Prospettive assistenziali, n. 109, gennaio-marzo
1995
Notiziario dell'Associazione nazionale
famiglie adottive e affidatarie
LE
AUTORITÀ ITALIANE RISPETTINO I DIRITTI DEI 53 BAMBINI DEL RANDA OSPITI DI UN
ISTITUTO DI VERONA
Riportiamo
integralmente la lettera sottoscritta da numerosi cittadini di Verona, inviata
all'ANFAA e ad una quarantina di enti, istituzioni, giornali, reti televisive e
personalità.
La
responsabile dell'ANFAA ha scritto al Presidente del Tribunale per i minorenni
e alla relativa Procura, e al Giudice tutelare di Venezia quanto segue: «Non
nascondiamo le nostre vivissime preoccupazioni sull'eventuale rientro in Ruanda
dei 53 minori senza adeguate garanzie sul loro futuro», aggiungendo: «Ci
permettiamo anche di richiamare le conseguenze negative dell'istituzionalizzazione
dei bambini, soprattutto nei primissimi anni di vita, conseguenze negative che
lasciano segni, spesso indelebili, sulla loro vita futura».
Siamo dei volontari e operatori sociali di Verona e
le scriviamo per esporle la situazione di bambini che ci stanno molto a cuore.
Come probabilmente lei saprà, dal mese di aprile
1994, sono ospiti presso un istituto di Verona 53 bambini fuggiti dal Ruanda
assieme alla signora Amelia Barbieri, con l'aiuto della signora Fanfani.
Da allora svolgiamo attività professionale o di volontariato
con questi bambini. All'inizio vedevamo solo un grosso gruppo di bimbi tutti
simili per aspetto e carattere; col passare dei giorni siamo cresciuti insieme
a loro, abbiamo imparato a riconoscere un tesoro in ogni bimbo ed abbiamo
toccato con mano come ognuno di loro avesse talenti e desideri diversi. Un solo
desiderio accomunava e accomuna ancora tutti quei bimbi: avere qualcuno, una
mamma e un papà, tutto per loro.
La maggior parte di questi bambini sono orfani di
entrambi i genitori, o comunque sono stati abbandonati dal genitore ancora in
vita perché si è risposato e non li voleva o poteva tenere più. Alcuni avevano
ancora almeno un genitore che, a causa della povertà o della malattia si era
temporaneamente appoggiato all'orfanotrofio della signora Barbieri, ma
manteneva contatti con i figli.
Purtroppo questi bambini son quasi tutti hutu e vivevano in una zona tutsi, perciò al momento non si può
sapere se quei pochi "veri" genitori che esistevano siano ancora
vivi, e se non siano magari in qualche campo profughi nello Zaire o altrove.
In questi otto mesi i bambini più piccoli, che vanno
dai 9 mesi ai 5 anni di età, hanno imparato a parlare (italiano), a giocare, a
condividere, ed avere sempre qualche adulto che lo tenesse nella mente e nel cuore,
anche se purtroppo questo adulto cambiava ogni giorno e alla fine del turno se
ne tornava a casa sua.
Senza dubbio l'istituto che li ospita, il personale
e tutti i volontari hanno dato il meglio a questi bambini anche se, come
dicono gli stessi tecnici dell'istituto, tutto questo non potrà mai sostituire
una famiglia, e questi bimbi una famiglia ce la chiedono esplicitamente.
L'orfanotrofio è come l'ospedale: bisogna starci il
meno possibile. Gli stessi psicologi e medici ritengono che un'ulteriore
permanenza dei bambini presso un istituto potrebbe danneggiare seriamente la
loro crescita. Ciò sarebbe ancora più vero in Ruanda.
Per far capire le cose, vi raccontiamo la storia di
uno di loro, N.
Dal 7 novembre, sotto richiesta della psicologa che
segue i bambini e con l'accordo della signora Barbieri, è stato dato in
affidamento terapeutico ad una famiglia. Era stato abbandonato dal padre in
orfanotrofio all'età di circa nove mesi, oggi ha circa due anni e mezzo;
presentava dei disturbi emotivi piuttosto gravi a causa delle privazioni
affettive a cui è stato sottoposto nella sua breve vita in Ruanda.
All'orfanotrofio infatti, come ci hanno testimoniato
delle persone che lo hanno visto là, N. era lasciato tutto il giorno
all'interno del box dove si autoconsolava dondolandosi avanti e indietro, senza
avere il minimo interesse a fare qualunque cosa, e senza che nessuno avesse il
tempo o la capacità di seguirlo in modo particolare.
Quando è arrivato in Italia il bambino non sorrideva
mai, non aveva il coraggio di guardare in faccia gli adulti, non sapeva e non
gli interessava giocare, non parlava, a volte si picchiava da solo per potersi
distrarre dalla grande sofferenza che aveva dentro.
Ora, dopo una permanenza di due mesi in una famiglia,
è pieno di entusiasmo, parla sempre di più, gioca molto volentieri, sorride e
ride, canta molto; a volte di notte si picchia ancora, ma almeno c'è qualcuno
che lo accarezza e che sta sveglio con lui.
Come questa, potremmo raccontare altre 52 storie, di
bambini ognuno con il proprio nome, tutte come romanzi.
Ora la signora Barbieri parla di riportare indistintamente
tutti questi bambini in Ruanda; è già andata ad imbiancare le pareti del suo
orfanotrofio.
Noi ci chiediamo perché?
Perché considerare tutti questi bambini come un
mucchio e non valutare caso per caso? Perché riportare bambini orfani, che
ormai hanno messo buone radici qui, in un altro orfanotrofio in Ruanda? Perché
dare a loro la sofferenza di un altro sradicamento, un altro abbandono? Se
ritorna dalla mamma o dal papà il bambino può sopportare anche la povertà, magari
anche la malattia, ma la maggior parte di questi bambini ritornerebbe da
nessuno. I parenti anagrafici non contano nulla se non accolgono il bimbo in
casa e non sono per lui una famiglia.
Generalmente la signora Barbieri era solita dare in
adozione in Francia o in Canada i bambini orfani o abbandonati, per cui il
discorso che questi bimbi sono africani e devono stare là non ha molto senso.
Prima di tutto sono bimbi e hanno bisogno di una famiglia, e solo dopo, molto
dopo, sono africani.
Inoltre la stampa riporta ché in Ruanda gli omicidi,
il brigantaggio e la sopraffazione purtroppo sono ancora all'ordine del
giorno, e anche nei pressi dell'orfanotrofio, secondo le testimonianze di
alcuni religiosi. Quale sicurezza avrebbero i bambini? Quella dell'ottimismo?
E poi perché questi bambini devono essere proprietà
di qualcuno? (signora Barbieri, Ruanda, Clan, USL, ...).
N. è orfano di madre ed é stato abbandonato
all'orfanotrofio dal padre circa all'età di nove mesi; poi il padre non si è
più visto.
Cosa significa un rientro in Ruanda per N.? II suo
destino è quello di ritornare in quello stesso box dove ha trascorso un anno
della sua vita?
Gli stessi psicologi temono che il suo ritorno in
istituto possa causare danni irrecuperabili. Noi chiediamo che N. e gli altri
bimbi che non hanno alternative migliori possano essere accolti da una
famiglia subito.
Se la signora Barbieri volesse e non si ostinasse a
considerare suoi questi bambini, ora sarebbero già tutti in affidamento in una
famiglia, per rimanervi, o in attesa di rintracciare la famiglia di origine.
Molte persone, tra cui alcuni missionari che la conoscono, hanno esortato la
signora Barbieri a lasciare qui questi bambini che hanno delle ottime
opportunità e ad occuparsi degli altri che ora hanno bisogno di un aiuto in
Ruanda, ma lei non ha voluto e non vuole ascoltare nessuno; il suo
atteggiamento è diverso da quello di persone che si occupano di altri gruppi
di bimbi profughi dal Ruanda. All'inizio pensavamo che ci fossero motivi
validi, ora non ci è chiaro il perché.
Tra l'altro nei mesi estivi alcune coppie francesi,
guidate dalla signora Barbieri, sono venute a Verona a vedere i bambini:
sembrerebbe, da voci che circolano ma che non hanno alcun riscontro oggettivo,
per sceglierne alcuni.
La signora Barbieri è un imprenditore energico ed
efficace del suo orfanotrofio e non è giusto dimenticare i suoi meriti, ben
conosciuti, ma forse troppa azione solitaria distrae dalle motivazioni
originali.
Noi abbiamo la forte impressione che ci sia bisogno
di più chiarezza, più competenza, più umiltà. Forse il bene del bambino non è
più l'interesse primario. Anche la Caritas di Verona, raccogliendo l'opinione
di molti gruppi e movimenti che si occupano di bambini, dopo un incontro con
la signora Barbieri, ha espresso alle autorità questa opinione.
Basti pensare che in questi otto mesi la signora
Barbieri, pur alloggiando nello stesso istituto, non ha mai trascorso mezza
giornata con i bambini, non mangia con loro, non li cambia, non gioca con
loro, passa a vederli per 5 minuti ogni qualche giorno, per lo più con visite o
giornalisti.
La carta dei diritti del bambino dell'UNICEF sancisce
che ogni bimbo ha diritto ad una famiglia. -
Noi chiediamo che la situazione di questi bambini,
come di tutti i bimbi che sono in condizioni simili, venga esaminata in
dettaglio e con competenza, nel primario interesse del bambino.
Chiediamo che vengano effettuati accertamenti sulla
effettiva situazione, sicurezza e possibilità di rientro in Ruanda di questi
bimbi da parte di istituzioni riconosciute che siano competenti e che diano
garanzia di equità, di attendibilità e di rispetto dell'interesse dei bambini.
Chiediamo insomma che vengano prese iniziative
competenti e affidabili nella direzione dell'interesse dei bambini,
considerando secondari altri ostacoli burocratici, personali o di opinione.
Verona, gennaio 1995
Per informazioni rivolgersi alla Segreteria
del Volontariato presso CERRIS, ULSS 20, Via Monte Novegno 4,
Verona, tel. 045-834.21.50
www.fondazionepromozionesociale.it