'è un bambino handicappato a cui i genitori non possono provvedere perché privi di mezzi economici. Vi sono ancora volontari che invece di pretendere dal Comune un adeguato soste­gno finanziario, si danno da fare per cercare un istituto e, a volte, anche per raccogliere i fondi per pagarne la retta. Aiutare questo o quel bam­bino handicappato a trovare sollecitamente un posto in istituto a causa della carenza di servizi può essere a prima vista considerato un'azione meritevole.

Proprio perché una volta era attuato solo que­sto tipo di intervento, è stato favorito negli anni 1945-1962 il ricovero in istituto di centinaia di migliaia di minori.

La scuola dell'obbligo rifiuta la frequenza dr un bambino con una grave menomazione intel­lettiva. Numerosi sono i gruppi di volontariato che, anziché aiutare il soggetto e la sua fami­glia ad ottenere il riconoscimento del diritto allo studio, si limitano a intrattenerlo per qualche ora alla settimana.

Per un handicappato intellettivo che ha termi­nato la scuota dell'obbligo non ci sono servizi, ad esempio un centro diurno, se non è in grado di frequentare un corso prelavorativo. Non è ra­ro incontrare volontari che accettano passiva­mente questa situazione, considerando esaurito ogni loro impegno sociale nel rendere partecipe il soggetto di alcune loro attività ricreative.

La preoccupazione maggiore di molte orga­nizzazioni di volontariato è quella di rispondere al più presto ai problemi delle persone in diffi­coltà di cui si occupano, senza chiedersi in qua­le direzione vada il loro aiuto, senza tener conto se la loro azione di fatto contrasta con il ricono­scimento dei diritti delle persone più deboli.

Un esempio di volontariato "caso per caso" che interviene a favore di una persona senza rendersi conto che la posizione assunta può danneggiarne migliaia è costituita dalla vicenda della piccola Serena, introdotta in Italia illegal­mente nel 1988 dal signor F.G. che per poterla adottare aveva falsamente dichiarato di esserne il padre.

Numerose furono le persone che, in perfetta buona fede, chiesero che la bambina potesse essere adottata dal signor F.G. e dalla sua con­sorte, senza rendersi conto che stabilendo il principio della validità dell'ingresso illegale e della falsa dichiarazione di paternità si sarebbe favorito il mercato dei bambini del Terzo mondo. Questo mercato - come l'esperienza purtroppo insegna - è particolarmente praticato anche, se non soprattutto, da persone con gravi problemi personali (malati di mente, pedofili ecc.) (6).

 

Il volontariato gestionale

AI volontariato gestionale appartengono inve­ce gruppi che si qualificano come volontari dan­do ad intendere che si tratta di organizzazioni che non ricevono alcun compenso; nello stesso tempo richiedono ed ottengono finanziamenti pubblici non indifferenti.

Un esempio

II Sea, Servizio emergenza anziani, di Torino, beneficiario di una martellante campagna pro­mozionale da parte del giornale "La Stampa" (7), nel 1993/1994 ha ricevuto i seguenti finanzia­menti:

- dall'Osservatorio per il volontariato L. 120 milioni per "Assistenza domiciliare post-ospe­daliera";

- dalla Regione Piemonte:

a) L. 157 milioni per un progetto di assistenza domiciliare post-ospedaliera da realizzare nell'Usl Torino 6;

b) L. 141 milioni per un progetto di assistenza permanente da sperimentare nel territorio delle Usi Torino 1, 2 e 6 in collaborazione con il Cilte e Mondo X-Telefono amico.

In sostanza il volontariato gestionale quasi sempre sceglie, come prevede la legge 266/ 1991, di conseguire le finalità di carattere socia­le, civile e culturale individuate dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province di Trento e di Bolzano e dagli Enti locali.

È significativo, Ozi preoccupante, osservare che le organizzazioni di volontariato che opera­no nell'ambito delle finalità individuate come so­pra specificato, ottengano dalle istituzioni inte­ressate, verrebbe da dire quale "compenso inte­ressato", la possibilità di convenzionarsi e quin­di di ricevere dal settore pubblico finanziamenti, anche rilevanti.

Risultano evidenti i motivi per cui le organizza­zioni di volontariato gestionale, oltre a non svol­gere in concreto (anche se spesso, per crearsi un alibi, ne parlano molto) nessuna attività per contrastare le cause che provocano o concor­rono all'emarginazione degli handicappati (e de­gli altri soggetti deboli), si accodino sempre alle posizioni delle istituzioni. Evidentemente temo­no, se difendessero i diritti dei più deboli, di es­sere boicottati nella gestione (pagamenti dila­zionati, ispezioni, ecc.) e di non ottenere più il rinnovo delle convenzioni che, per i dirigenti e gli operatori, significa la perdita del posto di la­voro.

 

II volontariato organizzato: solidarietà o diritti

Schematizzando si può dire che gli obiettivi del volontariato possono essere anche molto di­stanti fra di loro.

Si può parlare di volontariato della solidarietà oppure di volontariato dei diritti (8). Vediamo di metterne in evidenza le caratteristiche più im­portanti.

 

Volontariato della solidarietà

Si occupa di casi individuali o di singoli nuclei familiari. Non interviene concretamente per combattere le cause sociali ed economiche che determinano o favoriscono difficoltà, emargina­zione, esclusione, anche se spesso sul proble­ma fanno discorsi che però sono sempre gene­rici e non propositivi.

A causa della visione limitata e settoriale delle problematiche, tende a trasformarsi in volonta­riato gestionale, richiedendo alle autorità prepo­ste finanziamenti per lo svolgimento di attività di competenza del settore pubblico. In genere non svolge nessuna attività culturale innovativa. Spesso propaganda le "veline" diffuse dagli am­ministratori degli enti pubblici e privati e fa pro­pri i luoghi comuni: gli handicappati sarebbero massicciamente abbandonati dai loro familiari; la presenza di bambini handicappati nella scuo­la dell'obbligo danneggerebbe i più capaci; sa­rebbe giusto allontanare gli anziani malati croni­ci non autosufficienti dagli ospedali anche quando hanno l'esigenza di essere curati in queste strutture.

A volte queste posizioni non sono sostenute apertamente, ma nulla viene fatto per contra­starle sul piano culturale o operativo. Non fa mai riferimento ai diritti, ma al buon cuore.

Ha molta udienza presso i mezzi di informa­zione, soprattutto da parte della televisione. Accettano come opere buone le proposte an­che ghettizzanti delle istituzioni pubbliche e pri­vate.

 

Volontariato dei diritti

L'obiettivo degli interventi è il concreto ricono­scimento delle esigenze e dei diritti fondamenta­li delle persone, in primo luogo di quelle che, a causa della gravità delle condizioni psico-fisi­che, non sono in grado di autodifendersi (9).

L'operatività tiene conto delle esigenze anche immediate dei soggetti e dei nuclei familiari che si trovano nelle stesse condizioni (e non solo di coloro che si conoscono direttamente), legando le iniziative rivolte alla prevenzione del bisogno, delle malattie e delle difficoltà sociali con le con­crete prestazioni, comprese quelle urgenti. Gli interventi, inoltre, sono diretti a garantire, nei li­miti del possibile, il soddisfacimento delle esi­genze: salute, casa, lavoro ecc.

II volontariato dei diritti opera per il riconosci­mento effettivo della priorità degli interventi do­miciliari concernenti la salute (ospedalizzazione e, se necessario, riabilitazione a domicilio), l'educazione (consulenza educativa domiciliare), l'assistenza (aiuti psico-sociali alle persone e nu­clei in difficoltà, servizi di aiuto personale, adozio­ne, affidamenti familiari) ecc., difendendo le esi­genze delle persone singole e dei nuclei familiari e negando la necessità delle strutture di emargi­nazione (istituti di assistenza in particolare).

 

Condizioni per un efficace volontariato dei diritti

Sono necessari:

- piena autonomia, anche economica, nei confronti delle istituzioni pubbliche e private, in modo da non essere costretti ad accettare linee e ad effettuare interventi in contrasto con le pro­prie opinioni;

- raccolta e valutazione autonoma delle infor­mazioni, valutazione da confrontare con il mag­gior numero possibile di persone e gruppi, al fi­ne di evitare, nella misura del possibile, errori e distorsioni;

- verifica del proprio operato (singola perso­na e gruppo) al fine di valutare la rispondenza delle azioni con gli obiettivi. Elementi importan­tissimi della verifica sono i risultati conseguiti tramite la difesa delle esigenze e dei diritti dei cittadini singoli e di nuclei familiari;

- azioni definite sulla base di progetti evitan­do che ciascun componente del gruppo agisca per conto proprio;

- una adeguata preparazione dei volonta­ri (10).

 

 

(*) Alcune parti di questo articolo sono state inserite nel volume di M.G. Breda - F. Santanera, Handicap: oltre la leg­ge quadro - Riflessioni e proposte, UTET Libreria, 1995.

(1) Cfr. Fondazione Zancan, "Ruolo politico del volonta­riato", Prospettive assistenziali, n. 107, luglio-settembre 1994.

(2) Ibidem.

(3) Cfr. la nota "Regalare sorrisi: per l'AVO questa è la caratteristica fondamentale del volontariato”, Prospettive assistenziali, n. 92, ottobre-dicembre 1990, in cui metteva­mo in rilievo che per l'AVO (Associazione volontari ospe­dalieri) «non ci sono disfunzioni o omissioni, che, se non ri­mosse, vanno denunciate» e commentavamo con amarez­za che il comportamento dei 18.000 associati dell'AVO era dovuto al fatto che evidentemente: «tutti i pazienti ospeda­lizzati sono trattati bene: le strutture edilizie sono idonee, le attrezzature validissime, il personale è sufficiente sul piano quantitativo e qualitativo, l'igiene è rispettata, le cure sono adeguate alle patologie dei pazienti e alle loro esigenze psico-fisiche, la riabilitazione è praticata tempestivamente, le ammissioni e le dimissioni degli anziani e degli adulti cronici non autosufficienti sono disposte in base alle leggi vigenti, non solo non insorgono le piaghe da decubito ma vengono curate quelle che i pazienti avevano al momento dell'ingresso in ospedale. I malati non in grado di alimen­tarsi autonomamente e privi di familiari sono imboccati dal personale ospedaliero, ad essi vengono somministrate an­che le bevande, per gli incontinenti si provvede ai neces­sari cambi della biancheria, gli orari di visita sono molto ampi di modo che i malati possono godere al massimo del­la presenza dei loro congiunti e degli amici»

(4) Cfr. Pietro Rescigno, "Leggi, cooperazione, volonta­riato: i rischi e le opportunità", Il Bianco e il Rosso, febbraio 1992.

(5) Cfr. Adriano Sansa, 'Volontariato: inizia male una legge equilibrata", in Famiglia cristiana, n. 5, 1992. Si veda, inoltre, l'editoriale "Aspetti positivi e negativi della legge quadro sul volontariato", Prospettive assistenziali, n. 96, ot­tobre-dicembre 1991.

(6) Si veda in Prospettive assistenziali, n. 86, aprile-giu­gno 1989: P.G. GOSSO, "II caso Serena e la difesa dell'ille­galità" e "Diritti dei minori e tentativi di stravolgimento dell'adozione".

(7) Cfr. gli articoli apparsi su La Stampa, Cronaca di To­rino dal 23 giugno 1994 ad oggi (febbraio 1995).

(8) Per motivi di spazio non prendiamo In considerazio­ne il volontariato fornito da persone singole (rete amicale, vicinato, ecc.), anche se si tratta di interventi molto estesi ed estremamente importanti.

(9) Mons. Luigi Di Liegro, direttore della Caritas romana sostiene che «bisogna cominciare a vedere i bisogni come diritti e passare dall'assistenza all'impegno di giustizia». Cfr. Emanuele Rebuffini, Tutto è politica, Rocca, 1° gennaio 1995.

(10) Si veda la "Scuola dei diritti", Prospettive assisten­ziali, n. 108, ottobre-dicembre 1994.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it