Prospettive assistenziali, n. 111, luglio-settembre
1995
PROPOSTA
DI LEGGE PER LA DEFINITIVA ASSEGNAZIONE AI COMUNI DELLE FUNZIONI ASSISTENZIALI
DELLE PROVINCE
Uno dei più
importanti risultati raggiunti dal convegno "Esigenze e diritti di
gestanti, madri e neonati, in difficoltà: aspetti etico-giuridici e ruolo delle
istituzioni, degli operatori e del volontariato" (Milano, 27-28 aprile
1995) è la presentazione, avvenuta il 28 luglio 1995, alla Camera dei deputati
da parte degli On. Turco, Calzolaio, Vigneri e Lucà della proposta di legge n.
2983 "Definitiva assegnazione ai Comuni delle funzioni assistenziali già
svolte dalle Province" ; di cui riproduciamo la relazione e il testo
dell'articolato.
RELAZIONE
Nel corso di questi mesi la stampa ed i media hanno
dato notizia di numerosi casi di donne partorienti che hanno abbandonato i loro
bambini. Anziché informare adeguatamente su quanto è previsto dalle leggi
italiane - che sono di aiuto sia alle donne che ai bambini nati - alcune forze
politiche hanno riproposto iniziative come "La Ruota" oppure hanno
promosso numeri di telefono a cui la donna può telefonare per dichiarare
l'abbandono del figlio.
La legge italiana garantisce alla donna tre importanti
diritti: il diritto alla scelta se riconoscere come figlio il bambino
procreato, il diritto al segreto del parto per chi non riconosce il proprio
nato, il diritto all'informazione.
a) II diritto di riconoscere o meno il neonato come
figlio vale sia per la donna che ha un bambino fuori dal matrimonio che per la
donna sposata. Quanto alla prima, l'articolo 250 del codice civile stabilisce
che «il figlio naturale può essere riconosciuto dal padre e dalla madre, anche
se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento. II
riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente». Ne
consegue che il bambino, al contrario, può non essere riconosciuto dai suoi
procreatori. In quanto al neonato nato da donna coniugata, la Corte
costituzionale con sentenza n. 171 del 5 maggio 1994 ha stabilito che «qualunque
donna partoriente, ancorché da elementi informali risulta trattarsi di
coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata nell'atto di nascita».
b) II diritto al segreto del parto, segreto che deve
essere assicurato da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti, è assicurato
con la previsione che, nei casi in cui il neonato non venga riconosciuto o
dichiarato dalla donna come figlio, nell'atto di nascita del bambino, che deve
essere redatto entro dieci giorni dal parto, risulti scritto: «Figlio di donna
che non consente di essere nominata».
c) La legge prevede infine, per coloro che non hanno
ancora riconosciuto, il diritto di essere informati sulla possibilità di
usufruire di un ulteriore periodo per decidere, richiedendo la sospensione
della procedura di adottabilità che verrebbe altrimenti iniziata. L'articolo
11 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ai commi secondo e terzo, sull'adozione
recita infatti: «Nel caso in cui non risulti l'esistenza di genitori naturali
che abbiano riconosciuto il minore o la cui paternità o maternità sia stata
dichiarata giudizialmente, il tribunale per i minorenni, senza eseguire
ulteriori accertamenti, provvede immediatamente alla dichiarazione dello
stato di adottabilità a meno che non vi sia richiesta di sospensione della procedura
da parte di chi, affermando di essere uno dei genitori naturali, chiede termine
per provvedere al riconoscimento. La sospensione può essere disposta dal
tribunale per un periodo massimo di due mesi sempreché nel frattempo il
minore sia assistito dal genitore naturale o dai parenti fino al quarto grado o
in altro modo conveniente, permanendo comunque un rapporto con il genitore
naturale. Nel caso di non riconoscibilità per difetto di età del genitore, la
procedura è rinviata anche d'ufficio sino al compimento del sedicesimo anno di
età del genitore naturale, purché sussistano le condizioni menzionate nel
comma precedente. AI compimento del sedicesimo anno, il genitore può chiedere
ulteriore sospensione per altri due mesi».
Questo diritto all'informazione deve estendersi al
diritto di ogni donna a ricevere una effettiva conoscenza della disciplina
legislativa e degli aiuti sociali, per potere decidere liberamente sul
riconoscimento. Gli aspetti giuridici su cui bisogna dare una diffusa
informazione sono: che un neonato, nato fuori del matrimonio, ma anche nato nel
matrimonio, può non diventare figlio di chi lo ha procreato; che si può
partorire un bambino conservando il segreto quando non si intende riconoscerlo;
che ogni donna può ottenere assistenza psicologica e sanitaria prima del
parto, per il parto e dopo il parto qualunque sia la propria scelta in ordine
al bambino.
Questi diritti della donna non si contrappongono ai
diritti del bambino che nasce da lei, ma sono funzionali alla affermazione dei
diritti del neonato a crescere in una famiglia anche diversa da quella di
origine ed a godere in essa di condizioni adeguate per un armonico sviluppo
della personalità.
Obiettivamente il non riconoscimento del proprio
nato non può pertanto essere considerato un atto negativo: molto spesso è una
manifestazione di responsabilità nei confronti della nuova vita, che può
svilupparsi in modo idoneo in una famiglia adottiva. È da notare infatti che
nel giro di pochi giorni il bambino non riconosciuto è dichiarato adottabile
dal tribunale per i minorenni e accolto dai coniugi scelti dallo stesso tribunale.
Certo, nella cultura comune un bambino va sempre
legalmente riconosciuto, come se fosse automatico il passaggio dal dato
biologico, a quello giuridico di genitori. Talvolta, purtroppo, il bambino paga
a caro prezzo tale pregiudizio, in quanto, come tutti sappiamo, un
riconoscimento legale forzato comporta l'esposizione al grave rischio
dell'abbandono tardivo.
Alcuni credono ancora che al neonato siano sufficienti
una buona ed equilibrata alimentazione ed una corretta igiene personale per
garantire il suo sviluppo e che, pertanto, potrebbe crescere e svilupparsi
bene anche in un istituto quando i genitori sono incapaci. Niente di più
sbagliato. Numerosi studi e ricerche compiuti negli ultimi cinquanta anni da
esperti di varie discipline - pediatri, psicologi, neuropsichiatri infantili,
ecc. - hanno evidenziato i deleteri effetti della carenza di cure familiari che
colpiscono i bambini sin dalla più tenera età. Dunque la scelta di non
riconoscere un bambino come figlio, nella consapevolezza di non poterlo
crescere, può costituire per la genitrice una forma di responsabilità verso la
nuova vita e può avere per il bambino una sua positività per garantirgli il diritto
a crescere in una propria diversa famiglia.
Le vigenti norme assistenziali
Dobbiamo chiederci, a questo punto, se il sistema
dell'aiuto sociale e sanitario alle gestanti, alle madri e ai bambini sia
adeguato.
Siamo tutti a conoscenza che, mentre nel campo
sanitario la legge n. 833 del 1978 istitutiva del servizio sanitario nazionale
ha riorganizzato i servizi sanitari trasformandone l'assetto (e a distanza di
tempo stiamo valutando gli aspetti positivi e negativi di questa riforma), a
tutt'oggi manca ancora una parallela legge quadro nazionale di riordino dei
servizi sociali e assistenziali.
In carenza di una tale legge, ci muoviamo tuttora in
un quadro normativo arretrato, disperso, eterogeneo e lacunoso, caratterizzato
anche da pentimenti e ritorni indietro:
a) la legislazione nazionale specifica di assistenza
alle gestanti e alle madri è ancora in buona parte quella elaborata fra il
1923 e il 1934. Si tratta del regolamento generale per il servizio di
assistenza agli esposti approvato con regio decreto 16 dicembre 1923, n. 2900;
della legge 10 dicembre 1925, n. 2277, sulla protezione e l'assistenza della
maternità e dell'infanzia e del relativo regolamento approvato con regio
decreto 15 aprile 1926, n. 718; del regio decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798
sull'ordinamento dei servizi di assistenza dei fanciulli illegittimi
abbandonati o esposti all'abbandono, affidati all'amministrazione provinciale,
e del relativo regolamento di esecuzione approvato con regio decreto 29 dicembre
1927, n. 2822; e del testo unico delle leggi sulla protezione e l'assistenza
della maternità e dell'infanzia emanato con regio decreto 24 dicembre 1934, n.
2316;
b) in assenza di una legge quadro nazionale
sull'assistenza, che avrebbe dovuto seguire al decreto del Presidente della
Repubblica n. 616 del 1977 sul decentramento amministrativo, solo alcune
Regioni hanno approvato norme con legislazioni proprie a volte molto diverse
fra loro, con una evidente disomogeneità sia degli assetti organizzativi dei
servizi predisposti a livello di territorio sia dei metodi di approccio
rispetto agli interventi;
c) la legge n. 142 del 1990 di riordino delle
autonomie locali ha cercato di unificare le competenze assistenziali,
trasferendole tutte ai comuni; ma in seguito, a correggere forse più una
dimenticanza che una scelta opportunamente valutata, il decreto-legge 18
gennaio 1993, n. 9, convertito con modificazioni dalla legge 18 marzo 1993, n.
67, ha ridato alle amministrazioni provinciali le funzioni assistenziali;
d) ad accrescere la confusione in questo settore
sono intervenute altre norme: il decreto legislativo n. 502 del 1992
modificato con decreto legislativo n. 517 del 1993, riguardanti le trasformazioni
delle unità socio-sanitarie in aziende, nonché le ultime leggi finanziarie che
hanno rimesso in discussione i livelli di gestione dei servizi
socio-assistenziali, costringendo nuovamente le regioni a legiferare.
I vuoti di assistenza per gestanti, madri e bambini
riguardano soprattutto gli stranieri, e cioè proprio la parte della popolazione
che vive in Italia che oggi ne è più bisognosa.
La presente legge si propone la definitiva assegnazione
ai comuni delle funzioni assistenziali già svolte dalle province.
La legge 8 giugno 1990, n. 142, sulle autonomie
locali ha stabilito il trasferimento ai comuni delle funzioni assistenziali
esercitate dalle province, funzioni concernenti:
-
i ciechi ed i sordomuti poveri rieducabili;
- le gestanti e madri nubili e coniugate, comprese
le attività dirette a garantire il segreto del parto alle donne che non
intendono riconoscere i loro nati;
-
i bambini esposti di cui non si conoscono i genitori;
-
i minori figli di ignoti o riconosciuti dalla sola madre;
- i minori già di competenza dell'ex ONMI. Mentre
numerose Province hanno provveduto a trasferire ai Comuni le funzioni
assistenziali, attuando tempestivamente le disposizioni della legge 142/1990,
altre Amministrazioni non vi hanno provveduto o hanno operato in modo scorretto
non assegnando ai Comuni tutto il personale, tutte le strutture e attrezzature
e tutti i finanziamenti.
II Parlamento, invece di disciplinare compiutamente
il trasferimento, ha stabilito all'articolo 5 del citato decreto-legge n. 9 del
1993, che fossero restituite alle Province le funzioni assistenziali nei
seguenti termini:
«Art. 5. (Servizi assistenziali). - 1. Le funzioni
assistenziali, già di competenza delle Province alla data di entrata in vigore
della legge 8 giugno 1990, n. 142, sono restituite alla competenza delle
Province che le esercitano, direttamente o in regime di convenzione con i
Comuni, secondo quanto previsto dalle leggi regionali di settore che le regioni
approveranno entro il 31 dicembre 1993.
2. In ogni caso dovranno essere destinate risorse
finanziarie in misura almeno pari a quelle effettivamente impegnate nel 1990,
con l'incremento progressivo delle percentuali di aumento dei trasferimenti
erariali per il 1991, il 1992 e il 1993».
Le norme suddette sollevano gravissimi e non
risolvibili problemi nel caso in cui le competenze di cui sopra restino
assegnate alle Province.
AI riguardo, occorre tener presente che in materia di
minori le competenze delle Province, come stabilito dall'articolo 5 del citato
decretolegge n. 9 del 1993, concernono:
- i bambini esposti e cioè quelli di cui non si
conoscono i genitori. La competenza resta alla Provincia solo fino al momento
in cui vengono rintracciati i congiunti. Poi, la responsabilità degli
interventi, come verrà in seguito precisato, può restare alla Provincia o
essere assunta dai Comuni;
-
i minori figli di ignoti;
- i minori riconosciuti dalla sola madre, a
condizione che la prima richiesta di assistenza sia stata presentata prima del
compimento del sesto anno di vita del bambino. Nel caso di riconoscimento da
parte del padre, la competenza passa al Comune. Invece nel caso di disconoscimento
materno o paterno, le funzioni sono trasferite dai Comuni alle Province.
Per quanto riguarda le competenze ex ONMI nei
confronti dei minori legittimi e di quelli riconosciuti anche o solo dal
padre, continua a sussistere l'irrisolto e irrisolvibile conflitto che permane
dal 1925 (anno di entrata in vigore della legge istitutiva ONMI).
Un altro scontro di competenze 8 sorto con l'entrata
in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 il quale
stabilisce all'articolo 23 che fra le funzioni assegnate ai Comuni sono
comprese quelle relative «agli interventi in favore di minorenni soggetti a
provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell'ambito della competenza
amministrativa e civile». AI riguardo vi sono interpretazioni diverse circa la
competenza nei confronti dei minori assistiti dalle Province nei casi in cui
intervenga l'autorità giudiziaria minorile. La competenza resta alle Province
o passa ai Comuni in base alla norma sopra citata?
Circa l'assistenza alle gestanti e madri si segnala
che molte (spesso si tratta di bambine di 14-15 anni) hanno l'esigenza di
supporti particolari di natura socio-assistenziale allo scopo di provvedere
coscientemente al riconoscimento del proprio nato e di acquisire gli strumenti
necessari per il proprio reinserimento sociale.
Sovente l'intervento assistenziale è necessario
anche per le gestanti e madre coniugate in situazioni personali e familiari
difficili. Se questi servizi funzionassero, verrebbe certamente ridotto il
numero dei bambini abbandonati nei cassonetti delle immondizie o uccisi alla
nascita. Allo scopo di assicurare alle persone interessate i necessari
interventi, che richiedono spesso un'alta professionalità, l'articolo 2 prevede
che le funzioni relative siano assegnate ai Comuni capoluogo di provincia, i
quali sono tenuti ad esercitarle con riferimento al territorio provinciale.
Per quanto concerne i minori sordi e ciechi, occorre
precisare che le competenze di assistenza sociale riguardano le seguenti
funzioni:
- azione di sostegno nei confronti degli interessati
e dei congiunti al fine di favorire la massima autonomia possibile dei
soggetti e il loro adeguato inserimento familiare, lavorativo e sociale;
- segnalazione dei minori in situazione di abbandono
materiale e morale e svolgimento della attività prevista dalla legge n. 184 del
1983;
- affidamento familiare a scopo educativo nei casi in
cui non sia opportuna la permanenza nella propria famiglia d'origine e non
sussistano le condizioni per la loro adozione;
- aiuti economici ai ciechi e sordi e famiglie in
situazione di carenza di sufficienti mezzi economici;
- servizi di assistenza domiciliare per la pulizia
dell'alloggio, l'igiene personale e altre incombenze;
-
predisposizione di comunità alloggio per i minori e gli adulti privi di
sostegno familiare;
-
inserimento in istituti di ricovero fino al loro urgente superamento;
-
rapporti con l'autorità giudiziaria in materia di tutela e curatela;
-
autorizzazione preventiva a funzionare delle strutture pubbliche e private di
ricovero;
-
vigilanza sulle istituzioni pubbliche e private di assistenza;
- interventi nei confronti dei minorenni e degli
adulti soggetti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria.
Ciò premesso, appare evidente l'esigenza di unificare
tutte le competenze assistenziali in un unico ente, il Comune che è a più
diretto contatto dei cittadini. Ciò anche al fine di evitare che i ciechi e i
sordi, se portatori di altri handicap, non
abbiano un riferimento certo. Infatti potrebbe essere la Provincia se si
considera la cecità e la sordità; il Comune se si tiene conto di altri handicap associati.
TESTO DELLA PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1
1. Le funzioni assistenziali trasferite dalle Province
ai Comuni ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, e ritrasferite dai Comuni
alle Province ai sensi dell'articolo 5, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n.
9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67, sono definitivamente
assegnate ai Comuni entro il 31 dicembre 1996.
2. Ai Comuni sono trasferiti entro la data di cui al
comma 1:
a) il personale addetto ai servizi assistenziali
delle Province alla data del 30 giugno 1990;
b) le strutture ed attrezzature utilizzate per i
suddetti servizi;
c) i finanziamenti relativi all'anno 1996.
Art. 2
1. Entro il 31 dicembre 1996 le funzioni di assistenza
sociale alle gestanti, alle madri e ai loro nati sono trasferite ai Comuni
capoluogo di provincia, i quali le esercitano con riferimenti al territorio
provinciale.
www.fondazionepromozionesociale.it