Prospettive assistenziali, n. 111, luglio-settembre
1995
LINEE GUIDA PER LA REALIZZAZIONE DI INTERVENTI URGENTI A
FAVORE DEI MINORI
Con lettera del 17 luglio 1995, prot. 1597/95/ D.2.10, la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le Regioni e le Province autonome, ha emanato le "Linee guida
per la realizzazione di interventi urgenti a favore della popolazione
minorile"; linee guida (da noi pienamente condivise) risultanti
dall'accordo intervenuto tra lo Stato e le Regioni nella seduta del 13 luglio
1995.
Rileviamo che nelle linee guida è appena citato l'art. 80
della legge 184/1983 il cui terzo comma così si esprime: «Le Regioni
determinano le condizioni e le modalità di sostegno alle famiglie, persone e
comunità di tipo familiare che hanno minori in affidamento affinché tale
affidamento si possa fondare sulla disponibilità e l'idoneità all'accoglienza
indipendentemente dalle condizioni economiche», norma finora ignorata da molte Regioni con la conseguente permanenza di
migliaia di minori in istituto.
Le
linee guida sono riportate nella Gazzetta ufficiale n. 1,92 del 18 agosto
1995.
TESTO
DELLE LINEE GUIDA
AI fine di
pervenire alla realizzazione di interventi urgenti in favore della popolazione
minorile, in mancanza di una legislazione nazionale organica nel settore dei
servizi socio-assistenziali, che, allo stato, rende difficile la realizzazione
di omogenee politiche sociali sul territorio, questo Dipartimento ritiene che
la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano sia la sede deputata per approfondire a livello
istituzionale le problematiche minorili ed intavolare un raccordo su tematiche
che necessitano di per sé di un'azione integrata Stato-Regioni.
La necessità
di sostanziare un'azione di raccordo che si esprima in modo graduato nei vari
livelli istituzionali trova considerazione già nell'art. 12 della legge 23
agosto 1988, n. 400 ed utile conforto nell'art. 15 della legge 7 agosto 1990,
n. 241 con la definizione di linee guida proposte con il seguente documento.
Inoltre su questa base il Dipartimento per gli affari sociali auspica che con
la Conferenza Stato-Regioni la Presidenza del Consiglio dei Ministri prosegua
ed anzi intensifichi il suo ruolo di coordinamento istituzionale affinché
mediante l'Osservatorio nazionale sui problemi dei minori si pervenga a concrete
proposte di modifica e/o integrazione della legislazione vigente.
Gli interventi
di politica minorile debbono ispirarsi ad un approccio globale sistemico ed
integrato che rispetti l'unità della persona all'interno di un sistema di
relazioni. Occorre superare la logica degli interventi compensativi sul singolo
che si ispira ad un approccio di tipo lineare (causa-effetto) sia per la
conoscenza che per l'intervento; logica non adeguata alla complessità delle
situazioni di disagio e ad una lettura correlata delle cause che le
determinano.
In questa
logica si riafferma il diritto di ogni minore ai servizi essenziali di base che
attraverso una reale integrazione ne garantiscano lo sviluppo armonico sul
piano educativo, culturale e sociale. Lo Stato, le Regioni e gli Enti locali,
al fine di garantire al minore le condizioni per una normale crescita fisica,
psicologica, culturale e sociale, debbono proseguire nella realizzazione di
servizi socio-assistenziali per assicurare tutti gli interventi necessari
idonei a contrastare e a rimuovere le situazioni che determinano il rischio
psicosociale per i bambini nei diversi stati dell'età evolutiva.
Tutto ciò in
attesa che il legislatore nazionale promulghi la legge-quadro di riordino
dell'assistenza sociale, ormai non più procrastinabile, quale strumento
indispensabile per l'individuazione di criteri per l'organizzazione compiuta
di un sistema organico che assicuri la realizzazione degli interventi
attraverso la definizione degli obiettivi, degli strumenti e delle risorse
necessarie (anche mediante la costituzione di un Fondo nazionale in cui far
confluire le risorse finanziarie comprese quelle attualmente previste in leggi
settoriali).
Nel
riaffermare il ruolo delle Regioni quale soggetto primario della programmazione
a livello territoriale e proprio in considerazione della diversità dello stato
di attuazione degli interventi in favore dell'infanzia e dell'adolescenza, il
Dipartimento per gli affari sociali richiama l'attenzione degli organi
costituzionali preposti sulla necessità di:
1) realizzare
o potenziare gli interventi di prevenzione primaria individuati nel
Progetto-obiettivo Tutela materno-infantile del Piano sanitario nazionale
approvato con il D.P.R. 1° marzo 1994, nonché quegli interventi socio-educativi
finalizzati alla auto-costruzione della persona ed alla sua integrazione
sociale;
2) attivare i servizi
socio-assistenziali ove inesistenti;
3) potenziare
e qualificare i servizi in relazione ai bisogni emergenti della popolazione
anche mediante l'adozione di progetti mirati, la formazione e l'aggiornamento
degli operatori e la riqualificazione dei Consultori familiari;
4) individuare
nel Distretto la sede primaria del raccordo e dell'integrazione degli
interventi socio-sanitari.
AI fine di
realizzare quanto sopra è necessario che i soggetti titolari degli interventi
destinino specifiche risorse finanziarie ed eventualmente utilizzino quelle
messe a disposizione dall'Unione europea.
Tutto ciò
premesso:
gli episodi,
purtroppo ancora frequenti, di scarsa tutela dei bambini rendono urgente il rilancio
di politiche sociali rispettose delle esigenze dell'infanzia e
dell'adolescenza e attente alle condizioni delle famiglie.
Per le
sopraesposte considerazioni e per l'urgenza dell'adozione di misure di
contrasto nei confronti del danno che l'emergere di situazioni di disagio,
connesse alla persistenza di rilevanti fattori di rischio, producono nei
confronti dei bambini, si conviene di individuare le seguenti linee guida.
APPLICAZIONE
LEGGE 184/83 "DISCIPLINA DELL'AFFIDAMENTO E DELL'ADOZIONE DI MINORI"
In riferimento
a quanto evidenziato in premessa si ritiene peculiare ed essenziale rispetto
ad una puntuale applicazione nel territorio nazionale della legge 184/83
sottolineare la sostanziale validità dei principi che essa contiene, affinché
Stato-Regioni ed Enti locali realizzino ciascuno per quanto di propria
competenza quegli interventi politico-amministrativi che si rendono necessari
per la sua attuazione ed efficacia.
La legge 184
del 4 maggio 1983 sancisce, agli articoli 1 e 2, i seguenti principi in materia
di diritti dei minori:
-
il minore ha diritto ad essere educato nell'ambito della propria famiglia;
- il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente
familiare idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia, ad una persona singola,
o ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento,
l'educazione e l'istruzione;
- solo ove non sia possibile un conveniente affidamento
familiare, è consentito il ricovero del minore in un istituto di assistenza
pubblico o privato.
II legislatore
privilegia quindi il collocamento familiare del minore e codifica un
orientamento della politica sociale già fatto proprio dalla Costituzione: la
famiglia come diritto fondamentale del minore, la famiglia anche per coloro che
ne siano temporaneamente privi.
Per consentire
alle famiglie di adempiere in modo adeguato all'insostituibile compito di favorire
l'armonica crescita personale dei bambini e per arginare il fenomeno
dell'istituzionalizzazione che risulta coinvolgere ancora un elevatissimo
numero di minori e che risulta essere ancora l'intervento prevalente nelle
Regioni del Sud, occorre adottare idonee politiche sociali a livello
territoriale. Si rende quindi necessario:
1) un approccio progettuale da parte degli
Enti locali e delle USL per ogni singolo minore sul quale si interviene.
Tale progettualità deve rispettare le priorità previste dalla legge, che dà la
precedenza al collocamento familiare del minore e che consente il ricorso alla
sua istituzionalizzazione solo come ultima soluzione;
2) il potenziamento e l'integrazione degli interventi,
volti al risanamento del tessuto educativo, culturale e sociale in cui il
minore e la sua famiglia vivono, attraverso:
a) il sostegno
alle famiglie in difficoltà mediante l'adozione di ogni possibile
soluzione rispetto al problema della casa, del lavoro, dell'assistenza
economica. In particolare deve sottolinearsi l'opportunità di dare concreto
seguito alle segnalazioni del servizio sociale territoriale nella compilazione
delle graduatorie di assegnazione di alloggi di edilizia popolare; devono
inoltre favorirsi tutte quelle forme di sostegno economico temporaneo
vincolate ad un progetto di effettivo recupero delle competenze genitoriali;
b) la promozione dell'intervento di assistenza
socio-educativa domiciliare, come intervento protettivo che può evitare
l'allontanamento dei minori dal loro ambiente, realizzando quindi il loro
diritto ad essere educati nella loro famiglia;
c) il sostegno alle famiglie problematiche attraverso
interventi psicologici anche mediante la messa a disposizione di operatori del
Servizio sanitario nazionale per contenere le conseguenze negative
del disagio sui bambini; solo attraverso interventi di questo tipo infatti si
possono contenere e curare fenomeni patologici quali il maltrattamento e la
violenza sui minori;
d) il ricorso
all'inserimento dei bambini all'asilo nido, quale supporto al nucleo
familiare e complemento formativo per lo sviluppo del bambino;
e) gli interventi a sostegno della frequenza
della scuola materna i cui orientamenti sottolineano l'importanza del
rapporto con le famiglie per favorire il processo di socializzazione e
l'acquisizione di strumenti propedeutici ad una piena fruizione del diritto
allo studio;
f) gli interventi
per il riorientamento, la rimotivazione allo studio, la prevenzione e il
recupero dell'abbandono scolastico:
- anche
facilitando la partecipazione degli operatori socio-sanitari alla realizzazione
dei progetti per la riduzione del fenomeno della dispersione scolastica;
- a livello
territoriale per una presa in carico reale del soggetto all'ingresso in prima
elementare e la riqualificazione dei bisogni educativo-didattici di ogni
singolo alunno attraverso la diagnosi funzionale psico-pedagogica;
- progetti
integrati a livello locale, attraverso un coordinamento nazionale, regionale,
provinciale e comunale tra tutte le istituzioni competenti per il diritto
allo studio, secondo le linee metodologiche e i criteri organizzativi sperimentati
dal Ministero della pubblica istruzione nelle Province più a rischio, ed estese
a livello nazionale con la circolare ministeriale 257/94, nonché sulla base
delle azioni avviate ai sensi della legge 162/90 con i progetti
"Arcobaleno", "Ragazzi 2000", "Giovani 2000";
- interventi
volti a favorire l'aggregazione giovanile e a valorizzare il processo
formativo dell'attività sportiva, anche attraverso una piena utilizzazione
delle strutture scolastiche e dei servizi attivati dagli enti locali e dal
privato-sociale;
g) il controllo e monitoraggio sulla frequenza
scolastica dei minori stranieri comunque presenti sul territorio, e dei loro
livelli di integrazione: tassi di abbandono e promozioni, tipo di scuola frequentata,
natura e qualità degli handicap più diffusi ecc.;
h) rivalutazione del ruolo centrale dei
consultori familiari come centri fondamentali per l'erogazione di servizi: di
ascolto, di terapia, di sostegno e di consulenza nei confronti delle famiglie
(anche affidatarie e adottive) e dei bambini. In particolare gli stessi
consultori devono promuovere con ogni mezzo forme di collegamento e di collaborazione
con i servizi sociali degli enti locali e le altre agenzie territoriali
coinvolte nel lavoro con le famiglie e i bambini in condizioni di maggior
rischio: scuola, organizzazioni del privato sociale, strutture di accoglienza,
ecc.;
i) informazione corretta e mirata, attraverso i
servizi socio-sanitari preposti (reparti di neonatologia e di ostetricia,
servizi consultoriali, servizi sociali degli Enti locali), in relazione al
preoccupante fenomeno dell'abbandono di bambini in situazioni di rischio per
la loro sopravvivenza e degli infanticidi tenendo presente che l'ordinamento
giuridico garantisce alle donne tre diritti fondamentali:
- il diritto di riconoscere o meno il neonato,
sia per le donne non coniugate che per le donne coniugate (art. 250 Codice
civile e sentenza Corte costituzionale 171 del 5.5.94);
- il diritto all'anonimato, quindi la
possibilità di chiedere di non essere nominata al momento del parto;
- il diritto all'informazione sulle
disposizioni legislative e sulle forme di aiuto fornite dagli Enti locali.
Per garantire questi diritti è
necessario che:
1) le
Regioni adottino gli strumenti previsti dall'art. 5 della Legge n. 67/93
affinché vengano in ogni caso garantite le prestazioni socio-assistenziali a
favore delle madri nubili;
2) gli operatori dei servizi sociali e sanitari
ricevano una preparazione specifica adeguata sia sotto il profilo etico che
per quanto riguarda gli aspetti psicologici. Solo un'adeguata preparazione,
infatti, consentirà agli operatori di percepire il non riconoscimento come una
manifestazione di responsabilità;
3) alla gestante vengano fornite corrette informazioni
nonché opportunità di sostegno pedagogico ed ogni altro supporto. La donna
deve avere la possibilità di riflettere per tempo se riconoscere o meno il bambino
e le devono essere dati gli elementi ed il sostegno necessario per compiere
una scelta consapevole;
I) i servizi psichiatrici e per le
tossicodipendenze segnalino lo stato di gravidanza delle loro assistite e
collaborino con i servizi specialistici preposti al sostegno delle gestanti;
m) vi sia la possibilità per le donne prive di appoggi di
essere inserite in strutture di accoglienza. Un periodo di accoglienza in una
casa famiglia per madri e bambini costituisce per le madri la possibilità di
un progetto di vita; per il bambino una condizione protetta e infine per i
servizi la possibilità di una osservazione del rapporto madre bambino.
3)
Favorire il ricorso all'affidamento
familiare, attraverso:
a) la
promozione di campagne di sensibilizzazione all'affidamento;
b) la formazione ed il sostegno alle famiglie
affidatarie come previsto dall'art. 80 della legge fornendo anche il
contributo economico;
c) il
sostegno alle famiglie di origine.
4)
Favorire la corretta attuazione della
normativa sull'adozione
Ferme restando
le competenze e le funzioni attribuite all'Autorità giudiziaria minorile in
materia di adozione ai sensi della legge 184/83 ed in attesa che si pervenga
ad una ridefinizione della disciplina giuridica delle adozioni, anche in vista della
ratifica della Convenzione dell'Aja, si richiama l'attenzione sulle seguenti
priorità di intervento da parte degli Enti locali:
a) assicurare lo svolgimento di iniziative
aperte al territorio per la sensibilizzazione e l'informazione dei cittadini
in materia di adozione nazionale e internazionale anche in collaborazione
con le organizzazioni riconosciute dallo Stato e con le altre organizzazioni di
volontariato che si qualificano, ai sensi della legge 266/91, per il loro
operato in questo settore nonché con centri universitari;
b) riqualificare specialisticamente il
personale socio-sanitario addetto all'attività istruttoria per la valutazione
dell'idoneità dei coniugi richiedenti l'adozione;
c) promuovere ogni possibile forma di coordinamento
operativo tra i servizi degli Enti locali singoli o associati, quelli delle USL
ed il Tribunale per i minorenni, al fine di monitorare costantemente la
condizione dei minori ed in particolare di quelli ricoverati negli istituti
educativo-assistenziali, in modo da segnalare tempestivamente le situazioni di
abbandono (art. 9 della legge 184/83);
d) promuovere iniziative di sostegno psicologico
delle coppie adottanti anche mediante la costituzione di unità di counselling
e di gruppi di auto-aiuto diffuse sul territorio.
5)
Riorganizzare l'utilizzazione delle
strutture di accoglienza per minori in difficoltà, attraverso:
a) la definizione degli standards funzionali
delle varie tipologie delle strutture di accoglienza; b) il solo ricorso a
quelle istituzioni che hanno i requisiti indispensabili per garantire agli
ospiti un ambiente di vita e di relazioni conforme ai bisogni della loro
crescita;
c) la promozione di comunità di tipo familiare
in grado di rispondere ai bisogni del minore; d) la promozione di servizi di
pronta accoglienza per soggetti vittime di violenze familiari, che siano in
grado di promuovere immediatamente gli interventi necessari al benessere
psico-fisico di madri e bambini e collaborare attivamente perché siano
elaborate le soluzioni migliori per ogni singolo caso;
e) l'esercizio puntuale delle funzioni di
verifica da parte delle Regioni sul funzionamento delle strutture anche
attraverso équipes territoriali dotate di specifica professionalifà.
f) procedere da parte delle Regioni all'attivazione
di un flusso informativo sui minori in difficoltà che vivono al di fuori del
proprio nucleo familiare.
6)
Favorire il potenziamento dei servizi
alla prima infanzia
Nel nostro
Paese la situazione di carenza dei servizi alla prima infanzia, soprattutto nel
Mezzogiorno, costituisce motivo di allarme rispetto alla condizione di vita
dei bambini. L'inserimento dei bambini da 0 a 3 anni negli asili nido
garantisce: ai bambini un percorso di socializzazione costellato di importanti
esperienze formative, alle famiglie un insostituibile sostegno per la conciliazione
dei tempi lavorativi. Questo sostegno del resto diventa indispensabile per
quelle famiglie particolarmente disagiate nei confronti delle quali si
elaborano i progetti di intervento dei servizi sociali territoriali.
Queste
funzioni richiedono una diversa valorizzazione delle professionalità che
operano all'interno degli asili nido che quindi svolgono un ruolo di grande
importanza nell'osservazione e nella segnalazione della condizione dei bambini.
È necessario:
- che le Regioni procedano ad una ricognizione degli asili
nido esistenti e al loro raffronto con le esigenze dell'utenza con particolare
riferimento a bambini provenienti da famiglie disagiate o a rischio di
disagio;
- che si preveda l'offerta di servizi di nido mediante la
promozione dell'associazione di più Comuni;
- che si attivino, ove necessario, convenzioni con strutture
private avendo cura di determinarne gli standards operativi e prevedendo forme
adeguate di collaborazione e controllo.
7)
Formare gli operatori
Per consentire
una corretta applicazione della legge n. 184 e una reale tutela dei minori a rischio
è indispensabile che gli operatori dei
servizi pubblici e privati siano messi in condizioni di fornire prestazioni
adeguate: è quindi prioritario promuovere, con ogni iniziativa, l'informazione,
l'aggiornamento, la formazione e la supervisione degli operatori. Anche
mediante l'utilizzazione delle risorse all'uopo messe a disposizione dall'Unione
Europea.
www.fondazionepromozionesociale.it