Prospettive assistenziali, n. 109, gennaio-marzo
1995
L'ADOZIONE AI SINGLE: IL CASO DI LAZZARO
DAVIDE PROVERBIO
*
La vicenda Di
Lazzaro ha, come si suol dire, tenuto banco per diversi mesi: sembra quindi
opportuno tentarne una ricostruzione la più esauriente e chiara possibile.
Tanto più che,
come ampiamente riportato dai quotidiani, il termine della vicenda sembra ben
al di là da venire.
Con ricorso
depositato, in data 11 dicembre 1992, presso il Tribunale di Roma, la signora
Di Lazzaro, non coniugata, presentava istanza di adozione.
A supporto di
tale sua richiesta, la istante richiamava non già, come invece è d'uso, la
legge 4 maggio 1983, n. 184 (d'ora in poi: l. 184); bensì l'art. 6 della
Convenzione Europea sull'Adozione dei Minori (d'ora in poi: C.EA.M.) (1).
Ciò faceva in
quanto, contrariamente alla l. 184,
tale ultima normativa sembrerebbe concedere, senza alcuna restrizione (2),
l'adozione anche a soggetti singoli, siano essi non coniugati, separati o
divorziati.
Vista la propria domanda respinta, la Di
Lazzaro proponeva appello.
La Corte
d'appello di Roma, ritenendo la norma richiamata dalla Di Lazzaro (art. 6 C.EA.M.) immediatamente applicabile al caso di
specie, ma ravvisata una possibile contrarietà della norma stessa rispetto,
principalmente, agli artt. 29 (3) e 30 (4) della Costituzione (5), decideva di
"rimettere" la decisione
sulla costituzionalità di tale norma alla Corte costituzionale, sospendendo
nel frattempo il giudizio (6).
Con decisione
16 maggio 1994 n. 183 (7), la Corte costituzionale dichiarava l'infondatezza
della questione sollevata dalla Corte d'appello di Roma.
E ciò in base
ad una constatazione: l'art. 6 C.E.A.M.,
a dire della Corte, non avrebbe valore immediatamente precettivo (8).
Infatti tale norma, come d'altronde
l'intera C.EA.M.:
1) non sarebbe
immediatamente applicabile a casi concreti, in quanto i principi in essa
espressi abbisognerebbero comunque di essere tradotti, ad opera dei singoli
legislatori nazionali, in vere e proprie norme;
2) la C.EA.M., per di più, obbligherebbe solo
relativamente i legislatori: essi cioè non potrebbero adottare soluzioni
diverse da quelle indicate nella Convenzione stessa (9), ma rimarrebbero
comunque liberi di scegliere, entro tali soluzioni, quella (o quelle) loro più
gradite (10). Dunque, ed in primo luogo, nessun problema di incostituzionalità
per l'art. 6 C.E.A.M.: non avendo alcun valore precettivo (11) tale articolo
non sarebbe, infatti, neppure invocabile a sostegno di qualsivoglia richiesta
di adozione da parte di single.
La palla
tornava, quindi, alla Corte d'appello di Roma; essa (12), pur attenendosi
formalmente al dispositivo della sentenza della Corte costituzionale, ne
rifiutava, in modo del tutto arbitrario (per lo meno a parere di chi scrive),
la "ratio decidendi"; in sostanza,
disconosceva validità e precettività ai motivi che avevano condotto a tale
decisione.
Se avesse fatto
il contrario, come per altro era logico attendersi, la Corte d'appello avrebbe
dovuto respingere la domanda della Di Lazzaro, in quanto fondata su una
disposizione sprovvista di un vero e proprio valore legislativo.
Limitandosi
invece a rilevare come la Corte costituzionale avesse reputato infondata la questione
di legittimità costituzionale, la Corte d'appello accoglieva la domanda della
Di Lazzaro, proprio sulla base dell'art. 6 C.EA.M., così argomentando
in merito alla motivazione fornita dalla Consulta ad illustrazione della sua
decisione: «Questa Corte non ritiene di poter condividere le prospettate
interpretazioni» (13).
Non vi è chi
non veda come tale procedimento sia stato del tutto scorretto: la Corte
d'appello non poteva (e
soprattutto non doveva)
esimersi dal rispettare, oltre che il dispositivo, anche la motivazione della
sentenza della Consulta.
E ciò perché,
in questo caso almeno, la soluzione data dalla Corte costituzionale era e rimane
inscindibile dai motivi che hanno condotto a tale pronuncia.
Un conto
infatti è arrivare allo stesso tipo di pronuncia (infondatezza della questione)
in quanto si ritenga (come può ben accadere) che la norma, sottoposta al
"vaglio costituzionale", sia del tutto rispondente ai principi
costituzionali.
Del tutto
diverso è, invece, decidere per l'infondatezza della questione in quanto si
reputi (come è accaduto nel nostro caso) che la norma in questione non sia una
norma, non abbia, cioè, valore precettivo, e non sia, perciò, applicabile ad
alcun caso concreto (14).
Insomma, nello
scindere il dispositivo della sentenza dalla relativa motivazione, la Corte
d'appello di Roma ha dimostrato, oltre ad un'arroganza senza pari, un
sostanziale disinteresse per quello che sembra (almeno a chi scrive) il primo
criterio di lettura di una qualsiasi sentenza.
II quale
criterio consisterebbe, praticamente, in una lettura unitaria delle sentenze
(sottolineo nuovamente: di tutte le sentenze) nel loro complesso, e non di
singoli loro spezzoni, gli uni staccati dagli altri.
L'operazione
svolta dalla Corte d'appello, oltretutto, costituisce un assurdo, oltre che
giuridico, anche e soprattutto logico.
Infatti, una
disposizione (l'art. 6 C.E.A.M.) contenente, a parere della Corte
costituzionale, meri principi direttivi, alla quale, perciò, la stessa Corte ha
negato valore normativo (in altre parole: un principio-non-ancora-norma,
una
non-norma), è stata,
invece, utilizzata da una Corte di merito quale unica ed esclusiva base
normativa per una propria decisione (15).
* Collaboratore presso
la Cattedra di diritto penale dell'Università statale di Milano.
(1) Recepita nel
nostro ordinamento mediante la legge 22 maggio 1974, n. 357 (per significato e
funzione della "recezione" di norme contenute in accordi
internazionali, v., oltre alla sommaria esposizione di cui alla n. 6b), un
qualsiasi testo di Diritto Internazionale
Pubblico, tra cui: Conforti, Diritto
Internazionale,
IV ed. 1992; Giuliano-Scovazzi-Treves, Diritto Internazionale, Parte generale, 1991).
(2) Anche la legge
184 prevede, in realtà, I'adottabilità di minori ad opera di singoli, ma solo
in casi eccezionali.
(3) Art. 29 Cost.:
«La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata
sul matrimonio. «II matrimonio è fondato sulla eguaglianza morale e giuridica
dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità
familiare».
(4) Art. 30 Cost.,
commi 1 e 2: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i
figli, anche se nati fuori del matrimonio.
«Nei casi di incapacità dei genitori, la
legge provvede a che siano assolti i loro compiti».
(5) Nell'ordinanza
di rimessione, viene in verità citato anche l'art. 3 Cost.; ma, in questo caso,
esso ha avuto un ruolo secondario.
(6) Ad ulteriore, seppur succinta,
spiegazione di quanto avvenuto si tenga presente che:
a) nel nostro sistema la Corte Costituzionale (altresì
detta Consulta) ha il precipuo
compito di vagliare la coerenza delle leggi rispetto, per l'appunto, alla Carta
costituzionale;
b) "leggi", per il nostro ordinamento, sono
anche quelle derivanti da accordi con altre nazioni, quando tali accordi
vengano "recepiti" nel nostro ordinamento mediante quello che, in
termini tecnici, è detto "ordine di esecuzione";
c) il giudizio di
costituzionalità di una legge è così strutturato:
- durante una
qualsiasi controversia giudiziaria, una delle parti, o anche il giudice ("d'ufficio"),
può sollevare una questione di legittimità costituzionale, in quanto
e solo in quanto si reputi che la norma da applicare al caso concreto sia, per
l'appunto, incostituzionale;
- il giudice, sempre
che ritenga la questione "non manifestamente infondata",
invia tutti gli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio;
- la Corte
costituzionale decide in merito alla questione sottopostale; e la sua decisione
può essere nel senso 1) della costituzionalità
tout court della norma in questione, nel qual caso essa rimarrà
applicabile; 2) della sua incostituzionalità,
nel qual caso la norma non sarà, ovviamente, più applicabile a nessun caso (e
tantomeno a quello che ha fatto sorgere la questione); 3) di una sua
costituzionalità "condizionata", nel qual caso la norma sarà applicabile, ma solo se interpretata come indicato dalla
Consulta stessa.
(7) Pubblicata, tra le altre, dalla rivista
giuridica Il Diritto di famiglia,
1994, 1179.
(8) Sentenza citata,
1183: «... la norma pattizia non conferisce immediatamente ai giudici italiani
competenti il potere di concedere l'adozione di minori al di fuori dai limiti
entro cui tale potere 8 attribuito dalla legge nazionale...».
(9) Sentenza citata,
1183: «Agli Stati firmatari è impartito il divieto di permettere l'adozione di
minori da parte di coppie non sposate...».
(10)
Sentenza citata, 1183: «(Agli Stati firmatari) è attribuita la facoltà di
permettere l'adozione di minori, oltre che d8 coppie sposate, anche da persone
singole, coniugate o no». Per esemplificare il ragionamento della Consulta: la C.E.A.M. potrebbe essere visivamente raffigurata come un
cesto di frutta; gli Stati aderenti alla Convenzione sarebbero sì obbligati a
cogliere frutti solo ed unicamente entro tale cesto; ma
tra tali frutti, potrebbero comunque scegliere quelli a loro
più graditi.
(11)
Sentenza citata, 1183: «In quanto attribuisce al legislatore una semplice
facoltà, la norma in esame non è, per definizione, autoapplicativa, ossia
direttamente applicabile nei rapporti intersoggettivi privati...».
(12) Con decreto
datato 28 novembre 1994.
(13) Pag. 7 del
succitato decreto.
(14)
Per rendere ancora più chiara la nostra obiezione: la Corte costituzionale non
ha detto «La questione è infondata
perché la norma in questione rispetta
i principi dettati dalla Costituzione in tema di famiglia».
L'affermazione
della Consulta è stata, più o meno, «La questione è
infondata perché l'art. 6 C.E.A.M. non
è una norma».
La
Corte d'appello di Roma, di fronte a tale pronuncia, che ha fatto? Ha rilevato
che la questione era infondata; ma ha ricollegato tale conclusione al primo
tipo di ragionamento sopra esemplificato («La
norma è perfettamente costituzionale»):
ragionamento che non è quello seguito dalla Consulta, la
quale ha visto, così, completamente stravolto il senso della propria pronuncia.
(15)
In altre parole, è un po' come se un soggetto pretendesse (o addirittura
attuasse tale sua pretesa), di aggirarsi liberamente per le strade d'Italia
con un prototipo di vettura futuribile, non ancora brevettata, né
immatricolata, né tantomeno munita di targa!
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