Prospettive assistenziali, n. 113, gennaio-marzo
1996
Editoriale
IL CORECO CONFERMA CHE GLI ENTI PUBBLICI NON POSSONO PRETENDERE CONTRIBUTI ECONOMICI DAI PARENTI DEGLI ASSISTITI
In data 21 dicembre 1995 la Sezione di Torino del
CORECO, Comitato regionale di controllo sugli atti degli enti locali «ha annullato parzialmente la deliberazione
dell'Associazione dei Comuni n. 21 del 14 novembre 1995 laddove prevede la
richiesta di contributi finanziari ai congiunti degli utenti» stabilendo
che «i contributi possono essere
richiesti solo in base a precise disposizioni di legge statale e/o regionale
(1), giusto il parere reso dalla
Presidenza del Consiglio dei Ministri DASl4390/1 /H/795».
La deliberazione dell'Associazione dei Comuni
L'Assemblea dell'Associazione dei Comuni per la
gestione associata socio-assistenziale dell'ex USSL 27 del Piemonte in data 14
novembre 1995 aveva approvato una deliberazione per la determinazione dei
contributi a carico dei portatori di handicap inseriti in comunità alloggio e
dei loro congiunti.
Nel suddetto provvedimento era previsto che, nel caso
in cui i redditi ed i beni dell'assistito non fossero (come quasi sempre
avviene) sufficienti a coprire la retta di ricovero, l'USSL potesse rivalersi
sui congiunti. Pertanto essi sarebbero stati obbligati a versare una somma,
fino alla concorrenza di circa 3,3 milioni al mese (2).
Ad esempio, per una famiglia composta da due genitori
aventi un reddito complessivo di 4 milioni al mese, l'importo da versare per il
ricovero del figlio era calcolato dall'USSL 27 in circa 900 mila lire mensili.
Da osservare che, se i suddetti genitori fossero
proprietari di beni immobili (terreni, appartamenti, negozi, ecc.), essi
dovrebbero versare l'intera quota, e cioè 3,3 milioni al mese, salvo che i beni
consistessero in un solo alloggio da essi occupato.
II ricorso del CSA
Preso atto della deliberazione in oggetto, il CSA,
Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, ricorreva al CORECO
osservando che «gli alimenti possono
essere richiesti esclusivamente dall'interessato (o, se interdetto, dal suo
tutore) e da nessuna altra persona o ente» (3).
L'iniziativa del CSA è stata sostenuta dal ricorso
al CORECO presentato da Marisa Faloppa, componente dell'Assemblea
dell'Associazione dei Comuni dell'ex USSL 27 (4), dall'interrogazione rivolta
al Consiglio comunale di Borgaro Torinese dai Consiglieri Marisa Faloppa, Giovanni
Bertino e Giovanni Ferrari, interrogazione che ha determinato la richiesta
rivolta dagli assessori Claudio Dall'Omo e Giorgio Billa allo stesso CORECO
affinché valutasse la legittimità della deliberazione in oggetto.
Le controdeduzioni del Presidente dell'Assemblea dei
Comuni
Ricevuti i ricorsi, il CORECO ha deciso l'interruzione
della deliberazione ed ha invitato il Presidente dell'Assemblea dei Comuni
dell'ex USSL 27 a presentare le controdeduzioni, che sono state redatte come
segue:
«A scioglimento delle riserve formulate da codesto
Comitato regionale di controllo con provvedimento n. 19118 del 27.11.1995 con
cui ha deciso l'interruzione dell'esecuzione della deliberazione
dell'Associazione dei Comuni dell'ex USSL 27 n. 21 del 14.11.1995 si forniscono
i seguenti chiarimenti.
«L'art. 433 del Codice civile riguarda le persone
obbligate a prestare gli alimenti e riporta l'elenco dei parenti tenuti in
ordine di priorità dell'obbligo. Tale obbligazione alimentare e la susseguente
classificazione dei tenuti trova fondamento, da un lato nel dovere di
solidarietà e reciprocità che da sempre ha regolato le relazioni parentali e,
dall'altro, nel principio della graduazione dell'obbligo, man mano che si procede
dalle relazioni parentali primarie a quelle secondarie o di tipo allargato.
«In ogni caso ogni richiesta di intervento economico,
che si basi sull'applicazione dell'art. 433 del Codice civile, deve tener conto
dei seguenti elementi:
- valutazione della condizione economica di bisogno
del soggetto destinatario e capacità economica dei parenti tenuti per legge;
- ordine di successione degli obbligati per
differenziare le modalità stesse di intervento proprio sulla base di tale
ordine;
- presenza di gravi e gravissime situazioni, in cui
la solidarietà intrafamiliare non possa, senza ombra di dubbio, trovare
concrete espressioni per agire.
«Qualora i parenti tenuti per legge non siano
disponibili ad intervenire è opportuno precisare quanto segue: la normativa
nazionale di riferimento relativa ai compiti assistenziali dei Comuni e
quindi delle UU.SS.LL. che ne esercitano le funzioni in base alla legge
regionale 62/95 (art. 91 lettera h, n. 1-7 del Testo unico della legge comunale
e provinciale del 1934; artt. 19-22-23 del DPR 24.7.1977 n. 616) non contiene
disposizioni sulle modalità con cui la pubblica amministrazione debba fornire
le prestazioni assistenziali, bensì è lecito ritenere, in assenza di disposizioni
contrarie, che queste debbano essere fornite nei limiti e con le regole già
pre-esistenti. In altri termini ciò significa che in assenza di una completa
legge di riforma dell'assistenza estensiva degli ambiti dell'intervento
pubblico, l'attività socio-assistenziale si rivolge, come già precedentemente
sottolineato, in via prioritaria alle persone in stato di bisogno ed incapaci
di provvedere al proprio mantenimento, perché prive di mezzi e di una rete di
supporti solidaristici, utili al superamento dello stato di necessità sociale.
«Alla luce della disciplina qui richiamata (art. 438
C.C.) la persona che si trova in stato di bisogno deve attivarsi per
richiedere la somministrazione degli alimenti a coloro che sono tenuti per
legge; ciò non esclude che terzi, in questo caso la pubblica Amministrazione,
possa intervenire allo scopo di ovviare all'inerzia dell'obbligato,
attraverso la possibilità di far sottoscrivere appositi atti di impegno, o in
caso negativo agendo per la ripetizione delle somme dovute.
«Difatti la normativa vigente (Testo unico delle
leggi di pubblica sicurezza 18.6.31 n. 773) confermata in sede di dottrina e
di giurisprudenza corrente, fornisce elementi perché la pubblica
Amministrazione, qualora fornisca una prestazione assistenziale di totale
mantenimento, che spetterebbe ai soggetti di cui all'art. 433 del C.C., in
grado di provvedervi, può assumere la tutela dei propri assistiti attraverso la
normale azione civile, o indirizzando I'assistito verso il gratuito patrocinio:
si veda, al riguardo, art. 7 legge 17.7.1890 n. 6972; art. 2041 C.C. arricchimento
senza causa; artt. 2028 e seguenti negotiorum
gestio; art. 2900 azione surrogatoria.
«In conclusione pare evidente che l'erogazione di
una prestazione assistenziale di carattere residenziale, attinente ad un
rapporto pubblicistico, non possa far venir meno l'obbligo privatistico di
corrispondere gli alimenti, in quanto pur trattandosi di prestazioni aventi
fonte e contenuto diverso, non risultano incompatibili fra di loro.
«È peraltro auspicabile che l'applicazione dei regime
di rivalsa nei confronti dei tenuti agli alimenti non debba avvenire, se non
in ultima analisi, ed una volta esperite tutte le iniziative del servizio
sociale, destinate alla ricomposizione della solidarietà familiare, che in una
società come la nostra può anche esprimersi in interventi di natura economica.
«Si allega inoltre parere della Regione Piemonte,
Assessorato assistenza rilasciato in data 1.4.1994 a seguito di specifico
quesito formulato dall'ex U.S.S.L. 26 in merito all'oggetto».
Parere dell'Assessorato all'assistenza della Regione
Piemonte
«Ai sensi dell'art. 22 del DPR n. 616/77 i servizi e
le prestazioni attinenti alla materia "Beneficenza pubblica" possono
essere erogati in forma gratuita o a pagamento.
«In armonia con la normativa nazionale, la legge
regionale 20/82, modificata ed integrata, accanto ad interventi gratuiti,
prevede interventi per i quali si richiede il concorso economico degli utenti
(art. 33 bis).
«L'art. 154 del Testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza individua, quale categoria di assistiti, gli inabili a qualsiasi
proficuo lavoro che non abbiano mezzi di sussistenza, né parenti tenuti agli
alimenti.
«L'art. 433 del Codice civile individua, a sua volta,
le persone obbligate a prestare gli alimenti e riporta l'elenco dei parenti
tenuti in ordine di priorità all'obbligo. Tale obbligazione alimentare e la
classificazione dei tenuti trova fondamento, da un lato nel dovere di
solidarietà e reciprocità, che da sempre ha regolato le relazioni parentali e,
dall'altro, nel principio di graduazione dell'obbligo, man mano che si procede
dalle relazioni primarie a quelle secondarie o di tipo allargato.
«Se il diritto a fruire dei servizi è indipendente
dalle condizioni economiche e sociali dei destinatari, tali condizioni
assumono rilevanza ai fini del rimborso o del concorso al costo dei servizi da
parte degli utenti e delle persone tenute al mantenimento e alla corresponsione
degli alimenti.
«L'integrazione dell'art. 38 della Costituzione
contenuta nella nota del Dott. Dogliotti (5) necessita di puntualizzazioni: se
è vero che tale norma statuisce che ogni cittadino inabile al lavoro e
sprovvisto dei mezzi necessari di sussistenza abbia diritto all'assistenza sociale,
è altrettanto vero che l'assenza, nella norma stessa, di riferimenti
all'obbligo alimentare dei parenti non implica che tale obbligo sia venuto meno
0 che gli articoli 154 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e 433
del C.C. sopra citati debbano considerarsi superati.
«La nota di cui sopra rileva, inoltre, l'insussistenza
di un potere di sostituzione processuale dell'ente erogatore al destinatario
delle prestazioni socio-assistenziali. In realtà occorre distinguere: altro è
il problema relativo al recupero delle somme erogate dall'ente pubblico nei confronti
dell'inabile ed in sostituzione dei parenti, altro è il riconoscimento
dell'esistenza di un obbligo a corrispondere gli alimenti cui i parenti ex
art. 433 del C.C. sono, in ogni caso, tenuti: pare evidente che l'erogazione di
una prestazione assistenziale attinente ad un rapporto pubblicistico non
possa far venire meno l'obbligo privatistico di corrispondere gli alimenti, in
quanto, pur trattandosi di prestazioni aventi fonte e contenuto diversi, non
risultano incompatibili fra di loro.
«Di parere opposto a quello del Dott. Dogliotti sono,
d'altronde, altri autori: A. Cavaliere, ad esempio, afferma che sussiste
"il diritto della pubblica Amministrazione alla rivalsa indipendentemente
dalla domanda giudiziale dell'avente diritto" e che "il Comune può
notificare l'avvenuto ricovero all'eventuale obbligato e chiedere allo stesso
il rimborso totale o parziale (in relazione alla capacità economica) della
spesa di mantenimento" (v. Nuova Rassegna 1966, n. 15).
«L'assunto del Dott. Dogliotti, manca, nello stato
attuale delle cose, di una consacrazione legislativa: si ritiene pertanto che
la pubblica Amministrazione non sia sprovvista di tutela nei confronti dei
familiari inadempienti, e in base ai principi generali in tema di negotiorum gestio ex art. 2028 C.C. e in
applicazione del principio sancito dall'art. 7 della legge 6972/1890 ai sensi
del quale la congregazione di carità (poi I'E.C.A. e quindi ora il Comune)
"deve curare gli interessi dei poveri del Comune" e "assumerne
la rappresentanza legale".
«In caso di rifiuto a corrispondere il contributo o
in caso di interruzione del pagamento, al fine di recuperare le somme
anticipate, l'ente pubblico è tenuto ad inviare una intimazione di pagamento
(v. art. 155 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) rivolta ai
parenti per i loro familiari inabili: il credito vantato potrà essere iscritto
a ruolo ai sensi dei DPR n. 43 e n. 44 del 28.1.1988 e del DM 28.12.1989.
L'Assessore Prof. Dott. Emilia Bergoglio Cordaro» (6).
Le Regioni non possono modificare il Codice civile
Come abbiamo visto, il CORECO di Torino ha annullato
le parti della delibera dell'Associazione dei Comuni dell'ex USSL 27
riguardanti la richiesta di contributi ai congiunti degli utenti, stabilendo
che essi «possono essere richiesti solo
in base a precise disposizioni di legge statale e/o regionale».
Ma, come stabilisce l'art. 117 della Costituzione,
le Regioni possono emanare norme solamente «nei limiti dei principi
fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato».
Inoltre l'attività legislativa delle Regioni è limitata
alle materie indicate nello stesso articolo. Com'è noto, fra le materie
suddette non sono comprese le disposizioni del Codice civile (matrimonio,
parentela, filiazione, successione, tutela, alimenti, ecc.).
Conclusioni
Auspichiamo che - finalmente - le Regioni, le USL, i
Comuni, le Province e gli altri enti pubblici rispettino le leggi vigenti
assumendo con la massima urgenza i necessari provvedimenti.
(1) Come vedremo più avanti, le
Regioni non possono approvare leggi che modifichino gli articoli 433 e seguenti
del codice civile, concernenti gli alimenti.
(2) La delibera prevedeva che alla
retta, da noi calcolata in 4,2 milioni al mese, fosse dedotto l'importo versato
dall'assistito e cioè circa 900 mila lire: pensione e indennità di
accompagnamento con esclusione di circa 150 mila lire lasciate al soggetto
ricoverato per le piccole spese personali.
(3) A sostegno della propria tesi, il
CSA citava, fra l'altro: le note della Presidenza del Consiglio dei Ministri
del 15 aprile 1994, prot. DAS 4390/1/H/795 e 20 ottobre 1995, prot.
DAS/13811/1/H/795 e quella del Ministero dell'interno del 27 dicembre 1993,
prot. 12287/70. Precisiamo che il ricorso del CSA riguardava i congiunti di
assistiti maggiorenni.
(4) Nel ricorso presentato da Marisa
Faloppa, viene fatto presente al CORECO che in base all'art. 23 della Costituzione
«nessuna prestazione personale o
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge».
(5) II parere dell'Assessorato
all'assistenza della Regione Piemonte si riferisce all'articolo del Prof.
Massimo Dogliotti "Gli enti pubblici non possono pretendere contributi
economici dai parenti tenuti agli alimenti di persone assistite”, pubblicato
sul n. 87, luglio-settembre 1989 di Prospettive
assistenziali, articolo che riproduciamo integralmente.
«Da tempo è invalsa la prassi degli
enti pubblici erogatori di assistenza di richiedere un contributo per
l'assistito (spesso anche piuttosto cospicuo) ai parenti "tenuti agli
alimenti". E si tenta di giustificare tale comportamento sostenendo che
il presupposto della prestazione assistenziale è l'inabilità a qualsiasi
proficuo lavoro e "la mancanza dei mezzi di assistenza o l'assenza di
parenti tenuti agli alimenti e in condizioni di poterli prestare".
«Su tali basi l'ente locale svolge,
tramite i servizi sociali, indagini ampie sull'esistenza di parenti e sulle
loro possibilità economiche e, una volta raggiunti, li invita a pagare un
contributo, spesso ottenendo il loro assenso, con la minaccia, neppure tanto
velata, di non accogliere l'assistito in istituto o magari di dimetterlo, se
già si trova ricoverato.
«In realtà, già il presupposto
teorico, che vorrebbe giustificare tale prassi, appare illegittimo. L'art. 38
della Costituzione precisa che ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto
di mezzi necessari di sussistenza ha diritto al mantenimento e all'assistenza
sociale. Nessun riferimento viene fatto all'obbligo alimentare dei parenti (e
del resto la nozione di famiglia che emerge dalla Carta costituzionale (art.
29-30 e 31) sembra piuttosto quella di famiglia nucleare, limitata al rapporto
coniugale e di filiazione).
«È vero che il codice civile (legge
che regola - è il caso di sottolinearlo - le relazioni tra singoli soggetti
privati) disciplina l'obbligo alimentare (inteso come obbligo delle
prestazioni strettamente necessarie al soddisfacimento dei bisogni essenziali,
quelli che concorrono al mantenimento in vita dell'individuo). A tale obbligo
(art. 433 e ss. cod. civile) sono tenuti, nell'ordine, il coniuge, i figli
legittimi naturali, adottivi o, in mancanza, i discendenti prossimi, l'adottante
nei confronti del figlio adottivo, i genitori o, in mancanza, gli ascendenti
prossimi, i generi e le nuore, il suocero e la suocera, i fratelli. Infine il
destinatario di una donazione è tenuto, con precedenza su ogni altro, a
prestare gli alimenti al donante.
«In realtà l'obbligo alimentare, e la
previsione di una così ampia fascia di parenti, appare palese espressione di
una società diversa dall'attuale, nella quale era diffuso il modello di
famiglia patriarcale caratterizzato da una solidarietà allargata, mentre
l'assistenza pubblica era in sostanza inesistente. E infatti, come si è detto,
la Costituzione (che meglio rispecchia l'odierno contesto sociale) non prende
in considerazione l'obbligo alimentare e attribuisce le funzioni assistenziali
direttamente all'organizzazione pubblica.
«In ogni caso non si può fare
contrasto tra l'obbligo alimentare (dei parenti) e prestazione assistenziale
(pubblica), che rispondono a logiche e si muovono in prospettive tra loro
totalmente differenti, senza possibilità di collegamento alcuno.
«Non si può dunque affermare che
l'intervento pubblico è giustificato laddove non possa giungere la solidarietà
familiare.
«L'assistenza è funzione fondamentale
dello Stato moderno e i suoi compiti non possono essere delegati o piuttosto
"scaricati" sulla famiglia. Tale assunto non emerge
soltanto da un'analisi dei principi costituzionali (che in
ogni caso sono sovraordinati a tutta la legislazione nazionale) ma pure da un
esame dell'ordinamento nel suo complesso. Non esiste una norma (altrimenti ad
essa farebbero volentieri riferimento gli enti locali) che direttamente o indirettamente
legittimi l'ente erogatore di assistenza a chiamare in giudizio i parenti
tenuti agli alimenti per sentirli condannare all'adempimento della prestazione
alimentare nei confronti del congiunto povero. Si intende lasciare a
quest'ultimo la facoltà del tutto discrezionale di agire nei confronti degli
obbligati agli alimenti. E nel caso che l'inabile non sia in grado di
provvedere ai propri interessi, potrà agire il tutore, nominato a seguito di
una pronuncia di interdizione, ma ancora una volta non l'ente erogatore di
assistenza.
«D'altra parte la prestazione
assistenziale è comunque dovuta indipendentemente dalla rinuncia dell'assistito
ad agire nei confronti dei suoi parenti (trattandosi, come si è detto, di
funzione fondamentale dell'organizzazione pubblica). E in tal senso un rifiuto
al ricovero (perché, ad esempio, il richiedente povero non si è rivolto ai
parenti per ottenere il pagamento della retta, o perché questi contattati dal
richiedente o dall'ente non l'hanno consentito) potrebbe integrare, se del
caso, ipotesi di reato di omissione di atti d'ufficio.
«Appaiono del tutto privi di
fondamento i tentativi di giustificare un potere di sostituzione processuale
dell'ente erogatore: ove quest'ultimo chiami in giudizio il parente tenuto
agli alimenti, la domanda non potrebbe che essere respinta. Non potrebbe far
riferimento all'art. 7 della legge 6972 del 1890, per cui spetta alla
congregazione di carità (poi ECA, oggi Comune) la cura degli interessi dei
poveri e la loro rappresentanza legale dinanzi all'autorità amministrativa e a
quella giudiziaria. In realtà, tale norma è da intendersi come previsione di
salvaguardia e protezione verso i "poveri" visti come collettività,
e non nei confronti del singolo individuo. Non possono esservi eccezioni:
l'individuo è capace e allora agisce da sé, o è incapace, e allora agisce in
sua vece il rappresentante legale, il tutore nominato dal giudice. Altre
possibilità non sono date.
«Né può richiamarsi l'art. 2941 del
Codice civile: l'azione di ingiustificato arricchimento, per cui chi senza
giusta causa si è arricchito a danno di un'altra persona, è tenuto a
indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale, ma il
riferimento è del tutto errato: non si potrebbe parlare di ingiustificato
arricchimento per il parente tenuto agli alimenti finché questi non siano
richiesti dal beneficiario.
«Ad analogo risultato conduce l'esame
dell'art. 155 del testo unico della pubblica sicurezza. È vero che la norma
prevede una possibilità di diffida da parte dell'autorità di pubblica sicurezza
ai congiunti di un mendicante inabile al lavoro e privo di mezzi, tenuti per
legge agli alimenti, ma tale obbligo si porrebbe nei confronti del povero
direttamente, e non nei confronti dell'istituto di ricovero. Riprova di ciò è
data dal contenuto del secondo comma della norma: decorso il termine della
diffida, l'inabile al lavoro è ammesso di diritto al beneficio del gratuito
patrocinio per promuovere il giudizio degli alimenti; ancora una volta non è
prevista alcuna sostituzione processuale da parte dell'ente erogatore.
«Accade peraltro nella prassi che l'ente aggiri l'ostacolo e
ottenga il pagamento della retta dal parente, magari, come si diceva, sotto la
minaccia di dimissioni del ricoverato. In genere il consenso del parente viene
ottenuto, stipulando un vero e proprio contratto, con il quale egli appunto si
obbliga alla prestazione.
«A questo punto la facoltà di
ottenere il pagamento trova la sua fonte nel contratto, e non già nell'obbligo
alimentare del parente. Non rileva minimamente la qualità di figlio, fratello,
ecc. dell'assistito, anche un estraneo potrebbe impegnarsi al pagamento.
«Dunque, in definitiva, se il parente
non sottoscrive, non potrebbe mai essere chiamato dall'ente al pagamento di una
retta. E, d'altra parte, il rifiuto al ricovero o magari la dimissione del
ricoverato perché il parente non paga, potrebbe configurarsi come atto (o
comportamento) illegittimo, viziato da eccesso di potere e come tale
impugnabile davanti al giudice amministrativo.
«Ma, trattandosi di atto dovuto,
potrebbe talora pure prospettarsi, come si è visto, il reato di omissione di
atti d'ufficio».
Ricordiamo gli altri scritti del Prof. Dogliotti sull'argomento:
- I diritti dell'anziano, La rivista trimestrale di diritto
e procedura civile, settembre 1987;
- Il diritto alla salute spetta a
tutti i cittadini... tranne che agli anziani non autosufficienti, Giurisprudenza italiana, ottobre 1993,
pag. 679 e segg.;
- Doveri familiari e
obbligazione alimentare, Giuffrè Editore, Milano 1994.
Segnaliamo che la posizione del Prof. Dogliotti è sostenuta
anche da:
- Gaspare Lisella, Rilevanza della
condizione di anziano nell'ordinamento giuridico, in Pasquale Stanzione (a cura
di), Anziani e tutele giuridiche, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991;
- Pietro Rescigno, L'assistenza agli
anziani non autosufficienti: notazioni civilistiche, Giurisprudenza italiana, ottobre 1993, pag. 687 e segg.
(6) Si veda la nota "Iniziativa
gravemente intimidatoria del Comune di Torino", in Prospettive assistenziali, n. 110. Segnaliamo, inoltre, che due
diverse Sezioni del Tribunale di Torino hanno ordinato «la sospensione cautelare della esecutorietà della cartella di
pagamento» notificata dal Comune di Torino ai signori E.B. e L.P.
www.fondazionepromozionesociale.it