Prospettive assistenziali, n. 114, aprile-giugno
1996
L'AFFIDAMENTO FAMILIARE DI BAMBINI`
PICCOLI
GABRIELLA CAPPELLARO (*) LILIANA CAROLLO (*)
Quando ci si occupa di bambini, sia di quelli che
hanno la fortuna di crescere in una famiglia unita, serena, armoniosa, sia di
quelli che hanno la sfortuna di dover essere allontanati dalla propria perché
non adeguata, bisogna sempre tener presente l'aspetto dinamico, di crescita,
perché l'attenzione al bambino sia rispondente ai suoi bisogni.
Come ogni genitore sa, ogni figlio è diverso
dall'altro, e ogni genitore dovrebbe sapere che ogni figlio è diverso dal
bambino che il genitore stesso è stato; tutti siamo chiamati ad occuparci della
generazione che viene con intelligenza ed amore crescenti, crescenti perché
amore e intelligenza riflettono, si interrogano, approfondiscono, si
dispiegano nel mondo che cambia.
II diritto del bambino alla famiglia
Sul diritto del bambino ad una realtà familiare tutti
siamo ampiamente d'accordo: la nostra legislazione, le varie Dichiarazioni e
Risoluzioni internazionali, la Convenzione di Ginevra sui diritti
dell'Infanzia, lo hanno declamato con forza.
Ma non è ancora scontato:
- che cosa il diritto alla famiglia significa (è
diritto che non viene direttamente esercitato, ma di cui si deve poter godere
poiché altri, gli adulti, se ne assumono la responsabilità, è l'espressione
dei bisogni);
- come questo diritto possa essere "esercitato"
dal bambino (coloro che ne hanno la responsabilità debbono esercitarlo in
funzione degli interessi del bambino, non dei propri).
Tutte le scienze antropologiche sono concordi
nell'affermare la continuità nello sviluppo del bambino dalla nascita all'età
adulta. Gli incidenti di percorso non arrestano la crescita, ma possono
provocare gravi interferenze, con conseguenze nefaste sul piano individuale e
sociale.
Tra tutti gli incidenti possibili, uno dei più gravi
è quello di non poter a pieno titolo fruire del diritto alla famiglia, che è
fondamento dell'identità e della crescita. Quando la famiglia d'origine non è
in grado di sopperire alle necessità di crescita, queste debbono essere
salvaguardate in un contesto il più congeniale possibile.
Per un minore che debba essere allontanato dalla sua
famiglia, poiché non per questo cessa il suo bisogno di figure di riferimento
affettivo (spesso, addirittura, essendo stato allontanato da una famiglia
d'origine gravemente inadeguata per maltrattamenti e carenze reiterate, il suo
è un bisogno di figure di riferimento affettivo con valenza terapeutica), il
solo contesto logico e naturale che possa garantire la continuità della
protezione affettiva è quello di una famiglia alternativa.
Questo bisogno di famiglia da parte del bambino,
sempre e comunque, in qualsiasi momento della sua storia, che sia neonato o
infante di pochi mesi o bambino di qualche anno più grandicello o adolescente
ancora alla ricerca della sua identità, diviene il suo diritto primario, un diritto
che per farlo valere deve essere assunto dalla comunità in cui il minore
cresce.
II diritto del bambino nasce dalla riflessione sui
suoi bisogni. Perché il bambino, fin dalla nascita, è un insieme di
bisogni-potenzialità, di capacità che debbono trovare l'ambiente adatto per
essere soddisfatte ed esprimersi (il bisogno di esistere nel cuore dell'adulto,
diviene, se sperimentato, la capacità di pensare agli altri con fiducia ed
oblatività, il bisogno di essere amato di un bambino diviene via via, se
soddisfatto in modo positivo, la sua propria capacità di relazionare
correttamente con gli altri).
II bisogno d'amore del bambino
Dal momento che corrispondono ai potenziali di
crescita, i bisogni del bambino vanno soddisfatti in chiave dinamica, tenendo
presente che:
- il bambino è socialmente competente fin dalla
nascita, ha una stupefacente capacità di comunicare i suoi bisogni, i suoi agi
e i suoi disagi a chi sa coinvolgersi totalmente con lui. Troppo spesso noi,
invece, valutiamo il neonato con parametri non adeguati: non comunica verbalmente,
allora non capisce e non sente, mentre il neonato ha una capacità che noi
adulti di frequente, crescendo, perdiamo. II neonato percepisce, sente con la
pelle, con i sensi, con una raffinatezza incredibile, se la persona che si
prende cura di lui è lontana col cuore, è frettolosa, è mercenaria, è una
delle tante che si avvicendano, o addirittura non lo vuole, lo rifiuta anche
senza compiere gesti fisicamente nocivi. Se è vero che il neonato non sa ancora
amare, e ha bisogno di imparare, è altrettanto vero che il neonato sente e
riconosce con assoluta certezza se chi gli sta vicino lo ama davvero, lo
pensa, ce l'ha dentro, nella testa e nel cuore. È solo allora che si confonde
beato e sereno nelle braccia di chi lo accoglie, è solo allora che impara ad
amare;
- il bambino ha assoluta necessità di un luogo di
crescita opportuno, adeguato sia nella dimensione di spazio che in quella di
tempo. Poter disporre dello spazio adeguato significa per il bambino poter
godere fin da subito di uno spazio stabile, determinato, dai confini precisi.
Quanto questo sia vero ce lo dice la scienza quando afferma che il fondamentale
spazio del bambino è il grembo materno prima e le braccia materne poi. Poter
disporre della dimensione tempo in maniera conforme significa per il bambino
sentirsi inserito in un tempo ritmato, strutturato, dove le sequenze si alternano
armonicamente e dove le stesse sequenze, insieme, costruiscono la
consequenzialità, la storia, il progetto di crescita per lui;
- quanto più il bambino è piccolo, tanto più è
importante la soddisfazione adeguata dei suoi bisogni. Se ogni esperienza
struttura in noi un pezzetto della nostra storia, è facilmente comprensibile
quanto siano importanti e fondanti le primissime esperienze.
II Servizio affidi del Comune di Vicenza
Per questo il servizio affidi del Comune di Vicenza
ha posto una particolare attenzione al bambino piccolo, proprio perché è ancora
fortemente sottovalutato nella sua esigenza di famiglia.
Pertanto, anche i minori neonati e in tenerissima
età «temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo» vengono collocati
presso famiglie affidatarie o presso case-famiglia quando particolari motivi
lo rendano preferibile (bambini affetti da handicap o malattie che richiedono
assistenza, o con famiglie molto disturbanti).
Le famiglie ritenute idonee per l'affido di bambini
piccolissimi sono famiglie che hanno figli propri, che non hanno aspirazioni
adottive, che hanno una capacità affettiva matura, che hanno disponibilità di
tempo.
Questi affidi vanno attentamente seguiti e sostenuti
per aiutare gli affidatari a vigilare sul proprio coinvolgimento affettivo con
il minore, che deve esserci (senza una intensa relazione affettiva il bambino
non "cresce"), ma non deve diventare un attaccamento che ostacoli un
sereno passaggio del minore alla nuova sistemazione (sia essa il rientro in famiglia
o l'adozione).
-
Questo Servizio affidi, dal 31.12.1992, data di chiusura del locale Istituto
provinciale per l'infanzia, colloca in affido familiare anche i bambini
neonati o in tenera età.
Alcuni dati
Dal 1 ° gennaio 1993 al 31 dicembre 1995 sono stati
23 gli affidi di bambini di età 0/3 anni.
Di questi, 13 appartenevano alla fascia di età 0/1
anno; 2 alla fascia di età 1/2 anni; 8 alla fascia di età 2/3 anni.
Per 8 minori c'è stato il passaggio all'adozione;
per 9 il riaffido ad uno o entrambi i genitori; per 1 l'affido a parenti entro
il 4° grado; per 3 il Tribunale per i minorenni non ha ancora definito il
provvedimento; per 2 l'affido sine die presso
la famiglia affidataria (affido di bambini con handicap, non adottabili).
L'esperienza di questi affidi è stata ampiamente
positiva e ha confermato che i bambini traggono grande vantaggio dal poter
godere, in attesa della valutazione ed eventuale recupero della famiglia di
origine, o durante l'attesa dei compimento dell'iter adottivo, della permanenza
in una famiglia dove trovano condizioni relazionali che permettano una
corretta evoluzione dello sviluppo.
In questa direzione, per diffondere e rendere prassi
comune questo modo di procedere, come sembra ormai irrinunciabile, ci sono
però luoghi comuni da superare:
- il bambino piccolo ha prevalentemente o solo
bisogni materiali (confusione tra necessità di accudimento materiale e assetto
di personalità i cui meccanismi si attivano fin da subito);
- il bambino piccolo non capisce (confusione tra
aspetti emotivi ed intellettivi, con l'indebita sottolineatura dei secondi);
- il bambino piccolo non ricorda (e invece le
esperienze strutturano la vita emotiva ed affettiva, si stampano sulla pelle e
nella storia del bambino, interagiscono con gli aspetti intellettivi);
-
il bambino piccolo ha capacità relazionali limitate.
La storia di Fabio
A questo proposito è esemplare la storia di Fabio,
partorito in casa e abbandonato dalla propria madre subito dopo la nascita in
un sacchetto davanti alla casa di un medico. Ritrovato, era stato ricoverato
in ospedale, dove molti giorni dopo la nascita continuava ad essere ospitato
senza alcuna necessità sanitaria. L'aspetto più grottesco di questa amara
vicenda furono le dichiarazioni pubbliche degli operatori sanitari del reparto
dove Fabio era ricoverato, dichiarazioni in base alle quali si affermava che
Fabio in ospedale stava benone, che non gli mancava nulla, perché era
circondato dalle coccole e quindi dall'affetto di tutto il personale.
Affermazioni pubbliche di una violenza inaudita: Fabio infatti, fin dalla
nascita seguita dall'abbandono, non era per questo meno persona, meno
cittadino. Anche per lui si doveva attuare la legge 184/83, art. 2,
sull'affidamento temporaneo ad altra famiglia, una legge fatta anche per
l'urgenza, per l'immediato, per il pronto intervento ai bambini che soffrono e
che come Fabio sono interdetti dallo sperimentare quella iniziale fusione con
la madre, che è la radice della vita emotivo-affettiva.
Fabio aveva urgente bisogno di cure e amore materno,
ma fuori dell'incubatrice nella quale era costretto a restare, sanissimo, ma
per "precauzione", in attesa che l'iter giuridico facesse il suo
corso.
Non è mai risultato che l'affetto sia in distribuzione
negli ospedali, neppure nei reparti pediatrici, tanto è vero che in quelli più
avanzati sono invitate a soggiornare anche le mamme con i loro bambini.
Risulta, invece, da tempo confermato dalla psicologia che i vuoti affettivi
precoci, come quello che rischiava Fabio restando in ospedale o venendo
confinato in istituto anche per pochissimo tempo, sarebbero poi stati incolmabili.
Luoghi comuni da superare
Anche attraverso la storia di Fabio, risulta allora
che i luoghi comuni sopra accennati (il bambino piccolo ha prevalentemente o
solo bisogni materiali, il bambino piccolo non capisce, il bambino piccolo non
ricorda, il bambino piccolo non si relaziona) sono:
- funzionali a comodi alibi. Un esempio calzante è
il mito del "luogo neutro" in cui collocare il bambino perché
"non si affezioni" in attesa che si compia I'iter giuridico o che la
sola terapia del tempo risani una famiglia gravemente inadeguata. Breve o
lungo che sia il tempo che il bambino trascorre lontano dalla sua famiglia
definitiva, e tutti dobbiamo batterci perché abbia una sua famiglia, una
famiglia definitiva nel più breve tempo possibile, deve essere comunque chiaro
che non esistono luoghi neutri. Ed è bene non esistano, perché si tratterebbe
di luoghi sterilizzati abitati da robot o da persone prive perfino di quell'identità
di genere che è il minimo richiesto ad un adulto che voglia entrare in rapporto
educativo con un bambino. Quanto sia mitologica ormai l'idea dei luoghi
"neutri" lo dice la scienza psicologica quando afferma che un bambino
all'adulto, comunque, s'attacca, dell'adulto ha bisogno per crescere. Lo
conferma la prassi per cui prima si sistema il bambino in luoghi presunti
neutri, col pericolo di attaccamenti e investimenti illusori, precari e negati,
poi si richiede agli educatori di possedere comunque competenze e attributi
materni o paterni, quando non si segua la purtroppo diffusa prassi di
collocare il bambino in comunità neutre, le quali, fin da subito e
dichiaratamente, attivano famiglie d'appoggio per il fine settimana, col risultato
di una tale confusione emotivo-affettiva da rendere il bambino gravemente
incapace di costruire un rapporto affettivo positivo;
- imprecisi e scorretti. Si riferiscono infatti a
interessi degli adulti, al garantismo dietro cui si nascondono troppo spesso
genitori incapaci così tanto da arrivare a negare al figlio l'unico gesto di
amore genitoriale ancora possibile, quello di rinunciare quanto prima a
esercitare quella genitorialità che non può essere abilitata dalla sola
biologia;
- pericolosi perché creano danni psicologici
inimmaginabili nell'equilibrio psichico del bambino, costretto troppo spesso a
vivere, dopo essere stato allontanato dalla famiglia, nei luoghi cosiddetti
"neutri", dove la sola neutralità rappresentata è quella degli
adulti che si avvicendano a fianco del bambino, nella migliore delle ipotesi
indifferenti, nella peggiore carichi di sensi di colpa, elementi di cui il
bambino, che comunque ha bisogno di vivere o di sopravvivere psicologicamente,
si alimenta con le conseguenze ben note e ben evidenti qualche anno più tardi.
La vicenda di Silvia
Ancora una storia allora. Quella di Silvia che ora ha
sette anni e che è stata posta in affidamento terapeutico un anno fa, dopo sei
anni di reiterate dimostrazioni di inadeguatezza della madre e affermazioni
plateali di attaccamento alla figlia, dietro le quali emergeva un netto rifiuto,
mai decifrato dai servizi. A modo suo, la madre di Silvia, a volte, le voleva
anche bene. Era però un bene a pezzetti, un pezzetto adesso, poi si stancava e
allora Silvia finiva in istituto per un po' perché, dicevano gli operatori, e
furono tanti e tanti ad affiancarsi a Silvia, bisognava dare alla madre il
tempo di provare, di rimettersi in sesto, di dimostrare le sue capacità.
Finché un giorno, fortunatamente, fu la madre a
stancarsi di questo amore a pezzetti e rinunciò a Silvia.
Ma questo amore a pezzetti, oggi qui, domani là, ora
con questo, poi con quello, e quante volte a sentirsi dire «ora non mi seccare
perché io ho diritto a divertirmi», questo tipo curioso di amore aveva
devastato Silvia, una bambina splendida, intelligente e birichina, ma così
assolutamente incapace di sentirsi se stessa, di orientarsi in uno spazio o in
un tempo precisi da camminare sempre sbattendo di qua e di là, da non saper
raccontare niente affermando: «lo non le so le storie», da avere ben chiara
solo una parola "no" di fronte a qualsiasi proposta, anche di aiuto.
Dalla sua storia troppo frammentata per essere
costruttiva, Silvia aveva ricavato solo la possibilità di un'estrema disperata
difesa.
È
dunque soprattutto considerando il bambino piccolo che si coglie:
-
l'importanza della famiglia per il bambino; - il bisogno di famiglia per il
bambino;
- il diritto del bambino a godere di quelle
competenze materne e paterne che hanno la loro sede nella famiglia, luogo
privilegiato della circolarità degli affetti, della storia che si fa vita.
Affermare che il bambino piccolo, quando allontanato
dalla sua famiglia o quando nasce senza famiglia, non deve essere sistemato in
una famiglia affidataria è dunque misconoscere un suo bisogno-diritto
fondamentale.
Altra è la questione della elevata professionalità
che la famiglia affidataria deve saper coltivare per aiutare il bambino, di
cui è chiamata ad occuparsi temporaneamente, ma non per questo meno
efficacemente, in vista di una sistemazione definitiva.
L'affidamento di Mario
Un'ultima storia può meglio spiegare il senso di
questo discorso. È la storia di Mario, un bambino allontanato dalla sua
famiglia a due anni, posto in istituto e da lì, per fortuna, anche grazie agli
elevati costi dell'istituto stesso, collocato presso una famiglia affidataria,
nell'attesa che si compisse quanto prima I'iter giudiziario e Mario potesse
avere una famiglia definitiva. L'iter per la dichiarazione di adottabilità non
è poi stato così breve, è durato ben un anno, ma è stato comunque un tempo di
crescita positiva. Mario ha potuto godere gli effetti costruttivi di appartenenza
ad una famiglia comune e straordinaria al tempo stesso. Comune perché fatta di
un papà, di una mamma e di altri fratelli, straordinaria per il clima di
affiatamento, per la capacità sofferta, ma sempre impegnata, della mamma e del
papà ad essere i genitori di Mario in un progetto aperto alla famiglia
adottiva, alimentando in Mario il senso dell'attesa di una nuova famiglia e contemporaneamente
il senso dell'appartenenza alla famiglia affidataria.
Mario ha potuto così affrontare nella maniera
migliore l'impegnativo passaggio verso la famiglia adottiva portando dentro di
sé la preziosa testimonianza del periodo trascorso presso la famiglia
affidataria, bene da non dimenticare, evidenza che nulla della sua vita è
perduto; esistono e sono suoi amici coloro che l'hanno accompagnato in uno
dei periodi più intensi e difficili della sua vita.
Conclusioni
II
diritto del bambino ad una realtà familiare vuol dire allora:
-
capire che il bambino ha sempre bisogno della famiglia per crescere;
- preparare con sempre maggiore consapevolezza
genitoriale la propria disponibilità alle esigenze dei bambini che vengono
allontanati dalla propria famiglia o che non hanno famiglia perché rifiutati
fin da subito;
- approfondire e inquadrare in maniera più corretta
di quanto oggi si faccia il significato di certi legami familiari, prima di
validarli come positivi per il bambino, perché ci sono legami forti ma
perversi e legami fittizi e devastanti;
- assumersi la responsabilità, attraverso
l'espressione di quella genitorialità che la comunità tutta è chiamata a
vivere, di dare al bambino una famiglia in grado di comunicargli quel senso di
appartenenza senza il quale il bambino non cresce "dentro".
L'esperienza di affido eterofamiliare temporaneo per
bambini piccoli, rappresenta un momento di quel «si può fare di più» che deve
impegnarci oggi, perché sia il più breve possibile, perché sia un ponte verso
la famiglia definitiva, perché sia comunque un tempo:
-
che deve essere parte della storia del bambino;
-
che è parte indispensabile della storia del bambino;
-
che deve far parte di un progetto per il bambino;
- che deve essere denso di quei valori di gratuità,
fedeltà, autenticità, creatività, credibilità, di cui deve nutrirsi la
professionalità genitoriale o, meglio, quella genitorialità che
"professa", e cioè manifesta e proclama se stessa nell'unico modo
possibile: quello che aiuta i bambini a gustare la gioia di sentirsi figli.
(*)
Operatori del Servizio affidi del Comune di Vicenza.
www.fondazionepromozionesociale.it