Prospettive assistenziali n. 112 - ottobre-dicembre 1995
Notizie
LA SOCIETÀ PER LA STORIA DEL SERVIZIO SOCIALE
La SOSTOSS - Società per la storia del servizio sociale - è stata costituita come associazione, su iniziativa dei dott. Riccardo Catelani, già Segretario generale dell'ISSCAL, con atto notarile in data 16.10:1991 da un gruppo di soci fondatori nelle persone di Giovanni Bussi, Riccardo Catelani, Aurelia Florea, Angelo Gatti, Emma Morin, Giovanni Nervo, Maria Carmen Pagani, Albino Sacco, Ubaldo Scassellati, Carlo Trevisan.
La Società ha come scopo «l'analisi storica e metodologica dell'evoluzione in Italia del servizio sociale e delle professionalità da esso introdotte, in connessione con le trasformazioni della società italiana ed internazionale» (art. 1 dello Statuto).
«L'Associazione persegue il suo scopo promuovendo:
- il recupero, la catalogazione, lo studio e l’utilizzo del patrimonio culturale, operativo e metodologico degli organismi e delle attività di servizio sociale svolte tra gli anni 1940 e 1970;
- iniziative di documentazione, di ricerca e di dibattito indirizzate alla conoscenza, alla valutazione e all'utilizzo dei risultati».
Sono stati realizzati sinora due incontri di studio a Roma:
- il primo, presso la Facoltà di sociologia della "Sapienza" nel giugno 1992 per illustrare e verificare l'iniziativa;
- il secondo, presso l'Istituto Sturzo, nel marzo 1995, per discutere sull'impegno della Società per la raccolta e il preesame delle fonti archivistiche.
PREMI PER TESI IN SERVIZIO SOCIALE
La Società per la Storia del servizio sociale (SOSTOSS) ha istituito due premi di un milione ciascuno per tesi di diploma in servizio sociale discusse nell'anno accademico 1995/96.
Le tesi devono vertere sulla attività professionale di servizio sociale svolta negli organismi pubblici e privati, a favore di aree territoriali e di categorie dì utenza economicamente e socialmente deboli ed emarginate, fra gli anni '40 e '70, periodo storico di prioritario interesse della Società.
II testo del bando di concorso verrà diffuso entro il mese di novembre attraverso le scuole per assistenti sociali che già hanno ricevuto dettagliate notizie sull'iniziativa.
Per informazioni rivolgersi all'ISTISSS - Via di Villa Pamphili, 84 - 00152 Roma.
NUOVE ADESIONI AL COORDINAMENTO NAZIONALE DEL VOLONTARIATO DEI DIRITTI
Segnaliamo che al Coordinamento nazionale del volontariato dei diritti hanno aderito anche la LILA, Lega italiana per la lotta contro l'AIDS, e il CO.DI.CI, Coodinamento per i diritti dei cittadini, le cui sedi sono attive in otto regioni.
Gli altri soci sono: Associazione senza limiti - Milano, ASVAPS - Associazione volontari aiuto ammalati psichici - Suello (LC), CLOD - Comitato ligure per l'ospedalizzazione a domicilio - Genova, Comitato ricoverati e familiari IRAIA - Parma, CSA - Coordinamento per la difesa dei diritti degli assistiti - Torino, a cui è stata affidata la segreteria.
IL PDS: NO AL VOLONTARIATO?
Su Vita, n. 27 dell'8 luglio 1995 è riportata una inquietante intervista con Giovanni Lolli, responsabile nazionale del PDS per l'area dell'associazionismo e del volontariato.
Ecco le sue dichiarazioni: «Non stiamo perdendo il carro del terzo settore. non ci siamo mai saliti. La sinistra, per anni, del volontariato non ha mai capito niente. Bisogna partire da questo presupposto. La tradizione della sinistra italiana è una tradizione statalista».
Alla domanda dell'intervistatore: «Eppure gran parte del volontariato gravita intorno alla sinistra», Lolli risponde: «È la sinistra che non l'accoglie. Questo è il mio cruccio. II problema è che questi temi non possono essere aggiunti ad una vecchia cultura, per essere compresi chiedono una completa revisione».
II rappresentante del PDS, nel sottolineare che il suo partito intende rispettare la totale autonomia del volontariato «senza velleità colonizzatrice», segnala che anche grazie ai voti del PDS sono stati eletti al Parlamento gli ex presidenti del MOVI (Movimento di volontariato italiano) e dell'ANPAS (Associazione nazionale pubbliche assistenze) e il vice-presidente delle ACLI.
Al riguardo ci chiediamo se il rispetto dell'autonomia del volontariato (e dell’associazionismo) si ottiene dal PDS salendo sul loro carro oppure se, come riteniamo noi, accettando il paritetico confronto delle rispettive posizioni sui problemi di rilevanza nazionale.
VOLONTARIATO: FINANZIAMENTI CONTROPRODUCENTI
Mons. Vinicio Albanesi, presidente del CNCA - Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza - nell'articolo "Volontariato a rischio" (Il Regno attualità n. 14/1995) rileva giustamente che «Tra i finanziamenti controproducenti sono da considerare quelle forme che stimolano pietà e compassione, così che la raccolta fondi sia dovuta alla benevolenza e alla magnanimità della gente. II rischio è altissimo perché si ritornerebbe indietro: dal sistema dei diritti a quello dell'elemosina. In una cultura moderna, anche in nome del liberismo, non si può permettere che ciò che è dovuto sia concesso. La raccolta fondi eseguita in questo modo potrebbe aiutare una singola associazione in un singolo momento, ma renderebbe precaria la vita di mille altri. La raccolta fondi può essere fatta a condizione che si chiariscano bene limiti e finalità della stessa raccolta. Altrimenti è boomerang mortale».
ALLOGGI DI PROPRIETA DEGLI ENTI PUBBLICI
In data 28 agosto 1995 il Presidente dell'Associazione Promozione sociale ha inviato al Dr. Ettore Torri della Procura della Repubblica di Roma la seguente lettera: «In relazione alle indagini in corso sulle condizioni locative di appartamenti di proprietà degli enti pubblici, ritengo che sarebbe necessario che esse siano estese agli alloggi, negozi ed altri locali di beneficenza affittati a terzi. Al riguardo unisco fotocopia del capitolo "L'incredibile vicenda dell'IPAB" tratto dal libro di F. Santanera, M.G. Breda e F Dalmazio; "Anziani malati cronici: i diritti negati", UTET Libreria, Torino, 1994» (1).
HANDICAPPATI: SOLIDARIETÀ, ECONOMIA E LAVORO
In occasione del convegno "Risorse e generazioni - La città, la solidarietà, il lavoro"; organizzato dal Dipartimento di scienze sociali dell'Università di Torino, con la collaborazione della città di Torino, svoltosi il 4-5 ottobre 1995 è stata distribuita dal CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, la seguente lettera aperta.
I temi di questa lettera aperta vogliono toccare l'alto tasso di disoccupazione giovanile in cui rientrano, tra l'altro, anche le persone con handicap che - oltre a ciò - hanno potenzialità e capacità lavorative degne di considerazione.
Esistono handicappati (disabili fisici e sensoriali per lo più) che hanno capacità produttiva dimostrabile con la loro professionalità e con i loro titoli di studio, benché la loro percentuale di invalidità sia notevolmente elevata. Le condizioni per attuare un loro inserimento lavorativo sono: la ricerca del posto adeguato, l'eliminazione delle barriere architettoniche sia all'interno che all'esterno del posto di lavoro, gli ausili tecnologici.
Un secondo gruppo di handicappati, generalmente formato da handicappati intellettivi e fisici gravi, ha una resa produttiva inferiore a causa della propria autonomia limitata, comunque le persone che fanno parte di questo gruppo sono in grado di svolgere mansioni semplici, ma altrettanto utili all'interno delle varie aziende.
Esiste poi ancora un terzo gruppo di persone handicappate che - a causa delle loro condizioni fisiche e/o intellettive seriamente danneggiate - non hanno alcuna capacità lavorativa proficua: solo per questi casi si deve intervenire su tutti i livelli assistenziali per rendere meno gravosa e più socializzante possibile la loro vita e quella delle loro famiglie.
Gli handicappati dei primi due gruppi, sopra descritti, devono avere la possibilità di esprimere le proprie capacità proficue ed aspirare ad un lavoro che dia maggior autonomia utile a renderti pronti ad inserirsi con pieno titolo nella vita produttiva del paese.
Per ottenere questo occorre una seria politica del lavoro che veda al suo interno anche il discorso "handicap", sganciandolo dal settore assistenziale.
Sarebbe importante iniziare il processo d'integrazione sociale dalla scuola dell'obbligo avvalendosi dell'orientamento scolastico, atto a vagliare le potenzialità e le volontà della persona, in modo da indirizzarla ad una preparazione giusta che sbocchi in un lavoro più idoneo.
Inoltre occuparsi della formazione professionale con maggior attenzione ai livelli di base; ciò servirà a quella grande parte di popolazione disoccupata, meno scolarizzata, che non arriva alla specializzazione, che è necessaria quale mano d'opera all'interno delle aziende che, comunque, va preparata.
Questa formazione professionale di base, unita anche ai corsi pre-lavorativi effettuati dal Comune di Torino sin dal 1981, formano un altro importante tassello per agevolare l'inserimento lavorativo delle persone handicappate con capacità lavorativa ridotta (es.: handicappati intellettivi).
Infine per ottenere un buon risultato dell'inserimento lavorativo, occorre ridisegnare all'interno dell'organizzazione del lavoro spazi e mansioni diversi per persone handicappate con piena o ridotta capacità lavorativa.
Le opportunità ci sono e sono svariate: per esempio i grandi progetti previsti per il rilancio dell'occupazione, i progetti con fondi CEE, i progetti con fondi statali, regionali ecc. Cioè è necessario pensare alle occasioni di lavoro per tutti includendo anche chi - nonostante il proprio handicap - ha bisogno di lavorare.
A questo proposito, il Comune di Torino, nel maggio del 1994 ha stilato un "ordine del giorno" che garantisce formazione professionale, assunzioni presso aziende municipalizzate, una ridistribuzione della pianta organica, una ricerca di mansioni idonee e la formazione di un gruppo di lavoro (S.LL.) che affronta l'inserimento lavorativo mettendo a disposizione personale incaricato a predisporre e a seguire gli inserimenti problematici.
Aiutateci a realizzare il diritto al lavoro che la costituzione sancisce per ogni cittadino compresi gli handicappati.
Solidarietà è impegnarsi nella ricerca di spazi produttivi anche per chi ha meno opportunità, ma uguali diritti e bisogni da soddisfare.
Non dare lavoro agli handicappati significa condannarli all'isolamento e privarli della possibilità di condurre una vita normale.
SOGGIORNI DI VACANZA PER MALATI DI ALZHEIMER
Da "Alzheimer Italia", notiziario della Federazione Alzheimer Italia, n. 9, aprile-giugno 1995, riportiamo la segnalazione di una interessante esperienza.
L'idea è partita dall'allora nostro direttore, che era svedese e forse anche un po' utopista. All'inizio l'abbiamo trattato da pazzo, ci sembrava una cosa estremamente difficile da organizzare. La prima volta abbiamo potuto proporre un solo soggiorno agli ammalati ma, con l'aumento delle richieste. ora organizziamo dieci soggiorni. Le vacanze si svolgono in un villaggio vacanze di tipo familiare, in periodi nei quali il ritmo di vita del gruppo possa coincidere con le vacanze di pensionati che frequentano questi centri in maggio, giugno e settembre.
Questo si riferisce sia ai pasti, presi nella stessa sala degli altri ospiti, sia alle animazioni proprie del centro, sia alla partecipazione alle escursioni.
L'esperienza di cinque anni di soggiorni ha provato che la comunicazione con gli altri ospiti era possibile e senza particolari problemi. E ha dimostrato alle famiglie che potevano ancora vivere delle vacanze normali con altre famiglie, laddove l'isolamento da tempo era la caratteristica principale della loro vita.
II gruppo si compone di sette o otto coppie (malato e familiare). Sono accompagnate da tre volontari preparati, che hanno il compito di organizzare il soggiorno, le attività e le relazioni con la direzione del luogo di vacanza.
Uno psicologo dell'Associazione "France Alzheimer" è disponibile 36 ore per aiutare il gruppo a risolvere, se ve ne sono, i problemi relazionali degli ammalati.
L'obiettivo dell'équipe accompagnatrice è quello di rendere piacevole il soggiorno a tutto il gruppo. Questa équipe permette ai familiari di riposare, di incontrare altre persone, di partecipare alle escursioni, di lasciare il loro malato in custodia ad altri. Possono anche scegliere di portare con sé l'ammalato in gita.
Alcuni ammalati, al contrario, hanno fatto cose che non facevano più da lungo tempo, per esempio conversare. AI ritorno, l'ammalato si mostrava più socievole.
Per i familiari, l'isolamento nel quale si erano progressivamente trovati è stato rotto da questa convivenza che ha loro permesso scambi interessanti sulla vita quotidiana. Hanno visto il loro ammalato con altri occhi, grazie ad una nuova disponibilità e ad un'atmosfera distesa.
In seguito si sono stabilite delle relazioni tra i familiari, vi sono state delle telefonate, degli inviti, degli incontri. La solitudine era spezzata.
L'altro scopo delle vacanze è quello di far constatare alle famiglie che possono e devono farsi aiutare. Si rendono finalmente conto che il "loro" ammalato non è poi così infelice con altre persone e questo è il mezzo per indurle a prendere in considerazione un aiuto a domicilio o, eventualmente, una sistemazione in istituto.
(1)
Nel capitolo "L'incredibile vicenda delle IPAB" è riportato, fra l'altro, l'elenco (lunghissimo) delle proprietà dell'IPAB S. Michele di Roma.