Prospettive assistenziali, n. 109, gennaio-marzo
1995
Interrogativi
LE
RIVISTE SCIENTIFICHE NON POSSONO ESPRIMERE VALUTAZIONI NEGATIVE?
Su Prospettive
assistenziali, n. 107, luglio-settembre 1994, dopo aver riportato quanto
scritto su "La professione sociale - Rivista di studio, analisi e
ricerca" a favore della, a nostro avviso, pessima (1) legge della Regione
Emilia-Romagna 3 febbraio 1994 n. 5, avanzavamo i seguenti argomenti di
riflessione:
«- la Regione Emilia-Romagna riconosce e legittima
le funzioni specifiche dell'assistente sociale assegnando a questo operatore
compiti totalmente al di fuori di ogni sua competenza. A questo proposito
l'art. 18 della legge 5/1994 prevede che "al
fine di garantire all'anziano non autosufficiente
o a rischio di non autosufficienza un
corretto e completo svolgimento del necessario percorso assistenziale",
l'assistente sociale "assume la responsabilità
del controllo degli interventi previsti nel programma assistenziale personalizzato".
Se l'anziano è non autosufficiente a causa di neoplasie, di malattie
cardiovascolari, di fratture, come può l'assistente sociale assumere
responsabilità, se non ha - né deve avere - alcuna competenza sanitaria?;
«- si ispira agli "obiettivi
del servizio sociale professionale" la prassi della Regione Emilia Romagna
che non considera come malattie, ma condizioni di disagio le neoplasie,
I'ictus, la demenza, le sindromi psichiatriche?;
«- fa legge 5/1994 "ha colto contributi, esperienze
operative, riflessioni che gli assistenti sociali hanno condotto e conducono
nell'ambito della Regione" negando di fatto agli anziani cronici
non autosufficienti il diritto alle cure sanitarie comprese quelle ospedaliere
nelle forme previste dalle leggi per tutti i cittadini malati?;
«- infine, la negazione di diritti esigibili (come
quello della salute) e il dirottamento degli utenti ai servizi assistenziali
(la cui caratteristica è la discrezionalità) è la conseguenza del riconoscimento
e legittimazione delle funzioni specifiche dell'assistente sociale?».
Ai nostri interrogativi Annastella Massaro del
Comitato di coordinamento editoriale di "La professione sociale" non
risponde (cfr. il n. 8, dicembre 1994), asserendo che «non si è ritenuto, in questa
sede, di esprimere considerazioni valutative sulla
politica socio-sanitaria della Regione Emilia Romagna,
poiché trattasi di una rivista di carattere scientifico tesa a
promuovere il processo culturale e formativo delle professioni sociali e quindi a cogliere, nella nuova normativa,
gli elementi che ne consentono e
favoriscono una migliore realizzazione».
Ma come si fa ad affermare che una rivista a
carattere scientifico non può e non deve entrare nel merito delle disposizioni
di una legge che coinvolge direttamente la vita di migliaia di persone?
L'assistente sociale (come qualsiasi altro operatore)
non deve intervenire per rispondere alle esigenze degli utenti? Quindi, non è
tenuta obbligatoriamente a valutare se i compiti assegnati sono confacenti
alla sua preparazione professionale?
Come mai nell'articolo apparso sul n. 7, gennaio-giugno
1994, la rivista, del cui coordinamento redazionale la Massaro fa parte,
rivolgeva lodi sperticate alla legge 5/1994 dell'Emilia Romagna? Se non è
"scientifico" esprimere considerazioni valutative critiche su una
legge è conforme a scienza e coscienza sostenerla al punto di impegnarsi
affinché il suo contenuto «debba essere massimamente divulgato e socializzato»?
In base a quali criteri scientifici la Massaro coglie
nelle norme della legge in oggetto «gli
elementi che ne consentono e
favoriscono una migliore realizzazione», se le disposizioni sono
assolutamente in contrasto con l'assunzione corretta di responsabilità
professionali da parte degli assistenti sociali?
In relazione a quali ragionamenti la redazione di
"La professione sociale" sostiene che «riconoscere all'assistente sociale, figura centrale dell'azione
socio-assistenziale, ruoli di responsabilità e di coordinamento dei progetti di
aiuto personalizzati, per noi significa riconoscere una competenza
dovuta», quando gli assistenti sociali dovrebbero garantire agli anziani
malati, spesso colpiti da pluripatologie, il controllo e il coordinamento in
merito alla correttezza della diagnosi e all'efficacia delle terapie?
Non è necessario che ognuno svolga i compiti per i
quali è professionalmente preparato? Non sono i medici e gli infermieri gli
operatori che devono rispondere alle esigenze diagnostiche e terapeutiche dei
cittadini malati, che sono tutti curabili anche nei casi di malattie
inguaribili?
(1) Cfr. i numeri 105 e 106 di Prospettive assistenziali.
www.fondazionepromozionesociale.it