Prospettive assistenziali, n. 111, luglio-settembre
1995
ESIGENZE E DIRITTI
DI GESTANTI, MADRI E NEONATI IN DIFFICOLTÀ
Riportiamo
la relazione introduttiva (1) svolta al convegno "Esigenze e diritti
di gestanti, madri e neonati in difficoltà: aspetti etico-giuridici e ruolo
delle istituzioni, degli operatori e del volontariato" ; tenutosi a
Milano il 27-28 aprile 1995. Il convegno è stato organizzato dall'Istituto
italiano di medicina sociale, da Prospettive assistenziali, dal Centro internazionale studi famiglia e
dall'Associazione promozione sociale.
Il
Prof. Adriano Ossicini, Ministro per la famiglia e la solidarietà sociale, ha
inviato la seguente lettera: «Nel ringraziare per il cortese invito debbo
comunicare che non mi sarà possibile partecipare, per impegni di Governo non
rinviabili, al Convegno "Esigenze e diritti di gestanti, madri e neonati
in difficoltà..."; cui, Le confesso, mi sarebbe davvero piaciuto di
presenziare.
«Come
forse saprà il mio interesse verso le materie in trattazione non è puramente
formale, al contrario corrisponde ad una lunga esperienza di lavoro sociale e
terapeutico che mi ha portato a percepire tutta l'importanza e l'attualità dei
principi che ispirano il Vostro Convegno. È per questi motivi che posso
assicurarLe che questa materia sarà oggetto di centrale importanza all'interno
della preparazione della Conferenza Stato Regioni che promuoverò e nella quale
saranno affrontati i molti aspetti di cui si compone la effettiva tutela della
maternità e del bambino fin dalla sua nascita. Infatti sia gli aspetti connessi
alla piena attuazione del diritto alla procreazione responsabile ed assistita,
sia quelli relativi ai -servizi per la prima infanzia (con
particolare riferimento al tema degli asili nido), sia infine quelli delle
prassi applicative del diritto del minore alla famiglia, saranno oggetto di
approfondimento e di indirizzo.
«Non
posso non sottolineare come ci sia urgenza di richiamare a tutti che le donne
che lo desiderino hanno diritto di non riconoscere il proprio nato e ciò
significa che hanno diritto ad essere tutelate e sostenute in modo qualificato
da tutti gli operatori con cui entrano in contatto. Per questo specifico
aspetto è allo studio la possibilità di effettuare una campagna di informazione
nazionale che spero possa realizzarsi.
«È
con questo calendario di lavoro che desidero ancora ringraziarLa e, nel
porgere a Lei ed alla Sua Associazione i sensi della mia stima, augurare a
tutti buon lavoro».
1. II fenomeno
Con allarmante frequenza i mezzi di
informazione segnalano dei casi di infanticidi e di abbandoni di neonati in
situazione di gravissimo pericolo di sopravvivenza (cfr. Allegato 1). D'altro
lato sappiamo che ci sono anche dei bambini che vengono riconosciuti alla
nascita ma non accolti ed esposti quindi a rilevante rischio di abbandono tardivo.
AI riguardo occorre ricordare che le
gravidanze non volute provocano quasi sempre traumi gravi alle donne, lasciate
in solitudine, spesso anche dal proprio partner.
Queste situazioni potenzialmente
possono riguardare contesti diversi, anche borghesi, ma per condizionamenti
sociali e condizioni familiari si concentrano in alcuni gruppi più deboli e meno
tutelati: in particolare pensiamo a madri bambine, deboli mentali,
tossicodipendenti o extracomunitarie aventi riferimenti culturali molto
diversi dai nostri.
Tutto questo succede per cause
disparate, tra le quali è ancora significativa la mancanza di un'informazione
adeguata alla donna sia sul piano giuridico sia su quello dell'aiuto sociale e
sanitario.
2. I diritti della donna a
riconoscere o meno il neonato, al segreto del parto, all'informazione
La legge italiana garantisce alla
donna tre importanti diritti: il diritto alla scelta se riconoscere come
figlio il bambino procreato, il diritto al segreto del parto per chi non
riconosce il proprio nato, il diritto all'informazione.
a) II diritto di riconoscere o meno
il neonato come figlio vale sia per la donna che ha un bambino fuori del
matrimonio che per la donna sposata.
Quanto alla prima, l'art. 250 del
codice civile stabilisce che «il figlio naturale può essere riconosciuto dal
padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona
all'epoca del concepimento. II riconoscimento può avvenire tanto
congiuntamente quanto separatamente». Ne consegue che il bambino, al
contrario, può non essere riconosciuto dai suoi procreatori.
In quanto al neonato nato da donna
coniugata, la Corte costituzionale con sentenza n. 171 del 5 maggio 1994 ha
stabilito che «qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informali
risulta trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata
nell'atto di nascita».
b) II diritto al segreto del parto,
segreto che deve essere assicurato da tutti i servizi sanitari e sociali
coinvolti, è assicurato con la previsione che, nei casi in cui il neonato non
venga riconosciuto o dichiarato dalla donna come figlio, nell'atto di nascita
del bambino, che deve essere redatto entro dieci giorni dal parto, risulti
scritto: «Figlio di donna che non consente di essere nominata».
c) La legge prevede infine, per
coloro che non hanno ancora riconosciuto, il diritto di essere informati sulla
possibilità di usufruire di un ulteriore periodo di riflessione per decidere,
richiedendo la sospensione della procedura di adottabilità che verrebbe
altrimenti iniziata. L'art. 11 commi 2 e 3 della legge 4 maggio 1983 n. 184
sull'adozione recita infatti: «Nel caso in cui non risulti l'esistenza di
genitori naturali che abbiano riconosciuto il minore o la cui paternità o maternità
sia stata dichiarata giudizialmente, il tribunale per i minorenni, senza
eseguire ulteriori accertamenti, provvede immediatamente alla dichiarazione
dello stato di adottabilità a meno che non vi sia richiesta di sospensione
della procedura da parte di chi, affermando di essere uno dei genitori
naturali, chiede termine per provvedere al riconoscimento. La sospensione può
essere disposta dal tribunale per un periodo massimo di due mesi sempreché nel
frattempo il minore sia assistito dal genitore naturale o dai parenti fino al
quarto grado o in altro modo conveniente, permanendo comunque un rapporto con
il genitore naturale. Nel caso di non riconoscibilità per difetto di età del
genitore, la procedura è rinviata anche d'ufficio sino al compimento del
sedicesimo anno di età del genitore naturale, purché sussistano le condizioni
menzionate nel comma precedente. AI compimento del sedicesimo anno, il
genitore può chiedere ulteriore sospensione per altri due mesi».
Questo diritto all'informazione deve
estendersi al diritto di ogni donna a ricevere una effettiva conoscenza della
disciplina legislativa e degli aiuti sociali, per potere decidere liberamente
sul riconoscimento. Gli aspetti giuridici su cui bisogna dare una diffusa
informazione sono: che un neonato, nato fuori del matrimonio, ma anche nato nel
matrimonio, può non diventare figlio di chi lo ha procreato; che si può
partorire un bambino conservando il segreto quando non si intende riconoscerlo;
che ogni donna può ottenere assistenza psicologica e sanitaria prima del
parto, per il parto e dopo il parto qualunque sia la propria scelta in ordine
al bambino.
3. I diritti del neonato alla
famiglia e a godere di condizioni adeguate per un armonico sviluppo della
personalità
Questi diritti della donna non si
contrappongono ai diritti del bambino che nasce da lei, ma sono funzionali
alla affermazione dei diritti del neonato a crescere in una famiglia anche
diversa da quella di origine e a godere in essa di condizioni adeguate per un
armonico sviluppo della personalità.
Obiettivamente il non riconoscimento
del proprio nato non può pertanto essere considerato un atto negativo: molto
spesso è una manifestazione di responsabilità nei confronti della nuova vita,
che può svilupparsi in modo idoneo in una famiglia adottiva. È da notare infatti
che nel giro di pochi giorni il bambino non riconosciuto è dichiarato
adottabile dal tribunale per i minorenni e accolto dai coniugi scelti dallo
stesso tribunale.
Certo, nella cultura comune un
bambino va sempre legalmente riconosciuto, come se fosse automatico il
passaggio dal dato biologico, a quello giuridico di genitori. Talvolta,
purtroppo, il bambino paga a caro prezzo tale pregiudizio, in quanto, come
tutti sappiamo, un riconoscimento legale forzato comporta l'esposizione al
grave rischio dell'abbandono tardivo.
Alcuni credono ancora che al neonato
siano sufficienti una buona ed equilibrata alimentazione ed una corretta
igiene personale per garantire il suo sviluppo e che, pertanto, potrebbe crescere
e svilupparsi bene anche in un istituto quando i genitori sono incapaci. Niente
di più sbagliato. Numerosi studi e ricerche compiuti negli ultimi cinquanta
anni da esperti di varie discipline - pediatri, psicologi, neuropsichiatri infantili,
ecc. - hanno evidenziato i deleteri effetti della carenza di cure familiari che
colpiscono i" bambini sin dalla più tenera età. Dunque la scelta di non
riconoscere un bambino come figlio, nella consapevolezza di non poterlo
crescere, può costituire per la genitrice una forma di responsabilità verso la
nuova vita e può avere per il bambino una sua positività per garantirgli il diritto
a crescere in una propria diversa famiglia.
4. Le vigenti norme assistenziali
Dobbiamo chiederci, a questo punto,
se il sistema dell'aiuto sociale e sanitario alle gestanti, alle madri e ai
bambini sia adeguato.
Siamo tutti a conoscenza che, mentre
nel campo sanitario la legge n. 833 del 1978 istitutiva del servizio sanitario
nazionale ha riorganizzato i servizi sanitari trasformandone l'assetto (e a
distanza di tempo stiamo valutando gli aspetti positivi e negativi di questa
riforma), a tutt'oggi manca ancora una parallela legge quadro nazionale di
riordino dei servizi sociali e assistenziali.
In carenza di una tale legge, ci
muoviamo tuttora in un quadro normativo arretrato, disperso, eterogeneo e
lacunoso, caratterizzato anche da pentimenti e ritorni indietro.
a) La legislazione nazionale
specifica di assistenza alle gestanti e alle madri è ancora in buona parte
quella elaborata fra il 1923 e il 1934. Si tratta del regolamento generale per
il servizio di assistenza agli esposti approvato con r.d. 16 dicembre 1923 n
2900; della legge 10 dicembre 1925 n. 2277 sulla protezione e l'assistenza della
maternità e dell'infanzia e del relativo regolamento approvato con r.d. 15
aprile 1926 n. 718; del r.d.l. 8 maggio 1927 n. 798 sull'ordinamento dei
servizi di assistenza dei fanciulli illegittimi abbandonati o esposti
all'abbandono, affidati all'amministrazione provinciale, e del relativo regolamento
di esecuzione approvato con r.d. 29 dicembre 1927 n. 2822; e del testo unico
delle leggi sulla protezione e l'assistenza della maternità e dell'infanzia
emanato con r.d. 24 dicembre 1934 n. 2316. Più dettagliati riferimenti
legislativi sono contenuti nell'allegato n. 2.
b) In assenza di una legge quadro
nazionale sull'assistenza, che avrebbe dovuto seguire al D.p.r. n. 616 del 1977
sul decentramento amministrativo, solo alcune Regioni hanno approvato norme in
materia con legislazioni proprie a volte molto diverse fra loro, con una
evidente disomogeneità sia degli assetti organizzativi dei servizi predisposti
a livello di territorio sia dei metodi di approccio rispetto agli interventi.
c) La legge n. 142 del 1990 di
riordino delle autonomie locali ha cercato di unificare le competenze
assistenziali, trasferendole tutte ai Comuni; ma in seguito, a correggere
forse più una dimenticanza che una scelta opportunamente valutata, la legge 18
marzo 1993 n. 67 ha ridato alle amministrazioni provinciali le funzioni assistenziali.
d) Ad accrescere la confusione in
questo settore sono intervenute altre norme, il D.L. n. 502 del 1992
modificato con D.L. n. 517 del 1993, riguardanti le trasformazioni delle unità
socio-sanitare in aziende, nonché le ultime leggi finanziarie che hanno
rimesso in discussione i livelli di gestione dei servizi socio-assistenziali,
costringendo nuovamente le Regioni a legiferare.
5. Il sistema degli interventi sul
territorio
In questo quadro legislativo, dove
la logica sembra essersi persa, il sistema degli interventi sul territorio
nazionale somiglia sempre di più ad un puzzle
sia nella ripartizione degli interventi a seconda delle tipologie di utenza sia
nella diversità geografica di competenze e di modalità di interventi.
Basti pensare che fino al 1990
esistevano funzioni svolte a livello di Comune singolo e funzioni svolte
contemporaneamente a livello di unità socio-sanitarie locali, nonché funzioni
svolte (fin dal 1923) dalle amministrazioni provinciali, in particolare per
l'assistenza delle gestanti e delle madri e per la tutela dei bambini. In un
contesto organizzativo così poco chiaro le varie istituzioni si sono avvalse,
per definire chi in concreto finisse per erogare l'intervento, degli strumenti
delle convenzioni o delle deleghe.
Per le aree di bisogno di madri e
bambini, il problema del disordine istituzionale delle competenze sembrava
risolto dalla legge 8 giugno 1990 n. 142 di trasferimento ai Comuni delle
competenze assistenziali, ma la restituzione di tali competenze con la legge 18
marzo 1993 n. 67 alle amministrazioni provinciali, molte delle quali si erano
intanto private dei servizi o delle strutture per la maternità e l'infanzia, ha
creato dei nuovi disorientamenti e dei vuoti di assistenza.
Allo stato attuale sono ritornate di competenza provinciale
l'assistenza:
- ai minori esposti e cioè ai
fanciulli abbandonati di cui non si conoscono i genitori; se vengono
rintracciati i genitori, la competenza può essere conservata dalla Provincia o
trasferita ai Comuni a seconda della situazione giuridica del minore
(riconosciuto dalla sola madre, riconosciuto solo o anche dal padre
legittimo);
- ai minori figli di ignoti e cioè non riconosciuti dai loro
procreatori;
- ai minori riconosciuti dalla sola
madre, purché la prima richiesta di assistenza sia stata avanzata prima del
compimento del sesto anno di vita del bambino.
Quando nei confronti dei minori
suddetti interviene l'autorità giudiziaria (per esempio nel caso del
procedimento di adottabilità o con decreto di allontanamento o di affidamento),
alcuni ritengono che la competenza continui ad essere della Provincia, mentre
secondo altri l'intervento spetta ai Comuni ai sensi dell'art. 23 comma 1 lett.
b) del D.p.r. n. 616 del 24 luglio 1977 che stabilisce che i Comuni devono
esercitare le attività relative «agli interventi in favore di minorenni
soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell'ambito della
competenza amministrativa e civile».
Altro problema controverso riguarda
la estensione delle competenze già esercitate in materia minorile dall'ex
O.N.M.I. e che sono passate dunque alla Provincia. Infatti, secondo alcuni,
l'art. 4 del R.d. 24 dicembre 1934 n. 2316 attribuiva all'O.N.M.I. solo la
funzione di integrare «le opere già esistenti di protezione della maternità e
dell'infanzia»; pertanto la competenza ad intervenire spettava, a seconda dei
casi, ai Comuni e alla miriade di enti pubblici del settore (enti comunali di
assistenza, enti per gli orfani, ecc.) ed è passata perciò oggi, in conseguenza
dei mutamenti del quadro legislativo intervenuti a partire dal 1977, ai
Comuni. Secondo altri, invece, l'O.N.M.I. aveva delle competenze specifiche,
competenze attualmente riassegnate, come già detto in precedenza, dalla legge
n. 67 del 1993, alla Provincia. .
I vuoti di assistenza per gestanti,
madri e bambini riguardano soprattutto gli stranieri, e cioè proprio la parte
della popolazione che vive in Italia e che oggi ne è più bisognosa.
Gli enti territoriali (Province,
Comunità montane, Unità socio-sanitarie locali) non intervengono per gestanti
o ragazze madri extracomunitarie con gravi difficoltà personali o familiari
prive di permesso di soggiorno, in quanto sono clandestine e pertanto come
tali inesistenti. Si sono fatte delle eccezioni in presenza di particolari
drammatiche situazioni dove è scattato l'intervento, salvo poi rivalsa
presentata alla locale prefettura. Per queste donne c'è solo l'assistenza
sanitaria al momento del parto.
Quanto ai minori stranieri
irregolari (privi di permesso di soggiorno), non c'è nessuna possibilità di
intervento, salvo un limitato riconoscimento del diritto allo studio
(frequenza degli asili e delle scuole, in forza della circolare n. 5 del 12
gennaio 1994 del Ministro della pubblica istruzione) e salvo gli interventi eseguiti
dagli enti locali in forza di provvedimenti dell'autorità giudiziaria
minorile.
Non volendo fermarsi alla denuncia di questo disordine e di
queste assenze, dobbiamo indicare in positivo delle direzioni di marcia che
diano certezza ai diritti della donna e del bambino e concretezza al principio
della centralità della famiglia.
I principi
guida dovrebbero essere:
- la riorganizzazione delle
competenze in una dimensione territoriale sufficiente ad assicurare il servizio
a tutti;
- la decategorializzazione degli interventi;
- il richiamo alla responsabilità nell'uso degli strumenti
oggi disponibili.
Per poter assicurare adeguati
interventi socio-assistenziali alle gestanti e madri e ai loro nati,
l'obiettivo prioritario è oggi anzitutto l'unificazione della gestione di tali
interventi in capo ai Comuni, evitando le preoccupanti attuali divisioni degli
utenti in base ai loro status giuridici. Tenuto conto che il 95% dei Comuni
italiani ha meno di ventimila abitanti, appare indispensabile il loro
accorpamento (unificazioni, associazioni, consorzi, ecc.), in modo che abbiano
un bacino di utenza in grado di assicurare i necessari servizi (e quindi anche
un bilancio e un numero di operatori adeguati).
Le strade da percorrere per
raggiungere questo obiettivo della unificazione della gestione da parte dei
Comuni sono:
a) per l'immediato, delibere delle
Province che si convenzionino con i Comuni e leggi regionali che prevedano
espressamente le suddette convenzioni;
b) una legge nazionale che, in modifica
della statuizione della legge n. 67 del 1993, riattribuisca ai Comuni le
competenze previste dalla legge n. 142 del 1990, precisando le modalità di
trasferimento di personale, finanziamenti, strutture, attrezzature;
c) più in generale, la legge quadro
nazionale di riordino del settore assistenziale che in particolare preveda:
- la definizione degli aventi diritto alle prestazioni
assistenziali;
- gli interventi che obbligatoriamente devono essere forniti;
- gli enti tenuti a provvedere
(Stato, Regioni, Comuni singoli o associati, ecc.) e le loro rispettive
funzioni;
- i rapporti fra istituzioni
pubbliche e private; - il ruolo del volontariato;
- i problemi del personale e la sua qualificazione
professionale.
In ogni caso è necessario che gli
enti locali competenti garantiscano attraverso specifiche delibere
l'istituzione dei servizi e l'assunzione del personale occorrente per
rispondere alle esigenze di gestanti e madri e dei loro figli. Solo attraverso
disposizioni precise è possibile fornire agli utenti i necessari interventi e
al personale delle indicazioni operative corrette.
6. L'attitudine e la preparazione degli
operatori e il "bambino terapeutico"
Ovviamente la complessità della
situazione della donna da assistere e aiutare prima, durante e dopo il parto
richiede:
- la presenza di personale altamente qualificato;
- una adeguata organizzazione dei servizi;
- un atteggiamento corretto degli
operatori che devono aiutare la gestante e in seguito la partoriente ad
assumere le decisioni sul riconoscimento con la massima consapevolezza possibile.
Ed al riguardo appare importante che gli operatori:
a) svolgano lavoro di gruppo, abbiano unitarietà di
comportamenti e di atteggiamenti;
b) evitino forzature nell'una o nell'altra direzione.
Dalle esperienze dei componenti del
gruppo che ha redatto questo documento di base e dagli incontri svolti a
livello regionale (Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Toscana, Piemonte e
Veneto) è emerso:
- che vi sono zone nel nostro paese
in cui c'è carenza o addirittura totale assenza di interventi nei confronti
delle gestanti e delle madri in difficoltà;
- che sono presenti delle resistenze
in vari operatori, che ritengono necessario (e a volte impongono) il
riconoscimento del neonato da parte della procreatrice (anche quando è assolutamente
incapace di provvedere alle sue necessità) per non creare degli scompensi
nella paziente tossicodipendente o con disturbi psichici oppure per motivi
falsamente etici («hai partorito e lo devi riconoscere»).
E qui appare assolutamente
indispensabile una revisione di questi atteggiamenti culturali. Nessuna persona
può essere usata come strumento di un'altra, nemmeno nell'ambito dei rapporti
genitori-figli e viceversa, e nemmeno in nome del riconoscimento di esigenze
essenziali dell'uno (l'adulto) da cui possono derivare conseguenze negative
all'altro (il minore).
Non è pertanto accettabile, sotto
nessun punto di vista, che il futuro del bambino sia condizionato ad una sua
funzione terapeutica nei confronti del genitore: funzione, oltretutto, solo
presunta, essendo una illusione che un bambino serva per la riabilitazione del
tossicodipendente o per la cura del malato di mente.
Viceversa, nel conflitto di
interessi la parte più debole dovrebbe essere quella cui si riconosce la
priorità delle esigenze, come è affermato dal codice civile e dalla legge
sull'adozione che impongono che le decisioni vengano sempre assunte
nell'interesse del minore.
7. Le problematiche psicologiche che
spingono all'abbandono
Dobbiamo a questo punto domandarci
quali possono essere le modalità dell'intervento sociale di sostegno alla donna
che attende un figlio o quando lo partorisce, per prevenire i casi di
infanticidi o di neonati esposti in situazione di gravissimo rischio per la
loro sopravvivenza o abbandoni tardivi particolarmente dolorosi.
Si è già detto che una più ampia e
diffusa informazione alle donne sulla possibilità di non riconoscere il bambino
alla nascita, di partorirlo conservando il segreto quando non si intende
riconoscerlo e di ottenere assistenza psicologica e sanitaria prima e durante
e dopo il parto, potrebbe ridurre questi fenomeni traumatici.
Tale informazione è certamente
necessaria ma non è sufficiente. Se si vuole veramente affrontare il problema
bisogna tentare di capire quali siano la struttura e l'organizzazione psichica
e i condizionamenti socio ambientali di queste donne, per fare luce sulle
dinamiche e i nuclei più profondi e oscuri per cui possono avvenire questi
fenomeni dei neonati uccisi o esposti.
Queste donne negano la realtà della
propria gravidanza, impossibilitate per motivi sociali e/o psicologici a
riconoscere di portare in grembo un bambino e sono spinte quindi a disfarsi
subito dopo il parto di un qualcosa sentito come un estraneo accidente del proprio
corpo. È proprio questa impossibilità psicologica a riconoscere l'esistenza di
un altro essere che fa sì che esse lo uccidano o lo espongano e non si
avvalgano invece della possibilità del non riconoscimento del proprio nato,
sancita dalla legge.
Perché possano allora scegliere di
non fare la madre, di lasciare ignoto il proprio nato ma facendolo vivere,
occorre prima che esse abbiano operato un riconoscimento della sua esistenza in
quanto altro, in quanto soggetto e persona che ha dei diritti.
Si può a ragione dunque dire che il
non riconoscimento legale come figlio del bambino procreato presuppone sia il
riconoscimento dell'esistenza del bambino che il riconoscimento della propria
impossibilità a farlo crescere.
Tutto ciò comporta un cammino psicologico,
l'arrivo ad un certo grado di consapevolezza; richiede l'esistenza nella donna
di uno spazio mentale su cui sia possibile lavorare per fare la scelta da un
lato di accettare il bambino che da lei nasce, dall'altra di non riconoscerlo
legalmente.
8. La necessità di un'assistenza
specifica alle gestanti in difficoltà
Numerosissime sono le gestanti in
situazioni personali e familiari gravi se non drammatiche, con percorsi di vita
diversi, ma accomunate dalla difficoltà o impossibilità di provvedere da sole
o con l'aiuto dei loro congiunti alle esigenze del bambino che nascerà da loro.
Spesso si tratta dì giovanissime con vite segnate da abbandoni e violenze,
malate di mente anche con gravi patologie spesso cronicizzate, insufficienti
mentali, tossicodipendenti o alcooliste, senza fissa dimora, extracomunitarie
spesso senza regolare permesso di soggiorno.
Poche di esse però durante la
gravidanza si rivolgono ai servizi o vengono comunque accostate dai servizi
per essere aiutate a capire e a scegliere se riconoscere il proprio nato.
Eppure proprio in quel periodo delicato è bene offrire alla donna dei sostegni
perché la qualità della sua vita migliori, oltre che per lei anche per il
bambino che tiene in sé e per valutare la possibile condizione di abbandono
del bambino che nascerà, al fine di aiutare la donna a maturare le sue scelte.
È importante offrire alla gestante
la possibilità anticipata di
riflettere, di verificarsi e di decidere con serenità e autonomia, ma con le
opportune informazioni sugli aiuti che possono esserle dati. Quanto prima
interviene questa elaborazione interiore, tanto più evitiamo alla gestante dei
drammi ma, insieme, prepariamo un futuro migliore al bambino, evitando che si
arrivi poi ad abbandoni tardivi.
Di qui la necessità:
a) di una informazione capillare
affinché le gestanti in difficoltà sappiano a chi possono rivolgersi e
conoscano i servizi forniti;
b) che i servizi (medici di base,
servizio di salute mentale e il servizio per le tossicodipendenze) e i
volontari - previo accordo con la gestante - segnalino tempestivamente lo
stato di gravidanza delle loro assistite agli altri servizi deputati
specificamente; rifiutandosi di farlo in nome del diritto alla riservatezza e
all'anonimato priverebbero la donna di una assistenza sociale e psicologica
più che mai necessaria già nel corso della gravidanza.
Gli interventi degli operatori
sociali e sanitari nei confronti delle gestanti in difficoltà devono essere
finalizzati ad una valutazione approfondita delle potenzialità della donna a
svolgere il ruolo genitoriale nei confronti del proprio nato.
AI riguardo si dovrà tener conto
delle necessità del bambino nelle sue diverse fasi di crescita, della reale
disponibilità del partner (non sempre individuabile) e dei familiari e degli
apporti concreti dei servizi pubblici e privati.
È quindi necessario elaborare
tempestivamente una diagnosi e una prognosi della situazione personale e
familiare della gestante, diagnosi e prognosi che devono essere necessariamente
- salvo casi eccezionali di assoluta incapacità - costruiti insieme alla donna
e alle altre persone coinvolte.
Ovviamente spetta esclusivamente
alla donna decidere in merito al riconoscimento o meno del proprio nato, ma
occorre che questa delicatissima scelta venga assunta nel modo più responsabile
possibile e, quindi, anche disponendo di tutte le informazioni che la aiutino a
decidere.
Per consentire questo cammino di
maturazione, è preferibile l'inserimento delle gestanti, che chiedono di
vivere lontane dal loro ambiente, in piccole strutture (comunità alloggio) o in
alloggi autonomi; al riguardo, vi è la necessità di tenere separate le gestanti
che hanno deciso il riconoscimento da quelle incerte e da quelle che hanno
deciso il non riconoscimento.
9. Il parto
Quando la gestante in difficoltà è
stata adeguatamente seguita da un servizio valido, le problematiche relative
al riconoscimento o meno non assumono l'urgenza e la drammaticità che si
riscontrano nei casi - purtroppo non infrequenti - di donne che per la prima
volta al momento del parto devono decidere in merito.
Anche in questi casi, come è ovvio,
di fondamentale importanza sono i comportamenti del personale. La donna
dovrebbe essere aiutata a non sentirsi in colpa e comunque protetta se decide
di non riconoscere il bambino, anziché essere forzata ad allattarlo oppure
costretta a confrontarsi con altre puerpere felici e gratificate. Talvolta
vengono inviati messaggi più sottili, tendenti comunque ad esprimere giudizi
che si rifanno a convincimenti personali, anziché tenere conto della decisione
della donna che va comunque valorizzata per la sua scelta di avere regalato
la vita al bambino. Va in ogni caso garantita anche di fatto, e non solo
nell'atto di nascita, la segretezza del parto come un diritto cui può fare
ricorso la donna che sia consapevole di non avere uno spazio psicologico per un
figlio.
Se il personale dell'ospedale agisce in modo
professionalmente corretto, è tenuto:
- a non avere alcun atteggiamento
persecutorio e a non imporre i propri convincimenti, ma a consentire
all'interessata di esprimere le proprie ansie e i propri dubbi;
- previo accordo con la partoriente,
a segnalare il caso a: servizi preposti al sostegno delle gestanti e madri;
- a garantire, se richiesto, tutte le misure dirette ad
assicurare il segreto del parto.
Si discute quale sia il modo
migliore con cui il personale dell'ospedale o i servizi locali, su incarico
del tribunale per i minorenni, possono informare, a mente dell'art. 11 comma 6
della già citata legge sull'adozione, i presunti genitori che non hanno ancora
effettuato il riconoscimento, della facoltà di richiedere la sospensione del
procedimento di dichiarazione dì adottabilità. Questa informazione in vari luoghi si è tradotta in una mera comunicazione
burocratica priva di risonanze psicologiche. Essa invece dovrebbe venire
rivalorizzata come colloquio in cui si aiuta la donna a prendere consapevolezza
e a capire che cosa è meglio per il bambino e dovrebbe giungere così tempestiva
da anticipare dei riconoscimenti avventati e da costituire un invito forte a
riflettere prima.
Un problema particolare si pone nel
caso della nascita di un bambino handicappato o gravemente ammalato, dove la
scelta del non riconoscimento legale rappresenta la conseguenza sia
dell'impossibilità di accettare la ferita narcisistica di avere procreato un
bambino "diverso", sia della ritenuta difficoltà o impossibilità di
progettare un futuro insieme a lui. In questi casi è importante la modalità
con cui l'operatore informa la donna e il suo partner dell'handicap o della
malattia e la sua capacità di fare presenti le prospettive di aiuto che
possono ricevere, con una pedagogia dell'accoglienza verso il bambino
handicappato o ammalato.
10. II dopo parto
II dopo parto si presenta in modo
diverso per le donne che non hanno riconosciuto il proprio nato, per quelle che
hanno chiesto al tribunale per i minorenni un tempo di riflessione per decidere
e per quelle in difficoltà che hanno proceduto al riconoscimento.
Quanto alle donne che non hanno
riconosciuto, è sufficiente dire che non possono essere lasciate
improvvisamente sole; che anche le loro dimissioni dalle comunità e dalle
strutture che le hanno ospitate nel corso della gravidanza vanno disposte con
metodo graduale e non devono corrispondere al loro abbandono. I casi ripetuti
che compaiono sui giornali di donne deboli mentali che, ripetutamente,
partoriscono dei piccoli che lasciano alla nascita, rappresentano degli
sconcertanti esempi di abbandono sociale delle donne in difficoltà.
Per le donne che hanno chiesto tempo
per decidere se riconoscere, si tratta spesso di garantire una ospitalità in
un ambiente neutro e in ogni caso di accompagnarle nella scelta con una
assistenza psicologica adeguata e con una offerta di aiuti materiali.
Quanto alle donne che hanno
riconosciuto il bambino ma che si trovano in difficoltà, dalle esperienze in
atto risulta che esse, dopo il parto, molto spesso sono accolte in comunità
pubbliche o private (piccole strutture di otto-dieci posti al massimo) con il
loro bambino per un periodo che, a seconda della complessità della situazione,
può durare alcuni mesi o anche più.
Queste strutture di accoglienza non
devono funzionare solo come contenitore, ma piuttosto devono avere come
obiettivo:
- l'osservazione da parte di
personale qualificato (educatori, psicologi, ecc.) del rapporto realmente
esistente fra madre e bambino, finalizzato ad una verifica della capacità di
svolgere il ruolo genitoriale;
- l'aiuto a sviluppare, sempre che
ne sussistano le condizioni di base, le potenzialità della madre e la sua
capacità di assolvere in maniera adeguata ai propri compiti;
- l'avvio, al momento delle
dimissioni, ad un autonomo inserimento sociale della madre e del bambino,
inserimento che è praticabile solo se vengono risolti i problemi relativi
all'abitazione, all'accesso agevolato agli asili nido e alle scuole materne,
al lavoro e alla frequenza di corsi di preparazione professionale.
AI riguardo occorrerebbe compiere
approfondite valutazioni al fine di accertare se l'attuale organizzazione
delle comunità alloggio - impostate sulla vita collegiale dei suoi componenti
e del personale - non determini, al di là della volontà degli operatori,
assistenzialismo e dipendenza, anziché autonomia. Ciò anche al fine di avviare
nuove sperimentazioni.
A questi fini di particolare
importanza viene ritenuto il coinvolgimento attivo della famiglia della madre
e, se possibile e opportuno, del partner.
Va anche tenuto presente che i costi
delle comunità madre-bambino sono estremamente elevati (375.000 lire al
giorno a Roma, 280.000 a Torino), per cui anche sotto questo aspetto sembra
opportuno verificare se possono esserci delle scelte alternative.
Per quanto riguarda soluzioni che
prevedano la permanenza del solo bambino in istituto, anche se organizzato in
gruppi famiglia, o in comunità alloggio, esse presentano aspetti negativi.
Anche la permanenza in una comunità alloggio, seppure costituisca una soluzione
di gran lunga preferibile rispetto all'istituto, costituisce un momento di
sviluppo non soddisfacente e incongruo rispetto alle esigenze di vita di un
bambino piccolo e i danni aumentano con il passare dei mesi, come ha messo in
evidenza una ricerca compiuta dagli operatori di una comunità alloggio gestita
direttamente dal Comune di Torino.
11. Affidamenti familiari
Quando si presentino delle
difficoltà alle madri per la cura diretta del bambino (ad esempio, per motivi
di lavoro), occorre considerare in un'ottica positiva l'affidamento familiare
che può essere disposto nei confronti del bambino, ma in certi casi anche della
coppia madre-bambino.
L'affidamento familiare può avere
natura e durata molto varie: da qualche ora al giorno, ai soli giorni feriali,
a tempo prefissato o indeterminato. Ovviamente è di gran lunga preferibile
l'affidamento familiare consensuale.
Occorre operare perché si eviti che
la madre e gli stessi servizi socio-assistenziali deleghino di fatto agli
affidatari ogni responsabilità sulla crescita e sul futuro del bambino.
Soprattutto se il bambino è
piccolissimo, c'è un forte coinvolgimento emotivo degli affidatari, situazione
che può portare - se la madre non è un riferimento affettivo per il figlio -
alla sua esclusione di fatto.
Allegato 1
PERCHÉ NON
SIA PIÙ COSI’
24.1.1994 Casalnuovo
(Na): F.A., 15 anni, partorisce e uccide la propria bambina in casa.
24.2.1994 Porto
Torres (Ss): dopo una gravidanza segreta, una giovane di 16 anni
partorisce in casa una bimba che muore poco dopo.
7.4.1994 Lodi (Mi): una donna sposata
dì 35 anni arriva in ospedale per un'emorragia da parto; più tardi un parente
porta ai medici il cadavere del neonato trovato a casa.
15.4.1994 Vignola (Mo): lungo
l'argine del fiume Panaro viene trovato il corpo di una neonata morta; il
cadavere è avvolto in un asciugamano e sepolto nella terra.
11.5.1994 Fontegreca (Ce): M.F., 32
anni, partorisce una bambina nel bagno di casa e l'abbandona in un deposito di
legna. La bambina muore dopo 6 giorni.
30.5.1994 Altamura
(Ba): una ragazza partorisce in casa una bambina che nasconde in un
sacchetto di plastica; poi viene ricoverata in ospedale. Dopo una perquisizione
viene trovato il cadavere della neonata.
1.6.1994 Gorgonzola (Mi): E.M., 27
anni, partorisce un bambino nel bagno di un negozio; soccorsa, la donna è ricoverata
in ospedale, mentre il bambino è trovato morto in fondo al water.
6.6.1994 Gubbio
(Pg): R.F. (38 anni) partorisce una bimba e la nasconde in casa;
ricoverata per emorragia, non vuole ammettere di aver partorito. In una perquisizione
nella sua abitazione viene trovato il cadavere della neonata.
27.6.1994 Trento: una ragazza di 20
anni partorisce una bambina che abbandona in un vigneto. La bambina è trovata,
poco dopo, in buone condizioni di salute.
24.7.1994 Sant'Angelo
dei Lombardi (Av): A.G., 32 anni, partorisce una bambina e la mette in una
busta di plastica chiusa in una valigetta che lascia lungo la strada. II 26 un
contadino trova la neonata ancora viva e la porta in ospedale dove muore poco
dopo.
13.10.1994 Cantù (Co): una ragazza partorisce in casa
un bambino che presenta ferite da arma da taglio presumibilmente prodotte nel
tentativo di tagliare il cordone ombelicale.
7.12.1994 Roma: viene trovata davanti a un
convento una bambina in buona salute avvolta in una coperta. La nascita
risale al giorno prima.
20.1.1995 Pisa: un neonato viene trovato abbandonato
nella toilette dell'aerostazione dell'aeroporto della città.
22.1.1995 Brescia: una neonata viene lasciata
morire dalla madre sul balcone della stanza dove l'aveva partorita da ' sola.
25.1.1995 Thiene (Vi): una neonata viene trovata
in un sacchetto di plastica vicino ad uno studio ostetrico.
1.2.1995 Lucca:
una giovane chiude il neonato nell'armadietto del bagno dell'astanteria
dell'ospedale dove ha partorito da sola. II bambino viene ritrovato subito
dopo.
Allegato 2
ALCUNE
NORME DI LEGGE SULL'ASSISTENZA ALLE GESTANTI, MADRI E MINORI IN DIFFICOLTÀ .
R.D. 16 dicembre 1923 n. 2900
"Approvazione del nuovo testo del regolamento generale per il servizio di assistenza
agli esposti"
Art. 1 - (...) II detto servizio è
affidato all'Amministrazione provinciale, la quale vi provvede col ricovero e
mantenimento degli esposti nei brefotrofi e in altri congeneri istituti, mercé
il collocamento del medesimo a baliatico e in allevamento esterno, e mediante
la concessione di sussidi e premi alle madri che allattino ed allevino i figli
illegittimi ammessi all'assistenza pubblica. (...)
R.D. 15 aprile 1926 n.
718 "Approvazione del regolamento per l'esecuzione della legge 10 dicembre
1925 n. 2277 sulla protezione e l'assistenza della maternità e
dell'infanzia"
Art. 50 - Gli istituti, i comitati e
le associazioni di carattere pubblico o privato, che, in tutto o in parte,
intendono comunque provvedere alla protezione e all'assistenza della maternità
e dell'infanzia, devono essere previamente riconosciuti idonei a tale
funzione, nei riguardi economici, tecnici e morali, dalla Giunta esecutiva
dell'Opera nazionale per la protezione e l'assistenza della maternità e dell'infanzia.
Art. 176 - I fanciulli minori di
dodici anni compiuti devono essere, di regola, collocati presso famiglie,
possibilmente abitanti in campagna, che offrano serie garanzie di onestà,
laboriosità, attitudini educative e amorevolezza verso i bambini e dispongano
inoltre di un'abitazione conveniente e di mezzi economici sufficienti per
provvedere al mantenimento dei fanciulli ricevuti in consegna.
I fratelli e le sorelle debbono
essere possibilmente collocati presso la stessa famiglia, o almeno nello
stesso Comune (...).
Art. 194 - In ogni istituto di
assistenza occorre impiantare e tenere al corrente: a) un registro nominativo
di tutti gli assistiti; b) un fascicolo personale per ciascun assistito,
contenente i documenti relativi all'ammissione nell'istituto, la corrispondenza
con la famiglia dell'assistito, con le autorità e con gli organi dell'Opera
nazionale, gli atti relativi all'eventuale trasferimento in altro istituto, o
al collocamento esterno, o al licenziamento; c) una scheda individuale per
ogni assistito, compilata secondo le norme di cui nell'art. 115 del presente
regolamento.
R.D.L. 8 maggio 1927 n. 798 e
successive modificazioni e integrazioni
Art. 1 - In ogni provincia
l'assistenza dei fanciulli illegittimi abbandonati o esposti all'abbandono è
affidato (...) alla Amministrazione provinciale la quale vi provvede o
mediante la concessione di adeguati sussidi alle madri che allattino o
allevino i rispettivi figli, o col ricovero e mantenimento dei fanciulli nei
brefotrofi o in altri congeneri istituti, curando di ricoverarli, per quanto
sia possibile, insieme alle madri, quando sono poppanti, o mercé il
collocamento dei medesimi a baliatico e in allevamento esterno.
Art. 4 - Sono ammessi all'assistenza, a norma dell'art. 1 del
presente decreto:
a) i fanciulli abbandonati, figli di
ignoti, che siano rinvenuti in un luogo qualsiasi della Provincia;
b) i fanciulli per i quali sia stata
richiesta la pubblica assistenza, nati nei Comuni della Provincia da unioni
illegittime e denunciati allo stato civile come figli di ignoti;
c) ogni fanciullo nato da unione
illegittima, riconosciuto dalla sola madre, quando questa possa dimostrare di
trovarsi in stato di povertà e provveda inoltre direttamente all'allattamento 0
allevamento del proprio figlio, salvo i casi in cui sia riconosciuta
fisicamente incapace di allattare o si oppongano ragioni d'indole igienico-sanitaria,
o gravi motivi d'ordine morale (...).
L'assistenza non può essere
richiesta se il bambino abbia compiuto gli anni sei e si estende sino all'età
prescritta per l'ammissione dei fanciulli al lavoro dalle norme legislative
vigenti in materia.
Rimangono però ferme le speciali
disposizioni in vigore presso i brefotrofi e le Amministrazioni provinciali,
che estendano l'assistenza ad altre categorie di fanciulli, od oltre l'età
suindicata.
Art. 5 - Nei casi in cui è
obbligatoria, a termini del primo comma (lettera a, b e c) del precedente
articolo, l'assistenza è dovuta, sin dal giorno della nascita, a tutti
indistintamente i fanciulli che per essa abbiano titolo, senza riguardo al
luogo di nascita o di domicilio, all'età, allo stato civile, al numero dei
precedenti parti, ed alle condizioni morali ed economiche della madre.
In tali casi, qualora dagli
accertamenti, che all'uopo saranno fatti, la madre risulti appartenente ad
altra provincia, l'Amministrazione che ' presta l'assistenza ha diritto al
rimborso delta relativa spesa da parte della Provincia nel cui territorio è
compreso il Comune del domicilio di soccorso della madre stessa.
Art. 9 - Quando venga richiesta la
pubblica assistenza per un illegittimo, a norma degli artt. 1 e 4 del presente
decreto, la direzione sanitaria dell'istituto ricoverante deve compiere, nei
modi che ritenga congrui, riservate indagini per accertarne la madre, allo
scopo di constatare ove sia possibile, le condizioni sanitarie di quest'ultima,
di procurare all'infante l'allattamento materno e di indurre la madre stessa a
riconoscere il figlio.
La levatrice e il medico, che hanno
prestato assistenza durante il parto alla madre dell'infante, sono tenuti a
rispondere alle domande delle persone incaricate delle indagini. In caso di
rifiuto, si applica l'art. 361 del Codice penale.
È rigorosamente vietato di rivelare
l'esito delle indagini compiute per accertare la maternità degl'illegittimi, ed
è fatta salva, ove ne ricorrano gli estremi, l'applicazione degli artt. 622 e
326 del Codice penale.
Nulla è innovato alle disposizioni
degli artt. 272 e seguenti del codice civile concernenti le indagini sulla
maternità e l'azione per la dichiarazione di maternità.
R.D. 29 dicembre 1927,
n. 2822 - Regolamento per l'esecuzione del R.D.L. 8 maggio 1927 n. 798
sull'ordinamento del servizio di assistenza dei fanciulli illegittimi o
abbandonati o esposti all'abbandono
Art. 25 - Alla madre che abbia
riconosciuto il figlio affidato alla pubblica assistenza, o ne abbia ottenuto
la legittimazione per decreto Presidenziale, è corrisposto un premio, e, ove
essa allevi il figlio riconosciuto o legittimato, le spetta, se povera, un
congruo sussidio.
II sussidio sarà ridotto, sospeso o
soppresso, se la madre cessi di essere povera e di allattare il bambino quando
ne sia fisicamente idonea, o non presti le necessarie cure al figlio.
Art. 32 - Trascorso il periodo di
allattamento ritenuto necessario dal direttore sanitario dell'istituto, il
bambino può essere trattenuto 0 ritirato dalla madre, che riceve in tali casi
un sussidio mensile sino al compimento del periodo di assistenza di cui
all'art. 4 del R.D.L. 8 maggio 1927, n. 798.
R.D. 24 dicembre 1934
n. 2316 - Testo unico delle leggi sulla protezione e l'assistenza della maternità
e dell'infanzia
Art. 4 - L'Opera nazionale per la protezione della maternità
e dell'infanzia:
1° provvede per il tramite dei suoi
organi provinciali e comunali, nei modi stabiliti nel regolamento, alla
protezione e alla assistenza delle gestanti e delle madri bisognose o abbandonate,
dei bambini lattanti o divezzi sino al quinto anno, appartenenti a famiglie che
non possono prestare loro tutte le necessarie cure per un razionale
allevamento dei fanciulli di qualsiasi età appartenenti a famiglie bisognose e
dei minorenni fisicamente o psichicamente anormali, oppure materialmente o
moralmente abbandonati, traviati e delinquenti, fino all'età di 18 anni compiuti.
Con le provvidenze dirette a questi
scopi, l'Opera nazionale integra le opere già esistenti di protezione della
maternità e dell'infanzia e ne favorisce le iniziative (...).
(1) La relazione
introduttiva è stata predisposta dal Gruppo di lavoro composto da: Anna
Colella, Responsabile Ufficio minori, Regione Piemonte; Elena Costa, Psicologa
presso il CERRIS dell'Azienda USL, Verona; Grazia Maria Dente, Vicepresidente
Mo.V.I.,; Valerio Ducci, Funzionario Dipartimento Sicurezza sociale, Regione
Toscana; Harma Keen, Rappresentante CISF; Laura Maglio, Assistente sociale -
Assessorato promozione sociale, Comune di Genova; Maria Massari,
Neuropsichiatra, Psicologa, Giudice onorario del Tribunale per i minorenni di
Torino; Carla Meda, Responsabile del Coordinamento interventi per i minori del
Comune di Torino; Donata Micucci, Presidente ANFAA; Francesco Migliori,
Presidente onorario Movimento per la Vita; Luciana Muretto, Funzionario Settore
servizi sociali, Provincia di Milano; Piercarlo Pazzé, Magistrato, Direttore
della rivista "Minori e Giustizia"; Lina Pierro, Dirigente Ufficio
minori, Regione Lombardia; Marisa Persiani, Psicologa presso il Servizio pronta
accoglienza prima infanzia, Provincia di Roma; Aldina Stradi, Responsabile
Servizio sociale minori e famiglia del Comune di Modena; Frida Tonizzo,
Rappresentante Associazione promozione sociale e Redattore di Prospettive
assistenziali. Ha collaborato Laura Gazzi del Mo.V.I. di Milano.
Poiché - come
precisato dagli organizzatori - nel convegno non verrà trattato il problema
dell'aborto, questo aspetto non è affrontato nella relazione introduttiva.
www.fondazionepromozionesociale.it