Prospettive assistenziali, n. 112, ottobre-dicembre 1995

 

 

LA PERSONA DEMENTE IN FAMIGLIA: ASPETTI ETICI E INDICAZIONI OPERATIVE PER I CONGIUNTI

FRANCESCO CAVAZZUTI (*)

 

 

 

Questo articolo, lungi dall'essere esaustivo data la complessità dei problemi, ha lo scopo di puntualizzare alcuni aspetti etici e comporta­mentali nei riguardi dei famigliari che assistono un congiunto demente a domicilio.

L'incidenza della demenza aumenta con l'avanzare dell'età e costituisce un crescente problema medico, sociale, assistenziale ed eco­nomico, poiché la più elevata percentuale di soggetti si trova nelle classi di età più avanzate.

La demenza interferisce con l'autonomia e la dignità della persona ed è motivo di sofferenza non soltanto ai pazienti ma anche ai famigliari.

È stata definita un’“epidemia silenziosa ed in­gravescente", sicuramente "scomoda" per tutti: per i famigliari che convivono, per gli amici, per il medico, per gli infermieri addetti all'assistenza nelle strutture istituzionali.

L'impatto con l'immediato futuro di questa malattia è in Italia molto pesante, con un incre­mento dal 1980 al 2000 del 40-42%.

La tipica demenza primitiva su base degene­rativa e a causa sconosciuta, descritta nel 1907 dallo psichiatra tedesco Alois Alzheimer in una donna di 51 anni, interessa il 50-55% di tutte le demenze dell'adulto.

La restante percentuale di demenze è secon­daria alla patologia vascolare cerebrale (15­20%), e a forme miste o da altre cause.

Con il termine di demenza si identifica pertan­to una sindrome clinica ben individuata che pre­senta sintomi comuni anche se dipendenti da cause diverse.

Si tratta fondamentalmente dl un deteriora­mento globale acquisito delle funzioni corticali superiori precedentemente integre.

II declino interessa la memoria e le capacità di risolvere i problemi della vita quotidiana. Affiora­no e si rendono sempre più evidenti una riduzio­ne delle capacità di orientamento nello spazio e nel tempo, certe difficoltà nei movimenti, altera­zioni dell'affettività, una compromissione pro­gressiva delle normali attività giornaliere.

AI soggetto demente diventa difficile con il tra­scorrere degli anni e poi impossibile fare la spe­sa, utilizzare denaro, prepararsi da mangiare, gestire le faccende domestiche. In un tempo successivo non è in grado di lavarsi, vestirsi, cu­cinare ed in fase avanzata diventa totalmente di­pendente ed ha bisogno in famiglia di un'assi­stenza continua.

La demenza tipo Alzheimer ha una progres­sione continua e consente una sopravvivenza media di circa 6-10 anni. Non sono rilevabili dif­ferenze fra le classi sociali ma la mortalità è più elevata e più precoce nei soggetti istituzionaliz­zati rispetto a quelli che restano a domicilio.

L'inizio della demenza è abitualmente, ma non sempre, insidioso. II soggetto ed i famigliari no­tano una minore attenzione, una certa agitazio­ne o apatia, una tendenza a dimenticare le cose, piccole inadeguatezze in alcune attività della vita quotidiana.

Possono manifestarsi alterazioni del compor­tamento di tipo depressivo o manifestazioni di violenza. Se la situazione clinica peggiora si possono avere allucinazioni e fissazioni, fughe notturne, mancato riconoscimento dei luoghi a loro familiari o di persone note.

Una volta chiarito l'orientamento diagnostico di una demenza i famigliari hanno la percezione di trovarsi di fronte ad una malattia inguaribile e progressiva nel tempo.

Lo stesso paziente si rende conto del deficit cognitivo e cade facilmente in uno stato di de­pressione.

Occorre sempre una certa cautela da parte del medico nel comunicare una diagnosi di demenza: gli errori diagnostici sono frequenti ed è difficile la previsione della durata della malat­tia.

I famigliari con l'andar del tempo e con il pro­gressivo aggravamento dei disturbi cognitivi ri­schiano di diventare le "vittime" più facili di que­sto tipo di pazienti.

Dato l'impegno temporale che richiede l'assi­stenza domiciliare di un demente si creano ten­sioni e non è facile da parte dei famigliari elabo­rare un maggior senso di responsabilizzazione e un processo di adattamento che aiuti ad "accet­tare" il demente che vive ancora a casa.

I parenti più stretti hanno la netta percezione di aver perso per sempre la persona cara che apprezzavano nella sua dinamicità e lucidità mentale. Si trovano di fronte ad un soggetto che degrada lentamente e progressivamente, elabo­rano fasi di sofferenza, di negazione, di impo­tenza, di coinvolgimento eccessivo, di mancata tolleranza dati gli impegni assistenziali, le fru­strazioni che ne derivano e le scarse alternative di assistenza a domicilio con supporti esterni al­largati.

II più delle volte la famiglia non è preparata su un piano psicologico ed il compito assistenziale dovrebbe gravitare per la maggior responsabili­tà su una persona, al massimo due.

Alcuni elementi vanno tenuti in grande consi­derazione se si programma di assistere un de­mente in famiglia:

a) un ambiente stimolante, ricco di spunti af­fettivi e di attività da svolgere con controllo può rallentare il declino mentale e mantiene una mi­gliore qualità di vita;

b) i famigliari dovrebbero imparare con il tem­po a controllare le proprie sensazioni di impo­tenza e le frustrazioni che sfociano in stati di an­sia e agitazione;

c) il demente è assai sensibile a chi l'assiste in casa. È l'osservazione attenta che può preve­nire necessità non espresse ed è il linguaggio metaverbale (il sorriso, il bacio, una premura, il contatto con lo sguardo, ecc.) che meglio ap­profondisce il rapporto affettivo interpersonale.

Sono necessari alcuni accorgimenti partico­lari.

- Occorre incoraggiare e valorizzare le capa­cità residue.

- Occorre offrire al soggetto scelte semplici su cosa fare (mangiare, vestirsi, camminare, fa­re giardinaggio, orticoltura, giocare a bocce, scopare per terra, asciugare le stoviglie, ecc.).

- L'esercizio fisico può diminuire l'aggressivi­tà ed i comportamenti inappropriati.

- Occorre lasciargli un certo controllo della sua vita, incoraggiandolo ad impiegare la de­strezza che ha e a continuare ogni occupazione dì cui è capace.

- Occorre migliorare la comunicazione ed adeguarsi ai tempi più rallentati: saper ascoltare è già un atto terapeutico.

- Massima attenzione alla sicurezza in casa. Nel demente vi è un aumentato rischio di inci­denti domestici (cadute, apertura del gas, osta­coli in casa, ecc.). Occorre controllare le zone pericolose, togliere stuoini o pedane che posso­no far scivolare, fissare i tappeti, chiudere il gas ogni volta che si esce di casa.

- Semplificare le azioni quotidiane (come, per esempio, il bagno, l'igiene intima) scomponendo in momenti più semplificati (scomposizione dei "pattern").

Altri accorgimenti nella gestione del demente a domicilio:

a) per favorire il contatto con la realtà, occorre mantenere in casa attorno al demente la traccia di ciò che accade intorno a lui, riferendosi alla

data, all'ora, al luogo, alle persone, dando un senso a qualsiasi informazione. Per esempio: "Oggi è martedì, 22 aprile, e nel pomeriggio an­diamo in centro a fare la spesa nei negozi. AI mattino passerà Maria per accompagnarti dal dottore. Altri esempi:

- tenere fotografie di riferimento, parlando di famigliari;

- parlando del tempo atmosferico, guardare fuori dalla finestra;

- sfogliando il giornale, fare commenti sui fatti del giorno;

- in cucina, che cosa preparare per il pranzo (cuociamo una bistecca, un uovo, ecc., scompo­nendo l'azione in modalità le più semplici possi­bili);

b) per limitare la perdita della memoria:

- imporre sempre il massimo di cose abituali, la massima routinarietà nelle attività quotidiane;

- fornire al soggetto molteplici fonti d'informa­zione: lavagne per messaggi, elenchi di nomi, fotografie;

- non spostare in casa l'abituale collocazione di oggetti famigliari;

- tenere bene in vista orologi e calendari per ricordare la data e l'ora;

- tenere un elenco delle cose da fare durante il giorno;

c) per evitare e limitare le reazioni catastrofi­che. Vi sono momenti in cui il demente cade in un maggior grado di confusione mentale che è necessario con gradualità controllare. Se un'azione diventa poco comprensibile il demen­te la intravvede come una minaccia e si incre­menta l'agitazione psicomotoria e lo stato con­fusionale.

Le più frequenti situazioni si verificano quan­do si ha troppa fretta, quando si incontrano troppe persone in una volta sola, quando ci si reca in ambienti diversi (ad esempio, il ricovero in ospedale o in casa di riposo).

Altre reazioni "catastrofiche" possono soprav­venire a domicilio durante la notte.

Nel demente si verificano spesso frequenti ri­svegli notturni e l'inversione giorno-notte per al­terazioni del ritmo sonno-sveglia. Spesso vi è un'agitazione psico-motoria notturna con "fughe" da casa.

Lo stato confusionale ed il disorientamento possono peggiorare durante le ore notturne. Possono essere facili le cadute al momento di alzarsi dal letto. Personalmente consiglio un as­sai moderato uso di farmaci sedativi e di cer­care di tenere sveglio il paziente durante il gior­no, favorendo anche una moderata attività fisica. Lasciare in camera una luce notturna, accesa,

con accesa la luce del bagno ed una comoda accanto al letto.

Non aggredire il demente se si sveglia duran­te la notte.

 

*  *  *

 

Lo stress assistenziale dei famigliari è il pro­blema fondamentale nella gestione dei demente a domicilio. È un impegno senza fine e con scar­se gratificazioni, un impegno "scomodo" ed oneroso, soprattutto quando il paziente sembra perdere ogni capacità di modulazione affettiva e di interazione ambientale e la malattia sembra ridurre o distruggere le condizioni stesse dell'identità personale.

La tentazione del mondo culturale attuale è che la dignità dell'uomo nel soggetto demente non ci sia più. Ma l'uomo, in quanto "persona" porta una sua dignità originale in ogni stadio della sua esistenza. Demente significa quindi "persona" ed in qualsiasi relazione con lui oc­

corre riconoscergli questa dignità e cercare di manifestargliela e fargliela capire con la sicu­rezza, con un ambiente famigliare e con relazio­ni interpersonali di vicinanza, di stimolo e di controllo che non peggiorino le sue condizioni di vulnerabilità e rallentino l'inesorabile e pro­gressivo decadimento cognitivo.

La relazione tra demente ed il familiare che l'assiste a casa si traduce nel concreto in un comportamento etico che scaturisce dalla co­scienza morale della qualità di questo rapporto.

Alla luce di queste considerazioni forse gli an­ziani dementi assistiti a domicilio ci sembreran­no diversi, si attenueranno le angosce dei fami­gliari ed aumenterà la loro tolleranza, senz'altro migliorerà la qualità di vita residua di questo tipo di pazienti.

A proposito di dementi a domicilio così si esprime Glickstein: «Nell'ambito familiare ci si aspetta il peggio, si spera per il meglio e ci si aiuta l'un l'altro il più possibile».

 

 

(*) Già Primario di Geriatria presso l'Ospedale Policlini­co Sant'Orsola-Malpighi di Bologna.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it