Prospettive assistenziali, n. 110, aprile-giugno 1995

 

 

ANZIANI: ETICA ED ECONOMIA

GIOVANNI NERVO (*)

 

 

 L'inserto del "Corriere della Sera" del 13 mar­zo riportava un articolo di Dario Monfellotto del Fatebenefratelli dell'Isola Tiberina di Roma che diceva: «Gli ospedali, trasformati ex legge in aziende tenute al pareggio del bilancio, devono risolvere il caso del paziente nel più breve tem­po possibile e con il costo minore. Ciò significa ricoveri brevissimi e accertamenti limitati a quelli strettamente necessari. Dovranno scomparire i ricoveri "per accertamenti", chiesti dal paziente per "fare tutte le analisi", con settimane di rico­vero spesso inutile, che i medici non potranno giustificare all'amministrazione ospedaliera. Per ogni malattia, una volta superata la fase acuta, il paziente dovrà essere rapidamente dimesso, ed essere seguito in ambulatorio. I pazienti anziani e quelli cronici non potranno più trascorrere lunghi periodi in ospedale o restarci "parcheggiati" durante i periodi di festa. II rischio vero lo corre però il sistema sanitario. Se la riforma sa­rà accompagnata da un adeguamento delle strutture extraospedaliere - residenze assisten­ziali, case alloggio per anziani, assistenza domi­ciliare (peccato che non abbia aggiunto: ospe­dalizzazione a domicilio) - allora vi sarà vero progresso. Altrimenti, svuoteremo gli ospedali dalla massa dei pazienti anziani, cronici, poveri, senza famiglia, dementi nei confronti dei quali, finora, gli ospedali hanno funzionato come val­vola di sfogo, senza fornire una soluzione. L'al­tro rischio è quello della selezione dei pazienti, privilegiando quelli meno impegnativi, di rapida dimissibilità ed economicamente remunerativi, al posto degli anziani, di quelli più gravi e difficili, ai quali il ricovero sarà rifiutato per "mancanza di posto letto"».

Non è un problema nuovo. II Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti si è trovato più vol­te ad affrontare anche cause legali per tutelare i diritti degli anziani contro l'ospedale che li estrometteva, quasi che un malato cronico, spesso non autosufficiente, non fosse un mala­to, con il diritto alle cure sanitarie come ogni al­tro cittadino, oppure pretendeva scaricare sui familiare l'onere pesantissimo della degenza.

Una delle cause legali più pesanti il Comitato si è trovato a doverla affrontare proprio contro il Fatebenefratelli di Venezia.

II problema però in una prospettiva futura ri­schia di aggravarsi.

Esso ha dei risvolti giuridici, dei risvolti cultu­rali, dei risvolti etici.

I risvolti giuridici sono messi in evidenza chia­ramente dalla mozione urgente approvata a lar­ghissima maggioranza dal Consiglio regionale della Lombardia.

Contro la prassi di molti pubblici uffici di «im­porre ai parenti degli assistiti adulti rette e con­tributi di diverso genere, richiamando gli articoli 433 e seguenti del codice civile», il Consiglio af­ferma che «tale pratica è giuridicamente errata in quanto non è consentito a terzi, enti pubblici compresi, di sostituirsi agli aventi diritto agli ali­menti che soli possono chiedere ai parenti ob­bligati e successivamente al giudice ragione della loro necessità».

Afferma inoltre che «in base alla legge regio­nale 1/86 sono solo gli utenti stessi che in base al loro reddito familiare devono concorrere alle spese e non i loro parenti».

II Consiglio ricorda che «tutto ciò è suffragato da vari pronunciamenti, in particolare il parere del 30.12.93 del Ministero dell'interno avente per oggetto "Contribuzione a carico degli obbli­gati agli alimenti nei confronti degli utenti dei servizi assistenziali" e la nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri "Contribuzione a cari­co degli obbligati agli alimenti nei confronti degli utenti dei servizi assistenziali" ed anche tenuto conto di quanto afferma il prof. Massimo Do­gliotti nell'articolo "Gli enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti tenuti agli alimenti» (n. 87/1989 di Prospettive assi­stenziali).

Pertanto il Consiglio impegna la Giunta a in­viare a tutti gli enti pubblici interessati lettera circolare atta a modificare il loro eventuale scor­retto comportamento, fornendo loro relativa do­cumentata spiegazione.

Questa presa di posizione del Consiglio di una grande Regione leader acquista particolare rilievo e importanza in un momento in cui la cul­tura dominante ancor più che in passato tende a rafforzare i soggetti forti e ad emarginare i sog­getti deboli in contrasto con la lettera e lo spirito della Costituzione.

L'approvazione nel 1947 degli articoli 2 e 3 della Costituzione in cui si afferma che «la Re­pubblica riconosce e garantisce i diritti inviola­bili dell'uomo... e richiede l'adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà politica, econo­mica e sociale» (art. 2) e si afferma inoltre che «tutti i cittadini hanno eguale dignità sociale... (e che) è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, li­mitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3), era stata possibile per­ché si era verificata la convergenza della cultura solidaristica cattolica con la cultura solidaristica socialista, pur partendo da radici culturali ed esperienze storiche assai diverse: su questa base si fonda lo stato sociale.

In quel momento la cultura liberale uscì scon­fitta.

In un contesto economico, sociale e politico profondamente mutato, il 27 marzo 1994 la cul­tura liberale ha preso la rivincita.

II giorno dopo le elezioni un'agenzia stampa di Roma mi chiese una reazione a caldo. Mi venne spontaneo dire: "Ha vinto la società dei due terzi (quelli che godono di un diffuso benessere), hanno perduto le politiche sociali, il conto lo pa­gheranno i poveri».

Ad un anno di distanza potrei portare le prove che quella intuizione era vera.

Non è che prima di allora le politiche sociali e la tutela dei soggetti deboli andassero a gonfie vele: tutt'altro! Ne sono prova le tenaci battaglie del CSA.

Ma almeno si potevano denunciare omissioni, spesso colpevoli, nella mancata attuazione dello stato sociale che rimaneva pur sempre l'obietti­vo delle persone seriamente impegnate nel so­ciale.

Nella svolta del 27 marzo le formazioni politiche che hanno vinto le elezioni, al di là dei molti con­trasti interni aperti o nascosti, almeno su di un obiettivo sono d'accordo: passare dallo stato sociale allo stato liberale, evidentemente con lo smantellamento dello stato sociale, artificiosa­mente confuso con lo stato assistenziale. Per far questo si svuota in modo surrettizio la Costitu­zione, contrapponendo una fantomatica costitu­zione "materiale" alla Costituzione esistente che si definisce "formale" ma superata.

Tutto questo è esplicito ed evidente nei cin­que obiettivi enunciati nel programma elettorale di Forza Italia, largamente condivisi dalle altre componenti del Polo delle libertà.

La stessa solidarietà, cui è destinato uno dei cinque obiettivi, è affidata ai "meccanismi con­correnziali del mercato".

Come ne escono i soggetti deboli, gli anziani non autosufficienti, gli handicappati, i bambini abbandonati, i malati mentali, i tossicodipenden­ti, gli immigrati? Non c'è nessuna garanzia che i loro diritti siano tutelati; anzi è prevedibile che siano trascurati ed emarginati perché il mercato con i suoi meccanismi concorrenziali non può farsi carico né dei soggetti deboli che gli creano

un disturbo e un intralcio, né delle persone im­produttive e non redditizie che diminuiscono il profitto, né della prevenzione che anche quando produce profitto lo fa soltanto a tempi medio lunghi, che non sono i tempi del mercato.

Ecco allora il risvolto etico del problema.

II valore cardine a cui deve essere finalizzato tutto, anche l'economia, il suo sviluppo e il mer­cato che ne è il motore trainante, è l'uomo, la sua dignità, i suoi diritti, soprattutto quando non è più in grado di difendersi, come nel caso dell'anziano malato cronico non autosufficiente.

Chiunque amministri una comunità e le sue istituzioni deve responsabilmente fare una valu­tazione sui costi e benefici. Però, se il valore cardine è l'uomo, deve calcolare anche i costi e i benefici umani e sociali.

Se invece il valore cardine è l'economia, i co­sti e i benefici umani e sociali diventano insigni­ficanti.

Se ad esempio si applica questo discorso alla cura e all'assistenza degli anziani non autosuffi­cienti, alle RSA, all'ADI, alla ospedalizzazione a domicilio, le contraddizioni che ne derivano so­no evidenti.

La conseguenza è che non si possono ab­bandonare i servizi alla persona al mercato; e quando esso assume compiti di gestione di ser­vizi, i diritti dei cittadini devono essere garantiti da una forte legislazione e da una efficace vigi­lanza.

Ciò non significa sfiducia nel mercato, che in un sistema libero e democratico può avere una funzione fondamentale per lo sviluppo economi­co - e la vicenda dei paesi del socialismo reale lo dimostra chiaramente - ma il mercato ha i suoi limiti e non si può attendere dal mercato quello che non può dare, come ad esempio, il ri­spetto dell'eguale dignità dei cittadini, la tutela dei più deboli, l'inserimento lavorativo e sociale dei disabili, la prevenzione, la considerazione dei costi e dei benefici umani e sociali nei servizi alla persona.

Forse il mercato sociale del terzo settore può garantire meglio questo obiettivo, a condizione però che ci sia un'azione chiara e forte dell'ente pubblico nella programmazione dei servizi, nel coordinamento delle risorse, nella vigilanza e nel controllo sui servizi.

La questione etica di fondo a mio avviso non sta nella partecipazione dei cittadini al paga­mento dei servizi.

La Costituzione all'art. 32 dice che «la Repub­blica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e ga­rantisce cure gratuite agli indigenti».

La legge 833/78 di riforma sanitaria, il Piano sanitario nazionale, le leggi e i piani socio-sanitari regionali tendono ad attuare questo dettato costituzionale.

Per sé l'impegno del costituente di fornire gra­tuitamente le cure è limitato agli "indigenti". II legislatore della legge 833 aveva un disegno molto più ambizioso: nella realizzazione dello stato sociale pensava di fornire questo servizio fondamentale, «la tutela della salute» in modo eguale per tutti e gratuita, così come viene fatto per altri servizi fondamentali, ad esempio la scuola dell'obbligo.

II meccanismo avrebbe dovuto funzionare così: a monte tutti i cittadini pagano le tasse se­condo il loro reddito, a valle il servizio sanitario gratuito eguale per tutti.

II meccanismo non ha funzionato per moltepli­ci cause: lo Stato non è riuscito, non ha potuto 0 non ha voluto efficacemente farsi pagare le tas­se da tutti i cittadini; non ha messo in atto gli strumenti necessari per governare la riforma come il Piano sanitario nazionale e un sistema adeguato di vigilanza, di controllo, di valutazio­ne, ha trascurato un nodo strategico per la riu­scita della riforma, la formazione e la sperimen­tazione, ecc.

II risultato è stato la non attuazione della legge 833, il fallimento della riforma, una spesa inso­stenibile in continuo aumento.

Per un uomo politico risulta impopolare, ma è logico e naturale dire: non ce l'abbiamo fatta, non siamo riusciti a procurare le risorse a mon­te, le recuperiamo a valle, facciamo pagare il servizio.

Lo Stato lo fa per tanti altri servizi come i tra­sporti, l'acqua, il gas, la nettezza urbana, ecc. Purché sia fatto con equità e con trasparenza: i servizi sanitari rimangono, eguali per tutti, per chi non può pagare sono gratuiti, per chi può pagare sono a pagamento, almeno parziale, se­condo il proprio reddito.

Non sarebbe scandaloso ad esempio che chi può fosse chiamato a pagare la quota alber­ghiera del ricovero in ospedale: purché ciò sia fatto per tutti in modo equo, secondo le disponi­bilità di ciascuno.

La violazione del diritto dell'anziano malato cronico non autosufficiente sta nel fatto che gli sia negata la cura della salute perché è vecchio: fino a che è malato, in forma acuta o cronica non conta, ha diritto di essere curato: inguaribile non significa incurabile.

La dimissione dall'ospedale dopo la fase acu­ta della malattia senza garantire o l'ospedalizza­zione a domicilio, o una sede di cura effettiva (e le case di riposo nella grandissima maggioranza non garantiscono le cure necessarie, mentre le RSA che avrebbero dovuto assolvere a questo compito di fatto non esistono) è immorale perché viola un diritto fondamentale dell'anziano.

Che poi la spesa alberghiera debba pagarla soltanto l'anziano mentre non la pagano tutte le persone ricoverate in ospedale, costituisce una evidente ingiustizia che nasce da una cultura materialistica propria del sistema capitalistico: l'uomo vale perché produce, se non produce (come l’handicappato) o non produce più (come l'anziano) non ha valore.

Cioè l'uomo non vale perché è una persona umana ma perché produce.

Non si ha il coraggio di essere coerenti fino in fondo: questa filosofia porterebbe alla elimina­zione degli handicappati, possibilmente prima della nascita, e alla eliminazione dei vecchi ma­lati cronici non autosufficienti in un modo ca­muffato con l'eutanasia. Ma c'è anche l'eutana­sia da abbandono.

Il problema è grave anche perché riguarda un numero sempre più elevato di persone.

Le soluzioni legislative e organizzative che gli adulti attivi di oggi sapranno trovare, sono quelle che, fra alcuni anni saranno applicate per loro.

 

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