Prospettive assistenziali, n. 111, luglio-settembre
1995
LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE SUL "CASO DI
LAZZARO": LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA?
PIERGIORGIO
GOSSO
(*)
Con
un'articolata sentenza depositata il 21 luglio 1995 (n. 7950), la Corte di
Cassazione ha posto la parola "fine" alla tormentata vicenda apertasi
nel dicembre del 1992 dalla domanda di adozione presentata dall'attrice Dalila
Di Lazzaro, e sulla quale ha riferito diffusamente questa rivista.
Come è noto, la posta in gioco era rappresentata
dalla risposta all'interrogativo circa la possibilità per una persona singola
- sulla base della legislazione vigente in Italia - di chiedere un minore in
adozione, alla stessa stregua di una coppia unita in matrimonio: possibilità
che da sempre, prima che scoppiasse il caso, era stata concordemente esclusa sia
dagli studiosi della materia che dalla giurisprudenza, in forza dell'esplicito
tenore degli articoli 6, 22 e 30 della legge 4 maggio 1983 n. 184 sull'adozione
e sull'affidamento dei minori, ma che era stata improvvisamente rimessa in
discussione nel caso di specie con il porre l'accento sull'articolo 6 della
Convenzione europea di Strasburgo del 24 aprile 1967 in materia di adozione di
minori, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge 22 maggio 1974 n.
357 («la legge permette l'adozione di un minore solo da parte di due persone
unite in matrimonio... o da parte di un
solo adottante»), sostenendosi che tale norma era entrata in vigore fin
dal 1974 a far parte dell'ordinamento interno, obbligando i giudici a darvi
attuazione.
II Tribunale per i minorenni di Roma aveva ovviamente
respinto la domanda, facendo notare che quest'ultima disposizione non poteva
considerarsi imperativa, non essendo mai stata seguita dalle necessarie norme
di attuazione ed essendo in ogni caso superata dalle disposizioni poi
introdotte con la citata legge 184 del 1983, ma con un capovolgimento di fronte
a dir poco sorprendente la Corte d'appello della capitale aveva dato ragione
all'opponente dichiarandola pertanto legittimata a proporre la domanda di
adozione, sebbene la stessa Corte costituzionale - interpellata sul punto -
avesse statuito negli stessi termini del Tribunale per i minorenni.
Grazie ad un provvidenziale ricorso del Procuratore
generale della Repubblica, il Supremo Collegio - investito della questione - ha
fortunatamente rimesso le cose a posto, sgomberando autorevolmente il campo
(il che non è poco, soprattutto in un momento di così grande confusione
concettuale come è quello attuale) da tutta una serie di argomentazioni
giuridiche che potremmo eufemisticamente definire come stravaganti.
Si è così ricordato, in termini di esemplare
chiarezza, che l'articolo 6 della Convenzione europea di Strasburgo non è mai
stato né può attualmente considerarsi come dotato di efficacia esecutiva nel
nostro Paese, per la semplice ragione che tale disposizione si era limitata a
suo tempo a configurare una semplice facoltà, per ciascun Stato aderente alla
stessa, di introdurre nella propria legislazione interna una norma che
consentisse anche alle persone singole di chiedere un minore in adozione, come
d'altronde era opportunamente illustrato nel rapporto esplicativo ufficiale
della Convenzione: «Il testo considera,
nell'ordine delle preferenze generalmente ammesse, innanzi tutto l'adozione da
parte di una coppia, poi l'adozione da parte di una sola persona. Qualora la
legislazione di uno Stato ammetta soltanto l'adozione a favore di una coppia,
il primo paragrafo non rende affatto obbligatoria l'introduzione dell'adozione
a favore del singolo». Ci permettiamo poi di aggiungere al riguardo che
un'altra disposizione della Convenzione in oggetto - e precisamente l'articolo
16 - disponeva espressamente che «ogni
parte contraente conserva la facoltà di introdurre disposizioni più favorevoli
nei confronti dei minori adottati», con ciò lasciando evidentemente libero
ciascun Stato di limitare - nell'esclusivo e superiore interesse del bambino -
l'accesso all'adozione alle sole coppie unite da stabile rapporto coniugale.
Nella sua pronuncia, la Corte di Cassazione ha poi
opportunamente fatto presente che il nostro Stato si è avvalso della facoltà
prevista dall'articolo 6 della Convenzione europea di Strasburgo nei soli casi
previsti dagli articoli 25 e 44 della legge 184 del 1983, e cioè consentendo
l'adozione anche da parte di un solo soggetto quando questo rivesta la qualità
di coniuge separato, vedovo o coniuge (se la separazione, la morte o
l'incapacità dell'altro coniuge sono sopravvenuti durante l'affidamento
preadottivo) od allorché l'adottando sia orfano ed unito all'adottante da
vincolo di parentela o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla morte
dei suoi genitori, oppure quando sia stata constatata l'impossibilità di
affidamento ad una coppia unita in matrimonio. Come si vede, una legislazione
ispirata a criteri ben più avanzati di quelli schematicamente abbozzati dalla
suddetta Convenzione, in quanto ispirati a valori strettamente connaturati
alla difesa della personalità infantile, ritenuta bisognosa di un rapporto
affettivo ed educativo di tipo rigorosamente familiare.
Si spera, a questo punto, che alla tempesta del
"caso Di Lazzaro" (suscitata più da suggestioni emotive e da
approssimazioni culturali che non da un serio approfondimento dei principi del
diritto di famiglia) faccia definitivamente seguito uno stabile periodo di
bonaccia, per consentire alle istituzioni di mettere finalmente mano a tutte
quelle riforme di struttura che la piena attuazione della legge sull'adozione e
sull'affidamento
familiare sta ancora aspettando, e per le quali da sempre si batte anche questa
rivista.
Si spera, in particolare, che non vengano con troppa
disinvoltura varate delle modifiche legislative su temi così delicati, senza
aver prima consultato tutti gli specialisti del settore. Pensiamo, ad esempio,
con grande preoccupazione a certi auspicati "allargamenti" nella
facoltà di adottare cui pure la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione
hanno un po' troppo superficialmente accennato nelle decisioni sopra riportate
e che rischierebbero tra l'altro di incrementare la situazione di caos e di deregulation verso la quale sembra
avviarsi sotto più di un aspetto l'adozione internazionale, da troppe partì
considerata come "I'ultima spiaggia" dell'adozione.
Ma
questo è un argomento su cui bisognerà ritornare con calma in una prossima
occasione.
(*) Presidente di Sezione del Tribunale di Torino.
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