Prospettive assistenziali, n. 114, aprile-giugno
1996
LA SCUOLA
DEI DIRITTI (PARTE
TERZA)
Continuiamo
la pubblicazione delle relazioni svolte alla Scuola dei diritti "Daniela
Sessano", iniziativa dell'Unione per la lotta contro l'emarginazione
sociale (10124 Torino, Via Artisti 36, tel. 011 /812.44.69), parzialmente
finanziata dalla Regione Piemonte.
I precedenti articoli sono
stati riportati sui nn. 108 e 109 di Prospettive
assistenziali.
COME ESAMINARE E VALUTARE
LEGGI E DELIBERE, E COME PREDISPORLE
FRANCESCO SANTANERA
Per una efficace tutela delle esigenze e dei diritti
delle persone non in grado di difendersi, la legge è uno strumento di primaria
importanza. Si tratta, infatti, di soggetti (bambini, handicappati
intellettivi gravi e gravissimi, anziani malati cronici non autosufficienti,
ecc.) che non possono protestare, né scioperare, né utilizzare tutti gli altri
strumenti di pressione.
Infatti, nel caso di violazione della legge, è
possibile ricorrere all'autorità giudiziaria per interventi di natura penale
(omissione o rifiuto di atti di ufficio, ecc.) o civile (1).
A questo proposito ricordiamo le sentenze positive
ottenute a tutela del diritto alle cure sanitarie, comprese quelle
ospedaliere, degli anziani cronici non autosufficienti:
-
Giudice conciliatore di Torino, 11 novembre 1991, in Prospettive assistenziali, n. 98;
-
Pretore di Bologna, 21 dicembre 1992, Ibidem,
n. 101;
-
Pretore di Milano, 4 maggio 1994, Ibidem,
n. 106.
Molto importante anche il provvedimento assunto dal
Pretore di Torino il 1° marzo 1993, in base al quale l'USSL Torino VI è stata
condannata a continuare a versare il sussidio terapeutico ad una signora
gravemente colpita da malattia mentale. È, pertanto, indispensabile saper
valutare se una disposizione è valida, se tutela un diritto o se occorre
promuovere l'emanazione di norme più idonee (2).
Nell'esaminare una legge occorre anche tenere conto
della possibilità di ricorso alla Corte costituzionale per far dichiarare
illegittime le norme contrastanti con la Costituzione o per ottenere
favorevoli sentenze interpretative (3).
Non fermarsi alle apparenze
In primo luogo, nell'esaminare e valutare leggi e
delibere, non bisogna farsi intrappolare dalle norme con contenuto meramente
declamatorio. È il caso, ad esempio, dell'art. 1 della legge 5 febbraio 1992 n.
104 "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate", che contiene affermazioni di principio molto
positive, non tradotte però in disposizioni concrete dai successivi articoli
della stessa legge (4).
Criteri per una valutazione oggettiva
Per poter compiere una valutazione oggettiva di leggi
e delibere, è necessario analizzare i seguenti punti chiave:
1. gli aventi diritto;
2. i soggetti che devono
fornire il servizio;
3. il contenuto degli
interventi;
4. le modalità
organizzative;
5. il luogo di erogazione
dei servizi;
6. i tempi;
7. i costi.
Questa analisi per settori è indispensabile anche
per cogliere le reali finalità del provvedimento, per sapere qual è il
significato vero delle parole contenute nel testo.
Gli aventi diritto
Com'è noto, le leggi effettivamente rivolte a
soddisfare le esigenze dei cittadini devono essere assai limpide sugli aventi
diritto. Un esempio è costituito dalla legge 184/1983 "Disciplina
dell'adozione e dell'affidamento dei minori" il cui art. 1 è così redatto:
«Il minore ha diritto di essere educato
nell'ambito della propria famiglia». La stessa legge 184/1983 disciplina,
inoltre, l'affidamento familiare a scopo educativo e l'adozione, definendo le
modalità ed i tempi per il reperimento dei minori in situazione d'abbandono materiale
e morale, la dichiarazione di adottabilità, la presentazione della domanda di
adozione, l'affidamento preadottivo, la pronuncia dell'adozione ed i suoi
effetti.
Purtroppo sono molto rari i provvedimenti che
indicano in modo chiaro gli aventi diritto. Una delle conseguenze è il
proliferare dei regolamenti e delle circolari interpretative che non solo
creano difficoltà notevoli al cittadino, ma spesso lo costringono a rivolgersi
alle autorità giudiziarie civili o amministrative per ottenere ciò che gli è
dovuto. Tuttavia, essendo questa procedura molto costosa e lunga, quasi sempre
non viene intrapresa con evidenti conseguenze negative per gli utenti.
Ma, quel che è ancora più grave, è il fatto che assai
raramente i provvedimenti precisano chi sono gli aventi diritto e cioè i
soggetti che possono pretendere le prestazioni stabilite dalla legge.
Una legge (o una delibera) valida dovrebbe sancire
che «i cittadini che si trovano nelle condizioni
sotto specificate hanno diritto ai seguenti interventi...».
Quasi sempre, invece, i provvedimenti sono redatti in
tutt'altro modo. Ad esempio, il testo può esprimersi nei seguenti termini: «Il servizio è rivolto ai cittadini che
rientrano nelle seguenti condizioni...». Ne deriva che sono solo precisate
le condizioni che devono essere soddisfatte dai cittadini per poter accedere al
servizio, ma non è previsto alcun diritto per ottenerlo.
I soggetti che devono istituire i servizi
Il secondo aspetto estremamente importante di un
qualsiasi provvedimento riguarda l'individuazione dell'organismo preposto
all'erogazione del servizio.
Al riguardo va osservato che, come è ovvio, i diritti
possono essere soddisfatti esclusivamente da enti pubblici (Comuni, USL,
ecc.). Essi possono provvedervi gestendo direttamente i servizi o affidandoli a
istituzioni private.
In ogni caso, come giustamente sostiene Mons.
Giovanni Nervo, gli enti pubblici «devono
assumere pienamente i loro
compiti - che non sono delegabili - della
programmazione, del reperimento e della valorizzazione delle risorse,
della vigilanza e del controllo» (5).
Nell'esaminare una legge, una delibera o qualsiasi
altro provvedimento occorre anche accertare se l'ente preposto all'erogazione
del servizio 8 obbligato a provvedervi o ne ha soltanto la facoltà (6).
Ad esempio, l'art. 9 della legge-quadro sull'handicap,
la n. 104 del 1992, è così redatto: «li servizio di aiuto personale, che può
essere costituito dai Comuni o dalle Unità sanitarie locali...» (7). Poiché i
Comuni hanno la piena e assoluta discrezionalità circa l'istituzione o meno del
servizio, la disposizione è stata giustamente definita da alcuni una beffa e
da altri una scatola vuota. Altro settore di indagine riguarda l'accertamento
della effettiva capacità dell'ente di svolgere i compiti assegnati dalla legge
o da altro provvedimento.
Può trattarsi di un ente impossibilitato, per le sue
stesse caratteristiche, ad erogare le prestazioni previste. Ad esempio, vi
sono leggi (8) che attribuiscono ai Comuni la gestione di servizi. Ma la
maggior parte dei Comuni italiani è e sarà assolutamente impossibilitata a
svolgere le funzioni assegnate a causa del ridotto numero degli abitanti nei
cui confronti dovrebbero intervenire. Questi Comuni sono anche svantaggiati dall'estrema
limitatezza delle risorse disponibili. Ad esempio, è impensabile che Comuni
aventi meno di 10 mila abitanti possano istituire una rete di servizi
(assistenza economica, aiuto domestico, affidamenti familiari di minori,
comunità alloggio per minori e per handicappati, ecc.) (9).
Il contenuto degli interventi
Altro aspetto di fondamentale importanza di qualsiasi
provvedimento è la definizione, che dovrebbe essere la più puntuale possibile,
dei contenuti degli interventi.
Agli amministratori e agli operatori dovrebbero
essere impartite precise disposizioni circa le prestazioni da fornire; a loro
volta i cittadini dovrebbero conoscere gli interventi a cui hanno diritto.
Stabilire in un provvedimento che deve essere
assicurata l'assistenza economica è assolutamente insufficiente se mancano
ulteriori precisazioni circa le caratteristiche degli interventi da
corrispondere.
Ad esempio, nella proposta di deliberazione
sull'assistenza economica presentata al Comune di Torino dall'Unione per la
lotta contro l'emarginazione sociale (10), i contributi alle famiglie e
persone in difficoltà venivano suddivisi in:
1) contributi a tempo indeterminato erogati in base
al minimo vitale per le persone di età superiore ai 65 anni, o con invalidità
superiore al 67% o con minori a carico di anziani o invalidi;
2)
contributi per cure, assistenza e protesi; 3) contributi a titolo di prestito
in attesa di prestazioni previdenziali;
4)
contributi in carenza di servizi pubblici (ad esempio asili nido);
5) contributi a tempo indefinito, integrativi del
minimo alimentare per i familiari e le persone disoccupate;
6)
contributi straordinari in presenza di situazioni debitorie;
7)
sussidi promozionali una tantum per situazioni di emergenza.
Parte integrante dei contenuti è la definizione del
numero e delle qualifiche del personale. Ad esempio, nel caso di comunità per
handicappati intellettivi adulti (o per altri soggetti) la qualità del servizio
è non solo legata alla tipologia degli assistiti, ma anche alle caratteristiche
quantitative e qualitative degli operatori.
Le modalità organizzative
Anche l'organizzazione del servizio incide notevolmente
sulla sua qualità e sulla tempestività degli interventi. È un aspetto spesso
trascurato dalle pubbliche amministrazioni, dai sindacati e dal volontariato.
Di particolare importanza sono le condizioni previste
per l'accesso al servizio da parte degli utenti. Mentre per molte attività (ad
esempio la frequenza delle strutture prescolastiche e scolastiche) i cittadini
sanno che occorre presentare una domanda scritta, in altre situazioni essi si
rivolgono solo verbalmente ai servizi. Ciò si verifica in particolare per le
prestazioni dell'assistenza sociale. In questo modo i cittadini e le loro
organizzazioni di tutela non posseggono alcuna documentazione circa l'istanza
presentata (data, richieste avanzate, ecc.). Non hanno quindi alcun elemento
da citare per presentare eventuali reclami e per individuare in modo preciso i
responsabili di ritardi o omissioni.
Al riguardo occorre tener conto che la legge 7 agosto
1990 n. 241 "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto all'accesso ai documenti amministrativi" stabilisce all'art. 2,
quanto segue:
«1. Ove il
procedimento consegue obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere
iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo
mediante l'adozione di un provvedimento espresso.
«2. Le
pubbliche amministrazioni determinano per ciascun tipo di procedimento, in
quanto non sia già direttamente disposto per legge o per regolamento, il
termine entro cui esso deve concludersi. Tale termine decorre dall'inizio di
ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda se il procedimento è
ad iniziativa di parte.
«3, Qualora
le pubbliche amministrazioni non provvedano ai sensi del comma 2, il termine è
di trenta giorni.
«4. Le
determinazioni adottate ai sensi del comma 2 sono rese pubbliche secondo quanto
previsto dai singoli ordinamenti».
L'art. 4
della sopra citata legge sancisce che «ove non sia già direttamente stabilito
per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a
determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro
competenza l'unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro
adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale» (11).
Si ricorda inoltre che in base all'art. 7 della legge
241/1990 le amministrazioni pubbliche sono tenute a comunicare ai soggetti nei
confronti dei quali è destinato il provvedimento:
- notizie circa l'inizio del procedimento;
- l'ufficio e la persona responsabile del procedimento
stesso;
- l'ufficio in cui si può prendere visione degli
atti.
Infine l'art. 9 della legge 24111990 è così redatto:
«Qualunque soggetto, portatore di interessi
pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in
associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio del provvedimento,
hanno facoltà di intervenire nel procedimento».
Le soprariportate norme della legge 241/1990
confermano l'esigenza della presentazione scritta delle istanze dirette ad
ottenere prestazioni da parte della pubblica amministrazione. A questo
proposito è auspicabile che questa procedura sia obbligatoriamente prevista
dalle leggi e dalle delibere.
Un altro aspetto di fondamentale importanza riguarda
la possibilità di ricorrere (al Sindaco, al Presidente della Provincia, ecc.)
nel caso in cui l'istanza presentata non sia stata accolta o nessuna decisione
sia stata assunta in tempi ragionevoli.
Una
valutazione attenta del provvedimento in esame non può prescindere da questo
aspetto. Circa l'organizzazione dei servizi, occorrerebbe verificare i
seguenti aspetti:
1.
se viene fatto riferimento al nucleo familiare o ai singoli utenti (minori,
handicappati, anziani); 2. se sono stabilite priorità di intervento. Per quanto
riguarda il primo punto, se si tiene conto dell'unitarietà del nucleo
familiare, è indispensabile che anche i servizi siano unitari e non
spezzettati nei confronti dei singoli componenti del nucleo stesso, come
avviene quando l'organizzazione è suddivisa in servizi per i minori, altri
servizi per gli handicappati, altri ancora per gli anziani.
In merito alla definizione della priorità di intervento,
occorrerebbe che esse fossero decise rispettando l'esigenza di favorire la
massima autonomia possibile dei soggetti. È evidente, ad esempio, che è più
libera la persona che riceve un aiuto economico rispetto a quella ricoverata in
un istituto di assistenza.
Le priorità, inoltre, dovrebbero essere decise
tenendo anche conto delle iniziative riguardanti la prevenzione del bisogno.
Al riguardo si riporta quanto previsto dalla delibera
n. 1398 assunta dal Comune di Torino in data 14 settembre 1976: «Gli interventi in favore dei minori ed
anziani assistiti debbono avere le seguenti priorità:
a) messa a
disposizione dei servizi primari (asili nido, scuola materna e dell'obbligo,
casa, trasporti) in modo da eliminare o ridurre le cause che provocano le
richieste di assistenza. Questa linea di intervento non riguarda ovviamente
solo il Comune di Torino, ma anche la Regione e soprattutto una diversa
politica nazionale. Con questo tipo di intervento, fra l'altro, sarà
possibile, nel breve periodo, ridurre al massimo i ricoveri di minori, in età
prescolare e della scuola dell'obbligo, in semiconvitti;
b)
assistenza domiciliare, non solo di aiuto domestico, infermieristica e
riabilitativa, ma anche educativa per i minori, specialmente per quelli
handicappati;
c) assistenza economica da erogare in
base a parametri prefissati (minimo vitale);
d)
segnalazione ai sensi dell'art. 314/4 della legge 5 giugno 1967 n. 431
"Adempimenti di servizio sociale per l'adozione speciale ordinaria dei
minori che si trovino in situazione di abbandono", assicurando i necessari
collegamenti con il Tribunale per i minorenni e il Giudice tutelare;
e) affidamenti educativi di minori,
affidamenti assistenziali di interdetti, inserimenti di handicappati adulti e
di anziani presso volontari (famiglie, persone singole, nuclei parafamiliari
composti da due o più volontari);
f)
istituzione di comunità alloggio per minori, handicappati adulti, anziani,
gestite direttamente dal Comune di Torino».
Come già si è visto, l'organizzazione dei servizi
dovrebbe far riferimento alle attività (assistenza domiciliare, aiuti
economici, affidamenti e inserimenti, comunità alloggio, ecc.) e non essere
settorializzata in prestazioni per i minori, gli handicappati e gli anziani.
Il luogo di erogazione dei servizi e di
presentazione delle relative istanze
Molto spesso il luogo di erogazione di un servizio è
una condizione essenziale per la sua utilizzazione. Ad esempio, se l'asilo
nido è troppo distante dall'abitazione dei genitori e, in particolare, non è
raggiungibile con i mezzi pubblici, molti genitori sono costretti a
rinunciarvi.
Dunque, è molto importante verificare se il
provvedimento prevede una accettabile accessibilità dei servizi.
Come è noto, in molti settori, ad esempio nel campo
dell'assistenza sociale, è necessaria una rete di servizi per soddisfare le
esigenze delle persone e dei nuclei familiari.
Ad esempio, occorre intervenire contemporaneamente o
in tempi diversi fornendo assistenza economica, aiuto domiciliare,
predisponendo un affidamento familiare a scopo educativo o provvedendo
all'inserimento in una comunità alloggio.
Perciò
è necessario che i luoghi di erogazione dei servizi siano il più possibile
unificati.
A questo proposito, da molte parti viene avanzata la
proposta dei distretti, secondo alcuni per i servizi sanitari e, secondo altri,
anche per quelli assistenziali.
In sostanza, si chiede che in un luogo il più facilmente
accessibile con i mezzi pubblici, i cittadini della zona possano avere a loro
disposizione uno "sportello" per la presentazione delle istanze (ad
esempio per la prenotazione di visite specialistiche, per le richieste di
assistenza, ecc.). Quando necessario e possibile, è preferibile che le
prestazioni siano fornite nella stessa sede in cui i cittadini si recano per
richiederle.
I tempi
Sovente vi sono leggi che non indicano i limiti
temporali entro cui le norme previste devono entrare in vigore. Ne deriva che,
pur essendo stabilito l'obbligo della predisposizione del servizio, la mancanza della scadenza entro cui l'avvio deve
essere assicurato rende la disposizione del tutto inefficace.
I provvedimenti validi dovrebbero non solo stabilire
il termine entro cui il servizio deve essere istituito, ma altresì precisare
entro quanti giorni l'amministrazione pubblica deve dare una risposta positiva
o negativa alle istanze presentate dai cittadini.
Inoltre sarebbe necessaria la definizione dei tempi
entro cui gli interessati possano presentare reclamo nel caso la loro
richiesta non sia stata accolta.
I costi
Come è ovvio, è indispensabile per qualsiasi
amministrazione seria prevedere i costi dei servizi da istituire.
Questi
costi riguardano sia le spese di investimento, sia quelle relative alla
gestione.
I
provvedimenti dovrebbero inoltre precisare gli eventuali oneri a carico
dell'utente.
Conclusioni
I sette aspetti che abbiamo preso in considerazione
sono indissolubilmente intrecciati fra di loro al punto che se anche uno di
essi non è previsto, il provvedimento può anche non essere concretamente
attuabile.
Le stesse considerazioni fatte per l'analisi di una
legge o di una delibera valgono per la
loro predisposizione.
Dall'esame dei sette punti (gli aventi diritto,-i
soggetti che devono fornire il servizio, il contenuto degli interventi, le
modalità organizzative, il luogo di erogazione dei servizi, i tempi ed i
costi) è possibile individuare le reali finalità della legge.
È molto importante che le organizzazioni di
volontariato e gli altri gruppi che agiscono a tutela delle persone più deboli
siano in grado di avanzare proposte concrete e sappiano, ad esempio in
occasione di consultazioni, individuare gli aspetti carenti ed indicare le
necessarie modifiche e integrazioni.
(1) Ovviamente gli effetti di una
legge sono quasi sempre molto diversi da quelli di una delibera. Tuttavia
anche le delibere possono sancire obblighi per gli enti pubblici, concretamente
esigibili dai cittadini.
(2) Al riguardo ricordo l'attività
svolta dall'ANFAA, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, che
ha predisposto il testo diventato poi, con modifiche marginali, la legge
431/1967 che ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico l'adozione
speciale e che finora ha consentito, anche a seguito della legge 184/1983,
l'adozione di circa 50 mila minori ed ha, inoltre, favorito la riduzione dei
minori ricoverati in istituto dai 305.000 del 1962 agli attuali 35-40 mila.
(3) Si segnala, al riguardo,
l'istanza presentata al Tribunale per i minorenni di Torino e, in seguito,
alla Corte costituzionale dai coniugi S.F. e G.M. e dalla loro figlia maggiorenne
S.E., adottata con adozione speciale insieme ad un'altra ragazza, al fine di
usufruire delle norme transitorie della legge 184/1983. Queste norme,
sopprimendo i limiti contenuti nella precedente legge 431/1967, hanno consentito
l'instaurazione di rapporti giuridici di parentela fra l'adottato con adozione
legittimante ed i parenti collaterali (zii, cugini, ecc.) degli adottanti. La
Corte costituzionale, con una sentenza "interpretativa" ha disposto
che anche coloro che erano stati adottati prima della legge 184/1983, avevano
stabilito, fin dal giorno di entrata in vigore della legge suddetta, rapporti
giuridici di parentela con i collaterali degli adottanti, identici a quelli
previsti per i figli legittimi (cfr. Prospettive
assistenziali, n. 69, gennaio-marzo 1985 e n. 77 gennaio-marzo 1987).
(4) L'art. 1 della legge 104/1992 stabilisce quanto segue:
«La Repubblica:
a) garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di
libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena
integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società;
b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo
sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile
e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività,
nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali;
c) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da
minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e le
prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni,
nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata;
d) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di
esclusione sociale della persona handicappata».
(5) Cfr. Giovanni Nevo, ll consenso democratico rafforza le
disuguaglianze? Riflessioni sulle politiche sociali, Edizioni Dehoniane,
Bologna, 1994.
(6) Ricordo che un diritto è un
interesse tutelato dalla legge. Ad esempio, la frequenza della scuola
elementare e media inferiore è un diritto, in quanto vi è una legge al riguardo,
mentre non lo è l'inserimento dei bambini presso gli asili nido, poiché non
esiste alcuna disposizione in merito che sancisca obbligatoriamente
l'istituzione del servizio.
(7) Occorre tener presente che,
attribuendo la legge 104/1992 la facoltà di istituire il servizio di aiuto
personale sia ai Comuni che alle Unità sanitarie locali, nel caso in cui gli
enti suddetti deliberassero la creazione del servizio, si aprirebbe un
conflitto di competenza che potrebbe essere risolto solo con la modifica della
citata legge 104/1992. È quindi necessario che i provvedimenti affidino gli
interventi ad un solo organismo.
(8) In base alla legge 8 giugno 1990
n. 142 "Ordinamento delle autonomie locali" «spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la
popolazione e il territorio comunale precipuamente nei settori organici dei
servizi sociali, dell'assetto e dell'utilizzazione del territorio e dello
sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri
soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze».
La legge suddetta consente l'accorpamento dei Comuni, ma non stabilisce alcun
obbligo nemmeno per quelli che non sono assolutamente in grado di svolgere le
funzioni sopra indicate. Si pensi che vi sono ben 7.065 Comuni che hanno meno
di 10.000 abitanti (si veda la nota successiva).
(9) In base al censimento del 1991 la situazione demografica
dei Comuni italiani era la seguente:
con meno di 500 abitanti n. 804
da 501 a 2.000 n. 3.910
da 2.001 a 5.000 n. 1.185
da 5.001 a 10.000 n. 1.166
da 10.001 a 20.000 n. 581
da 20.001 a 50.000 n. 317
da 50.001 a 100.000 n. 87
da 100.001 a 500.000 n. 44
oltre 500.001 n. 6
Totale Comuni italiani n. 8.100
(10) Cfr. Prospettive assistenziali n. 41, gennaio-marzo 1978. La proposta è
stata accolta dal Consiglio comunale di Torino con deliberazione del 21 giugno
1978.
(11) La violazione da parte della
pubblica amministrazione delle norme sancite dalla legge 24111990 può costituire
reato.
www.fondazionepromozionesociale.it