Prospettive assistenziali, n. 111, luglio-settembre
1995
UNA VERA RIFORMA DEL COLLOCAMENTO AL LAVORO DEGLI HANDICAPPATI È ANCORA LONTANA
MARIA GRAZIA BREDA
II 2 maggio 1995 è stato presentato
al Senato il testo unificato (1) predisposto dal Comitato ristretto per la
riforma della legge 482/1968 sul collocamento obbligatorio al lavoro degli
handicappati. Anche se sono presenti alcuni elementi positivi, manca tuttavia
un approccio che sia veramente nuovo al problema, così come da tempo viene
richiesto da parte delle forze sociali e delle associazioni impegnate da oltre
vent'anni su questo tema (2).
Si registra soprattutto un continuo
oscillare tra il voler mantenere intatti i punti cardine dell'attuale normativa
(anche se ampiamente desueti e criticati) per non colpire alcune categorie
privilegiate (sono mantenute intatte tutte le norme concernenti i ciechi, i
sordi, gli invalidi del lavoro) e il desiderio di introdurre concetti innovativi
(quale ad esempio il collocamento mirato), mutuandoli dal patrimonio di
esperienze di coloro che operano quotidianamente per l'inserimento lavorativo
delle persone handicappate.
Scompaiono, è vero, in questo testo
le categorie di cittadini con situazioni sociali particolari [ad esempio i
profughi, le vedove, gli orfani (3)] per i quali vengono tuttavia previste
tutele particolari nelle leggi esistenti in materia di lavoro. Da sempre, la
presenza di queste categorie ha penalizzato l'avviamento al lavoro degli handicappati,
perché le imprese, potendo scegliere, optano ovviamente per i primi - soggetti
pienamente autonomi - a discapito dei secondi.
II testo recepisce anche il concetto
della valutazione della "capacità lavorativa", ma non ne coglie
appieno il significato e ne fa un uso distorto, come vedremo più avanti.
LE QUESTIONI NON RISOLTE
Ci soffermiamo per ora sull'esame
dei primi articoli poiché dalla loro modifica, che auspichiamo vivamente,
dipende l'impostazione conseguente di tutto il testo di legge.
a) Una vecchia
mentalità non può fare una nuova legge
A partire dall'art. 1 vediamo che
sono mantenute due distorsioni di fondo:
1) si parla di collocamento al
lavoro di "invalidi", parola che non può che assumere una connotazione
negativa per la persona handicappata, che aspira ad un posto di lavoro. Nella
nostra società il concetto di abilità è molto importante ai fini
dell'inserimento lavorativo ed il lasciar intendere che tutti gli handicappati
sono persone "in-valide", "in-abili" o
"dis-abili" non può certamente favorire la loro accettazione come
persone produttive;
2) si mantengono le precedenti classificazioni
degli handicappati sia in base alla percentuale di invalidità (33%, 45%), sia
in merito alla causa che ha determinato il loro handicap (invalidi civili, del
lavoro, di guerra), sia nei riguardi delta tipologia della minorazione (ciechi,
sordi, psichici) (4).
b)
La capacità lavorativa non si misura con la sola percentuale di invalidità
Per un approccio veramente nuovo, la
riforma del collocamento dovrebbe prevedere anche la rivisitazione dell'attuale
procedura per l'accertamento dell'invalidità e dell'assegnazione della
relativa percentuale.
Si deve aprire anche a questo
riguardo un dovuto approfondimento. Attualmente, infatti, le percentuali non
aiutano a descrivere la situazione del soggetto. Ad una percentuale maggiore
dovrebbe corrispondere una maggiore gravità e una più profonda limitazione
dell'autonomia. Ma oggi non è così. Non ha senso, infatti, che ad un giovane
con handicap intellettivo (ad esempio sindrome di Down) sia riconosciuta una
percentuale del 50%, mentre ad un paraplegico, che può svolgere autonomamente
una attività lavorativa con piena capacità produttiva sia accertata invece
una percentuale del 100%.
Qualsiasi legge, per essere
veramente rispondente alle esigenze dei soggetti a cui si rivolge, dovrebbe
assumere come riferimento fondamentale la realtà delle cose. La nuova legge
sul collocamento obbligatorio dovrebbe recepire - finalmente - che gli attuali
criteri relativi alla percentuale di invalidità non sono utilizzabili per
quanto concerne la capacità lavorativa.
Per questo, senza attendere
necessariamente che sia risolto il pur importante nodo dell'accertamento
dell'invalidità, si può (e si deve, a nostro avviso) introdurre già ora un
profondo cambiamento alla nuova legge affiancando alla percentuale di
invalidità (5) la "valutazione della capacità lavorativa", che potrà
essere piena, ridotta o nulla.
Ci sono infatti gli handicappati con
piena capacità lavorativa, quelli con rendimento limitato (capacità lavorativa
ridotta) (6) e, infine, coloro che, a causa della gravità delle loro condizioni
psico-fisiche, non sono assolutamente in grado di svolgere alcuna attività
lavorativa proficua (capacità lavorativa nulla).
Circa questi ultimi soggetti, vi è
la tendenza - a volte estremamente forte - da parte delle aziende pubbliche e
private (la cui finalità è la pretesa del massimo rendimento possibile dei
lavoratori), di premere perché gli handicappati, soprattutto i più deboli, ma
non solo, non vengano inseriti nelle normali aziende, ma siano confinati
all'assistenza (ad esempio in laboratori protetti o altri organismi analoghi).
Nell'editoriale di questo numero è
riportata l'allarmante posizione al riguardo assunta da Pellegrino Capalbo,
Presidente della Fondazione italiana per il volontariato.
Ma una legge sul collocamento al
lavoro dovrebbe assicurare a chi ha capacità lavorative piene o ridotte
l'inserimento in aziende pubbliche e private e a chi invece non ha abilità da
spendere nel mercato del lavoro, la collocazione nell'ambito dei servizi
assistenziali.
Si stabilirebbe così, finalmente,
che:
1) il collocamento al lavoro
riguarda (ed è chiesto) solo per handicappati in grado di assicurare una resa
produttiva, anche se a volte ridotta;
2) vi sono persone handicappate che
non potranno mai essere avviate al lavoro, che hanno però diritto (oggi non
sancito) ad ottenere servizi diurni assistenziali.
Una proposta al riguardo potrebbe
essere la seguente: coloro che vengono definiti da apposite commissioni
impossibilitati a svolgere qualsiasi attività lavorativa hanno diritto - senza
ulteriori accertamenti - a frequentare centri diurni per un periodo di tempo
di almeno 40 ore settimanali.
In questo modo si stabilirebbe una
positiva dialettica fra le Commissioni per l'accertamento dell'invalidità che,
fra i contrastanti interessi dei Comuni (tenuti a provvedere all'istituzione e
al funzionamento dei centri diurni) e le aziende (obbligate ad assumere gli
handicappati con capacità lavorativa piena o ridotta), si troverebbero nelle
condizioni migliori per poter assumere decisioni valide per tutti i soggetti
coinvolti.
Poiché - com'è evidente - le
aziende, se obbligate ad assumere handicappati, si orientano solo sui soggetti
con piena capacità lavorativa, occorre definire anche una percentuale obbligatoria
dei soggetti da assumere con limitata capacità lavorativa (7).
Con la valutazione della capacità
lavorativa si potrebbero superare sia i limiti oggettivi della percentuale di
invalidità, sia quelli dell'uso improprio del termine "capacità
residue" che il testo attribuisce a tutti gli handicappati, indistintamente,
anche a quelli che hanno una piena capacità lavorativa.
Infatti, non viene recepito, neppure
questa volta, che sono molte le persone handicappate che, come vedremo in
seguito, se collocate in modo mirato, possono raggiungere capacità lavorative
pari a quelle dei loro colleghi "normodotati”.
Purtroppo, nonostante le evidenti
incongruenze, il testo unificato continua a misurare la "capacità
lavorativa" solo in termini di percentuale, per cui ad una maggiore
percentuale di invalidità fa corrispondere sempre una più accentuata riduzione
della resa produttiva della persona.
c) II collocamento
deve essere mirato
Certamente, perché l'inserimento
lavorativo sia proficuo per i soggetti e per le aziende, occorre abbandonare
ogni improvvisazione. La nuova impostazione della legge di riforma deve
partire dunque dall'attuazione del collocamento mirato.
II mancato recepimento del
collocamento mirato - e cioè dell'avvio della persona handicappata previa la
valutazione del livello di professionalità raggiunto, della capacità
lavorativa e la compatibilità con la mansione che dovrà svolgere - compromette
la validità del testo predisposto dal Comitato ristretto.
È inaccettabile, al riguardo, che
gli articoli 3 e 4 escludano a priori gli handicappati (anche quelli con
capacità lavorativa piena) dalle numerose occasioni di lavoro possibili nei
settori dei servizi di polizia, protezione civile, difesa, proprio perché non
si considera che tra gli handicappati con piena capacità lavorativa vi sono
persone laureate e diplomate che, collocate in modo mirato, possono svolgere
adeguatamente il loro lavoro.
d) Non sono precisati
i servizi che realizzano il collocamento mirato
Una delle grosse lacune della legge
482/1968 è rappresentata dalla mancata previsione di servizi che provvedano
alla presa in carico del soggetto handicappato, fino al suo collocamento al
lavoro.
L'esperienza maturata in oltre
vent'anni ha dimostrato la assoluta necessità di servizi territoriali preposti
all'inserimento al lavoro.
Occorrerebbe quindi che il testo,
invece di riferirsi genericamente alla collaborazione con l'Ufficio
provinciale del lavoro, precisasse che i Comuni, singoli o associati sono
obbligati ad istituire un apposito servizio (8), incaricato di assicurare gli
opportuni sostegni alle persone con handicap, in particolare quelle con
difficoltà intellettive.
Più che alla Regione, come viene
indicato nel testo del Comitato ristretto, preferiamo che sia coinvolto il
Comune, perché è l'istituzione più vicina al cittadino.
Ai suddetti servizi comunali
dovrebbero essere assegnati i seguenti compiti:
- svolgere tutte le necessarie
attività tecniche per l'inserimento lavorativo e per i tirocini di lavoro
degli handicappati;
- collaborare con il settore della
formazione professionale per l'individuazione dei contenuti e delle modalità
dei corsi di formazione professionale e/o prelavorativa (9) e delle iniziative
di aggiornamento professionale;
- collaborare con gli uffici
provinciali del lavoro e della massima occupazione per l'inserimento
lavorativo e per i tirocini di lavoro degli handicappati;
- ricercare i posti di lavoro più
idonei;
- suggerire eventuali strumenti di
mediazione e/o incentivazione.
In base a quanto previsto dall'art.
18 della legge 5 febbraio 1992 n. 104, andrebbero altresì precisati i compiti
delle Regioni che, a nostro avviso, dovrebbero assicurare:
- forme di sostegno per le persone
handicappate che possono frequentare le classi comuni nei normali centri di formazione
professionale;
- corsi di formazione prelavorativa
comprensivi di tirocini presso aziende pubbliche e private, per gli
handicappati che non sono in grado di seguire i corsi normali di formazione
professionale, neppure avvalendosi del sostegno di personale specializzato;
- corsi di riqualificazione per quei
soggetti che, a seguito di malattia, incidenti o per altre cause, debbano
necessariamente modificare la loro condizione lavorativa.
Infine, la nuova legge sul
collocamento obbligatorio dovrebbe obbligare le Regioni a provvedere ai
finanziamenti da destinare per te finalità precedentemente indicate nell'ambito
delle iniziative per le politiche occupazionali (tenuto conto anche degli
iscritti al collocamento obbligatorio) in misura di una percentuale minima,
che dovrebbe essere prestabilita.
ALTRI ASPETTI INACCETTABILI
I criteri per
l'erogazione degli incentivi
La mancata introduzione della
valutazione della capacità lavorativa e del collocamento mirato hanno evidenti
ripercussioni anche ai fini dell'erogazione dei contributi e degli incentivi
previsti dall'art. 7 del testo del Comitato ristretto per favorire
l'inserimento lavorativo delle persone con maggiori difficoltà.
In realtà, proprio a causa
dell'utilizzo della sola percentuale di invalidità (che non è sufficiente come
abbiamo visto in precedenza per una oggettiva valutazione delle potenzialità
della persona), l'obiettivo non viene raggiunto, in quanto con questi
parametri sono incentivate soprattutto persone che, pur avendo una percentuale
di invalidità elevata (come ad esempio gli handicappati fisici) in realtà, se
collocati in modo mirato, possono raggiungere una normale resa produttiva.
Viceversa, gli handicappati
intellettivi hanno sovente una bassa percentuale di invalidità e, con questo
criterio, non verrebbero mai attuate le loro assunzioni - già difficili da
ottenere - perché la loro resa produttiva è minore.
Convenzioni
Di interesse maggiore è l'art. 6 del testo predisposto
dal Comitato ristretto, che richiama lo strumento delle convenzioni.
Premesso che va sostituita la parola "possono" con "devono" (la
legge-quadro sull'handicap ha ampiamente insegnato al riguardo che
"possono" è sinonimo di "nulla", e, quindi, non ci si deve
far raggirare ulteriormente), si propone altresì l'abrogazione dell'ultimo
paragrafo del punto 2, che prevede la possibilità di conteggiare anche i
tirocinanti ai fini della quota d'obbligo di assunzione delle imprese.
Già oggi si verifica, purtroppo, un
"abuso" di tirocinanti (che non vengono mai assunti), che accettano
di continuare gli stages anche dopo la conclusione dei corsi di formazione
professionale e/o lavorativa, per non perdere le abilità acquisite in assenza
di valide opportunità alternative.
È quindi altamente pericoloso introdurre
e regolamentare il tirocinio come "sostituto" dell'assunzione
effettiva anche ai fini dell'obbligatorietà.
Inoltre, nel testo in esame non sono
indicate le modalità di finanziamento che sono attribuite ad un non meglio
precisato "Fondo regionale"; infine non sono neppure previsti
finanziamenti statali certi per la stipula delle convenzioni con le aziende.
Associazioni di tutela
Ci sembra quanto mai superato
prevedere le "associazioni" cosiddette storiche come le sole titolate
a rappresentare gli handicappati.
Dal 1968, anno di entrata in vigore
della legge 482, ad oggi, sono numerose le associazioni sorte a tutela dei
diritti degli handicappati.
È doveroso che sia pertanto prevista
una nuova forma di rappresentanza, attingendo anche dalle nuove associazioni o
confederazioni che hanno operato e operano in materia.
Si può prevedere, ad esempio, un
meccanismo di rotazione tra le associazioni iscritte in un apposito albo
regionale, oppure potrebbero essere previste designazioni a seguito di
votazioni da parte degli handicappati del territorio dei loro tutori.
Conclusioni
In conclusione il testo elaborato
dal Comitato ristretto lascia molta amarezza in quanti si sono adoperati (dal
1968 ad oggi) e ancora sono impegnati per ottenere una riforma della legge sul
collocamento che sia davvero innovativa e rispettosa del diritto al lavoro
sancito dalla nostra Costituzione per tutti i cittadini, compresi, quindi, gli
handicappati con capacità lavorative piene o ridotte.
Non resta che augurarsi che il
Comitato ristretto accetti di confrontare le sue posizioni con le forze
sociali e le associazioni che hanno prodotto al riguardo un'ampia
documentazione.
(1) II testo, risultato
dall'unificazione dei disegni di legge n. 260, 514, 582, 642 e 1129, è
integralmente riportato in questo numero.
(2) Cfr. i documenti del gruppo
"Handicappati e società": a) Quali strategie per il lavoro (1991);
b) Proposte per la riforma del collocamento al lavoro (1993); c) Quali rimedi
contro i falsi invalidi (1994); d) Almeno sette posti di lavoro per le persone
handicappate ogni cento lavoratori assunti: si deve, si può - Spunti per
costruire una piattaforma operativa (1995).
I documenti sono pubblicati sulla
rivista Prospettive assistenziali ai
nn. 93,
100, 107 e 109 alla quale possono essere richiesti scrivendo o telefonando in
Via Artisti 36, 10124 Torino, tel.
011-812.23.27/812.44.69, fax 011812.25.95.
Inoltre si consiglia la lettura del
documento preparatorio del convegno "Handicappati e società. Il posto di
lavoro: un diritto, un dovere" (1993) pubblicato su
"Controcittà", numero monografico, ottobre 1993, n. 9.
(3) Si veda I'art. 16 "Protezione di particolari
categorie di persone".
(4) La sentenza della Corte
costituzionale n. 50/1990 ha riconosciuto il diritto all'avviamento al lavoro
degli handicappati psichici precedentemente esclusi dal collocamento al
lavoro.
Purtroppo neppure la successiva legge
quadro sull'handicap ha fatto chiarezza in merito avendo conservato il termine
di "handicappato psichico". Sarebbe molto importante precisare ora,
proprio nella legge di riforma della 482/ 1968, che le persone con handicap
intellettivo non sono da assimilare alle persone che hanno problemi
psichiatrici in quanto presentano caratteristiche ed esigenze profondamente
diverse.
Come sostiene Giuseppe Oberto,
esperto in programmazione sanitaria (cfr. Prospettive
assistenziali, n. 77, gennaio-marzo 1987), è essenziale operare una
differenziazione fra handicap intellettivo e malattia mentale: «L'insufficienza
mentale è una condizione deficitaria caratterizzata da un funzionamento
intellettuale notevolmente inferiore alla media (...); la malattia mentale si
caratterizza per una varietà di disturbi del comportamento emotivo, cognitivo e
sociale, con difetto del rapporto interpersonale, per lo più a carattere
evolutivo e processuale, sovente senza substrati anatomopatologici
dimostrabili" In altri termini, secondo Oberto: «l'insufficiente mentale,
a differenza del malato mentale, pur presentando una minorazione compendiata
nella riduzione della capacità intellettiva, può possedere un grado di
capacità lavorativa tale da assicurare una resa produttiva sicuramente
inferiore al normale, ma continua e certa, non già aleatoria, in condizioni di
sicurezza propria, dei compagni di lavoro e degli impianti. Tanto 8 suffragato
da diverse esperienze sia in ambito pubblico che privato».
(5) È necessario
accettare un limite minimo di invalidità da richiedere per l'iscrizione al
collocamento al lavoro, che può essere mantenuto nella percentuale del 45%
attualmente prevista dalla legge 482/1968. Va però rigorosamente prevista
questa unica percentuale, che deve
essere applicata per tutti gli handicappati, indipendentemente dalla causa che
ha provocato la minorazione e dalla minorazione stessa.
(6) Per riduzione
della capacità lavorativa si intende l'impossibilità, per il soggetto
handicappato, di poter esprimere una resa produttiva uguale alla media degli
altri lavoratori, nonostante sia attuato il collocamento mirato. II soggetto,
inoltre, proprio a causa della sua minorazione che ne riduce l'autonomia, ha
anche meno capacità nel sapersi adattare ai cambiamenti delle mansioni e alle
nuove fasi di produzione.
(7) Per gli
handicappati che hanno una ridotta capacità lavorativa e una autonomia più
limitata, vi sono evidentemente meno opportunità di scelta e meno occasioni di
lavoro. Per tali ragioni è a nostro avviso necessario tutelarli maggiormente, sia con una percentuale
specifica di posti di lavoro a loro destinati, sia adoperandosi perché le mansioni
(e i posti di lavoro) idonee alle loro capacità non siano assegnate a persone
handicappate (o a lavoratori normali) che possono svolgere adeguatamente altre
attività.
Ad esempio, il progressivo
innalzamento dei livelli di qualifica e la conseguente eliminazione dalle
piante organiche per le mansioni generiche, ha ulteriomente compromesso la
collocazione al lavoro degli handicappati intellettivi.
(8) In Italia attualmente esistono
molteplici esperienze di servizi che si occupano di inserimento al lavoro di
handicappati: essi fanno capo ai Comuni (generalmente il settore assistenza);
alle USL ((settore assistenza anche in questo caso); alle Agenzie per
l'impiego, alle Province. Si tratta pertanto di definire, finalmente, qual è
l'ente tenuto a gestire questa attività. Va da sé che gli attuali servizi (comprese
le strutture, le risorse, il personale) dovranno confluire nella
"nuova" organizzazione che dovrebbe essere istituita, speriamo
obbligatoriamente per legge, dai Comuni singoli o associati.
(9) I corsi prelavorativi, previsti
all'art. 17 della legge 104/1992, sono istituiti presso i centri di formazione
professionale normali, pubblici e/o privati. Sono rivolti agli handicappati
intellettivi ultraquindicenni con potenzialità lavorative, anche se ridotte.
Durano generalmente 2-3 anni (circa 2400 ore) e comprendono una parte di
formazione all'autonomia, svolta nel centro di formazione e una più rilevante
di tirocinio, che si realizza in posti di lavoro reali, nelle aziende pubbliche
e private. Per un approfondimento, si consiglia la lettura del volume di M.G.
Breda e M. Rago, Formare per l'autonomia
- Strumenti per la preparazione professionale degli handicappati intellettivi, Rosenberg & Sellier, Torino,
1991.
www.fondazionepromozionesociale.it