Prospettive assistenziali, n. 113, gennaio-marzo
1996
MEMORANDUM
PER I GIORNALISTI SULLE TEMATICHE DELL'ADOZIONE E DELL'AFFIDO (*)
1. Adozione e affidamento familiare
Nel linguaggio comune e sulla stampa
i due termini (come pure quelli di famiglia adottiva e affidataria, di minori
adottati e affidati) vengono, con troppa frequenza, confusi fra loro e usati
impropriamente.
Fra i due istituti esistono profonde
differenze. In particolare, l'adozione mira a procurare una famiglia a un
minore in situazione di abbandono, perché privo di assistenza morale e
materiale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi; il legame
di parentela con la famiglia di origine viene definitivamente reciso e il
minore adottato acquista lo "status" di figlio a tutti gli effetti:
viene equiparato al figlio legittimo e assume il cognome dei genitori adottivi.
L'affido è viceversa un intervento
sociale alternativo al ricovero in istituto, utilizzato a favore di un minore
che nel proprio nucleo attraversa una situazione di temporanea difficoltà; è
però previsto che il minore rientri nella famiglia d'origine. Con gli
affidatari (famiglia possibilmente con figli minori, persona singola) non si
stabilisce un legame di filiazione.
2. "Veri" genitori
La locuzione viene spesso usata per indicare la famiglia di
origine di un minore adottato. È impropria e comunque irrispettosa nei
confronti della famiglia adottiva, quasi si trattasse di una famiglia
"posticcia". Da un punto di vista legale, affettivo, educativo,
sociale, la "vera famiglia" di quel minore è la famiglia adottiva. Si
è infatti genitori e figli in virtù non del vincolo del sangue, bensì
dell'affetto.
Per indicare le persone che hanno
messo al mondo il bambino adottato si possono usare le seguenti espressioni:
famiglia biologica, famiglia di origine, famiglia di sangue.
È invece sbagliata l'espressione
"famiglia naturale", per due motivi. L'aggettivo
"naturale" contrapposto a "legittimo" indica nel linguaggio
giuridico il legame di filiazione che si stabilisce al di fuori del matrimonio
(fra persone non sposate o non sposate fra loro). Non è raro che la famiglia
abbandonica sia una famiglia "legittima". In secondo luogo opporre
genitori naturali a genitori adottivi suggerisce l'idea che questi ultimi siano
"innaturali", "artificiali".
3. L'aggettivo "adottivo"
come discrimine
L'aggettivo "adottivo" è
spesso usato sulla stampa come stereotipo negativo in determinati contesti.
Come se l'adozione fosse causa o concausa di comportamenti negativi o addirittura
di patologia criminale.
Alcuni esempi: "I genitori
adottivi del mostro di Foligno", "Figlio adottivo uccide il
padre", "Violenta per anni la figlia adottiva".
Tale uso colpevolizzante ha la
stessa natura dei pregiudizi di origine razzista fondati sulla nazionalità,
come ad esempio: pastore sardo, papa polacco, banchiere ebreo, spacciatore marocchino,
ecc.
Dietro questa tendenza c'è il
pregiudizio che esista, oltre quella biologica, una ereditarietà
"morale" negativa, per cui il figlio del ladro ha probabilità di
diventare a sua volta ladro e la figlia della prostituta sarebbe anch'essa
predisposta per svolgere l'antico mestiere.
L'ambiente familiare e il contesto
sociale non avrebbero influenza alcuna nel formare la personalità dell'individuo.
4. Gli altri figli della coppia
adottiva
Vengono erroneamente denominati
"figli naturali". Nel linguaggio giuridico (vedi sub 2) è figlio
"naturale" il figlio di un uomo e di una donna che al momento del
concepimento non erano uniti tra loro in matrimonio. Più giusta l'espressione
"figli biologici" o "figli per nascita".
5. Affidamento preadottivo e
affidamento familiare
L'affidamento preadottivo consiste
in un periodo "di prova", che solitamente dura un anno, prima
dell'adozione definitiva e che permette ai giudici del Tribunale per i
minorenni di accertare, anche attraverso la collaborazione degli operatori
sociali dei servizi territoriali, se il minore riesce a integrarsi nella nuova
famiglia e se la convivenza risulta positiva.
L'affidamento familiare invece è l'intervento
socio-assistenziale descritto sub 1.
6. Abbandoni e infanticidi
A margine dei numerosi e drammatici casi di abbandono di
bambini piccolissimi, non è ancora chiaro a molti giornalisti che non esiste -
nel nostro ordinamento giuridico - il dovere di riconoscere il neonato come
proprio figlio da parte della donna partoriente, anche se sposata. Essa ha
diritto di partorire in segretezza e gratuitamente e decidere di non
riconoscere il proprio nato. II bambino risulterà «figlio di donna che non
consente di essere nominata» e andrà rapidamente in adozione.
Non c'è bisogno di buttare i bambini
nei cassonetti o di ripristinare le ruote medievali per i trovatelli.
I giornalisti dovrebbero
(soprattutto quelli radio-televisivi) pubblicizzare al massimo le norme che
esistono in questa materia (art. 250 C.C., art. 11, commi 2 e 3, della legge
4.5.1983, n. 184, sentenza Corte costituzionale n. 171 del 5.5.1994).
7. È auspicabile una modifica
legislativa per consentire l'adozione alle persone singole, alle convivenze di fatto, agli omosessuali, alle coppie attempate?
L'adozione è lo strumento giuridico
che permette di rendere operante il diritto di un minore abbandonato ad avere
una famiglia. Non esiste, correlativamente, il diritto di un adulto (di nessun
adulto) ad avere un figlio. Può essere un desiderio, un bisogno, un istinto,
ma non un diritto. Attualmente l'adozione è consentita a coniugi:
- uniti in matrimonio da almeno tre anni;
- non separati nemmeno di fatto;
- idonei ad educare e istruire e in grado di mantenere i
minori che intendono adottare; - la loro età deve superare quella dell'adottato
di almeno 18 anni, ma non di oltre 40 anni. La situazione delle adozioni
presenta le seguenti caratteristiche:
- sono dichiarati in stato di
adottabilità circa 1.000 minori all'anno, di cui 400 figli di ignoti;
- le domande di adozione presentate
dai coniugi sono 16-18 mila all'anno e precisamente: 16.163 (di cui 9.777 per
l'adozione internazionale) nel 1990, 18.166 (12.256) nel 1991 e 16.614 (9.510)
nel 1992;
- non vi è in Italia un solo bambino
dichiarato adottabile che non venga accolto nel giro di pochi giorni da una
coppia adottiva scelta dal Tribunale per i minorenni. Le difficoltà di sistemazione
familiare riguardano i bambini grandicelli (di età superiore ai 10-12 anni) e
quelli con gravi handicap intellettivi o con malattie inguaribili (AIDS ecc.);
- quasi tutti i 35-40 mila minori
ricoverati in istituti di assistenza/beneficenza non sono in situazione di
abbandono da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi, e quindi
non sono dichiarabili in stato di adottabilità. La stragrande maggioranza dei
minori ricoverati in istituto potrebbe ritornare in famiglia se fossero
forniti dagli enti pubblici i necessari interventi socio-economici; per altri
fanciulli occorrerebbe provvedere mediante l'affidamento familiare a scopo
educativo e, in certi casi particolari, tramite comunità alloggio aventi al
massimo 6-8 posti. Una più penetrante azione della magistratura minorile e dei
servizi socio-assistenziali consentirebbe, inoltre, di accelerare le pratiche
relative alla dichiarazione di adottabilità e di approfondire gli accertamenti
per la ricerca dei minori in situazione di abbandono;
- la maggior parte dei coniugi, a
cui i Tribunali per i minorenni rilasciano l'autorizzazione per l'adozione
internazionale, non riesce ad ottenere l'affidamento preadottivo di un minore
anche a causa delle sempre più forti limitazioni imposte dai Governi
stranieri, che hanno introdotto e introducono misure per favorire l'adozione da
parte dei loro cittadini e per combattere il mercato dei bambini. Inoltre è
evidente che sia la ratifica della Convenzione dell'Aja del 1993 sulla protezione
dell'infanzia e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, sia
la stipula di convenzioni fra l'Italia e altri Paesi imporranno restrizioni
dirette ad evitare gli abusi. Pertanto è facilmente prevedibile che il numero
dei bambini stranieri adottabili in Italia sarà sempre più limitato.
È indiscutibile che i minori
adottabili hanno l'esigenza di essere inseriti non in una famiglia qualsiasi,
ma di essere accolti da coniugi giovani, di cui è stata accertata l'idoneità
educativa, in modo da poter beneficiare, in tutta la misura del prevedibile,
dell'appoggio di entrambi i genitori fino al momento del loro autonomo
inserimento lavorativo e sociale, inserimento che sempre più spesso si realizza
in modo definitivo non prima dei 25-30 anni (frequenza dell'Università, assolvimento
del servizio militare da parte dei maschi, fine del lavoro precario, ecc.).
Pertanto i neonati che sono adottati dai coniugi quarantenni raggiungono
l'autonomia quando i genitori hanno 65/70 anni.
Dagli argomenti prospettati appare
chiaro che ogni modifica legislativa tendente ad allargare il campo degli
aspiranti all'adozione, va assolutamente respinta.
8. I figli "strappati" ai
genitori e i giudici e gli operatori "ladri di bambini"
Di fronte ad abusi e/o violenze
gravi il Tribunale può decidere l'allontanamento urgente di minori dalla loro
famiglia d'origine per tutelare i minori stessi, anche in base a segnalazioni
degli operatori socio-assistenziali.
I mezzi di informazione, per far
leva sull'emotività del pubblico, hanno la tendenza a presentare queste dolorose
vicende in modo pietistico, riferendo sovente solo la versione dei genitori e
descrivendo come "ladri di bambini", i giudici e gli operatori che si
limitano a fare il loro lavoro.
Alcuni titoli di giornale:
- "Santità mi aiuti - II
Tribunale per i minori mi ha rapito Marco...". Una nonna di Padova scrive
a Papa Giovanni Paolo lI;
- "II giudice mi ha tolto i
bambini perché convivo con un negro". Madre disperata, ma il Tribunale
nega;
- "I miei quattro bimbi rapiti
dal Tribunale. A Lecce il Giudice per i minorenni fa allontanare i figli dalla
madre e li ricovera in un centro di psicodiagnosi".
II minore allontanato viene solitamente inserito in una comunità o in una famiglia affidataria o, purtroppo, in un istituto, in attesa che il Tribunale per i minorenni approfondisca ulteriormente, con la collaborazione dei servizi sociali, la situazione personale e familiare dei o dei minori, per
decidere quindi il rientro dei minori nella loro stessa
famiglia di origine oppure l'affidamento a parenti o a terzi, oppure
l'inserimento in comunità o in un'altra struttura. Solo per una piccolissima
parte dei minori allontanati con provvedimento del Tribunale per i minorenni
viene aperto un procedimento di adottabilità e solo una parte dei procedimenti
si conclude con la dichiarazione dello stato di adottabilità.
Nel 1992 (ultimi dati disponibili)
sono stati 1.078 i minori da 0 a 18 anni dichiarati adottabili, di cui 390
neonati non riconosciuti alla nascita (i c.d. "figli di ignoti").
Va anche detto che la nostra legge
in questo campo è estremamente garantista. Oltre a tutelare il preminente
diritto del minore ad essere educato nell'ambito della propria famiglia, garantisce
anche i diritti dei genitori biologici, prevedendo ben quattro gradi di
giudizio (Tribunale per i minorenni, opposizione allo stesso Tribunale,
ricorsi alla Sezione minorenni della Corte d'Appello e alla Corte di
Cassazione). Un grado in più rispetto ai processi avanti la Magistratura
ordinaria.
(*) Testo inviato all'Ordine dei giornalisti della Toscana dalla
Sezione ANFAA di Firenze.
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